2 - Il vascello maledetto
Ecco papà Catrame seduto sul barilotto, colle gambe
incrociate alla maniera dei turchi, e circondato da tutti i
marinai i quali sbarrano tanto d'occhi e aguzzano per bene gli
orecchi per non perdere una sillaba dl quanto egli sta per
narrare.
L'Oceano Indiano era così calmo da permettere a tutti - il
timoniere eccettuato - di prendere parte a quelle narrazioni
interessanti e meravigliose. Un leggero vento che veniva dalle
coste d'Africa spingeva la nave verso l'Est, a quella terra
strana che si chiama India, e dalla quale eravamo ancora
lontani, tanto da poter udire tutte le dodici novelle
richieste dal nostro amabile capitano.
Mastro Catrame, dopo d'aver reclamato con un gesto e
un'occhiata uno scrupoloso silenzio da parte di tutto
l'uditorio, tracannò d'un sol fiato un grande bicchiere di
vecchio Cipro per snebbiarsi il cervello, spezzò coi lunghi
denti gialli da vecchio topo un eccellente sigaro d'Avana che
gli porgeva il capitano, l'accese con visibile soddisfazione,
poi disse con voce grossa e da oltre tomba:
- Io appartengo a una generazione che è quasi tutta
spenta, poiché sono vecchio, vecchio assai, e tutti quelli
che m'hanno veduto mozzo riposano in fondo alla grande tazza (3)
da molti anni, o dentro il ventre di qualche grosso pescecane.
Si fermò, quand'ebbe ciò detto, guardandoci con malizia
per vedere quale effetto avesse prodotto quella lugubre
prefazione che metteva i brividi, poiché aveva una
intonazione strana, paurosa; poi continuò:
- Sono vissuto in un'epoca in cui si credeva alla comparsa
dei vascelli fantasmi, agli esorcismi per calmare le tempeste
o per sciogliere le grandi trombe marine, alle sirene che
venivano a cantare sotto la poppa delle navi attirando gli
incauti marinai, agli spiriti del mare, a Nettuno, il re degli
abissi oceanici, alla comparsa dei marinai naufragati, ai
mostri, alle streghe, alle figlie della spuma. Voi non credete
più a tutto ciò, le chiamate leggende paurose, inventate da
uomini ubriachi o dalla fantasia tetra dei popoli nordici; ma
v'ingannate. Papà Catrame ha veduto molto: le sirene, i
morti, i vascelli fantasmi e più ancora.
Il vecchio lupo di mare, dopo questo secondo esordio non
meno lugubre del primo, girò intorno un altro sguardo.
Nessuno fiatava, né batteva ciglio: eravamo tutti
impressionati e i volti dei mozzi e dei giovani marinai erano
impalliditi. Solo il capitano si manteneva impassibile, e le
sue labbra si erano atteggiate ad un sorriso beffardo.
Papà Catrame rimase alcuni istanti silenzioso per
raccogliere meglio le idee, indi riprese:
- Non ricordo più l'epoca, poiché sono trascorsi
moltissimi anni ed io ero ancora un ragazzo, non più mozzo,
ma non ancora marinaio. Avevo preso imbarco su di una grande
fregata a tre ponti, un tipo di nave che non si trova più,
poiché tutto è cambiato ora, cambiate le navi, come le
abitudini marinaresche.
- Si chiamava la Santa Barbara: ma il capitano, uno
spregiudicato che non temeva né Dio, né il diavolo, che
bestemmiava da mane a sera come il leggendario olandese del
vascello fantasma, e non credeva in nulla, le aveva imposto un
altro nome: il Caronte.
- Brutte storie correvano sul conto di quella fregata,
comandata da quel dannato, un vero dannato, ve lo dice papà
Catrame! Si diceva che tutte le notti, nel fondo della
tenebrosa cala, si udivano dei misteriosi fragori e dei
gemiti; che nelle corsìe (4) si vedevano
passare delle ombre bianche che poi scomparivano, e che sulla
cima degli alberi appariva sovente una fiammella azzurra. Si
diceva ancora che tutte le notti un marinaio nero nero, col
viso coperto da una lunga barba rossa, entrava nella cabina
del capitano per giocare e bere. Chi fosse, io non ve lo
saprei dire; ma i marinai del Caronte sussurravano che doveva
essere messer Belzebù: altri invece asserivano che era uno
dei marinai fatti ingiustamente appiccare dal capitano,
poiché quell'uomo era crudele e aveva ucciso parecchi dei
suoi per un nonnulla. Insomma tutti avevano paura, e quando la
nave approdava, non pochi marinai disertavano, temendo di
finirla male in compagnia di quel tizzone d'inferno.
- Un abate, che un tempo era stato amico del capitano,
aveva cercato di persuadere il testardo bestemmiatore a ridare
alla nave il primiero nome e a ravvedersi, ma non era riuscito
a nulla; anzi aveva avuto in risposta delle minacce; e il nome
di Caronte era rimasto.
- Avevamo percorsi parecchi oceani e, cosa davvero strana,
nessuna tempesta ci era toccata; ma i rumori continuavano a
bordo della fregata, e di notte nessun marinaio avrebbe osato
scendere solo e senza lume in fondo alla cala. Si sarebbe
lasciato frustare a sangue col gatto a nove code (5)
piuttosto di calarsi in quella nera voragine.
- Così però non la poteva durare. Il bestemmiatore era
ormai giudicato: il vascello dell'olandese dannato doveva aver
bisogno di un marinaio, e voi dovete sapere che su quella nave
maledetta, destinata a navigare in eterno fra una continua
tempesta, non salgono che gli empi e i crudeli. Avevamo
lasciate le coste dell'Africa diretti all'America meridionale,
al Callao. Appena lasciato il porto, un marinaio cadde da un
pennone e si annegò prima che si avesse avuto il tempo di
mettere le imbarcazioni in acqua; al secondo giorno un pennone
cadeva dall'albero di trinchetto e piombava ai piedi del
capitano, che per poco non rimase ucciso; al terzo giorno una
procellaria venne a svolazzare tre volte sopra la nostra nave
e precisamente sopra la cabina del bestemmiatore.
- La procellaria è l'uccello delle tempeste e porta con
sé la sventura. Allora si credeva che fosse l'anima di un
marinaio morto, e fra l'equipaggio si sussurrò subito che era
quella del disgraziato caduto dall'albero e che veniva ad
avvertirci di qualche grave sciagura.
- Un superstizioso terrore aveva invaso tutto l'equipaggio.
Un viaggio così male cominciato non doveva finire bene:
qualche cosa di grave stava per accadere, lo si sentiva per
istinto; ma il capitano non se ne preoccupava, anzi pareva
che, come l'olandese maledetto, volesse sfidare il destino e i
decreti del Cielo. Bestemmiava più del solito, maltrattava
l'equipaggio più dell'usato, beveva e giocava da mane a sera.
- Ma ecco che un giorno, quando ci trovavamo nei pressi del
Capo Horn, l'aria si fa buia ed il mare monta. Sulla
sconfinata distesa d'acqua calano, come un immenso stormo di
corvi, le tenebre, e il vento fischia attraverso l'alberatura
in un modo diverso dal solito, poiché quei fischi erano
stridenti, e di tratto in tratto pareva che nel fondo degli
abissi marini urlassero dei dannati.
- Nella stiva si udivano dei fragori paurosi; era un
rotolare di catene, quantunque là catene non ve ne fossero,
erano boati profondi, poi gemiti. Voi direte che erano i
puntelli dei ponti, i corbetti (6) o il
fasciame che scricchiolava. No! Ve lo dice papà Catrame!
Un fremito di paura corse per le membra di tutto l'uditorio
a quella solenne affermazione del vecchio marinaio. I mozzi si
strinsero attorno ai marinai, e i marinai addosso agli
ufficiali. In quel momento si sarebbe udita volare una mosca,
tanto era profondo il silenzio che regnava sulla nave, e si
sentivano distinti i palpiti di tutti i cuori. Gli occhi di
ciascuno erano fissi fissi sul mastro, che pareva assumesse
proporzioni gigantesche e che diventasse di momento in momento
più bianco, più diafano, e come uno dei paurosi fantasmi che
popolavano la cala del Caronte.
- Verso il tramonto, - riprese papà Catrame con voce cupa,
- ecco apparire in lontananza il Capo Horn, il temuto
promontorio dell'America meridionale. Parve allora che il mare
raddoppiasse la sua ira, non altrimenti che quello del Capo di
Buona Speranza, quando l'olandese maledetto vendette l'anima
al diavolo, per superarlo malgrado la tempesta.
- In cielo guizzavano lampi abbaglianti e il tuono rombava
incessantemente, facendo tremare perfino gli alberi della
nostra nave; fra le nubi sibilava e strideva il vento, e le
onde si accavallavano con una rabbia tale che non vidi più
mai dopo d'allora, quantunque abbia affrontato di poi non so
quanti uragani.
- L'equipaggio, spaventato, smarrito, pregava; ma il
capitano, no imprecava orrendamente contro il Cielo e invocava
Satana per aiutarlo a superare il promontorio.
- Ed ecco ad un tratto apparire sulle spumeggianti onde un
punto nero che si avvicina a noi con fulminea rapidità: era
la procellaria, quella stessa che era venuta a svolazzare tre
volte sul ponte, dopo la morte del marinaio.
- Girò ancora tre volte attorno a noi e si fermò sopra il
nostro vento (7) dell'albero di mezzana.
- «È l'anima del marinaio!» - esclamarono tutti. -
«Sciagura! sciagura!...»
- «Ritorni all'inferno!» - urlò il capitano, e, puntato
un fucile, fece fuoco due volte contro l'uccello, ma senza
colpirlo, poiché volò via lentamente, fece tre giri ancora
attorno al Caronte e sparve fra le onde.
- Ci allontanammo dal capitano, inorriditi, esclamando:
«Sciagura!... sciagura!...»
- Egli ci rispose con un uragano di imprecazioni orribili.
- Il mastro d'equipaggio, un vecchio dalla barba bianca,
che credeva come me al ritorno delle anime, scese nella sua
cabina, prese la croce e la piantò sulla prua del legno.
- Quell'atto rese più che mai furibondo il bestemmiatore.
Slanciatosi giù dal ponte di comando, balzò sul castello di
prua e gettò la croce in mare!
- Quasi subito un lampo livido balenò fra le nubi, seguito
da un rombo così spaventevole che cademmo tutti tramortiti
sul ponte. Quando ci rialzammo la giustizia di Dio era
compiuta: l'empio giaceva ai piedi dell'albero maestro senza
vita: un fulmine l'aveva ucciso!...
- Allora sulla linea fosca dell'orizzonte vedemmo il mare
alzarsi a prodigiosa altezza, mentre sulle alte rocce del Capo
Horn lampeggiava; poi apparve fra una luce sanguigna un gran
vascello tutto nero, colle vele pure nere sciolte al vento e
guidato da un uomo di statura gigantesca. Era il vascello
dell'olandese maledetto, che veniva a reclamare l'anima del
bestemmiatore!
- Correva con una velocità spaventevole, urtato da tutte
le parti da onde mostruose e sulla cima dei suoi alberi
brillavano tre fiamme azzurre. Percorse un tratto
dell'orizzonte, poi scomparve improvvisamente come se si fosse
inabissato.
- Voi mi direte che era una nave qualunque, ingrandita
dalla nostra paura, poiché voi non credete al vascello
fantasma; ma io l'ho veduto coi miei occhi, e gli occhi di
papà Catrame erano buoni in quel tempo! Voi direte che ho
creduto di vedere, ma io vi affermo che ho veduto bene e
nessuno potrà mai farmi credere il contrario.
- Volete sapere di più? Quando l'indomani gettammo in mare
il cadavere del bestemmiatore, lo vedemmo alzarsi tre volte
sopra l'acqua; poi le onde se lo presero e lo portarono
lontano lontano, verso il luogo ove era scomparso il vascello
fantasma.
- Papà Catrame è qui ancora, ma il capitano del Caronte
è a bordo dell'olandese, dannato anche lui a navigare
eternamente sul mare tempestoso fra il Capo Horn e quello di
Buona Speranza!...
Un silenzio glaciale accolse la sinistra chiusa del vecchio
marinaio. Nessuno fiatava, all'infuori del capitano, che
sorrideva sempre: si sarebbe detto che tutti avevano paura di
volgersi per la tema di scorgere il vascello maledetto solcare
l'orizzonte. Su tutti i volti si leggeva un superstizioso
terrore e i mozzi specialmente erano pallidissimi.
Papà Catrame centellinò un altro bicchiere di Cipro, si
mise la bottiglia sotto il braccio, ci augurò la buona notte
con tono canzonatorio e discese dal barile per tornare nella
cala, quando il nostro capitano, che non aveva cessato di
sorridere durante la intera narrazione, gli fe' cenno di
arrestarsi:
- È questa la tua storia? - gli chiese con voce beffarda.
- Sì, - rispose il mastro, stupito per quella
interrogazione.
- Dunque tu credi all'esistenza del vascello fantasma?
- Se credo!... L'ho veduto coi miei propri occhi!
- O hai creduto di vederlo?
Mastro Catrame lo guardò con certi occhi che pareva
volessero dire: «Ma voi impazzite?»
- Catrame, - disse il capitano, diventato serio. - Non ti
è mai passato pel capo il dubbio di aver veduto male o di
essere stato ingannato da qualche fenomeno?
- Mai, signore, - rispose il mastro, sempre più stupito.
- Dimmi allora: hai mai udito parlare del miraggio, o, se
meglio ti piace, della fata morgana?
- Non so cosa volete dire.
- Allora ti spiegherò io. Sul mare, come sugli ampi
deserti, specialmente sul Sahara, per esempio, avviene
talvolta un fenomeno strano, ma spiegabilissimo.
- Quando gli strati dell'aria, dilatati pel contatto caldo
col suolo o con una distesa d'acqua che ha una certa
temperatura ed aventi una densità differente, non si
mescolano a quelli soprastanti, fanno vedere delle
curiosissime illusioni d'ottica: di una semplice roccia ti
fanno vedere un'isola verdeggiante, di un canotto un vascello,
di un vascello un naviglio mostruoso, di un uomo un gigante,
eccetera. Ora cosa pensi tu dell'apparizione del preteso
olandese?
- Che gli scienziati hanno inventato delle belle frottole,
signore.
- No, Catrame: la frottola ce l'hai data da bere tu, o
meglio sei stato corbellato da un semplice miraggio. Il grande
vascello che tu hai veduto e che credevi appartenesse
all'olandese maledetto, il quale, se non lo sai, non è mai
esistito, era una nave qualunque che passava all'orizzonte,
ingrandita e trasformata dalla fata morgana. Ah, Catrame, come
sei credulo!...
Il mastro lo guardava trasognato. Stette parecchi minuti
immobile fissando il capitano, poi si allontanò a lenti passi
e sparve pel boccaporto. Benché quella spiegazione
scientifica fosse giusta, fu poco persuasiva pel nostro
equipaggio, ed io scommetterei che quella notte più d'un
marinaio non dormì e che gli uomini di guardia aguzzarono
più volte gli occhi per vedere se all'orizzonte appariva il
legno dell'olandese maledetto.
(3) Espressione marinaresca che significa
«il mare».
(4) Corridoi che conducono nelle batterie.
(5) Staffile formato da nove funicelle, un
tempo in uso nella marina per punire i ribelli.
(6) Costole della nave
(7) Specie di banderuola che si colloca
sulla cima degli alberi.
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