CAPITOLO XXXII
- VERSO DELHI
Sandokan, Yanez ed i loro compagni udendo quel grido si erano
subito fermati, ricaricando precipitosamente le carabine e
gettandosi dietro agli alberi.
Si erano appena messi al riparo, quando videro giungere a corsa
disperata il cornac. Il pover'uomo pareva in preda ad un vivissimo
terrore e si guardava di quando in quando alle spalle come se
temesse di vedersi raggiungere da qualcuno.
- Che cos'hai? Chi ti minaccia? - chiese Bedar, muovendogli
incontro.
- Là!... là!... - rispose il conduttore, con voce strozzata.
- Ebbene?... Spiegati.
- Un elefante montato da parecchi uomini.
- Deve essere quello che mancava, - disse Sandokan che li aveva
raggiunti. - Avrà attraversato il fiume lungi da qui per prenderci
alle spalle.
Dove si è fermato?
- Presso il mio animale.
- Ti hanno veduto a fuggire gli uomini che lo montano?
- Sí, sahib; anzi mi hanno gridato dietro di fermarmi
minacciando di farmi fuoco addosso. Mi porteranno via Djuba,
signore, ed io sarò un uomo rovinato.
- Ho qui nella mia tasca di che pagare cento elefanti, - rispose
Sandokan, - quindi tu non perderai nulla. E poi noi impediremo a
quei bricconi di rubartelo. Amici seguitemi e tenetevi sempre
nascosti in mezzo ai cespugli. Vediamo se possiamo sorprenderli.
- E mettere fuori di combattimento anche quel bestione, cosí non
potranno piú inseguirci, - aggiunse Yanez.
- Avanti, - comandò la Tigre della Malesia.
Si slanciarono in mezzo ai cespugli che in quel luogo erano assai
folti e raggiunsero le grandi macchie, senza che gl'indiani del
terzo elefante si facessero vedere.
- Dove si saranno fermati? - si chiese Sandokan, un po'
insospettito.
- Che ci tendano un agguato? - chiese Yanez.
- Ne ho quasi la certezza.
- Conduttore, - disse Tremal-Naik, - siamo vicini al luogo ove
hai lasciato Djuba?
- Sí, signore.
- Lasciate che vada un po' a vedere io, - disse Bedar. -
Aspettatemi qui.
- Se li vedi retrocedi subito, - gli disse Sandokan.
Il cipai si assicurò se la carabina era carica, poi si gettò al
suolo e s'allontanò strisciando come un serpente.
- Preparatevi a far fuoco, - disse Sandokan ai suoi uomini. Sento
per istinto che quei bricconi ci sono piú vicini di quello che
supponiamo.
Non era trascorso mezzo minuto quando un colpo di fucile
rimbombò a brevissima distanza.
Un urlo di angoscia vi aveva tenuto dietro.
- Canaglie! - gridò Sandokan, balzando innanzi. - Han colpito
Bedar. Avanti, tigri di Mompracem! Vendichiamolo!
In quel momento si udirono i rami della macchia a scricchiolare
come se qualcuno cercasse d'aprirsi il passo, poi comparve il cipai
cogli occhi strabuzzati, pallidissimo. Aveva abbandonata la carabina
e si comprimeva il petto con ambe le mani.
- Bedar! - esclamò Sandokan, correndogli incontro.
L'indiano gli si abbandonò fra le braccia, dicendo con voce
semi-spenta:
- Sono... morto... là... imboscati... sull'elefante... sul...
Uno sbocco di sangue gli troncò la frase. Girò gli occhi verso
Tremal-Naik, come per mandargli l'ultimo saluto e scivolò fra le
braccia di Sandokan cadendo fra le erbe.
- Uccidiamo quei bricconi! - urlò la Tigre della Malesia. - Alla
carica!
I sei pirati, Tremal-Naik ed il cornac si rovesciarono attraverso
la macchia come un uragano, senza prendere piú alcuna precauzione,
poi fecero una scarica. Si erano trovati improvvisamente dinanzi al
terzo elefante che si teneva immobile sotto un colossale tamarindo,
la cui folta ombra lo rendeva quasi invisibile.
Sandokan e Yanez avevano fatto fuoco contro l'animale, gli altri
invece avevano diretti i loro colpi sulla cassa che era montata da
otto uomini, fra i quali si trovavano i due Thugs dall'enorme
turbante.
Sorpresi a loro volta e con tre uomini fuori di combattimento,
gl'insorti avevano perduto il loro coraggio, tanto piú che
l'elefante, gravemente ferito, aveva cominciato ad infuriare,
minacciando di rovesciarli tutti.
Spararono a casaccio le loro armi, poi balzarono a terra a
rischio di fiaccarsi il collo, fuggendo come lepri attraverso la
macchia.
Sandokan aveva caricata rapidamente la carabina.
- No, briccone, - gridò. - Non mi sfuggi!
Uno dei due Thugs era rimasto entro la cassa, fulminato da una
palla; ma l'altro si era slanciato dietro agl'insorti, urlando
perché si arrestassero e facessero fronte al pericolo.
Sandokan che lo aveva già scorto, lo prese di mira, prima che
s'internasse nella macchia e gli fracassò la spina dorsale,
facendolo cadere al suolo, stecchito.
Intanto i suoi uomini, vedendo che l'elefante stava per
caricarli, reso furibondo dalle ferite riportate, lo avevano accolto
con un fuoco nutrito, crivellandolo di palle in siffatto modo da
farlo stramazzare di colpo.
- Mi pare che la battaglia sia finita, - disse Yanez. - Peccato
che quel bravo Bedar non sia piú vivo!
- Seppelliamolo e poi partiamo senza ritardo, - disse Sandokan. -
Povero uomo! La nostra libertà gli è costata la vita.
Tornarono un po' tristi dove il cipai era caduto e servendosi dei
loro coltelli scavarono frettolosamente una fossa, adagiandovelo
dentro.
- Riposa in pace, - disse Tremal-Naik, che era piú commosso di
tutti. - Non ti dimenticheremo.
- Partiamo senza indugio, - disse Sandokan. - Non tutti
gl'indiani sono morti e potrebbero tornare con dei rinforzi.
Cornac, credi che potremo ora entrare in Delhi?
- Sí, avendomi veduto uscire coll'elefante ed essendo io
conosciuto.
Dirò alle guardie che ho ricevuto l'ordine d'introdurvi in
città da Abú-Assam e sono certo che mi crederanno.
- Vi potremo giungere prima di sera?
- Sí, sahib.
- Allora partiamo.
Raggiunsero l'elefante che stava saccheggiando alcuni alberi
carichi di frutta, si accomodarono nell'haudah e ripresero la
marcia.
Djuba si era messo nuovamente in corsa, allungando sempre piú il
passo.
A mezzodí la foresta era già stata traversata.
Si fermarono presso uno stagno per fare colazione, poi verso le
due ripartivano costeggiando delle immense piantagioni d'indaco e di
cotone, ma per la maggior parte devastate.
Dei combattimenti fra le avanguardie inglesi ed indiane dovevano
essere avvenuti in quei luoghi, a giudicarlo dalla quantità
prodigiosa di marabú, che volteggiavano al di sopra dei solchi, fra
i quali forse giacevano ancora numerosi cadaveri.
Verso il tramonto le alte mura di Delhi erano in vista.
- Silenzio, - disse il cornac. - Se mi fermano, lasciate parlare
me solo. Non credo che opporrano difficoltà alla vostra entrata.
Alle 9 l'elefante s'inoltrava sotto la porta di Turcoman, la sola
lasciata aperta, senza che le sentinelle avessero fatta alcuna
obbiezione.
Delhi è la città piú venerata dei mussulmani indostani,
perché contiene fra le sue mura la santa Jammah-Masgid, ossia la
moschea piú grande e piú ricca che sussista in tutta l'India, ed
è anche una delle piú popolose e delle piú belle, contando circa
centocinquantamila abitanti, duecentosessantauna moschee, cento e
ottant'otto templi indi, trecento e piú chiese anglicane ed un
numero straordinario di palazzi grandiosi, d'un'architettura
ammirabile. Meraviglioso sopratutto è l'antico palazzo degli
imperatori del Gran Mogol, chiamato palazzo del padiscià, ove
trovasi lo splendido Nahobat-Kana, il padiglione imperiale, alla cui
estremità s'apre il Dewani Am o sala delle grandi udienze, decorata
in mosaici di gran valore, sostenuta da eleganti colonne e con un
baldacchino di marmo.
È là che trovasi pure la famosa sala del trono o divani khâs,
formata da un chiosco di marmo bianco, semplice di fuori ma
straordinariamente ricco nell'interno, con stupefacenti arabeschi
disegnati con pietre preziose incrostate nei marmi, con ghirlande di
lapislazzoli, d'onice, di sardonia ed altre non meno pregiate; gli
appartamenti reali, i bagni che hanno il suolo lastricato di marmo;
la moschea di Muti Masgid o tempio delle perle ed i giardini
imperiali tanto decantati dai poeti mongoli.
Non hanno forse avuto torto i costruttori di quelle meraviglie
d'incidere sulla porta principale del palazzo: Se c'è un paradiso
sulla terra; è qui! è qui!...
Quando il drappello entrò in città, dietro ai bastioni regnava
un'animazione straordinaria.
Turbe di soldati s'affannavano a innalzare trincee e terrapieni
ed a mettere in batteria pezzi di cannone alla luce delle torce. La
notizia che gl'inglesi avevano ricevuto il parco d'assedio si era
già sparsa, ed i ribelli si preparavano animosamente alla
resistenza.
Tremal-Naik ed i suoi compagni si fecero condurre dal cornac fino
al bastione di Cascemir, dove riuscí loro facile trovare
ospitalità presso un notabile che aveva un bengalow in quelle
vicinanze, nessuno osando rifiutarsi d'accogliere i ribelli, ormai
padroni assoluti della città.
Erano cosí stanchi che appena cenato si ritrassero nella stanza
a loro assegnata, che dai servi del padrone era stata subito fornita
di comodi letti.
- Domani ci metteremo in cerca di Sirdar, - aveva detto Sandokan,
coricandosi, - chissà che non si mostri in questi dintorni anche di
giorno.
Quando si svegliarono, un po' dopo l'alba, il cannone rombava
cupamente su tutti i bastioni della città!
Gl'inglesi, durante la notte, avevano aperte numerose trincee ed
avevano collocato a posto i pezzi del loro parco d'assedio,
bombardando furiosamente le mura.
Come fortezza, Delhi non si prestava male. Gl'imperatori mongoli
vi avevano spese somme favolose per renderla inespugnabile.
Aveva una cinta merlata di dodici chilometri, costruita con
grossi massi di granito, e numerose fortezze e torri massicce.
Un altro muro si estendeva dal bastione di Wellesley, fino al
forte di Gar di Selimo, alto otto metri e che si appoggiava alla
Giumna, il fiume che lambiva la città.
Tutte le cinte erano difese da un fosso, largo sedici metri e
profondo cinque e da altri bastioni solidamente costruiti, che
tuttavia non potevano durare a lungo contro i grossi pezzi d'assedio
dei nemici.
Gl'inglesi, la notte del 4 settembre, avevano collocati in
batteria quaranta pezzi di grosso calibro, inoltre avevano
concentrato in vista delle mura due reggimenti di bersaglieri del
Tingrab al comando del capitano Wilde, tiratori del Giût-Ragià,
bersaglieri di Merut, lancieri, ed avevano subito vigorosamente
attaccato il bastione dei Mori con dieci grossi cannoni, collocati a
quattrocento metri di distanza dal fossato, mentre una divisione di
fanteria manteneva un fuoco nutrito contro le mura della Cadsia-Bag,
dove i ribelli avevano concentrate le loro migliori truppe. Non si
erano però perduti d'animo gli assediati, quantunque
scarseggiassero d'artiglierie ed avevano risposto vigorosamente, con
grande slancio, dirigendo specialmente il loro fuoco contro le
fanterie e con tale precisione da ammazzare ben cinquecento uomini,
compresi i luogotenenti Debrante e Brannernan.
Quando Sandokan e la sua scorta discesero nella via, le prime
bombe cominciavano a cadere sulla città, provocando qua e là
degl'incendi, che venivano prontamente spenti, ma causando gravi
danni ai ricchi negozi della Sciandni Sciowk, la piú bella e la
piú splendida via di Delhi, chiamata anche via degli orefici,
abitata quasi esclusivamente da venditori di gioielli.
In tutte le vie regnava un vivo fermento. Insorti e cittadini
accorrevano sui bastioni, sulle torri e sulle mura merlate, credendo
imminente l'assalto.
Le fucilate scrosciavano senza posa, gareggiando colle
artiglierie inglesi, con un fracasso assordante.
- Ecco uno spettacolo che non mi aspettava, - disse Sandokan a
Yanez. - Ma già, noi vi siamo abituati.
Si erano diretti verso il bastione di Cascemir dai cui spalti
gl'indiani tiravano con due pezzi, aiutati da uno stuolo di
bersaglieri, ma invano cercarono Sirdar.
- Aspettiamo questa sera, - disse Tremal-Naik.
- E se Suyodhana non avesse potuto entrare in Delhi? - chiese
Yanez. - Se non è giunto ieri, non gli sarà piú possibile il
farlo, ora che la città è strettamente assediata.
- Non strapparmi questa speranza, - disse Tremal-Naik. - Allora
tutto sarebbe finito e Darma sarebbe perduta per me.
- Sapremmo trovarlo egualmente, - disse Sandokan. - Noi non
lasceremo l'India finché non ti avremo ridata la figlia e ucciso
quel furfante.
Sirdar è con lui e troverà il modo di farci avere sue notizie.
Rientriamo nella nostra casa e aspettiamo. Il cuore mi dice che
Suyodhana è qui e non m'ingannerò, lo vedrai, amico Tremal-Naik.
- Non prenderemo parte alla difesa? - chiese Yanez. - Comincio ad
annoiarmi.
- Serbiamoci neutrali ora che gl'inglesi non sono piú nostri
nemici.
Durante la giornata, i cannoni ed i fucili continuarono a tuonare
con un crescendo spaventevole.
I ribelli, incoraggiati dalla presenza di Mahomud Bahadar, il
nuovo imperatore, legittimo discendente dal Gran Mogol, si battevano
splendidamente, con un coraggio straordinario, aiutati anche dalla
popolazione che aveva promesso di seppellirsi sotto le rovine della
città piuttosto che arrendersi.
Alla sera, quando il fuoco fu cessato, Sandokan, come aveva
promesso al signor de Lussac, fece gettare dall'alto del bastione di
Cascemir un turbante bianco contenente una lettera con cui lo
avvertiva che avevano trovato ospitalità presso un notabile,
unendovi l'indirizzo, poi assieme ai compagni si sedette sulla
scarpa interna della fortezza colla speranza di veder giungere il
bramino.
Fu però un'altra delusione; Sirdar non diede segno di vita.
- Chissà che siamo piú fortunati domani sera, - disse a
Tremal-Naik. - È impossibile che quel giovane siasi pentito dei
suoi propositi.
Forse qualche caso improvviso gli avrà impedito di venire qui, e
poi non dobbiamo dimenticare che Suyodhana potrebbe sorvegliarlo.
Anche le sere seguenti però non furono piú fortunate. Che cosa
era avvenuto di quel bravo giovane? Era stato sorpreso a scrivere
qualche altra lettera compromettente ed ucciso dai settari o
Suyodhana non era giunto in tempo per entrare in Delhi?
Intanto l'assedio continuava piú stretto che mai, con enormi
perdite da parte degl'inglesi e degl'insorti.
S'avvicinava il giorno dell'assalto generale.
Già l'11 settembre il forte dei Mori, vigorosamente attaccato
dal contingente Sumno Cascemir e battuto in breccia a duecento soli
metri di distanza da una batteria di mortai, era stato ridotto in un
mucchio di rovine; il 12 gli inglesi avevano cominciato a bombardare
il forte di Cascemir con dieci grossi cannoni, mentre avevano
collocati otto pezzi da 18 e dodici piccoli mortai dinanzi alla
trincea d'acqua da cui gli insorti si difendevano gagliardamente con
un ammirabile fuoco di carabine, causando agli assedianti gravi
perdite e uccidendo loro il capitano d'artiglieria Fagan.
Il 13 il bastione di Cascemir rovinava fra un nembo di fuoco, poi
cadevano i fortini vicini e saltava la polveriera della trincea
d'acqua, mentre il nemico tentava un furioso assalto contro il
sobborgo di Kiscengange, assalto però respinto vittoriosamente
dagli assediati che erano protetti da alcuni pezzi d'artiglieria.
Ma le colonne inglesi, notevolmente rinforzate, si preparavano
all'attacco coll'ordine feroce dato dal generale Arcibaldo Wilson,
succeduto a Bernard, di ammazzare e di saccheggiare non rispettando
che le sole donne!...
Era l'ultima sera della difesa, quando Sandokan ed i suoi amici
si recarono ancora una volta dietro le rovine del bastione di
Cascemir, per attendervi il bramino, quantunque ormai avessero
perduta la speranza di rivederlo piú mai.
Vi erano là da qualche ora, quando improvvisamente un'ombra
sorse da uno dei fossati laterali e s'avanzò verso di loro dicendo:
- Buona sera, sahib! |