V. La vergine della pagoda.
Quella pagoda, del più puro stile indiano, era la più
bella che Tremal-Naik avesse veduto nelle Sunderbunds.
Costruita tutta in granito bigio era alta più che sessanta
piedi, con una base larga quanto due terzi dell'altezza,
contornata da stupendi colonnati, scolpiti con quella
valentìa che distingue la razza indiana. Man mano che la
pagoda saliva, andava a poco a poco restringendosi sino a
terminare in una specie di cupola sormontata da una gigantesca
palla di metallo, con una punta assai aguzza sostenente il
misterioso serpente colla testa di donna.
Agli angoli della pagoda scorgevansi il Trimurti indiano,
figurato da tre teste sopra un solo corpo sostenuto da tre
gambe e, qua e colà, una moltitudine di sculture strane,
curiose, rappresentanti molte figure della storia sacra
degl'indiani, Brahma, Siva, Visnù, Parvadi, la sinistra dea
della morte seduta sopra un leone, Darma-Ragia, il Plutone
degl'indiani e molte altre divinità, nonché un gran numero
di mostri spaventevoli e di teste d'elefanti colle proboscidi
tese.
Tremal-Naik, come si disse, si era fermato di colpo,
sorpreso di trovarsi dinanzi ad una pagoda, là dove credeva
di trovare la selvaggia jungla.
- Una pagoda! - aveva esclamato egli. - Sono perduto!
Gettò un rapido sguardo all'intorno. Egli si trovava in
una specie di radura d'una estensione di oltre mezzo miglio,
sgombra affatto d'ogni cespuglio e d'ogni bambù.
- Sono perduto! - ripeté egli, con ira.- Se non trovo un
nascondiglio, fra cinque minuti mi pioveranno addosso quei
terribili uomini e mi strangoleranno.
Ebbe per un istante l'idea di ritornare indietro e di
riguadagnare la jungla per nascondersi, ma vi erano più di
ottocento metri da percorrere, cioè il tempo sufficiente
perché gli inseguitori lo scoprissero. Pensò alle ruine che
contornavano lo stagno, ma non presentavano nascondigli di
sorta.
- E se salissi lassù, - mormorò egli, guardando la
sommità della pagoda. - E perché no?...
Un uomo come lui, rotto ad ogni sorta d'esercizi e che
possedeva una forza erculea congiunta ad un'agilità
straordinaria da muovere ad invidia una scimmia guenù, era
capace di issarsi fino alla cupola aggrappandosi ai colonnati
ed alle sculture che collegavansi in modo da formare un'erta e
bizzarra gradinata.
Si slanciò verso la pagoda, dopo d'aver disarmato la
carabina e di aversela gettata dietro le spalle, stette
qualche istante ad udire, e rassicurato del profondo silenzio
che colà regnava, imprese l'ardita scalata.
Con una rapidità sorprendente salì su una colonna e di
là si slanciò sulle pareti del tempio aggrappandosi alle
gambe delle divinità, inerpicandosi sui loro corpi, posando i
piedi sulle loro teste, afferrandosi alle proboscidi degli
elefanti e alle corna dei buoi del dio Siva.
Cosa strana, incomprensibile, misteriosa: man mano che
saliva sentivasi il cuore battere precipitosamente, le membra
acquistare una forza straordinaria. Egli sentivasi come
attirato da una forza irresistibile verso la sommità della
pagoda, ed al contatto di quelle fredde pietre provava delle
sensazioni sconosciute, inesplicabili.
Potevano essere le due del mattino, quando, dopo d'avere
eseguito venti manovre aeree da far gelare il sangue ad un
ginnasta e di aver corso altrettante volte il pericolo di
capitombolar giù e di sfracellarsi il cranio, giunse alla
cupola. Con un ultimo slancio s'aggrappò alla gigantesca
palla di metallo, sormontata dalla punta sostenente il
serpente colla testa di donna.
Con sua sorpresa egli si trovò ondeggiante al di sopra di
una larga apertura, profonda ed oscura quanto un pozzo,
attraversata da una sbarra di bronzo sulla quale trovò modo
di appoggiare i piedi.
- Dove sono? - si chiese egli. - Questo pozzo, senza dubbio
deve menare nell'interno della pagoda.
Abbandonò la grande palla e s'aggrappò alla sbarra
guardando giù, ma non vide che tenebre; tese l'orecchio, ma
il più profondo silenzio regnava sotto di lui, segno evidente
che nessuno trovavasi nella pagoda. Una cosa che lo colpì fu
una corda abbastanza grossa, formata d'un vegetale lucente e
flessibilissimo, annodata alla sbarra e che scompariva giù
nell'apertura. L'afferrò e riunendo le sue forze la tirò a
sé; s'accorse subito che alla estremità v'era attaccato un
corpo alquanto pesante il quale, alla trazione, ondeggiò
tintinnando.
Deve essere una lampada, - disse Tremal-Naik. Ad un tratto
si batté la fronte.
- Ora mi ricordo! - esclamò egli con viva emozione. -
Sì... quei due uomini parlavano di una pagoda... di una
vergine che veglia... Giusto Visnù, sarebbe mai...
S'arrestò e portò ambo le mani al cuore che batteva con
veemenza straordinaria. Egli provava allora un'emozione
analoga a quella che sentiva in quelle sere che trovavasi
dinanzi alla strana visione.
Fu un lampo. S'aggrappò a quella corda e si mise a
scendere nelle tenebre, quantunque ignorasse ancora dove
andasse a finire e ciò che lo attendeva laggiù. Pochi minuti
dopo i suoi piedi battevano su di un oggetto arrotondato, il
quale mandò un suono metallico che gli echi del tempio
ripeterono più volte.
Stava per curvarsi per vedere cos'era, quando un cigolìo
simile a quello di una porta che gira sui cardini, giunse ai
suoi orecchi.
Guardò sotto di sé e gli parve di scorgere, fra le
tenebre, un'ombra che muovevasi, ma senza produrre rumore di
sorta.- Chi può esser mai? - si chiese egli, rabbrividendo.
Con una mano estrasse una pistola e l'impugnò deciso di
vendere caramente la vita, se veniva scoperto, e attese coll'immobilità
d'una statua di granito.
Un sospiro profondo salì fino a lui; quel sospiro lo
impressionò in un modo nuovo, misterioso. Gli sembrò che gli
avessero vibrato una pugnalata in cuore.
- Sono pazzo o stregato, - mormorò egli.
L'ombra si era fermata dinanzi ad una massa nera, enorme
che trovavasi proprio al disotto della fune.
- Eccomi, orribile divinità! - esclamò una voce di donna
che scosse Tremal-Naik fino al fondo dell'anima.
Tremal-Naik al colmo della sorpresa udì una materia
liquida precipitare sul suolo e sentì spandersi per l'aria un
profumo soave.
- Mostruosa gente! - pensò egli. - Eppure quell'ombra ha
una voce dolce come le note del saranguy... È strana! tremo
come se avessi la febbre. Perché?...
- Ti odio! - esclamò la medesima voce, con profonda
amarezza. - Ti odio, spaventevole divinità, che mi
condannasti ad eterno martirio dopo d'avermi distrutto tutto
ciò che avevo di più caro sulla terra. Assassini, possiate
essere maledetti in questa e nell'altra vita!
Uno scoppio di pianto seguì la maledizione che
quell'essere misterioso aveva scagliato su quegli uomini che
aveva chiamato assassini. Tremal-Naik per la seconda volta
fremette in tutte le membra e lui, l'uomo dall'animo
inaccessibile, lui, il selvaggio figlio della jungla, lui, il
cacciatore di serpenti, per la prima volta in sua vita, si
sentì commosso.
Ebbe per un istante l'idea di lasciarsi cadere nel vuoto.
ma un po' di diffidenza lo trattenne. Del resto era troppo
tardi, poiché l'ombra s'era allontanata scomparendo nelle
tenebre e poco dopo udì il cigolìo della porta che
schiudevasi.
- Ma che non possa svelare adunque questo mistero? -
mormorò Tremal-Naik, quasi con rabbia. - Ma chi sono adunque
questi mostri che han bisogno di vittime?
- Chi è mai questa spaventevole divinità? Chi è questa
donna che viene a maledire a mezzanotte, nell'ora dei delitti,
dei fantasmi, delle vendette?... Chi è questo essere, che
mentre gli altri strangolano, piange? Che mentre gli altri mi
fan ribrezzo, mi commuove! Che mentre gli altri han cupa la
voce, l'ha dolce, soave come un'armonia celeste?...
Quest'essere, questa donna io la voglio vedere, io le voglio
parlare e tutto mi svelerà. Non so, ma una voce interna mi
dice che questa donna io l'ho veduta altre volte, ha fatto
palpitare il mio cuore, che questa donna è...
S'arrestò anelante, quasi spaventato. Una fiamma gli salì
in volto e lo inondò di sudore.
- Se fosse la mia visione! - esclamò egli con voce
tremante per l'emozione. - Quando m'arrampicava sul tempio io
era commosso; quando scesi quaggiù io tremava. Se fosse
vero?... Scendiamo.
Si lasciò calare giù e posò i piedi su di un oggetto
duro e scabroso, che diede quel suono particolare dei corpi
metallici e specialmente dei bronzi.
S'accorse di essere sopra alla massa nera, dinanzi alla
quale la donna aveva versato quel profumo, maledetto e pianto.
- Cos'è mai questo? - mormorò egli.
Si chinò, appoggiò le mani su quella massa di bronzo e si
lasciò scivolar giù, finché toccò terra. I suoi piedi
sdrucciolarono su di una superficie liscia e umidiccia.
- È qui che ella sparse il profumo, - diss'egli.- L'odore
che mi sale alle nari me lo dice. Domani saprò dove mi trovo
e con chi avrò da fare.
Fece sei o sette passi brancolando fra le tenebre e si
aggomitolò su se stesso, colle pistole in mano, aspettando
che un raggio di luce illuminasse quel misterioso tempio.
Passarono alcune ore senza che rumore alcuno turbasse il
funebre silenzio che regnava in quel luogo; lassù, verso
l'apertura, il cielo cominciava a rischiararsi e gli astri ad
impallidire sotto i primi albori. Tremal-Naik, immobile, cogli
occhi bene aperti e gli orecchi tesi, aspettava sempre con
quella pazienza che è particolare alle razze asiatiche.
Verso le quattro il sole apparve improvvisamente
sull'orizzonte, illuminando la grande palla di bronzo che
ergevasi sulla cima della pagoda e dall'ampia apertura scese
un fascio di luce. Tremal-Naik scattò in piedi, sorpreso,
sbalordito dallo spettacolo che offrivasi dinanzi a' suoi
occhi.
Egli si trovava in una specie di immensa cupola, le cui
pareti erano bizzarramente dipinte. Le prime dieci
incarnazioni di Visnù, il dio conservativo degli indiani che
ha la sua residenza nel Vaicondu o mare di latte del serpente
Adissescien, erano dipinte all'ingiro, circondate dai
principali deverkeli o semi-dei venerati dagl'indiani,
protettori degli otto angoli del mondo, abitatori del sorgon,
cioè paradiso di quelli che non hanno tanti meriti per andare
nel cailasson o paradiso di Siva. A metà della cupola v'erano
scolpiti i cateri, giganteschi geni malvagi, che divisi in
cinque tribù vanno errando pel mondo dal quale non possono
uscire, né meritare la beatitudine promessa agli uomini, se
non dopo d'aver raccolto gran numero di preghiere.
Nel mezzo della pagoda si elevava una grande statua di
bronzo, rappresentante una donna con quattro braccia, di cui
una brandiva una lunga daga e un'altra una testa.
Una grande collana di teschi le scendeva fino al collo dei
piedi ed una cintura di mani e di braccia mozzate le stringeva
i fianchi.
La faccia di quell'orribile donna era tatuata, le sue
orecchie erano adorne di anelli; la lingua dipinta di rosso
cupo, del color del sangue, le usciva d'un buon palmo dalle
labbra atteggiate ad un feroce sorriso; i polsi erano stretti
da larghi braccialetti ed i piedi posavano su di un gigante
coperto di ferite.
Quella divinità, lo si capiva a prima vista, trasportata
dalla ebbrezza del sangue, danzava sul corpo della vittima.
Un altro oggetto strano, era una vaschetta di marmo bianco,
incastonata nelle lucenti pietre del pavimento. Era colma di
limpidissima acqua e dentro vedevasi nuotare un pesce di un
bel giallo d'oro, piccolo e che somigliava assai ad un mango
del Gange. Tremal-Naik non aveva mai visto nulla di simile.
Egli si era fermato dinanzi alla mostruosa divinità e la
contemplava con un misto di stupore e di paura.
Chi era mai quella sinistra figura contornata di cranii ed
ornata di mani e braccia mozze? Cosa significava quel
pesciolino dorato nuotante in quella bianca vaschetta? Quale
relazione avevano quei due strani simboli, coi feroci uomini
che inseguivano e strangolavano i loro simili?
- Che io sogni? - mormorò Tremal-Naik, stropicciandosi
più volte le palpebre. - Io non comprendo nulla!
Non aveva ancor finito, che un leggiero cigolìo giungeva
ai suoi orecchi. Si volse colla carabina in mano, ma quasi
subito indietreggiò fino alla mostruosa divinità, rattenendo
a gran pena un grido di stupore e di gioia.
Dinanzi a lui, sul limitare di una porta dorata, stavasene
ritta una fanciulla di meravigliosa bellezza, col più
angoscioso terrore dipinto sul volto.
Poteva avere quattordici anni. La sua taglia era graziosa e
di forme superbamente eleganti.
Aveva i lineamenti d'una purezza antica, animati dalla
scintillante espressione della donna anglo-indiana.
La pelle era rosea, d'una morbidezza impareggiabile, gli
occhi grandi neri e scintillanti come diamanti; un naso
diritto che nulla aveva d'indiano, labbra sottili, coralline,
schiuse ad un melanconico sorriso che lasciava scorgere due
file di denti d'abbagliante bianchezza una opulenta
capigliatura d'un castano cupo, fuliginoso, separata sulla
fronte da un mazzetto di grosse perle, era raccolta in nodi ed
intrecciata con fiori di sciambaga dal soave profumo.
Tremal-Naik come si disse, era vivamente indietreggiato
fino alla mostruosa statua di bronzo.
- Ada!... Ada!... L'apparizione della jungla! - esclamò
egli con voce soffocata.
Non seppe dire di più e rimase lì, muto, ansante,
trasognato a mirare quella superba creatura che continuava a
fissarlo con profondo terrore. Ad un tratto quella fanciulla
fece un passo innanzi lasciando cadere a terra l'ampio sari di
seta, orlato d'una larga striscia azzurra, fregiata di
complicati disegni, che ricoprivala come un ampio mantello.
Un fascio di luce abbagliante l'avvolse, togliendola alla
vista del cacciatore di serpenti che fu forzato a chiudere gli
occhi.
Quella fanciulla era coperta letteralmente d'oro e di
pietre preziose d'inestimabile prezzo. Una corazza d'oro,
tempestata dei più bei diamanti del Golconda e del Guzerate,
decorata del misterioso serpente colla testa di donna, le
racchiudeva tutto il seno e spariva in un largo scialle di
cachemire trapunto d'argento, che cingevale i fianchi;
molteplici collane di perle e di diamanti le pendevano dal
collo, grossi come nocciuole; larghi braccialetti pur
tempestati di pietre preziose le ornavano le nude braccia, ed
i calzoncini larghi, di seta bianca, erano stretti sul collo
dei piedi nudi e piccini, da cerchietti di corallo della più
bella tinta rossa. Un raggio di sole, penetrato da uno stretto
pertugio, battendo sopra quella profusione di ori e di gioie
aveva per così dire immersa la giovanetta in un mare di luce
d'un fulgore acciecante.
- La visione!... La visione!... - ripeté per la seconda
volta Tremal-Naik, tendendo le braccia verso di lei! - Oh!
quanto è bella!...
La giovanetta si guardò attorno con smarrimento e portò
un dito sulle labbra, come per invitarlo a tacere, poi
camminò dritta verso di lui.
- Sciagurato! - diss'ella con ispavento. - Cosa sei venuto
a far qui?... Qual follia ti trascinò in quest'orribile
luogo?...
Il cacciatore di serpenti, senza volerlo, era caduto in
ginocchio tendendo le mani verso di lei che indietreggiò con
maggiore spavento.
- Non toccarmi! - diss'ella, con un filo di voce.
Tremal-Naik aveva emesso un sospiro:
- Sei bella! esclamò egli con passione.
- Taci, Tremal-Naik!
- Sei bella!... - ripeté il selvaggio figlio della jungla.
Ella gli pose un dito sulle labbra.
- Se non vuoi perdermi, non fare rumore, - disse la
giovanetta con dolce rimprovero. - Tu non sai ancora, i
tremendi pericoli che ci minacciano.
- Io sono Tremal-Naik! Chi è quest'uomo che ti minaccia?
Dimmelo ed io, il cacciatore di serpenti, ti giuro che domani
questo nemico sarà scomparso dalla terra!...
- Non parlare così, Tremal-Naik!
- Perché?... Senti, fanciulla: non aveva mai veduto un
volto di donna nella mia jungla popolata dalle sole tigri.
Quand'io per la prima volta ti vidi, agli ultimi raggi del
sole morente, là, dietro quel cespuglio di mussenda, mi sono
sentito scuotere tutto. Mi parve che tu fossi una divinità
scesa dal cielo e t'adorai.
- Taci! taci! - ripeté con voce rotta la fanciulla,
nascondendosi il volto fra le mani.
- Non posso tacere, vago fiore della jungla! - esclamò
Tremal-Naik con maggior passione. - Quando tu scomparisti, mi
parve che qualche cosa si staccasse dal mio cuore. Ero come
ubriaco, dinanzi agli occhi mi danzava la tua visione, nelle
vene scorrevami più rapido il sangue e lingue di fuoco mi
salivano in volto e più su fino al cervello. Si avrebbe detto
che tu mi avevi stregato!
- Tremal-Naik! - mormorò con ansia la fanciulla.
- Quella notte non dormii, - proseguì il cacciatore di
serpenti. - Avevo la febbre indosso e una smania furiosa di
rivederti. Perché? Io l'ignorava, né sapeva capacitarmi come
ciò accadesse. Era la prima volta in vita mia che provavo una
tale emozione. Passarono quindici giorni. Tutte le sere, al
calar del sole, io ti rivedeva dietro al mussenda ed io mi
sentivo felice dinanzi a te; mi pareva di esser trasportato in
un altro mondo mi pareva di essere diventato un altro uomo. Tu
non mi parlavi, ma mi guardavi e per me era anche troppo; quei
tuoi sguardi erano eloquenti e mi dicevano che tu...
S'arrestò ansante, guardando la fanciulla che teneva il
volto nascosto fra le mani.
- Ah! - esclamò egli con dolore. - Tu adunque non vuoi che
parli.
La fanciulla si scosse e lo fissò, con occhi umidi.
- Perché parlare, - balbettò ella, - quando tra noi v'è
un abisso? Perché sei venuto qui, sciagurato, a ridestare nel
mio cuore una speranza vana? Non sai tu adunque, che questo
luogo è maledetto, interdetto soprattutto a colui che io amo?
- Che io amo! - esclamò Tremal-Naik, con gioia. Ripeti,
ripeti questa parola, vago fiore della jungla! È vero adunque
che tu mi ami? È vero dunque che tu venivi ogni sera dietro
il mussenda perché mi amavi?
- Non farmi morire, Tremal-Naik, - esclamò la fanciulla
con angoscia.
- Morire! Perché? Qual pericolo ti minaccia? Non sono qui
io a difenderti? Che importa se questo luogo è maledetto? Che
importa se fra noi due v'è un abisso? Io sono forte, tanto
forte che per te scrollerei questo tempio e infrangerei
quell'orribile mostro, dinanzi al quale tu versi dei profumi.
- Come, tu sai questo? Chi te lo disse?
- T'ho veduta questa notte.
- Questa notte eri qui dunque?
- Sì, ero qui, anzi lassù aggrappato a quella lampada,
proprio sopra al tuo capo.
- Ma chi ti condusse in questo tempio?
- La sorte, o meglio il laccio degli uomini che abitano
questa terra maledetta.
- T'hanno dunque veduto?
- M'hanno dato la caccia.
- Ah! disgraziato, sei perduto! - esclamò la fanciulla con
disperazione.
Tremal-Naik si slanciò verso di lei.
- Ma dimmi, qual mistero è questo? - chiese egli con
furore, a gran pena frenato. - Perché tanto terrore? Che cosa
vuol dire quella mostruosa figura che ha bisogno di profumi?
Cos'è quel pesce dorato che nuota in quel bacino? Cosa
significa quel serpente dalla testa di donna che tu hai
impresso sulla corazza? Chi sono questi uomini che strangolano
i loro simili e che vivono sotto terra? Io lo voglio sapere, o
Ada, io lo voglio!
- Non interrogarmi, Tremal-Naik.
- Perché?
- Ah! se tu sapessi qual terribile destino pesa su me!
- Ma io son forte.
- Che vale la forza contro questi uomini?
- Farò a loro una guerra spietata.
- T'infrangeranno come un giovane bambù. Non sfidano essi
la possanza dell'Inghilterra? Sono forti, Tremal-Naik, e
tremendi! Nulla resiste a loro: né le flotte, né gli
eserciti. Tutto cade dinanzi al velenoso loro soffio.
- Ma chi sono adunque essi?
- Non posso dirlo.
- E se io te lo comandassi?
- Rifiuterei.
- Dunque tu... diffidi di me! - esclamò Tremal-Naik con
rabbia.
- Tremal-Naik! Tremal-Naik! - mormorò l'infelice
giovanetta, con accento straziante.
Il cacciatore di serpenti si torse le braccia.
- Tremal-Naik, - proseguì la fanciulla, - una condanna
pesa su di me, una condanna terribile, spaventevole, che non
cesserà che colla mia morte. Io t'ho amato, prode figlio
della jungla, t'amo sempre, ma...
- Ah! tu mi ami! - esclamò il cacciatore di serpenti.
- Sì, ti amo, Tremal-Naik.
- Giuralo su quel mostro che ci sta dappresso.
- Lo giuro! - disse la giovanetta, tendendo la mano verso
la statua di bronzo.
- Giura che tu sarai mia sposa!...
Uno spasimo scompose i lineamenti della giovanetta.
- Tremal-Naik, - mormorò ella con voce cupa, - sarò tua
sposa, se pure sarà possibile!
- Ah! ho forse un rivale.
- No, né vi sarà alcuno tanto audace da fissare il suo
sguardo su di me. Appartengo alla morte.
Tremal-Naik aveva fatto due passi indietro colle mani
strette al capo.
- Alla morte!... - esclamò.
- Sì, Tremal-Naik, appartengo alla morte. Il giorno in cui
un uomo poserà le sue mani su di me, il laccio dei
vendicatori troncherà la mia vita.
- Ma sogno io forse?
- No, sei sveglio e colei che ti parla è la donna che ti
ama.
- Ah! tremendo mistero!
- Sì, tremendo mistero, Tremal-Naik. Tra noi v'è un
abisso che nessuno sarà capace di colmare... Fatalità! Ma
cosa ho fatto io per essere così disgraziata? Qual delitto ho
commesso io, per essere maledetta?
Uno scoppio di pianto soffocò la sua voce ed il suo volto
s'irrigò di lagrime. Tremal-Naik emise un sordo ruggito e
strinse le pugna con tale forza da far crocchiare le ossa.
- Che posso fare per te? - chiese egli, commosso fino al
fondo dell'anima. - Queste tue lagrime mi fanno male, vago
fiore della jungla. Dimmi che devo fare, comanda ed io ti
ubbidirò più d'uno schiavo. Vuoi che io ti tragga da questo
luogo, io lo farò, dovessi lasciare la vita nel tentativo.
- Oh! no, no! - esclamò la giovanetta, con ispavento. -
Sarebbe la morte per entrambi.
- Vuoi che io parta di qui? Senti, io ti amo assai, ma se
la tua esistenza richiedesse la separazione eterna fra noi
due, io infrangerò l'amore che nacque nel mio cuore. Sarò
dannato, sarà un martirio continuo per me, ma lo farò.
Parla, cosa devo fare?
La giovanetta taceva e singhiozzava. Tremal-Naik l'attirò
dolcemente a sé e stava per aprire le labbra, quando al di
fuori echeggiò l'acuta nota del ramsinga.
- Fuggi! fuggi, Tremal-Naik! - esclamò la giovanetta,
fuori di sé pel terrore. - Fuggi o siamo perduti!
- Ah! maledetta tromba! - urlò Tremal-Naik, digrignando i
denti.
- Essi arrivano, - proseguì la giovanetta con voce
spezzata. - Se ci trovano, ci immoleranno alla loro
spaventevole divinità. Fuggi! fuggi!
- Oh giammai!
- Ma vuoi tu adunque farmi morire!
- Io ti difenderò!
- Ma fuggi, disgraziato! fuggi!
Tremal-Naik per tutta risposta raccolse da terra la
carabina e l'armò.
La giovanetta comprese che quell'uomo era irremovibile.
- Abbi pietà di me! - diss'ella con angoscia. - Essi
vengono.
- Ebbene, io li aspetterò, - rispose Tremal-Naik.- Il
primo uomo che ardirà alzare su di te la sua mano, giuro sul
mio dio che lo ammazzo come una tigre della jungla.
- Ebbene rimani, giacché sei irremovibile, prode figlio
della jungla; io ti salverò.
Ella raccolse il suo sari e si diresse verso la porta dalla
quale era entrata. Tremal-Naik si slanciò verso di lei
trattenendola.
- Dove vai? - gli chiese.
- A ricevere l'uomo che sta per arrivare ed impedirgli che
qui entri.
Questa sera, alla mezzanotte, io ritornerò da te. Allora
si compirà la volontà dei numi e forse... fuggiremo.
- Il tuo nome?
- Ada Corishant.
- Ada Corishant! Ah! quanto è bello questo nome! Va',
nobile creatura, a mezzanotte t'attendo!
La giovanetta s'avvolse nel sari, guardò un'ultima volta,
cogli occhi umidi, Tremal-Naik e uscì soffocando un
singhiozzo.
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