CAPITOLO PRIMO
Sulle rive del Nilo
Tutto era calmo sulle rive del maestoso Nilo.
Il sole stava per scomparire dietro le altissime cime delle
immense palme piumate, fra un mare di fuoco che arrossava le
acque del fiume, facendole sembrare bronzo appena fuso, mentre
a levante un vapore violaceo, che diventava di momento in
momento più fosco, annunciava le prime tenebre.
Un uomo stava ritto sulla riva, appoggiato al fusto d'una
giovane palma, in una specie di molle abbandono e come immerso
in profondi pensieri. Il suo sguardo vago errava sulle acque
che si frangevano con un dolce gorgoglìo fra le radici dei
papiri affondate nella melma.
Era un bel giovane egiziano, forse appena diciottenne, con
spalle piuttosto larghe e piene, le braccia nervose,
terminanti in mani lunghe e sottili, i lineamenti bellissimi,
regolari, ed i capelli e gli occhi nerissimi.
Indossava un semplice camice, che gli scendeva fino ai
piedi a larghe pieghe, stretto alle anche da una fascia di
lino a righe bianche ed azzurre.
Sul capo, per ripararsi dagli ardenti raggi del sole,
portava quella specie di bonetto, usato dagli Egiziani
cinquemila anni or sono, formato da un fazzoletto triangolare,
a liste colorate, stretto alla fronte da una sottile lista di
pelle, colle punte cadenti dietro le spalle.
Quel giovane conservava una immobilità assoluta e sembrava
che non si accorgesse nemmeno che le prime ombre della notte
cominciavano ad avvolgere le palme ed il fiume, e che non
pensasse nemmeno che il soffermarsi troppo su quelle rive,
dopo il tramonto, poteva essere pericoloso.
Il suo sguardo nerissimo, dal lampo fosco, si fissava
sempre nel vuoto come se seguisse qualche cosa che gli fuggiva
dinanzi e che scompariva fra le ombre della notte.
Ad un tratto un lungo sospiro gli uscì dalle labbra, poi
si scosse facendo colle mani come un moto di scoraggiamento.
"Il Nilo non me la ricondurrà forse più mai,"
mormorò "gli dei non proteggono che i Faraoni."
Alzò gli occhi. Le stelle cominciavano a brillare in cielo
e il lieve rossore porpureo che si discerneva ancora vagamente
verso ponente, là dove il sole era scomparso, si dileguava
con fantastica rapidità.
"Torniamo," mormorò il giovane. "Ounis
sarà molto inquieto e forse sta cercandomi nel bosco."
Aveva fatto tre o quattro passi, quando si arrestò,
fissando gli sguardi sulle erbe secche che crescevano sotto le
palme. Qualche cosa scintillava fra le foglie cadute dagli
alberi. Si chinò rapidamente e lo raccolse, mandando nel
medesimo tempo un grido a malapena soffocato.
Era un gioiello in forma di vipera ripiegata, colla testa
d'avvoltoio, tutto d'oro, con smalto policromo lungo i lati.
"Il simbolo del diritto di vita e di morte!"
esclamò.
Stette parecchi minuti come perplesso, tenendo gli occhi
sempre fissi su quello strano gioiello, mentre la pelle del
suo viso, che era solamente un po' abbronzata e non oscura
come quella dei moderni fellah, ossia lavoratori delle
campagne, e dei beduini del deserto, a poco a poco si
scoloriva.
"Sì," ripetè, con un accento che tradiva una
profonda angoscia, "questo è il simbolo del diritto di
vita e di morte, che solo i Faraoni possono portare. Ounis me
lo ha fatto vedere parecchie volte, scolpito sulle statue
delle piramidi e sulla fronte di Khâfri Grande Osiride! Chi
sarà la fanciulla che ho strappato alle fauci del
coccodrillo?"
Si passò più volte una mano sulla fronte che era bagnata
di sudore, poi riprese:
"Me lo ricordo, questo gioiello brillava in mezzo ai
suoi capelli, nel momento in cui la trassi dall'acqua."
Un'angoscia inesprimibile traspariva sul bel viso del
giovane.
"Sono pazzo," disse. "Un umile uomo come
sono io, alzare gli occhi su quella fanciulla che mi apparve
come una dea del Nilo! Che cosa sono io per ardire tanto e
vivere con una simile speranza nel cuore? Un miserabile che
erra sulle rive del Nilo assieme ad un povero sacerdote.
Folle! Eppure quegli occhi mi han tolto per sempre la
tranquillità e mi hanno spezzata l'esistenza. Io non sono
più il giovane spensierato d'un giorno. La mia vita è finita
ed il Nilo è qui, dinanzi a me, pronto a trascinare la mia
spoglia verso il lontano mare."
Aveva ripreso il cammino, colla testa bassa, le braccia
penzolanti. Le tenebre avevano tutto avvolto e l'oscurità era
profonda sotto le immense foglie delle palme.
Cantavano i grilli, sussurravano dolcemente le fronde,
scosse da un legger venticello e gorgogliavano le acque del
maestoso Nilo fra le foglie di loto e le radici dei papiri, ma
il giovane pareva che nulla udisse. Camminava come un
sonnambulo, come se sognasse, senza parlare.
Aveva già raggiunto il margine della foresta, che si
stendeva d'ambe le parti, su una larga zona, lungo le rive del
fiume, quando una voce lo strappò improvvisamente dai suoi
pensieri.
"Mirinri!"
Il giovane s'arrestò e aprì gli occhi che teneva
socchiusi e fece un gesto vago. Pareva che si svegliasse in
quel momento da un lungo sogno.
"Non vedi che il sole è tramontato da un po' e non
odi le risa sgangherate delle jene? Dimentichi forse che noi
siamo come in mezzo ad un deserto?"
"Hai ragione Ounis," rispose il giovane. "Vi
erano dei coccodrilli che giuocavano nel fiume e mi sono
fermato un po' troppo a guardarli."
"Sono imprudenze che possono costare ben sovente la
vita."
Un uomo era sbucato fra un folto gruppo di suffarah (acacie
fistulose) avanzandosi verso il giovane, che era sempre fermo.
Era un bellissimo vecchio, d'aspetto maestoso, con una lunga
barba bianca che gli scendeva fino a metà del petto, tutto
racchiuso in un ampio camice di lino bianchissimo, col capo
avvolto in un fazzoletto rigato, simile a quello che portava
Mirinri. I suoi occhi erano nerissimi, dal lampo vivissimo e
la sua pelle appena abbronzata, quantunque un po'
incartapecorita dall'età.
"È un'ora che ti cerco, Mirinri," disse "e
sono molte sere che tu torni tardi. Bada, figlio mio: le rive
del Nilo sono pericolose. Anche stamane ho veduto un
coccodrillo addentare pel naso un toro, che stava dissetandosi
e trascinarlo sotto le acque."
Un sorriso quasi sprezzante apparve sulle labbra del
giovane.
"Vieni, Mirinri, è già molto tardi e devo parlarti a
lungo questa sera, perché hai già compiuti diciotto anni e
la profezia si è avverata."
"Quale?"
Il vecchio alzò una mano verso il cielo, dicendo poi:
"Guarda: non la vedi brillare verso oriente? I tuoi
occhi sono migliori dei miei e tu la distinguerai più
facilmente."
Il giovane guardò nella direzione che il vecchio
gl'indicava ed ebbe un trasalimento.
"Una stella colla coda!" esclamò.
"È quella che attendevo," rispose il vecchio.
"Quella stella è legata al tuo destino."
"Me lo hai detto sovente."
"Segna l'ora delle rivelazioni." Si curvò
rapidamente dinanzi al giovane e gli baciò l'orlo della
veste.
"Che cosa fai, Ounis?" chiese Mirinri con
stupore, e arretrando di qualche passo.
"Saluto il futuro signore dell'Egitto," rispose
il vecchio.
Il giovane era rimasto muto, guardando Ounis con uno
stupore impossibile a descriversi.
Un lampo ardente animava solo i suoi occhi, che si erano
fissati intensamente sulla cometa scintillante in cielo, fra
miriadi di stelle.
"Il mio destino!" esclamò finalmente. Poi un
altro grido gli irruppe dalle labbra:
"Mia! Potrà essere mia! Il simbolo di vita e di morte
non mi fa più paura! Ma no, è impossibile, tu sei pazzo,
Ounis; quantunque tu sia sacerdote, non ti credo. Il mio
corpo, travolto dalle acque del sacro fiume andrà a finire
nel mare lontano e s'immergerà là dove i suoi occhi mi hanno
fissato per la prima volta e mi hanno bruciata l'anima."
"Di chi parli, Mirinri?" chiese Ounis, sorpreso.
"Lascia che il segreto muoia con me," rispose il
giovane.
Un'ansietà estrema si era dipinta sul viso del vecchio
sacerdote.
"Parlerai," disse con tono autorevole.
"Vieni!"
Prese per una mano il giovane e si rimisero in cammino,
attraverso una landa quasi sabbiosa, interrotta qua e là da
qualche magro arbusto e da qualche palma semidisseccata.
Né l'uno, né l'altro parlavano. Entrambi parevano molto
preoccupati e fissavano, quasi nel medesimo istante, la stella
caudata, che saliva lentamente in cielo scintillando
vivamente.
Dopo un quarto d'ora giungevano alla base d'una collina,
priva di qualsiasi traccia di vegetazione, che s'alzava in
forma di piramide e sulla cui cima si scorgevano delle statue
di proporzioni colossali, giganteggianti nell'oscurità.
"Vieni," ripetè il vecchio sacerdote.
"Questa è l'ora."
Mirinri si lasciò condurre, senza opporre resistenza. Dopo
essersi inerpicati su un sentiero aperto nella viva roccia, si
cacciarono entro una caverna poco spaziosa, illuminata da una
piccola lampada di terra cotta foggiata come un ibis,
l'uccello sacro degli antichi egiziani.
Nessun lusso entro quello speco. Solo delle pelli di bufalo
e di iena, che dovevan servire da letti, alcuni vasi in forma
d'anfora, qualche spada corta e larga appesa alle pareti e
qualche scudo di pelle di bue.
In un angolo, su un fornello, improvvisato con quattro o
cinque pietre, borbottava una pentola di forma strana,
esalando un profumo non cattivo.
Mirinri, appena entrato, si era lasciato cadere su una
pelle di iena, prendendosi le ginocchia fra le mani ed
immergendosi subito nei suoi pensieri. Il sacerdote invece si
era fermato in mezzo alla caverna, guardando il giovane
intensamente, con un'affettuosità inesprimibile.
"Ti ho salutato mio signore," disse con un
accento strano, che suonava come un dolce rimprovero. "Lo
hai dimenticato, Mirinri?"
"No," rispose il giovane, quasi distrattamente.
"Eppure lo si direbbe. Quale pensiero profondo turba
il cervello di colui che ho chiamato mio figlio ed a cui ho
dedicato tutta la mia vita? Non senti dunque fremerti nelle
vene il sangue divino dei Faraoni, i dominatori
dell'Egitto?"
Udendo quelle parole il giovane era scattato in piedi,
tutto trasfigurato, fissando sul vecchio uno sguardo ardente.
"Il sangue dei Faraoni, hai detto tu!" esclamò.
"Impazzisci, Ounis."
"No," rispose asciuttamente il vecchio. "È
l'ora delle rivelazioni, ti ho detto. La stella caudata sale
in cielo e la profezia si è avverata. Tu sei un
Faraone!"
"Io... un Faraone!" esclamò Mirinri
impallidendo. "Sentivo io scorrermi nelle vene un sangue
ardente, il sangue dei guerrieri! I miei sogni di glorie e di
grandezze, che ogni notte, per anni e anni, hanno turbato i
miei sonni, erano dunque veri! Grandezza! Potenza! Eserciti da
comandare, regioni da conquistare... e lei... lei... quella
divina fanciulla che mi ha stregato... È impossibile... tu mi
hai ingannato, Ounis, tu ti sei riso di me!..."
Il giovane si era coperto gli occhi con ambe le mani, come
per sfuggire alla grande visione.
Ounis gli si accostò e, scuotendolo dolcemente, gli disse:
"Un sacerdote non può permettersi di scherzare con un
uomo che ha nelle sue vene il sangue sacro di Osiride e che
diverrà un giorno il suo signore. Siedi e ascoltami."
Mirinri obbedì, lasciandosi cadere su una pelle di
gazzella che copriva il piccolo sedile d'argilla seccata al
sole.
"Parla," disse. "Spiegami come io possa
essere un Faraone e perché sono cresciuto qui, sui margini
del deserto, lontano dagli splendori di Menfi, come fossi il
figlio d'un miserabile pastore."
"Perché se tu fossi stato lasciato laggiù,
probabilmente a quest'ora non saresti più vivo."
"Perché?" chiese Mirinri scattando.
"Perché a Menfi non regna più, già da undici anni,
Teti, il fondatore della sesta dinastia. Un miserabile ha
usurpato il trono a tuo padre."
"Io, figlio di Teti!" esclamò il giovane
impallidendo. "Sogni tu, Ounis o continui lo
scherzo?"
"Non ti ho forse baciato il lembo della tua veste? Tu
vorrai delle prove? Ebbene io te le darò. Domani, prima
dell'alba, noi ci recheremo a interrogare le statue di Memnone
e tu udrai la pietra a suonare dinanzi a te. Ne vuoi un'altra?
Andremo alla piramide che tuo padre ha fatto erigere ed io
farò rivivere in tua presenza il fiore meraviglioso
d'Osiride, quel fiore che solo dinanzi ai Faraoni dischiude le
sue corolle, quando vi lasciano cadere una goccia d'acqua. Se
la pietra vibrerà ed il fiore rivivrà, sarà segno che sei
figlio di re. Lo vuoi?"
"Sì," rispose Mirinri tergendosi il sudore che
gli bagnava la fronte. "Solo dinanzi a quelle due prove
io ti crederò."
"Sta bene," rispose il sacerdote. "Ora
ascolta la storia di tuo padre e la tua."
Stava per aprire la bocca, quando i suoi occhi scorsero il
simbolo di vita e di morte che il giovane si era appeso alla
correggia che gli stringeva il fazzoletto un po' sopra la
fronte.
"Un ureo!" esclamò. "Dove hai raccolto quel
simbolo, che brilla solo fra i capelli dei re e dei loro
figli?"
"Sulla riva del Nilo," rispose Mirinri, dopo una
breve esitazione.
Ounis si era alzato in preda ad una vivissima angoscia. I
suoi occhi si erano dilatati e dimostravano un terrore
profondo.
"Che abbiano scoperto il nostro rifugio!"
esclamò, facendo un gesto di collera. "Eppure io ho
preso tutte le precauzioni perché nessuno sapesse il luogo
ove io ti ho nascosto. Quell'ureo non può averlo smarrito che
un Faraone."
"O una Faraona?" disse Mirinri, guardandolo fisso
e sussultando.
Ounis aveva fatto un soprassalto. S'accostò rapidamente al
giovane, scuotendolo quasi brutalmente:
"Una Faraona! Tu mi hai parlato poco fa d'una
fanciulla divina... Dove l'hai veduta? Parla, Mirinri! Da ciò
può dipendere il tuo destino e fors'anche la tua vita."
"L'ho veduta sulla riva del Nilo."
"Sola?"
"No, perché poco dopo giunse una barca tutta
scintillante d'oro, montata da una dozzina di negri
superbamente vestiti e guidata da quattro guerrieri che
reggevano delle aste d'oro con lunghe piume di struzzo
disposte a ventaglio."
"Fra i capelli di quella fanciulla hai osservato
questo gioiello?"
"Sì, mi ricordo d'averglielo veduto brillare."
"Fu lei dunque a perderlo."
"Lo credo."
Ounis, che pareva ancora in preda ad una viva eccitazione,
si era messo a camminare per la caverna colla fronte
aggrottata ed i lineamenti ancora alterati.
Ad un tratto si fermò dinanzi al giovane che lo guardava
con crescente stupore, non sapendo spiegarsi l'agitazione che
si era impossessata del vecchio sacerdote.
"Quale impressione ti ha prodotto quella
fanciulla?"
"Non saprei spiegartela: so solo che da quel giorno la
mia pace fu turbata."
"Me n'ero accorto," disse il sacerdote, con voce
sorda. "Tu da qualche tempo hai perduto la tua gaiezza,
ed il tuo sonno non è più tranquillo. Ti ho sorpreso
parecchie volte immerso in profondi pensieri, cogli occhi
volti verso il settentrione, là dove Menfi irradia la sua
potenza e la sua luce."
"È vero," rispose Mirinri con un sospiro.
"Si direbbe che quella fanciulla abbia portato con sé
gran parte del mio cuore. Se chiudo gli occhi non vedo che
lei: se dormo sogno lei; quando il vento sussurra fra le palme
che costeggiano il Nilo, mi pare di udire la sua voce
armoniosa. Vederla, vederla, sia pure una volta sola, dovesse
costarmi la vita: ecco il mio solo, il mio unico desiderio,
Ounis. Guarda: io mi copro gli occhi colle mani e me la vedo
subito apparire dinanzi, e sento il sangue scorrere più
veemente nelle mie vene, e battermi il cuore così forte come
se volesse balzarmi fuori dal petto. Dolce visione! Quanto sei
bella!"
Il sacerdote era rimasto muto dinanzi all'entusiasmo del
giovane, anzi sembrava che quella confessione avesse
raddoppiato il suo turbamento. I suoi sguardi erravano
smarriti, ripieni di terrore, posandosi ora su Mirinri ed ora
sul simbolo di vita e di morte dei Faraoni.
"La vedi ancora?" chiese ad un tratto, con
accento quasi brutale.
"Sì, sta dinanzi a me," rispose il giovane, che
teneva sempre le mani sugli occhi. "Mi guarda... mi
sorride... e provo ancora quel fremito intenso che mi scosse
quando, strappatala dalle fauci del coccodrillo, la strinsi
fra le mie braccia e la portai, col suo capo posato sul mio
petto, sulla sponda e la deposi sull'erba ancora stillante la
rugiada notturna."
"Così intensamente l'ami, dunque?"
"Più della mia vita."
"Disgraziato!"
Mirinri levò le mani e guardò il sacerdote che gli stava
ritto dinanzi, collo sguardo fiammeggiante e le braccia tese,
come in atto di scagliare una maledizione.
"Se è vero che io sono un Faraone, come tu mi hai
detto, perché non potrei amare una fanciulla di stirpe
reale?"
"Perché quella giovane deve appartenere a quella
razza maledetta che devi, anche se non lo volessi, odiare non
solo, bensì anche sterminare. Tu non conosci ancora l'istoria
di tuo padre ed ignori i dolori sopportati da quel re
sventurato."
Mirinri era diventato pallido e si era coperti nuovamente
gli occhi.
"Narramela dunque," disse poi, con voce triste.
"Nelle tue parole sta il mio destino, un terribile
destino che spezzerà forse la malìa gettatami nel cuore da
quella fanciulla."
"Tu dovrai, al pari di tutti quelli della sua stirpe
odiare e uccidere," aggiunse il sacerdote, con voce cupa.
"Odimi dunque."
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