CAPITOLO XVII - SEGNALI MISTERIOSI
Una mezz'ora dopo, quando già il signor de Lussac si era
placidamente addormentato, Yanez usciva silenziosamente dalla tenda
ed entrava in quella di Sandokan che era ancora illuminata.
Il formidabile capo dei pirati di Mompracem era ancora sveglio,
anzi stava fumando in compagnia di Tremal-Naik, mentre Surama, la
bella bajadera, approntava alcune tazze di thè.
Pareva che il sonno non pesasse affatto sulle palpebre del fiero
pirata, già abituato alle lunghe veglie marittime. Anche il
bengalese, quantunque la mezzanotte fosse ormai passata, aveva lo
sguardo limpido come quello d'un uomo che si è ben riposato.
- È finito il colloquio col francese? - chiese Sandokan,
volgendosi verso Yanez.
- È stato un po' lungo, è vero? - disse il portoghese. - Dovevo
però dargli molte spiegazioni che erano assolutamente necessarie.
- Accetta?
- Sí, egli sarà dei nostri.
- Sa chi noi siamo?
- Non ho creduto di nasconderglielo e sembra, mio caro Sandokan,
che le nostre ultime imprese abbiano fatto un chiasso enorme anche
in India. Gli antichi pirati di Mompracem sono gli eroi del giorno,
dopo la tremenda lezione che abbiamo inflitta a James Brooke e qui
siamo conosciuti piú di quello che tu creda.
- Ed ha accettato egualmente il luogotenente?
- Non siamo già venuti qui per mettere a sacco l'India, - disse
Yanez, ridendo, - bensí per liberarla da una setta mostruosa che
decima la popolazione.
Noi rendiamo all'Inghilterra, la nostra antica nemica, un
servizio troppo prezioso perché i suoi ufficiali se ne
disinteressino.
E chissà, mio caro Sandokan, che un giorno gli antichi capi
delle tigri di Mompracem non finiscano rajah o marajah?
- Preferirò sempre la mia isola e i miei tigrotti, - rispose
Sandokan. - Sarò sempre piú possente e piú libero colà, che qui
rajah, sotto gli occhi sospettosi degli inglesi. Ma lasciamo ciò e
occupiamoci dei Thugs. Quando sei entrato eravamo parlando appunto
di ciò con Tremal-Naik e Surama. Dopo quello che è avvenuto questa
notte, mi pare che sia giunto il momento di lasciare in pace le
tigri a quattro zampe, per dare addosso e senza porre indugi a
quelle a due sole.
- I Thugs o hanno indovinato o per lo meno sospettano le nostre
intenzioni. Ci spiano, ormai non ho alcun dubbio ed erano noi che
sorvegliavano e non già l'ufficiale.
- E tali sono anche le mie convinzioni, - aggiunse Tremal-Naik.
- Che qualcuno ci abbia traditi? - chiese Yanez.
- E chi? - domandò Sandokan.
- I Thugs hanno spie dovunque e la loro organizzazione è
perfetta, - disse Tremal-Naik. - La nostra partenza è stata notata
e segnalata a quelli che abitano queste jungle.
È vero Surama che hanno emissari sparsi dappertutto, incaricati
di vegliare sulla sicurezza di Suyodhana, che per loro rappresenta
una specie di divinità, una nuova incarnazione di Kalí?
- Sí, sahib, - rispose la giovane. - Hanno la cosí detta
polizia nera, formata d'uomini d'un'astuzia e d'una furberia
meravigliosa.
- Sapete che cosa dobbiamo fare? - chiese Sandokan.
- Parla, - disse Yanez.
- Muovere su Rajmangal a marce forzate, cercando di distanziare
piú che possiamo le spie che ci seguono e metterci in relazione col
praho.
Cerchiamo di colpire i Thugs, prima che abbiano il tempo di
organizzare la resistenza e di sfuggirci portando con loro la
piccola Darma.
- Sí! Sí! - esclamò Tremal-Naik. - Sarebbero capaci di
condurla altrove, se si accorgono di essere minacciati.
- Alle quattro la partenza, - disse Sandokan. - Approfittiamo di
queste tre ore per riposarci un po'.
Yanez condusse Surama nella tenda che le era stata destinata, poi
raggiunse quella dove il luogotenente dormiva.
- Dorme ben profondamente il signor de Lussac, - disse ridendo. -
La gioventú vuole i suoi diritti.
E si coricò sulla propria coperta, chiudendo gli occhi.
Alle quattro il corno del primo cornac suonava la sveglia.
Gli elefanti erano già stati preparati e anche i sei malesi
erano in piedi attorno al merghee.
- Si parte per tempo, - disse il signor de Lussac, volgendosi
verso Yanez che entrava con due tazze di thè. - Avete scovata
qualche tigre?
- No, andiamo però a cercarne altre un po' lontane, nelle
Sunderbunds e non saranno meno pericolose.
- I Thugs?
- Vuotate, signor de Lussac e montiamo il coomareah. Ci staremo
egualmente nell'haudah e potremo anche chiacchierare. Abbiamo altre
cose da dirvi sui nostri progetti.
Un quarto d'ora dopo i due elefanti lasciavano il luogo che aveva
servito d'accampamento e prendevano la corsa verso il sud, avendo i
cornac ricevuto l'ordine di spingerli colla maggior rapidità
possibile onde cercare di distanziare i Thugs.
Quantunque gli indiani, che per la maggior parte sono magrissimi
e assai agili, godano fama di essere corridori instancabili, non
potevano certo gareggiare col lungo passo degli elefanti, né colla
loro resistenza.
Sandokan ed i suoi compagni però s'ingannavano di poter
lasciarsi indietro i bricconi, che forse li seguivano fino dalla
loro partenza da Khari.
Ed infatti gli elefanti non avevano ancora percorso mezzo miglio,
quando in mezzo alle altissime canne che coprivano quei terreni
pantanosi si udí uno squillo acuto che pareva prodotto da una di
quelle lunghe trombe di rame che gli indiani chiamano ramsinga.
Tremal-Naik aveva sussultato, mentre la sua tinta bronzina
diventava improvvisamente leggermente grigiastra.
- Il maledetto istrumento dei Thugs, - aveva esclamato. - Le spie
segnalano la nostra partenza.
- A chi? - chiese Sandokan con voce perfettamente calma.
- Ad altre spie che devono essere disseminate per la jungla. Odi?
Ad una grande distanza, verso il sud si era udito un altro
squillo, che giunse fino agli orecchi dei cacciatori come una nota
debolissima d'un clarino da ragazzi.
- I bricconi corrispondono colle trombe, - disse Yanez,
aggrottando la fronte. - Verremo segnalati dovunque finché saremo
nelle Sunderbunds. La cosa è grave.
Che ve ne pare, signor de Lussac?
- Io dico che quei dannati settari sono furbi come serpenti, -
rispose l'ufficiale, - e che noi dovremo imitarli.
- In quale modo? - chiese Sandokan.
- Ingannandoli sulla nostra vera direzione.
- Ossia?
- Deviare per ora, per riprendere la marcia questa sera e
marciare alla notte.
- Resisteranno gli elefanti?
- Accorderemo loro un lungo riposo nel pomeriggio.
- La vostra idea mi pare buona, - disse Sandokan. - Di notte non
ci vedono che gli animali a quattro gambe, ed i Thugs non saranno
tigri. Che te ne pare Tremal-Naik?
- Condivido pienamente il consiglio suggeritoci dal signor de
Lussac, - rispose il bengalese.
- È necessario che noi giungiamo nelle Sunderbunds senza che i
Thugs lo sappiano.
- Ebbene, - disse Sandokan, - marceremo fino a mezzodí poi ci
accamperemo per riprendere la corsa questa sera, a notte inoltrata.
La luna manca e nessuno ci vedrà.
Diede ordine al cornac di cambiare direzione, piegando verso
oriente, poi accese una sigaretta che Yanez gli porgeva e si mise a
fumare colla sua solita calma, senza che un'ombra di preoccupazione
apparisse sul suo viso.
I due elefanti intanto continuavano la loro corsa indiavolata,
imprimendo alla haudah delle scosse abbastanza brusche.
Nessun ostacolo li arrestava e nella loro corsa schiantavano come
fuscelli di paglia bambú grossissimi e sfondavano cespugli ed
ammassi di calamus senza fermarsi un momento.
La jungla non accennava a variare: canne, sempre canne, strette
le une alle altre da una infinità di piante parassite e pantani
coperti di foglie di loto, sulle quali si riposavano placidamente,
senza scomporsi nemmeno per la presenza degli elefanti, cicogne,
aironi e ibis brune.
Truppe di splendidi pavoni, volatili ritenuti sacri dagli indiani
perché rappresentavano, secondo le credenze, la dea Sarasvati, di
quando in quando s'alzavano e se ne fuggivano via, lanciando note
aspre e sgradevoli, facendo scintillare al sole le loro superbe
piume sulle quali la porpora e l'oro si fondevano alle tinte
scintillanti degli smeraldi.
Altre volte invece erano bisonti, o meglio jungli-kudgia come
vengono chiamati dagli indiani, che balzavano improvvisamente
dinanzi agli elefanti e che, dopo un po' di esitazione, scappavano
con velocità fulminea non senza mandare dei muggiti minacciosi.
Rassomigliavano molto ai colossali bisonti delle praterie del Far
West americano, essendo del pari forniti d'una gobba robustissima e
di taglia non inferiore e, talvolta, superando anche la lunghezza di
tre metri.
La corsa degli elefanti continuò cosí fino alle undici, poi
essendo giunti in uno spazio scoperto dove si vedevano degli avanzi
di capanne, Sandokan diede il comando della fermata.
- Qui nessuno ardirà sorprenderci. Se qualcuno si avvicina lo
scopriremo subito e poi abbiamo Darma e Punthy.
- Che non potranno raggiungerci prima di qualche ora, - disse
Tremal-Naik.
Devono essere rimasti assai indietro, ma il cane non lascerà la
tigre e la guiderà al nostro campo.
- Ero un po' inquieto per loro, - disse Yanez.
- Non temere, verranno.
Gli elefanti, appena liberati delle haudah si erano sdraiati al
suolo. I poveri animali ansavano fortemente e apparivano
stanchissimi e sudavano prodigiosamente.
I due cornac però eransi subito occupati di loro, facendoli
sdraiare all'ombra d'un bâr della cui corteccia sono avidissimi e
spalmando immediatamente le loro teste, gli orecchi ed i piedi con
grasso onde la pelle non si screpolasse.
I malesi si erano invece occupati delle tende, essendo il calore
diventato cosí intenso da non poter resistere all'aperto. Pareva
che una vera pioggia di fuoco si riversasse sulla jungla e che
l'aria diventasse rapidamente irrespirabile.
- Si direbbe che sta per scatenarsi qualche uragano, - disse
Yanez, che si era affrettato a rifugiarsi sotto una delle tende. -
C'è pericolo, rimanendo fuori, di prendersi un colpo di sole. Tu
Tremal-Naik, che sei cresciuto fra queste canne, ne saprai qualche
cosa.
- Sta per soffiare l'hot-winds e faremo bene a prendere le nostre
precauzioni. Si corre il pericolo di morire asfissiati.
- Hot-winds? Che cos'è?
- Il simun indiano.
- Un vento caldo insomma.
- Piú terribile talvolta di quello che soffia nel Sahara, -
disse il signor de Lussac, che entrava in quel momento nella tenda.
- L'ho provato due volte, quand'ero di guarnigione a Lucknow, e ne
so qualche cosa della violenza di quei venti. È vero che colà sono
ben piú terribili, e anche piú ardenti, perché giungendo da
ponente si riscaldano prima passando sulle sabbie infuocate del
Marusthan, della Persia e del Belucistan.
Una volta ho avuto quattordici cipayes asfissiati pel motivo che
erano stati sorpresi in aperta campagna, senza alcun riparo.
- A me però sembra che si prepari piú un ciclone che del vento
caldo, - disse Yanez, additando delle nubi di color giallastro, che
si alzavano dal nord-ovest, avanzandosi verso la jungla con
rapidità incredibile.
- Succede sempre cosí, - rispose il luogotenente. - Prima
l'uragano poi il vento ardente.
- Assicuriamo le tende, - disse Tremal-Naik, - e portiamole
dietro agli elefanti i quali, coi loro corpacci, ci serviranno di
barriera.
I malesi, sotto la direzione dei due cornac e di Tremal-Naik, si
misero all'opera, piantando attorno alle tende un gran numero di
piuoli e tendendo parecchie corde al disopra delle tele.
Le avevano rizzate fra un vecchio muro, avanzo d'un villaggio, e
gli elefanti erano stati fatti coricare l'un presso l'altro.
Mentre Surama, aiutata da Yanez, preparava la colazione, le
nuvole avevano ormai coperto il cielo, stendendosi sopra la jungla e
avanzandosi in direzione del golfo del Bengala.
Cominciava a soffiare ad intervalli un vento ardentissimo, che
essiccava rapidamente i vegetali e le pozze d'acqua, mentre le
nuvole si addensavano sempre piú, diventando minacciosissime.
Gli elefanti davano segni di viva agitazione. Barrivano di
frequente, scuotevano gli orecchi e aspiravano fragorosamente l'aria
come se non ne avessero mai a sufficienza per riempire i loro enormi
polmoni.
- Mangiamo alla lesta, - disse l'ufficiale che stava osservando
il cielo sul limitare della tenda, in compagnia di Sandokan.
- Il ciclone s'avanza con rapidità spaventevole.
- Resisteranno le nostre tende? - chiese la Tigre della Malesia.
- Se gli elefanti non si muovono, forse.
- Rimarranno tranquilli?
- Ecco quello che ignoro. Io ne ho veduti alcuni venire presi da
un terrore improvviso e fuggire all'impazzata, senza piú obbedire
alle grida dei loro guardiani. Vedrete che strage farà il vento di
questi bambú.
In quel momento si udí in lontananza un latrato.
- Punthy che ritorna, - disse Tremal-Naik, precipitandosi fuori
dalla tenda. - Il bravo cane giunge a tempo al rifugio.
- Sarà seguito da Darma? - chiese Sandokan.
- Eccola laggiú che s'avanza con balzi enormi, - disse il signor
de Lussac. - Che bestia intelligente.
- Ed ecco il ciclone che si rovescia su di noi, - disse uno dei
due cornac.
Un lampo abbagliante aveva spaccata in due la massa di vapori
densi e gravidi di pioggia, mentre un improvviso colpo di vento,
d'una impetuosità straordinaria, spazzava la jungla, facendo
curvare fino a terra i giganteschi bambú e torcendo i rami dei tara
e dei pipal.
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