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LE DUE TIGRI

di: Emilio Salgari

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CAPITOLO XXVI - L'ATTACCO DEI PIRATI

Mentre Sandokan ed i suoi compagni, ucciso lo strangolatore, che aveva cercato di sorprendere Tremal-Naik, si preparavano a scalare audacemente la pagoda, il grosso della banda, guidato da Kammamuri e da Sambigliong, si era arrestato in mezzo alla jungla a cinque o seicento metri dallo stagno, aspettando il segnale per spingersi innanzi.

Durante la traversata dal Mangal a quel luogo non avevano incontrato nessun essere vivente, né Punthy, che li precedeva, aveva mai dato alcun segno d'inquietudine. Kammamuri che conosceva i dintorni della pagoda meglio ancora di Tremal-Naik, essendo stato per sei mesi prigioniero dei Thugs, aveva collocati i suoi uomini di fronte all'entrata della pagoda che scorgeva benissimo, sebbene un po' lontano, in causa della sua alta gradinata e le sue enormi colonne sostenenti due mostruose statue rappresentanti Kalí danzante sul cadavere d'un gigante.

Il ritorno di Darma gli aveva annunciato che ormai il suo padrone doveva aver scalata la cupola della pagoda, perciò aveva dato ordine alla truppa di avanzarsi fino al margine della jungla onde essere piú pronti ad accorrere in aiuto di lui e dei suoi audaci compagni.

- Non mancano che pochi minuti a mezzanotte, - disse a Sambigliong che gli si era coricato a fianco. - Il segnale non tarderemo a udirlo.

Sono pronti i petardi?

- Ne abbiamo dodici, - rispose il mastro della Mananna.

- Sanno usarli i tuoi uomini?

- Sono tutti famigliarizzati colle bombe. Ne facevamo grande consumo quando abbordavamo le navi degl'inglesi.

Non temere: la porta salterà, anche se sarà di ferro.

Credi che opporranno resistenza i Thugs?

- Non si lasceranno strappare la piccola Darma senza impegnare la lotta, - rispose Kammamuri. - Gli strangolatori sono coraggiosi e affrontano la morte senza tremare.

- Ve ne saranno molti?

- Quand'io ero loro prigioniero non ve n'erano mai meno di due o trecento nei sotterranei.

- Mastro, - disse in quel momento un malese, che gli stava da presso, - vedo le finestre della pagoda illuminarsi.

Kammamuri e Sambigliong erano balzati in piedi.

- I Thugs devono aver accesa la grande lampada, - disse il maharatto. - Essi si preparano a fare l'offerta del sangue.

- E la Tigre della Malesia, che cosa farà? - si chiese Sambigliong.

- Pronti! - comandò Kammamuri.

I trenta pirati si erano alzati come un solo uomo, armando le carabine.

In quel momento un clamore spaventevole s'alzò nella pagoda, accompagnato da un primo colpo di fucile, poi da una scarica.

- Assalgono il capitano! - aveva gridato Sambigliong. - Su, tigrotti di Mompracem!

- Avanti! - aveva comandato Kammamuri.

La banda si era scagliata attraverso le ultime canne a passo di corsa, mentre nella pagoda le detonazioni si succedevano alle detonazioni e le urla raddoppiavano.

In cinque minuti i pirati superarono la distanza, ma quando giunsero dinanzi alla porta della pagoda, pareva che il combattimento fosse cessato, poiché non si udivano piú spari e le grida si perdevano in lontananza, affievolendosi rapidamente.

- I petardi! Presto! - gridò Kammamuri, dopo aver cercato, ma invano, di scuotere la porta di bronzo della pagoda.

Due malesi si erano slanciati sulla gradinata deponendo dinanzi alla porta due bombe che avevano già la miccia accesa, quando dalle macchie lí vicino s'udirono clamori orribili.

Due turbe d'uomini, armati di lacci e di tarwar, si erano improvvisamente scagliate sui pirati che si trovavano raggruppati alla base della scala.

Erano almeno duecento strangolatori, nudi come vermi e coi corpi unti d'olio di cocco per sfuggire piú facilmente alle strette degli avversari.

I malesi ed i dayachi, quantunque sorpresi da quell'improvviso e inaspettato assalto, non si erano perduti d'animo.

Con rapidità fulminea si disposero su due fronti e accolsero i piú vicini con due terribili scariche di carabine, gettandone a terra una trentina fra morti e moribondi.

- Tenete strette le file! - aveva gridato Sambigliong.

Malgrado quelle due scariche, gli strangolatori non si erano arrestati. Urlando come belve feroci, si erano gettati all'impazzata sul piccolo drappello, credendo di schiacciarlo facilmente e di disperderlo, ignorando d'aver di fronte i piú formidabili guerrieri dell'arcipelago malese, cresciuti fra il fumo delle artiglierie ed agguerriti da cento abbordaggi.

Le tigri di Mompracem, gettate le carabine, avevano impugnate le loro pesanti sciabole, armi terribili nelle loro mani e meglio adatte a difendersi dai lacci che sibilavano in tutte le direzioni, mentre Darma e Punthy lavoravano di denti sulle carni dei nemici.

Addossati dorso contro dorso, i prodi scorridori del mare ricevettero il formidabile urto senza oscillare, grandinando sciabolate sui piú vicini.

Una mischia tremenda s'impegnò, mischia però che ebbe la durata di pochi minuti, perché i malesi ad un comando di Sambigliong, a loro volta caricarono gli assalitori, con tale slancio da spazzare il suolo.

Come aveva detto Sandokan a de Lussac, una volta lanciati, i suoi uomini non dovevano piú fermarsi.

Vedendo i Thugs ripiegarsi confusamente, si erano scagliati fra le due turbe, massacrando quanti se ne trovavano dinanzi, mentre i dayachi di Kammamuri, riprese le carabine, mantenevano un fuoco infernale per appoggiare l'attacco dei loro camerati.

Nel momento istesso in cui gli strangolatori volgevano le spalle, i due petardi, collocati sulla cima della gradinata, scoppiavano con orribile frastuono, scardinando e abbattendo la porta di bronzo della pagoda.

Una banda di indiani che si era ripiegata verso la gradinata, tentando di riorganizzare la resistenza, udendo i battenti a crollare, salí precipitosamente, invadendo la pagoda.

- Lasciate gli altri! - gridò Kammamuri. - Al tempio! Al tempio! La Tigre della Malesia è là!

Sambigliong! Proteggici alle spalle!

Si slanciò sulla gradinata seguito dai dayachi, mentre i malesi del mastro della Marianna finivano di disperdere i Thugs che avevano cercato di raggrupparsi presso le rive dello stagno, costringendoli a rifugiarsi nella jungla e verso un albero immenso che da solo formava una foresta, un enorme fico baniano sorretto da una moltitudine di tronchi.

I Thugs, rifugiatisi nella pagoda, avendo forse compreso che i loro avversari miravano ad invadere i sotterranei fecero però fronte all'attacco dei dayachi, caricandoli a loro volta coi tarwar in pugno.

Quattro volte i pirati montarono intrepidamente all'assalto della gradinata ed altrettante volte dovettero ridiscenderla precipitosamente, lasciando qualche morto e qualche ferito.

Fortunatamente i malesi di Sambigliong correvano in loro soccorso.

Con due scariche di carabine spazzarono la cima della gradinata, poi malesi e dayachi si precipitarono dentro la pagoda. I loro avversari però non li avevano attesi.

Scoraggiati dalle enormi perdite subite, impotenti a misurarsi coi loro leggeri tarwar contro le pesanti sciabole delle tigri di Mompracem, si erano rovesciati precipitosamente verso la galleria che conduceva nei sotterranei, chiudendo la porta che era pure di bronzo e non meno robusta di quella della pagoda.

- Ed il mio padrone? - gridò Kammamuri, non vedendo piú nessuno nella pagoda.

- E la Tigre della Malesia ed il signor Yanez?

- Che siano usciti da qualche altra parte? - disse Sambigliong.

- O che siano stati fatti prigionieri? - disse il maharatto. - Qui erano pure venuti ed erano essi che facevano fuoco. Guarda quei morti che si trovano intorno alla statua di Kalí. Sono stati uccisi da loro, ne sono certo.

Una profonda ansietà si era impadronita di tutti, ignorando quanto era avvenuto fra il drappello di Sandokan ed i Thugs.

- Sambigliong, - disse Kammamuri, dopo alcuni istanti d'angoscioso silenzio. - Facciamo saltare la porta ed invadiamo i sotterranei.

- Credi che la Tigre si trovi là dentro? - chiese il mastro.

- Se qui non vi sono piú e non abbiamo veduto uscire alcuno, significa che sono penetrati nella galleria.

Affrettiamoci: forse sono in pericolo.

- Collocate due petardi, - comandò Sambigliong, - caricate le carabine e accendete delle torce.

I malesi che portavano le bombe stavano per obbedire, quando una porticina simulata dietro una statua rappresentante l'ottava incarnazione di Visnú s'aprí ed una fanciulla munita d'una fiaccola si slanciò nella pagoda, gridando:

- Il sahib bianco ed i suoi amici s'annegano! Salvateli!

- Surama! - avevano esclamato Kammamuri e Sambigliong, correndo verso la giovane.

- Salvateli! - ripeté la bajadera che aveva le lagrime agli occhi.

- Dove sono? - chiese Kammamuri

- In una delle caverne della galleria. I Thugs hanno tagliato il tubo che li fornisce d'acqua e l'hanno allagata per affogare il sahib bianco, la Tigre e gli altri.

- Sapresti condurci fino a loro?

- Sí, conosco la galleria.

- Giú la porta! - gridò Sambigliong.

Due petardi furono accesi e messi a terra, poi i pirati retrocessero precipitosamente fino sulla gradinata della pagoda.

Dieci secondi dopo, la porta, sfondata dallo scoppio delle due bombe, rovinava a terra.

- Sta' dietro di noi, Surama, - disse Kammamuri, prendendo una torcia. - Su, di corsa tigri di Mompracem!

Si cacciarono nella tenebrosa galleria, spingendosi gli uni con gli altri, tutti volendo essere i primi ad accorrere in aiuto della Tigre della Malesia; poi percorsi cento passi, furono arrestati da un'altra porta.

- Ve n'è ancora un'altra piú innanzi, - disse Surama. - Quella che chiude la caverna dove sono prigionieri i vostri capi.

- Fortunatamente abbiamo ancora una mezza dozzina di petardi, - rispose Sambigliong.

Retrocessero dopo aver accesa la miccia.

L'esplosione che avvenne fu cosí formidabile che tutti i pirati caddero l'uno sull'altro sotto la spinta dell'aria, però anche la porta aveva ceduto.

- Avanti! - comandarono Kammamuri e Sambigliong. Ripresero la corsa inoltrandosi sotto quelle oscure volte, finché giunsero dinanzi alla terza porta.

Al di là si udiva un rombo strano come se una cateratta d'acqua precipitasse da un'altezza considerevole.

- Sono lí dentro, - disse Surama.

- Capitano! Signor Yanez! - gridò Kammamuri con voce tuonante. - M'intendete voi?

Quantunque il fragore continuasse, udí distintamente la voce vibrante di Sandokan a gridare:

- Siete i nostri uomini?

- Sí, signor Sandokan.

- Affrettatevi a sfondare la porta: abbiamo l'acqua fino alla gola.

- Allontanatevi tutti; collochiamo il petardo.

- Da' pure fuoco, - rispose Sandokan.

La bomba fu posta dietro la porta, poi i pirati si ritrassero rapidamente nel corridoio, portandosi duecento passi piú indietro, entro una galleria laterale che si biforcava.

Essendo stata la miccia tagliata onde lo scoppio avvenisse senza ritardi, la detonazione non si fece attendere molto.

- Le armi pronte! - gridò Sambigliong slanciandosi avanti.

Tutti gli si erano slanciati dietro. Avevano percorsi cinquanta metri quando un torrente d'acqua che si rovesciava attraverso la galleria col fragore del tuono li investí rigettandoli indietro.

Era una vera ondata che cessò però quasi subito, sfuggendo nella galleria laterale che aveva una forte pendenza.

Un momento dopo videro due torce brillare in direzione della caverna, poi udirono la voce di Sandokan a gridare:

- Non fate fuoco!... Siamo noi!...

Un urlo di gioia sfuggito da trenta petti salutò la comparsa della Tigre della Malesia e dei suoi compagni.

- Salvi!... Salvi!... Evviva il capitano!...

Vi era ancora molta acqua nella galleria perché ne usciva sempre dalla caverna, però giungeva a malapena fino alle anche dei pirati.

Sandokan e Yanez, scorgendo Surama, non avevano potuto frenare un grido di stupore.

- Tu, fanciulla! - avevano esclamato.

- Ed è a questa brava bajadera che dovete anche la vostra vita, signori, - aggiunse Kammamuri.

- E stata lei ad avvertirci che eravate rinchiusi in una caverna ed in pericolo di affogare.

- Chi te lo aveva detto, Surama? - chiese Yanez.

- Lo avevo saputo dai Thugs incaricati di tagliare i canali d'acqua. Vi avevano attirati appositamente in quell'antro per annegarvi, - rispose la fanciulla.

- E di Sirdar, che cosa è avvenuto? - chiese Sandokan. - Ci ha traditi, è vero?

- No, sahib, - rispose Surama. - Egli è dietro a Suyodhana.

- Che cosa vuoi dire, fanciulla? - gridò Tremal-Naik, con voce alterata.

- Che il capo dei Thugs è fuggito un'ora prima del vostro arrivo, dopo d'aver fatto sgombrare l'antica galleria che metteva nel banian sacro.

- E mia figlia?

- L'ha portata con sé.

Il povero padre mandò un grido straziante, coprendosi il viso colle mani.

- Fuggito!... Fuggito!...

- Ma Sirdar lo segue, - disse Surama.

- E dove è fuggito? - chiesero ad una voce Sandokan, Yanez e de Lussac.

- A Delhi, onde mettersi sotto la protezione degli insorti. Sirdar prima di seguirlo mi ha dato questa carta per voi.

Sandokan s'impadroní vivamente del foglietto che la giovane si era levata dal corsetto.

- Una torcia! - comandò la Tigre. - Venti uomini ai due sbocchi della galleria e che facciano fuoco sul primo che si avvicina.

Tremal-Naik, che si asciugava delle lagrime, de Lussac, Yanez e Kammamuri lo avevano circondato in preda ad una profonda ansietà.

Sandokan lesse:

«Suyodhana è fuggito per la vecchia galleria dopo la improvvisa comparsa del manti. Egli sa tutto ormai e ci teme, ma i suoi uomini sono preparati alla resistenza e decisi a sacrificarsi fino all'ultimo pur di sopprimervi. Fuggiamo verso Port-Canníng per Calcutta dove c'imbarcheremo per Patna e di là raggiungeremo le truppe insorte che si concentrano su Delhi.

Checché accada non lo lascerò, e sorveglierò Darma.

All'ufficio postale di Calcutta troverete mie nuove.

SIRDAR»

Dopo la lettura di quella lettera era successo un breve silenzio rotto solamente dai sordi singhiozzi di Tremal-Naik.

Tutti guardavano la Tigre della Malesia il cui viso assumeva rapidamente un aspetto terribile. Comprendevano che il formidabile uomo stava meditando qualche spaventevole vendetta.

Ad un tratto s'avvicinò a Tremal-Naik e posandogli le mani le spalle gli disse:

- Ti ho detto che noi non lasceremo questi luoghi se prima tu non riavrai la tua piccola Darma e noi la pelle della Tigre dell'India e tu sai se io e Yanez siamo uomini capaci di mantenere le nostre promesse.

Suyodhana c'è ancora una volta sfuggito; a Delhi noi lo ritroveremo e piú presto forse di quello che credi.

- Seguirlo fino là, in questi momenti in cui tutta l'India settentrionale è in fiamme? - disse Tremal-Naik.

- Che cosa importa? Forse che noi non siamo uomini di guerra? Signor de Lussac, potreste voi farci ottenere dal governatore del Bengala, in ricompensa del servigio che noi renderemo agl'inglesi, un salvacondotto che ci permetta di attraversare l'alta India senza essere inquietati dalle truppe operanti?

- Lo spero, capitano, anzi ne sono certo, trattandosi di prendere un uomo sul cui capo pesa da vent'anni una taglia di diecimila sterline.

- Prenderlo! No, signore, ucciderlo, - disse Sandokan freddamente.

- Come vorrete.

Sandokan rimase un momento silenzioso, poi riprese:

- Tu un giorno, Tremal-Naik, mi hai narrato che sopra queste caverne scorre un fiume.

- Sí, il Mangal.

- Che in un antro si trova una porta di ferro comunicante con quel fiume e che ha un grosso tubo.

- Si, l'ho veduta anch'io parecchie volte durante la mia prigionia, - disse Kammamuri. - Serve a fornire d'acqua gli abitanti dei sotterranei.

- Sapreste condurci in quella caverna?

- Sí, - dissero i due indiani.

- È lontana?

- Dovremo percorrere quattro lunghi corridoi e attraversare la pagoda sotterranea.

- Guidateci a quell'antro, - disse Sandokan, con un crudele sorriso. - Quanti petardi avete ancora?

- Sei, - rispose Kammamuri.

- Vi è un altro passaggio, senza sfondare la porta della caverna?

- La galleria si biforca a duecento passi da qui, - disse Kammamuri. - È per di là che devono essere fuggiti i Thugs che si erano rifugiati nella pagoda.

- A me, tigri di Mompracem - gridò Sandokan. - Qui noi combatteremo l'ultima lotta contro le tigri di Rajmangal.

In testa, Kammamuri e pianta la tua torcia sulla cima della carabina! Avanti! L'ultima ora sta per suonare per gli strangolatori dell'India!

 

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Ultimo Aggiornamento:
17/07/2005 20.47

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