Quale Cebete tebano
fece delle morali, tale noi qui diamo a vedere una Tavola delle cose civili, la quale
serva al leggitore per concepire l'idea di quest'opera avanti di leggerla, e per ridurla
più facilmente a memoria, con tal aiuto che gli somministri la fantasia, dopo di averla
letta. La donna con le tempie alate che sovrasta al globo mondano, o sia al mondo della
natura, è la metafisica, ché tanto suona il suo nome. Il triangolo luminoso con ivi
dentro un occhio veggente egli è Iddio con l'aspetto della sua provvedenza, per lo qual
aspetto la metafisica in atto di estatica il contempla sopra l'ordine delle cose naturali,
per lo quale finora l'hanno contemplato i filosofi; perch'ella, in quest'opera, più in
suso innalzandosi, contempla in Dio il mondo delle menti umane, ch'è 'l mondo metafisico,
per dimostrarne la provvedenza nel mondo degli animi umani, ch'è 'l mondo civile, o sia
il mondo delle nazioni; il quale, come da suoi elementi, è formato da tutte quelle cose
le quali la dipintura qui rappresenta co' geroglifici che spone in mostra al di sotto.
Perciò il globo, o sia il mondo fisico ovvero naturale, in una sola parte egli
dall'altare vien sostenuto; perché i filosofi, infin ad ora, avendo contemplato la divina
provvedenza per lo sol ordine naturale, ne hanno solamente dimostrato una parte, per la
quale a Dio, come a Mente signora libera ed assoluta della natura (perocché, col suo
eterno consiglio, ci ha dato naturalmente l'essere, e naturalmente lo ci conserva), si
danno dagli uomini l'adorazioni co' sagrifici ed altri divini onori; ma nol contemplarono
già per la parte ch'era più propia degli uomini, la natura de' quali ha questa
principale propietà: d'essere socievoli. Alla qual Iddio provvedendo, ha così ordinate e
disposte le cose umane, che gli uomini, caduti dall'intiera giustizia per lo peccato
originale, intendendo di fare quasi sempre tutto il diverso e, sovente ancora, tutto il
contrario - onde, per servir all'utilità, vivessero in solitudine da fiere bestie, - per
quelle stesse loro diverse e contrarie vie, essi dall'utilità medesima sien tratti da
uomini a vivere con giustizia e conservarsi in società, e sì a celebrare la loro natura
socievole: la quale, nell'opera, si dimostrerà essere la vera civil natura dell'uomo, e
sì esservi diritto in natura. La qual condotta della provvedenza divina è una delle cose
che principalmente s'occupa questa Scienza di ragionare; ond'ella, per tal aspetto, vien
ad essere una teologia civile ragionata della provvedenza divina.
Nella fascia del zodiaco che cinge il globo mondano, più che gli altri, compariscono
in maestà o, come dicono, in prospettiva i soli due segni di Lione e di Vergine, per
significare che questa Scienza ne' suoi princìpi contempla primieramente Ercole (poiché
si truova ogni nazione gentile antica narrarne uno, che la fondò); e 'l contempla dalla
maggior sua fatiga, che fu quella con la qual uccise il lione, il quale, vomitando fiamme,
incendiò la selva nemea, della cui spoglia adorno, Ercole fu innalzato alle stelle (il
qual lione qui si truova essere stata la gran selva antica della terra, a cui Ercole, il
quale si truova essere stato il carattere degli eroi politici, i quali dovettero venire
innanzi agli eroi delle guerre, diede il fuoco e la ridusse a coltura); - e per dar
altresì il principio de' tempi, il quale, appo i greci (da' quali abbiamo tutto ciò
ch'abbiamo dell'antichità gentilesche), incominciarono dalle olimpiadi co' giuochi
olimpici, de' quali pur ci si narra essere stato Ercole il fondatore (i quali giuochi
dovettero incominciar da' nemei, introdutti per festeggiare la vittoria d'Ercole riportata
dell'ucciso lione); e sì i tempi de' greci cominciarono da che tra loro incominciò la
coltivazione de' campi. E la Vergine, che da' poeti venne descritta agli astronomi andar
coronata di spighe, vuol dire che la storia greca cominciò dall'età dell'oro, ch'i poeti
apertamente narrano essere stata la prima età del lor mondo, nella quale, per lunga
scorsa di secoli, gli anni si noverarono con le messi del grano, il quale si truova essere
stato il primo oro del mondo; alla qual età dell'oro de' greci risponde a livello l'età
di Saturno per li latini, detto a "satis", da' seminati. Nella qual età
dell'oro pur ci dissero fedelmente i poeti che gli dèi in terra praticavano con gli eroi:
perché dentro si mostrerà ch'i primi uomini del gentilesimo, semplici e rozzi, per forte
inganno di robustissime fantasie, tutte ingombre da spaventose superstizioni, credettero
veramente veder in terra gli dèi; e poscia si truoverà ch'egualmente, per uniformità
d'idee, senza saper nulla gli uni degli altri, appo gli orientali, egizi, greci e latini,
furono da terra innalzati gli dèi all'erranti e gli eroi alle stelle fisse. E così, da
Saturno, ch'è Chrónos a' greci (e chrónos è il tempo ai medesimi), si danno altri
princìpi alla cronologia o sia alla dottrina de' tempi.
Né dee sembrarti sconcezza che l'altare sta sotto e sostiene il globo. Perché
truoverassi che i primi altari del mondo s'alzarono da' gentili nel primo ciel de' poeti;
i quali, nelle loro favole, fedelmente ci trammandarono il Cielo avere in terra regnato
sopra degli uomini ed aver lasciato de' grandi benefìci al gener umano, nel tempo ch'i
primi uomini, come fanciulli del nascente gener umano, credettero che 'l cielo non fusse
più in suso dell'alture de' monti (come tuttavia or i fanciulli il credono di poco più
alto de' tetti delle lor case); - che poi, vieppiù spiegandosi le menti greche, fu
innalzato sulle cime degli altissimi monti, come d'Olimpo, dove Omero narra a' suoi tempi
starsi gli dèi; - e finalmente alzossi sopra le sfere, come or ci dimostra l'astronomia,
e l'Olimpo si alzò sopra il cielo stellato. Ove, insiememente, l'altare, portato in
cielo, vi forma un segno celeste; e 'l fuoco, che vi è sopra, passò nella casa vicina,
come tu vedi qui, del Lione (il quale, come testé si è avvisato, fu la selva nemea, a
cui Ercole diede il fuoco per ridurla a coltura); e ne fu alzata, in trofeo d'Ercole, la
spoglia del lione alle stelle.Il raggio della divina provvedenza, ch'alluma un gioiello
convesso di che adorna il petto la metafisica, dinota il cuor terso e puro che qui la
metafisica dev'avere, non lordo né sporcato da superbia di spirito o da viltà di
corporali piaceri; col primo de' quali Zenone diede il fato, col secondo Epicuro diede il
caso, ed entrambi perciò niegarono la provvedenza divina. Oltracciò, dinota che la
cognizione di Dio non termini in essolei, perch'ella privatamente s'illumini
dell'intellettuali, e quindi regoli le sue sole morali cose, siccome finor han fatto i
filosofi; lo che si sarebbe significato con un gioiello piano. Ma convesso, ove il raggio
si rifrange e risparge al di fuori, perché la metafisica conosca Dio provvedente nelle
cose morali pubbliche, o sia ne' costumi civili, co' quali sono provenute al mondo e si
conservan le nazioni.
Lo stesso raggio si risparge da petto della metafisica nella statua d'Omero, primo
autore della gentilità che ci sia pervenuto, perché, in forza della metafisica (la quale
si è fatta da capo sopra una storia dell'idee umane, da che cominciaron tal'uomini a
umanamente pensare), si è da noi finalmente disceso nelle menti balorde de' primi
fondatori delle nazioni gentili, tutti robustissimi sensi e vastissime fantasie; e - per
questo istesso che non avevan altro che la sola facultà, e pur tutta stordita e stupida,
di poter usare l'umana mente e ragione - da quelli che se ne sono finor pensati si
truovano tutti contrari, nonché diversi, i princìpi della poesia dentro i finora, per
quest'istesse cagioni, nascosti principi della sapienza poetica, o sia la scienza de'
poeti teologi, la quale senza contrasto fu la prima sapienza del mondo per gli gentili. E
la statua d'Omero sopra una rovinosa base vuol dire la discoverta del vero Omero (che
nella Scienza nuova la prima volta stampata si era da noi sentita ma non intesa, e in
questi libri, riflettuta, pienamente si è dimostrata); il quale, non saputosi finora, ci
ha tenuto nascoste le cose vere del tempo favoloso delle nazioni, e molto più le già da
tutti disperate a sapersi del tempo oscuro, e 'n conseguenza le prime vere origini delle
cose del tempo storico: che sono gli tre tempi del mondo, che Marco Terenzio Varrone ci
lasciò scritto (lo più dotto scrittore delle romane antichità) nella sua grand'opera
intitolata Rerum divinarum et humanarum, che si è perduta.
Oltracciò, qui si accenna che 'n quest'opera, con una nuova arte critica, che finor ha
mancato, entrando nella ricerca del vero sopra gli autori delle nazioni medesime (nelle
quali deono correre assai più di mille anni per potervi provvenir gli scrittori d'intorno
ai quali la critica si è finor occupata), qui la filosofia si pone ad esaminare la
filologia (o sia la dottrina di tutte le cose le quali dipendono dall'umano arbitrio, come
sono tutte le storie delle lingue, de' costumi e de' fatti così della pace come della
guerra de' popoli), la quale, per la di lei deplorata oscurezza delle cagioni e quasi
infinita varietà degli effetti, ha ella avuto quasi un orrore di ragionarne; e la riduce
in forma di scienza, col discovrirvi il disegno di una storia ideal eterna, sopra la quale
corrono in tempo le storie di tutte le nazioni: talché, per quest'altro principale suo
aspetto, viene questa Scienza ad esser una filosofia dell'autorità. Imperciocché, in
forza d'altri princìpi qui scoverti di mitologia, che vanno di séguito agli altri
princìpi qui ritruovati della poesia, si dimostra le favole essere state vere e severe
istorie de' costumi delle antichissime genti di Grecia, e, primieramente, che quelle degli
dèi furon istorie de' tempi che gli uomini della più rozza umanità gentilesca
credettero tutte le cose necessarie o utili al gener umano essere deitadi; della qual
poesia furon autori i primi popoli, che si truovano essere stati tutti di poeti teologi, i
quali, senza dubbio, ci si narrano aver fondato le nazioni gentili con le favole degli
dèi. E quivi, co' princìpi di questa nuov'arte critica, si va meditando a quali
determinati tempi e particolari occasioni di umane necessità o utilità, avvertiti da'
primi uomini del gentilesimo, eglino, con ispaventose religioni, le quali essi stessi si
finsero e si credettero, fantasticarono prima tali e poi tali dèi; la qual teogonia
naturale, o sia generazione degli dèi, fatta naturalmente nelle menti di tai primi
uomini, ne dia una cronologia ragionata della storia poetica degli dèi. Le favole eroiche
furono storie vere degli eroi e de' lor eroici costumi, i quali si ritruovano aver fiorito
in tutte le nazioni nel tempo della loro barbarie; sicché i due poemi d'Omero si truovano
essere due grandi tesori di discoverte del diritto naturale delle genti greche ancor
barbare. Il qual tempo si determina nell'opera aver durato tra' greci infino a quello
d'Erodoto, detto padre della greca storia, i cui libri sono ripieni la più parte di
favole e lo stile ritiene moltissimo dell'omerico; nella qual possessione si sono
mantenuti tutti gli storici che sono venuti appresso, i quali usano una frase mezza tra la
poetica e la volgare. Ma Tucidide, primo severo e grave storico della Grecia, sul
principio de' suoi racconti professa che, fin al tempo di suo padre (ch'era quello di
Erodoto, il qual era vecchio quando esso era fanciullo), i greci, nonché delle straniere
(le quali, a riserba delle romane, noi abbiamo tutte da' greci), eglino non seppero nulla
affatto dell'antichità loro propie: che sono le dense tenebre, le quali la dipintura
spiega nel fondo, dalle quali, al lume del raggio della provvedenza divina dalla
metafisica risparso in Omero, escono alla luce tutti i geroglifici, che significano i
princìpi conosciuti solamente finor per gli effetti di questo mondo di nazioni.
Tra questi la maggior comparsa vi fa un altare, perché 'l mondo civile cominciò appo
tutti i popoli con le religioni, come dianzi si è divisato alquanto, e più se ne
diviserà quindi a poco.
Sull'altare, a man destra, il primo a comparire è un lituo, o sia verga, con la quale gli
àuguri prendevan gli augùri ed osservavan gli auspìci; il quale vuol dar ad intendere
la divinazione, dalla qual appo i gentili tutti incominciarono le prime divine cose.
Perché, per l'attributo della di lui provvedenza, così vera appo gli ebrei - i quali
credevano Dio esser una Mente infinita e, 'n conseguenza, che vede tutti i tempi in un
punto d'eternità; onde Iddio (o esso, o per gli angioli che sono menti, o per gli profeti
de' quali parlava Iddio alle menti) egli avvisava le cose avvenire al suo popolo, - come
immaginata appresso i gentili - i quali fantasticarono i corpi esser dèi, che perciò con
segni sensibili avvisassero le cose avvenire alle genti, - fu universalmente da tutto il
gener umano dato alla natura di Dio il nome di "divinità" da un'idea medesima,
la quale i latini dissero "divinari" "avvisar l'avvenire"; ma con
questa fondamentale diversità che si è detta, dalla quale dipendono tutte l'altre (che
da questa Scienza si dimostrano) essenziali differenze tra 'l diritto natural degli ebrei
e 'l diritto natural delle genti, che i romani giureconsulti diffinirono essere stato con
essi umani costumi dalla divina provvedenza ordinato. Laonde ad un colpo, con sì fatto
lituo, si accenna il principio della storia universal gentilesca, la quale, con pruove
fisiche e filologiche, si dimostra aver avuto il suo cominciamento dal diluvio universale:
dopo il quale, a capo di due secoli, il Cielo (come pure la storia favolosa il racconta)
regnò in terra e fece de' molti e grandi benefìci al gener umano, e, per uniformità
d'idee tra gli orientali, egizi, greci, latini ed altre nazioni gentili, sursero
egualmente le religioni di tanti Giovi. Perché, a capo di tanto tempo dopo il diluvio, si
pruova che dovette fulminare e tuonare il cielo, e da' fulmini e tuoni, ciascuna del suo
Giove, incominciarono a prendere tai nazioni gli auspìci (la qual moltiplicità di Giovi,
onde gli egizi dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico di tutti, ha fatto
finora maraviglia a' filologi); e con le medesime pruove se ne dimostra l'antichità della
religion degli ebrei sopra quelle con le quali si fondaron le genti, e quindi la verità
della cristiana.
Sullo stesso altare, appresso il lituo, si vede l'acqua e 'l fuoco, e l'acqua contenuta
dentro un urciuolo; perché, per cagione della divinazione, appresso i gentili provennero
i sacrifiZ da quel comune loro costume ch'i latini dicevano "procurare
auspicia", o sia sagrificare per ben intender gli augùri a fin di ben eseguire i
divini avvisi, ovvero comandi di Giove. E queste sono le divine cose appresso i gentili,
dalle quali provvennero poscia loro tutte le cose umane.
La prima delle quali furon i matrimoni, significati dalla fiaccola accesa al fuoco sopra
esso altare ed appoggiata all'urciuolo; i quali, come tutti i politici vi convengono, sono
il seminario delle famiglie, come le famiglie lo sono delle repubbliche. E, per ciò
dinotare, la fiaccola, quantunque sia geroglifico di cosa umana, è allogata sull'altare
tra l'acqua e 'l fuoco, che sono geroglifici di cerimonie divine; appunto come i romani
antichi celebrarono "aqua et igni" le nozze, perché queste due cose comuni (e,
prima del fuoco, l'acqua perenne, come cosa più necessaria alla vita) dappoi s'intese
che, per divino consiglio, avevano menato gli uomini a viver in società.
La seconda delle cose umane, per la quale a' latini, da "humando",
"seppellire", prima e propiamente vien detta "humanitas", sono le
seppolture, le quali sono rappresentate da un'urna ceneraria, riposta in disparte dentro
le selve, la qual addita le seppolture essersi ritruovate fin dal tempo che l'umana
generazione mangiava poma l'estate, ghiande l'inverno. Ed è nell'urna iscritto "D.
M.", che vuol dire: "All'anime buone de' seppelliti"; il qual motto divisa
il comun consentimento di tutto il gener umano in quel placito, dimostrato vero poi da
Platone, che le anime umane non muoiano co' loro corpi, ma che sieno immortali.
Tal urna accenna altresì l'origine tra' gentili medesimi della divisione de' campi, nella
quale si deon andar a truovare l'origini della distinzione delle città e de' popoli e
alfin delle nazioni. Perché truoverassi che le razze, prima di Cam, poi di Giafet e
finalmente di Sem, elleno, senza la religione del loro padre Noè, ch'avevano rinniegata
(la qual sola, nello stato ch'era allor di natura, poteva, co' matrimoni, tenergli in
società di famiglie) - essendosi sperdute, con un errore o sia divagamento ferino, dentro
la gran selva di questa terra, per inseguire le schive e ritrose donne, per campar dalle
fiere (delle quali doveva la grande antica selva abbondare), e, sì sbandati, per truovare
pascolo ed acqua, e, per tutto ciò, a capo di lunga età essendo andate in uno stato di
bestie, - quivi, a certe occasioni dalla divina provvedenza ordinate (che da questa
Scienza si meditano e si ritruovano), scosse e destate da un terribile spavento d'una da
essi stessi finta e creduta divinità del Cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono
alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove, fermi con certe donne, per lo timore
dell'appresa divinità, al coverto, coi congiugnimenti carnali religiosi e pudichi,
celebrarono i matrimoni e fecero certi figliuoli, e così fondarono le famiglie. E, con lo
star quivi fermi lunga stagione e con le seppolture degli antenati, si ritruovarono aver
ivi fondati e divisi i primi domìni della terra, i cui signori ne furon detti
"giganti" (ché tanto suona tal voce in greco quanto "figliuoli della
terra", cioè discendenti da' seppelliti), e quindi se ne riputarono nobili,
estimando, in quel primo stato di cose umane, con giuste idee, la nobiltà dall'essere
stati umanamente eglino generati col timore della divinità; dalla qual maniera di
umanamente generare e non altronde, come provvenne, così fu detta l'"umana
generazione", dalla quale le case diramate in più così fatte famiglie, per cotal
generazione, se ne dissero le prime "genti". Dal qual punto di tempo
antichissimo, siccome ne incomincia la materia, così s'incomincia qui la dottrina del
diritto natural delle genti, ch'è altro principal aspetto con cui si dee guardar questa
Scienza. Or tai giganti, con ragioni come fisiche così morali, oltre l'autorità
dell'istorie, si truovano essere stati di sformate forze e stature: le quali cagioni non
essendo cadute ne' credenti del vero Dio, criatore del mondo e del principe di tutto
l'uman genere Adamo, gli ebrei, fin dal principio del mondo, furono di giusta corporatura.
Così - dopo il primo d'intorno alla provvedenza divina, e 'l secondo il qual è de'
matrimoni solenni - l'universal credenza dell'immortalità dell'anima, che cominciò con
le seppolture, egli è il terzo degli tre princìpi, sopra i quali questa Scienza ragiona
d'intorno all'origini di tutte l'innumerabili varie diverse cose che tratta. Dalle selve
ov'è riposta l'urna s'avvanza in fuori un aratro, il qual divisa ch'i padri delle prime
genti furono i primi forti della storia; onde si truovano gli Ercoli fondatori delle prime
nazioni gentili che si sono mentovati di sopra (de' quali Varrone noverò ben quaranta, e
gli egizi dicevano che il loro era lo più antico di tutti), perché tali Ercoli domarono
le prime terre del mondo e le ridussero alla coltura. Onde i primi padri delle nazioni
gentili - ch'erano giusti per la creduta pietà di osservare gli auspìci, che credevano
divini comandi di Giove (dal quale, appo i latini chiamato Ious, ne fu anticamente detto
"ious" il gius, che poi, contratto, si disse "ius"; onde la giustizia
appo tutte le nazioni s'insegna naturalmente con la pietà); erano prudenti co' sagrifizi
fatti per proccurar o sia ben intender gli auspìci, e sì ben consigliarsi di ciò che
per comandi di Giove dovevan operar nella vita; erano temperati co' matrimoni - furono,
come qui s'accenna, anco forti. Quinci si danno altri princìpi alla moral filosofia, onde
la sapienza riposta de' filosofi debba cospirare con la sapienza volgare de' legislatori;
per gli quali princìpi tutte le virtù mettano le loro radici nella pietà e nella
religione, per le quali sole son efficaci ad operar le virtù, e 'n conseguenza de' quali
gli uomini si debbano proporre per bene tutto ciò che Dio vuole. Si danno altri princìpi
alla dottrina iconomica, onde i figliuoli, mentre sono in potestà de' lor padri, si deono
stimare essere nello stato delle famiglie, e, 'n conseguenza, non sono in altro da
formarsi e fermarsi, in tutti i loro studi, che nella pietà e nella religione; e, quando
non son ancor capaci d'intender repubblica e leggi, vi riveriscano e temano i padri come
vivi simolacri di Dio; onde si truovino poi naturalmente disposti a seguire la religione
de' loro padri ed a difender la patria, che conserva lor le famiglie, e, così, ad ubbidir
alle leggi, ordinate alla conservazione della religione e della patria (siccome la
provvedenza divina ordinò le cose umane con tal eterno consiglio: che prima si fondassero
le famiglie con le religioni, sopra le quali poi avevan da surgere le repubbliche con le
leggi).
L'aratro appoggia con certa maestà il manico in faccia all'altare, per darci ad intendere
che le terre arate furono i primi altari della gentilità; e per dinotar altresì la
superiorità di natura la quale credevano avere gli eroi sopra i loro soci (i quali,
quindi a poco, vedremo significarsici dal timone, che si vede in atto d'inchinarsi presso
al zoccolo dell'altare); nella qual superiorità di natura si mostrerà ch'essi eroi
riponevano la ragione, la scienza e quindi l'amministrazione ch'essi avevano delle cose
divine, o sia de' divini auspìci.
L'aratro scuopre la sola punta del dente e ne nasconde la curvatura (che, prima
d'intendersi l'uso del ferro, dovett'esser un legno curvo ben duro, che potesse fender le
terre ed ararle) - la qual curvatura da' latini fu detta "urbs", ond'è l'antico
"urbum", "curvo" - per significare che le prime città, le quali tutte
si fondarono in campi colti, sursero con lo stare le famiglie lunga età ben ritirate e
nascoste tra' sagri orrori de' boschi religiosi, i quali si truovano appo tutte le nazioni
gentili antiche e, con l'idea comune a tutte, si dissero dalle genti latine
"luci", ch'erano "terre bruciate dentro il chiuso de' boschi", i quali
sono condennati da Mosè a doversi bruciar anch'essi ovunque il popolo di Dio stendesse le
sue conquiste. E ciò per consiglio della provvedenza divina, acciocché gli già venuti
all'umanità non si confondessero di nuovo co' vagabondi, rimasti nella nefaria comunione
sì delle cose sì delle donne.
Si vede al lato destro del medesimo altare un timone, il qual significa l'origine della
trasmigrazione de' popoli fatta per mezzo della navigazione. E, per ciò che sembra
inchinarsi a piè dell'altare, significa gli antenati di coloro che furono poi gli autori
delle trasmigrazioni medesime: i quali furono dapprima uomini empi, che non conoscevano
niuna divinità; nefari, ché, per non esser tra loro distinti i parentadi co' matrimoni,
giacevano sovente i figliuoli con le madri, i padri con le figliuole; e finalmente,
perché, come fiere bestie, non intendevano società in mezzo ad essa infame comunion
delle cose, tutti soli e quindi deboli e finalmente miseri ed infelici, perché bisognosi
di tutti i beni che fan d'uopo per conservare con sicurezza la vita. Essi, con la fuga de'
propi mali, sperimentati nelle risse ch'essa ferina comunità produceva, per loro scampo e
salvezza, ricorsero alle terre colte da' pii, casti, forti ed anco potenti, siccome coloro
ch'erano già uniti in società di famiglie. Dalle quali terre si truoveranno le città
essere state dette "are" dappertutto il mondo antico della gentilità: che
dovetter essere i primi altari delle nazioni gentili, sopra i quali il primo fuoco il qual
vi si accese fu quello che fu dato alle selve per isboscarle e ridurle a coltura, e la
prima acqua fu quella delle fontane perenni, ch'abbisognarono acciocché coloro ch'avevano
da fondare l'umanità non più, per truovar acqua, divagassero in uno ferino errore, anzi
dentro circoscritte terre stassero fermi ben lunga età, onde si disavvezzassero dallo
andar vagabondi. E, perché questi altari si truovan essere stati i primi asili del mondo
(i quali Livio generalmente diffinisce "vetus urbes condentium consilium", come
dentro l'asilo aperto nel Luco ci è narrato aver Romolo fondato Roma), quindi le prime
città quasi tutte si disser "are". Tal minor discoverta, con quest'altra
maggiore: che appo i greci (da' quali, come si è sopra detto, abbiamo tutto ciò
ch'abbiamo dell'antichità gentilesche) la prima Tracia o Scizia (o sia il primo
Settentrione), la prima Asia e la prima India (o sia il primo Oriente), la prima
Mauritania o Libia (o sia il primo Mezzodì) e la prima Europa o prima Esperia (o sia il
primo Occidente) e, con queste, il primo Oceano, nacquero tutte dentro essa Grecia; e che
poi i greci, ch'uscirono per lo mondo, dalla somiglianza de' siti diedero sì fatti nomi
alle di lui quattro parti ed all'oceano che 'l cinge; - tali discoverte diciamo dar altri
princìpi alla geografia, i quali, come gli altri princìpi accennati darsi alla
cronologia (che son i due occhi della storia), bisognavano per leggere la storia ideal
eterna che sopra si è mentovata.
A questi altari, adunque, gli empi-vagabondi-deboli, inseguiti alla vita da' più robusti,
essendo ricorsi, i pii-forti v'uccisero i violenti e vi riceverono in protezione i deboli,
i quali, perché altro non vi avevano portato che la sola vita, ricevettero in qualità di
famoli, con somministrar loro i mezzi di sostentare la vita; da' quali famoli
principalmente si dissero le famiglie, i quali furono gli abbozzi degli schiavi, che poi
vennero appresso con le cattività nelle guerre. Quinci, come da un tronco più rami,
escono l'origini degli asili, come si è veduto; - l'origine delle famiglie, sulle quali
poi sursero le città, come spiegherassi più sotto; - l'origine di celebrarsi le città,
che fu per viver sicuri gli uomini dagl'ingiusti violenti; - l'origine delle giurisdizioni
da esercitarsi dentro i propi territori; - l'origine di stender gl'imperi, che si fa con
usar giustizia, fortezza e magnanimità, che sono le virtù più luminose de' prìncipi e
degli Stati; - l'origine dell'armi gentilizie, delle quali i primi campi d'armi si
truovano questi primi campi da semina; - l'origine della fama, dalla quale tai famoli
furon detti, e della gloria, che eternalmente è riposta in giovar il gener umano; -
l'origini della nobiltà vera, che naturalmente nasce dall'esercizio delle morali virtù;
- l'origine del vero eroismo, ch'è di domar superbi e soccorrere a' pericolanti (nel qual
eroismo il romano avvanzò tutti i popoli della terra, e ne divenne signor del mondo); -
le origini, finalmente, della guerra e della pace, e che la guerra cominciò al mondo per
la propia difesa, nella quale consiste la virtù vera della fortezza. Ed in tutte queste
origini si scuopre disegnata la pianta eterna delle repubbliche, sulla quale gli Stati,
quantunque acquistati con violenza e con froda, per durare, debbon fermarsi; come, allo
'ncontro, gli acquistati con queste origini virtuose, poscia, con la froda e con la forza
rovinano. E cotal pianta di repubbliche è fondata sopra i due princìpi eterni di questo
mondo di nazioni, che sono la mente e 'l corpo degli uomini che le compongono. Imperocché
- costando gli uomini di queste due parti, delle quali una è nobile, che, come tale,
dovrebbe comandare, e l'altra vile, la qual dovrebbe servire; e, per la corrotta natura
umana, senza l'aiuto della filosofia (la quale non può soccorrere ch'a pochissimi), non
potendo l'universale degli uomini far sì che privatamente la mente di ciascheduno
comandasse, e non servisse, al suo corpo - la divina provvedenza ordinò talmente le cose
umane con quest'ordine eterno: che, nelle repubbliche, quelli che usano la mente vi
comandino e quelli che usano il corpo v'ubbidiscano.
Il timone s'inchina a piè dell'altare, perché tali famoli, siccome uomini senza dèi,
non avevano la comunione delle cose divine e, 'n conseguenza delle quali, nemmeno la
comunità delle cose umane insieme co' nobili, e principalmente la ragione di celebrare
nozze solenni, ch'i latini dissero "connubium", delle quali la maggior
solennità era riposta negli auspìci, per gli qual i nobili si riputavano esser d'origine
divina e tenevano quelli essere d'origine bestiale, siccome generati da' nefari concubiti.
Nella qual differenza di natura più nobile si truova, egualmente tra gli egizi, greci e
latini, che consisteva un creduto natural eroismo, il quale troppo spiegatamente ci vien
narrato dalla storia romana antica.
>Finalmente il timone è in lontananza dall'aratro, ch'in faccia dell'altare gli si
mostra infesto e minaccevole con la punta, perché i famoli, non avendo parte, come si è
divisato, nel dominio de' terreni, che tutti eran in signoria de' nobili, ristucchi di
dover servire sempre a' signori, dopo lunga età finalmente faccendone la pretensione e
perciò ammutinati, si rivoltarono contro gli eroi in sì fatte contese agrarie, che si
truoveranno assai più antiche e di gran lunga diverse da quelle che si leggono sopra la
storia romana ultima. E quivi molti capi d'esse caterve di famoli, sollevate e vinte da'
lor eroi (come spesso i villani d'Egitto lo furono da' sacerdoti, all'osservare di Pier
Cuneo, De republica hebræorum), per non esser oppressi e truovare scampo e salvezza, con
quelli delle loro fazioni, si commisero alla fortuna del mare ed andarono a truovar terre
vacue per gli lidi del Mediterraneo, verso occidente, ch'a que' tempi non era abitato
nelle marine. Ch'è l'origine della trasmigrazione de' popoli già dalla religione
umanati, fatta da Oriente, da Egitto, e dall'Oriente sopra tutti dalla Fenicia, come, per
le stesse cagioni, avvenne de' greci appresso. In cotal guisa, non le innondazioni de'
popoli, che per mare non posson farsi; - non la gelosia di conservare gli acquisti lontani
con le colonie conosciute, perché dall'Oriente, da Egitto, da Grecia non si legge essersi
nell'Occidente alcun imperio disteso; - non la cagione de' traffichi, perché l'Occidente
in tali tempi si truova non essere stato ancora sulle marine abitato; - ma il diritto
eroico fece la necessità a sì fatte brigate d'uomini di tali nazioni d'abbandonare le
propie terre, le quali, naturalmente, senonsé per qualche estrema necessità
s'abbandonano. E con sì fatte colonie, le quali perciò saranno appellate "eroiche
oltramarine", propagossi il gener umano, anco per mare, nel resto del nostro mondo;
siccome con l'error ferino, lunga età innanzi, vi si era propagato per terra.
Esce più in fuori, innanzi l'aratro, una tavola con iscrittovi un alfabeto latino antico
(che, come narra Tacito, fu somigliante all'antico greco) e, più sotto, l'alfabeto ultimo
che ci restò. Egli dinota l'origine delle lingue e delle lettere che sono dette volgari,
che si truovano essere venute lunga stagione dopo fondate le nazioni, ed assai più tardi
quella delle lettere che delle lingue; e, per ciò significare, la tavola giace sopra un
rottame di colonna d'ordine corintiaco, assai moderno tra gli ordini dell'architettura.
Giace la tavola molto dapresso all'aratro e lontana assai dal timone, per significare
l'origine delle lingue natie, le quali si formarono prima ciascuna nelle propie lor terre,
ove finalmente si ritruovarono a sorte, fermati dal loro divagamento ferino, gli autori
delle nazioni, che si erano, come sopra si è detto, sparsi e dispersi per la gran selva
della terra; con le quali lingue natie, lunga età dopo, si mescolarono le lingue
orientali o egiziache o greche, con la trasmigrazione de' popoli fatta nelle marine del
Mediterraneo e dell'Oceano che si è sopra accennata. E qui si danno altri princìpi
d'etimologia (e se ne fanno spessissimi saggi per tutta l'opera), per gli quali si
distinguono l'origini delle voci natie da quelle che sono d'origini indubitate straniere,
con tal importante diversità: che l'etimologie delle lingue natie sieno istorie di cose
significate da esse voci su quest'ordine naturale d'idee, che prima furono le selve, poi i
campi colti e i tuguri, appresso le picciole case e le ville, quindi le città, finalmente
l'accademie e i filosofi (sopra il qual ordine ne devono dalle prime lor origini camminar
i progressi); e l'etimologie delle lingue straniere sieno mere storie di voci le quali una
lingua abbia ricevute da un'altra.
La tavola mostra i soli princìpi degli alfabeti e giace rimpetto alla statua d'Omero,
perché le lettere, come delle greche si ha dalle greche tradizioni, non si ritruovarono
tutte a un tempo; ed è necessario ch'almeno tutte non si fussero ritruovate nel tempo
d'Omero, che si dimostra non aver lasciato scritto niuno de' suoi poemi. Ma dell'origine
delle lingue natie si dà un avviso più distinto qui appresso.
Finalmente, nel piano più illuminato di tutti, perché vi si espongono i geroglifici
significanti le cose umane più conosciute, in capricciosa acconcezza l'ingegnoso pittore
fa comparire un fascio romano, una spada ed una borsa appoggiate al fascio, una bilancia e
'l caduceo di Mercurio.
De' quali geroglifici il primo è 'l fascio, perché i primi imperi civili sursero
sull'unione delle paterne potestadi de' padri, i quali, tra' gentili, erano sappienti in
divinità d'auspìci, sacerdoti per proccurargli (o sia ben intendergli) co' sacrifizi,
re, e certamente monarchi, i quali comandavano ciò che credevano volesser gli dèi con
gli auspìci, e 'n conseguenza non ad altri soggetti ch'a Dio. Così egli è un fascio di
litui, che si truovano i primi scettri del mondo. Tai padri, nelle turbolenze agrarie di
sopra dette, per resistere alle caterve de' famoli sollevati contro essoloro, furono
naturalmente menati ad unirsi e chiudersi ne' primi ordini di senati regnanti (o senati di
tanti re famigliari) sotto certi loro capi-ordini, che si truovano essere stati i primi re
delle città eroiche, i quali pur ci narra, quantunque troppo oscuramente, la storia
antica che, nel primo mondo de' popoli, si criavano gli re per natura, de' quali qui si
medita e se ne truova la guisa. Or tai senati regnanti, per contentare le sollevate
caterve de' famoli e ridurle all'ubbidienza, accordarono loro una legge agraria, che si
truova essere stata la prima di tutte le leggi civili che nacque al mondo; e,
naturalmente, de' famoli, con tal legge ridutti, si composero le prime plebi delle città.
L'accordato da' nobili a tai plebei fu il dominio naturale de' campi, restando il civile
appo essi nobili, i quali soli furono i cittadini delle città eroiche, e ne surse il
dominio eminente appo essi ordini, che furono le prime civili potestà, o sieno potestà
sovrane de' popoli; le quali tutte e tre queste spezie di domìni si formarono e si
distinsero col nascere di esse repubbliche, le quali, da per tutte le nazioni, con un'idea
spiegata in favellari diversi, si truovano essere state dette "repubbliche
erculee", ovvero di cureti, ossia di armati in pubblica ragunanza. E quindi si
schiariscono i princìpi del famoso "ius quiritium", che gl'interpetri della
romana ragione han creduto esser propio de' cittadini romani, perché negli ultimi tempi
tale lo era; ma ne' tempi antichi romani si truova essere stato diritto naturale di tutte
le genti eroiche. E quindi sgorgano, come da un gran fonte più fiumi, l'origine delle
città, che sursero sopra le famiglie non sol de' figliuoli ma anco de' famoli (onde si
truovarono naturalmente fondate sopra due comuni: uno di nobili che vi comandassero, altro
di plebei ch'ubbidissero; delle quali due parti si compone tutta la polizia, o sia la
ragione de' civili governi); le quali prime città, sopra le famiglie sol di figliuoli, si
dimostra che non potevano, né tali né di niuna sorta, affatto nascer nel mondo; -
l'origini degl'imperi pubblici, che nacquero dall'unione degl'imperi privati
paterni-sovrani nello stato delle famiglie; - l'origini della guerra e della pace, onde
tutte le repubbliche nacquero con la mossa dell'armi, e poi si composero con le leggi;
della qual natura di cose umane restò questa eterna propietà: che le guerre si fanno
perché i popoli vivano sicuri in pace; - l'origini de' feudi, perché con una spezie di
feudi rustici i plebei s'assoggettirono a' nobili, e con un'altra di feudi nobili, ovvero
armati, i nobili, ch'eran sovrani nelle loro famiglie, s'assoggettirono alla maggiore
sovranità de' lor ordini eroici; e si ritruova che sopra i feudi sono sempre surti al
mondo i reami de' tempi barbari, e se ne schiarisce la storia de' nuovi reami d'Europa,
surti ne' tempi barbari ultimi, i quali ci sono riusciti più oscuri de' tempi barbari
primi che Varrone diceva. Perché tai primi campi da' nobili furon dati a' plebei col peso
di pagarne loro la "decima" che fu detta "d'Ercole" appresso i greci,
ovvero "censo" (che si truova quello da Servio Tullio ordinato a' romani),
ovvero "tributo", il quale portava anco l'obbligazione di servir a propie spese
i plebei a' nobili nelle guerre, come pur ben si legge apertamente nella storia romana
antica. E quivi si scuopre l'origine del censo, che poi restò pianta delle repubbliche
popolari; la qual ricerca ci ha costo la maggior fatiga di tutte sulle cose romane, in
ritruovare la guisa come in questo si cangiò il censo di Servio Tullio, che si truoverà
essere stato la pianta delle antiche repubbliche aristocratiche; lo che ha fatto cadere
tutti in errore di credere Servio Tullio aver ordinato il censo pianta della
libertà popolare.
Dallo stesso principio esce l'origine de' commerzi, che, 'n cotal guisa qual abbiam detto,
cominciarono di beni stabili col cominciare d'esse città, che si dissero
"commerzi" da questa prima mercede che nacque al mondo, la quale gli eroi, con
tali campi, diedero a' famoli sotto la legge ch'abbiam detto di dover questi ad essoloro
servire; - l'origine degli erari, che si abbozzarono col nascere delle repubbliche, e poi
i propiamente detti da "æs æris", in senso di "danaio", s'intesero
con la necessità di somministrare dal pubblico il danaio a' plebei nelle guerre; -
l'origine delle colonie, che si truovano caterve, prima di contadini che servivano agli
eroi per lo sostentamento della lor vita, poi di vassalli che ne coltivavano per sé i
campi sotto i reali e personali pesi già divisati; le quali si appelleranno "colonie
eroiche mediterranee", a differenza delle oltramarine già sopra dette; - e,
finalmente, l'origini delle repubbliche, le quali nacquero al mondo di forma severissima
aristocratica, nelle quali i plebei non avevano niuna parte di diritto civile. E quindi si
ritruova il romano essere stato regno aristocratico, il quale cadde sotto la tirannia di
Tarquinio Superbo, il quale avea fatto pessimo governo de' nobili e spento quasi tutto il
senato; ché Giunio Bruto, il quale nel fatto di Lugrezia afferrò l'occasione di
commuovere la plebe contro i Tarquini e, avendo liberato Roma dalla tirannide, ristabilì
il senato e riordinò la repubblica sopra i suoi princìpi e, per un re a vita, con due
consoli annali, non introdusse la popolare, ma vi raffermò la libertà signorile. La qual
si truova che visse fin alla legge Publilia, con la quale Publilio Filone dittatore, detto
perciò "popolare", dichiarò la repubblica romana esser divenuta popolare di
stato, e spirò finalmente con la legge Petelia, la quale liberò affatto la plebe dal
diritto feudale rustico del carcere privato, ch'avevano i nobili sopra i plebei debitori:
sulle quali due leggi, che contengono i due maggiori punti della storia romana, non si è
punto riflettuto né da' politici né da' giureconsulti né dagl'interpetri eruditi della
romana ragione, per la favola della legge delle XII Tavole venuta da Atene libera per
ordinar in Roma la libertà popolare, la quale queste due leggi dichiarano essersi
ordinata in casa co' suoi naturali costumi (la qual favola si è scoverta ne' Princìpi
del Diritto universale, usciti molti anni fa dalle stampe). Laonde, perché le leggi si
deono interpetrare acconciamente agli stati delle repubbliche, da sì fatti princìpi di
governo romano si danno altri princìpi alla romana giurisprudenza.
La spada che s'appoggia al fascio dinota che 'l diritto eroico fu diritto della forza, ma
prevenuta dalla religione, la qual sola può tener in ufizio la forza e l'armi ove non
ancora si sono ritruovate (o, ritruovate, non hanno più luogo) le leggi giudiziarie; il
qual diritto è quell'appunto d'Achille, ch'è l'eroe cantato da Omero a' popoli della
Grecia in esemplo dell'eroica virtù, il qual riponeva tutta la ragione nell'armi. E qui
si scuopre l'origine de' duelli; i quali, come certamente si celebrarono ne' tempi barbari
ultimi, così egli si truova essersi praticati ne' tempi barbari primi, ne' quali non
erano ancor i potenti addimesticati di vendicare tra loro le offese e i torti con le leggi
giudiziarie, e si esercitavano con certi giudizi divini, ne' quali protestavano Dio
testimone e si richiamavano a Dio giudice dell'offesa, e dalla fortuna, qual fusse mai,
dell'abbattimento ne ossequiavano con tanta riverenza la dicisione che, se essa parte
oltraggiata vi cadesse mai vinta, riputavasi rea. Alto consiglio della provvedenza divina,
acciocché, in tempi barbari e fieri ne' quali non s'intendeva ragione, la stimassero
dall'avere propizio o contrario Dio, onde da tali guerre private non si seminassero guerre
ch'andassero a spegnere finalmente il gener umano; il quale natural senso barbaro non può
in altro rifondersi che nel concetto innato c'hanno gli uomini di essa provvedenza divina,
con la quale si devono conformare, ove vedano opprimersi i buoni e prosperarsi gli
scellerati. Per le quali cagioni tutte funne il duello creduto una spezie di purgazione
divina; onde, quanto oggi, in questa umanità, la quale con le leggi ha ordinato i giudizi
criminali e civili, sono vietati, tanto ne' tempi barbari furono creduti necessari i
duelli. In tal guisa ne' duelli, o sieno guerre private, si truova l'origine delle guerre
pubbliche, che le faccino le civili potestà, non ad altri soggette ch'a Dio, perché
Iddio le diffinisca con la fortuna delle vittorie, perché 'l gener umano riposasse sulla
certezza degli Stati civili: ch'è 'l principio della "giustizia esterna", che
dicesi, delle guerre.
La borsa pur sopra il fascio dimostra ch'i commerzi i quali si celebrano con danaio non
cominciarono che tardi - dopo fondati già gl'imperi civili; - talché la moneta coniata
non si legge in niuno de' due poemi d'Omero. Lo stesso geroglifico accenna l'origine di
esse monete coniate, la qual si truova provvenire da quelle dell'armi gentilizie, le quali
si scuoprono (come sopra se n'è alquanto accennato de' primieri campi d'armi) aver
significato diritti e ragioni di nobiltà appartenenti più ad una famiglia che ad altra;
onde poi nacque l'origine dell'imprese pubbliche, o sien insegne de' popoli, le quali poi
s'innalberarono nell'insegne militari (e se ne serve, come di parole mute, la militar
disciplina), e finalmente diedero l'impronto per tutti i popoli alle monete. E qui si
danno altri princìpi alla scienza delle medaglie, e quindi altri alla scienza, che
dicono, del blasone; ch'è uno degli tre luoghi de' quali ci truoviamo soddisfatti della
Scienza nuova la prima volta stampata.
La bilancia dopo la borsa dà a divedere che, dopo i governi aristocratici, che furono
governi eroici, vennero i governi umani, di spezie prima popolari; ne' qual' i popoli,
perché avevano già finalmente inteso la natura ragionevole (ch'è la vera natura umana)
esser uguale in tutti, da sì fatta ugualità naturale (per le cagioni che si meditano
nella storia ideal eterna e si rincontrano appuntino nella romana) trassero gli eroi,
tratto tratto, all'egualità civile nelle repubbliche popolari; la quale ci è significata
dalla bilancia, perché, come dicevano i greci, nelle repubbliche popolari tutto corre a
sorte o bilancia. Ma finalmente, non potendo i popoli liberi mantenersi in civile
egualità con le leggi per le fazioni de' potenti, e andando a perdersi con le guerre
civili, avvenne naturalmente che, per esser salvi, con una legge regia naturale la qual si
truova comune a tutti i popoli di tutti i tempi in tali Stati popolari corrotti (perché
la legge regia civile, che dicesi comandata dal popolo romano per legittimare la romana
monarchia nella persona d'Augusto, ella ne' Princìpi del Diritto universale si dimostra
esser una favola, la quale, con la favola ivi dimostrata della legge delle XII Tavole
venuta da Atene, sono due luoghi per li quali stimiamo non avere scritto inutilmente
quell'opera), con tal legge o più tosto costume naturale delle genti umane, vanno a
ripararsi sotto le monarchie, ch'è l'altra spezie degli umani governi. Talché queste due
forme ultime de' governi, che sono umani, nella presente umanità si scambiano
vicendevolmente tra loro; ma niuna delle due passano per natura in istati aristocratici,
ch'i soli nobili vi comandino e tutti gli altri vi ubbidiscano; onde son oggi rimaste al
mondo tanto rade le repubbliche de' nobili: in Germania, Norimberga; in Dalmazia, Ragugia;
in Italia, Vinegia, Genova e Lucca. Perché queste sono le tre spezie degli Stati che la
divina provvedenza, con essi naturali costumi delle nazioni, ha fatto nascere al mondo, e
con quest'ordine naturale succedono l'una all'altra; perché altre per provvedenza umana
di queste tre mescolate, perché essa natura delle nazioni non le sopporta, da Tacito (che
vidde gli effetti soli delle cagioni che qui si accennano e dentro ampiamente si
ragionano) son diffinite che "sono più da lodarsi che da potersi mai conseguire, e,
se per sorta ve n'hanno, non sono punto durevoli". Per la qual discoverta si danno
altri princìpi alla dottrina politica, non sol diversi ma affatto contrari a quelli che
se ne sono immaginati finora.
Il caduceo è l'ultimo de' geroglifici, per farci avvertiti ch'i primi popoli, ne' tempi
lor eroici ne' quali regnava il diritto natural della forza, si guardavano tra loro da
perpetui nimici, con continove rube e corseggi (e come, ne' tempi barbari primi, gli eroi
si recavano a titolo d'onore d'esser chiamati ladroni, così, a' tempi barbari ritornati,
d'esser i potenti detti corsali), perché, essendo le guerre eterne tra loro, non
bisognava intimarle; ma, venuti poi i governi umani, o popolari o monarchici, dal diritto
delle genti umane furon introdutti gli araldi ch'intimasser le guerre, e s'incominciarono
a finire l'ostilità con le paci. E ciò per alto consiglio della provvedenza divina,
perché, ne' tempi della loro barbarie, le nazioni che novelle al mondo dovevano
germogliare si stassero circoscritte dentro i loro confini, né, essendo feroci e
indomite, uscissero quindi a sterminarsi tra essolor con le guerre; ma poi che, con lo
stesso tempo, fussero cresciute e si truovassero insiememente addimesticate, e perciò
fatte comportevoli de' costumi l'une dall'altre, indi fusse facile a' popoli vincitori di
risparmiare la vita a' vinti con le giuste leggi delle vittorie.
Così questa Nuova Scienza, o sia la metafisica, al lume della provvedenza divina
meditando la comune natura delle nazioni, avendo scoverte tali origini delle divine ed
umane cose tralle nazioni gentili, ne stabilisce un sistema del diritto natural delle
genti, che procede con somma egualità e costanza per le tre età che gli egizi ci
lasciaron detto aver camminato per tutto il tempo del mondo corso loro dinanzi, cioè:
l'età degli dèi, nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi,
e ogni cosa essere lor comandata con gli auspìci e con gli oracoli, che sono le più
vecchie cose della storia profana; - l'età degli eroi, nella quale dappertutto essi
regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi riputata differenza di
superior natura a quella de' lor plebei; - e finalmente l'età degli uomini, nella quale
tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò vi si celebrarono prima le
repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forme di governi
umani, come poco sopra si è detto.
Convenevolmente a tali tre sorte di natura e governi, si parlarono tre spezie di lingue,
che compongono il vocabolario di questa Scienza: la prima, nel tempo delle famiglie, che
gli uomini gentili si erano di fresco ricevuti all'umanità; la qual si truova essere
stata una lingua muta per cenni o corpi ch'avessero naturali rapporti all'idee ch'essi
volevan significare; - la seconda si parlò per imprese eroiche, o sia per simiglianze,
comparazioni, immagini, metafore e naturali descrizioni, che fanno il maggior corpo della
lingua eroica, che si truova essersi parlata nel tempo che regnaron gli eroi; - la terza
fu la lingua umana per voci convenute da' popoli, della quale sono assoluti signori i
popoli, propia delle repubbliche popolari e degli Stati monarchici, perché i popoli dieno
i sensi alle leggi, a' quali debbano stare con la plebe anco i nobili; onde, appo tutte le
nazioni, portate le leggi in lingue volgari, la scienza delle leggi esce di mano a'
nobili, delle quali, innanzi, come di cosa sagra, appo tutte si truova che ne conservavano
una lingua segreta i nobili, i quali, pur da per tutte, si truova che furono sacerdoti:
ch'è la ragion natural dell'arcano delle leggi appo i patrizi romani, finché vi surse la
libertà popolare. Queste sono appunto le tre lingue che pur gli egizi dissero essersi
parlate innanzi nel loro mondo, corrispondenti a livello, così nel numero come
nell'ordine, alle tre età che nel loro mondo erano corse loro dinanzi: la geroglifica,
ovvero sagra o segreta, per atti muti, convenevole alle religioni, alle quali più importa
osservarle che favellarne; - la simbolica, o per somiglianze, qual testé abbiam veduto
essere stata l'eroica; - e finalmente la pistolare, o sia volgare, che serviva loro per
gli usi volgari della lor vita. Le quali tre lingue si truovano tra' caldei, sciti, egizi,
germani e tutte le altre nazioni gentili antiche; quantunque la scrittura geroglifica più
si conservò tra gli egizi, perché più lungo tempo che le altre furono chiusi a tutte le
nazioni straniere (per la stessa cagione onde si è truovata durare tuttavia tra'
chinesi), e quindi si forma una dimostrazione d'esser vana la lor immaginata lontanissima
antichità.
Però qui si danno gli schiariti princìpi come delle lingue così delle lettere,
d'intorno alle quali ha finora la filologia disperato, e se ne darà un saggio delle
stravaganti e mostruose oppenioni che se ne sono finor avute. L'infelice cagione di tal
effetto si osserverà ch'i filologi han creduto nelle nazioni esser nate prima le lingue,
dappoi le lettere; quando (com'abbiamo qui leggiermente accennato e pienamente si
pruoverà in questi libri) nacquero esse gemelle e caminarono del pari, in tutte e tre le
loro spezie, le lettere con le lingue. E tai princìpi si rincontrano appuntino nelle
cagioni della lingua latina, ritruovate nella Scienza nuova stampata la prima volta -
ch'è l'altro luogo degli tre onde di quel libro non ci pentiamo; - per le quali ragionate
cagioni si sono fatte tante discoverte dell'istoria, governo e diritto romano antico, come
in questi libri potrai, o leggitore, a mille pruove osservare. Al qual esemplo, gli
eruditi delle lingue orientali, greca e, tralle presenti, particolarmente della tedesca,
ch'è lingua madre, potranno fare discoverte d'antichità fuori d'ogni loro e nostra
aspettazione.
Principio di tal'origini e di lingue e di lettere si truova essere stato ch'i primi popoli
della gentilità, per una dimostrata necessità di natura, furon poeti, i quali parlarono
per caratteri poetici; la qual discoverta, ch'è la chiave maestra di questa Scienza, ci
ha costo la ricerca ostinata di quasi tutta la nostra vita letteraria, perocché tal
natura poetica di tai primi uomini, in queste nostre ingentilite nature, egli è affatto
impossibile immaginare e a gran pena ci è permesso d'intendere. Tali caratteri si
truovano essere stati certi generi fantastici (ovvero immagini, per lo più di sostanze
animate o di dèi o d'eroi, formate dalla lor fantasia), ai quali riducevano tutte le
spezie o tutti i particolari a ciascun genere appartenenti; appunto come le favole de'
tempi umani, quali sono quelle della commedia ultima, sono i generi intelligibili, ovvero
ragionati dalla moral filosofia, de' quali i poeti comici formano generi fantastici
(ch'altro non sono l'idee ottime degli uomini in ciascun suo genere), che sono i
personaggi delle commedie. Quindi sì fatti caratteri divini o eroici si truovano essere
state favole, ovvero favelle vere; e se ne scuoprono l'allegorie, contenenti sensi non
già analoghi ma univoci, non filosofici ma istorici di tali tempi de' popoli della
Grecia. Di più, perché tali generi (che sono, nella lor essenza, le favole) erano
formati da fantasie robustissime, come d'uomini di debolissimo raziocinio, se ne scuoprono
le vere sentenze poetiche, che debbon essere sentimenti vestiti di grandissime passioni, e
perciò piene di sublimità e risveglianti la maraviglia. Inoltre, i fonti di tutta la
locuzion poetica si truovano questi due, cioè povertà di parlari e necessità di
spiegarsi e di farsi intendere; da' quali proviene l'evidenza della favella eroica, che
immediatamente succedette alla favella mutola per atti o corpi ch'avessero naturali
rapporti all'idee che si volevan significare, la quale ne' tempi divini si era parlata. E
finalmente, per tal necessario natural corso di cose umane, le lingue, appo gli assiri,
siri, fenici, egizi, greci e latini, si truovano aver cominciato da versi eroici, indi
passati in giambici, che finalmente si fermarono nella prosa; e se ne dà la certezza alla
storia degli antichi poeti, e si rende la ragione perché nella lingua tedesca,
particolarmente nella Slesia, provincia tutta di contadini, nascono naturalmente
verseggiatori, e nella lingua spagnuola, francese ed italiana i primi autori scrissero in
versi.
Da sì fatte tre lingue si compone il vocabolario mentale, da dar le propie significazioni
a tutte le lingue articolate diverse, e se ne fa uso qui sempre, ove bisogna. E nella
Scienza nuova la prima volta stampata se ne fa un pieno saggio particolare, ove se ne dà
essa idea: che dall'eterne propietà de' padri, che noi, in forza di questa Scienza,
meditammo aver quelli avuto nello stato delle famiglie e delle prime eroiche città nel
tempo che si formaron le lingue, se ne truovano le significazioni propie in quindeci
lingue diverse, così morte come viventi, nelle quali furono, ove da una ove da un'altra
propietà, diversamente appellati (ch'è 'l terzo luogo nel quale ci compiacciamo di quel
libro di già stampato). Un tal lessico si truova esser necessario per sapere la lingua
con cui parla la storia ideal eterna, sulla quale corrono in tempo le storie di tutte le
nazioni, e per potere con iscienza arrecare l'autorità da confermare ciò che si ragiona
in diritto natural delle genti, e quindi in ogni giurisprudenza particolare.
Con tali tre lingue - propie di tali tre età, nelle quali si celebrarono tre spezie di
governi, conformi a tre spezie di nature civili, che cangiano nel corso che fanno le
nazioni - si truova aver camminato con lo stess'ordine, in ciascun suo tempo, un'acconcia
giurisprudenza.
Delle quali si truova la prima essere stata una teologia mistica, che si celebrò nel
tempo ch'a' gentili comandavano i dèi; della quale furono sappienti i poeti teologi (che
si dicono aver fondato l'umanità gentilesca), ch'interpetravano i misteri degli oracoli,
i quali da per tutte le nazioni risposero in versi. Quindi si truova nelle favole essere
stati nascosti i misteri di sì fatta sapienza volgare; e si medita così nelle cagioni
onde poi i filosofi ebbero tanto disiderio di conseguire la sapienza degli antichi, come
nelle occasioni ch'essi filosofi n'ebbero di destarsi a meditare altissime cose in
filosofia e nelle comodità d'intrudere nelle favole la loro sapienza riposta. La seconda
si truova essere stata la giurisprudenza eroica, tutta scrupolosità di parole (della
quale si truova essere stato prudente Ulisse), la quale guardava quella che da'
giureconsulti romani fu detta "æquitas civilis" e noi diciamo "ragion di
Stato", per la quale, con le loro corte idee, estimarono appartenersi loro
naturalmente quello diritto, ch'era ciò, quanto e quale si fusse con le parole spiegato;
come pur tuttavia si può osservare ne' contadini ed altri uomini rozzi, i quali, in
contese di parole e di sentimenti, ostinatamente dicono la lor ragione star per essi nelle
parole. E ciò, per consiglio della provvedenza divina, acciocché gli uomini gentili, non
essendo ancor capaci d'universali, quali debbon esser le buone leggi, da essa
particolarità delle loro parole fussero tratti ad osservare le leggi universalmente; e se
per cotal equità in alcun caso riuscivan le leggi non solo dure ma anco crudeli,
naturalmente il sopportavano, perché naturalmente tale stimavano essere il loro diritto.
Oltreché, gli vi attirava ad osservarle un sommo privato interesse, che si truova aver
avuto gli eroi medesimato con quello delle loro patrie, delle quali essi soli erano
cittadini; onde non dubitavano, per la salvezza delle lor patrie, consagrare sé e le loro
famiglie alla volontà delle leggi, le quali, con la salvezza comune delle loro patrie,
mantenevano loro salvi certi privati regni monarchici sopra le loro famiglie. Altronde,
tal privato grande interesse, congionto col sommo orgoglio propio de' tempi barbari,
formava loro la natura eroica, dalla quale uscirono tante eroiche azioni per la salvezza
delle lor patrie. Con le quali eroiche azioni si componghino l'insopportabil superbia, la
profonda avarizia e la spietata crudeltà con la quale i patrizi romani antichi trattavano
gl'infelici plebei, come apertamente si leggono sulla storia romana nel tempo che lo
stesso Livio dice essere stata l'età della romana virtù e della più fiorente finor
sognata romana libertà popolare; e truoverassi che tal pubblica virtù non fu altro che
un buon uso che la provvedenza faceva di sì gravi, laidi e fieri vizi privati, perché si
conservassero le città ne' tempi che le menti degli uomini, essendo particolarissime, non
potevano naturalmente intendere ben comune. Per lo che si danno altri princìpi per
dimostrare l'argomento che tratta sant'Agostino, De virtute romanorum, e si dilegua
l'oppinione che da' dotti finor si è avuta dell'eroismo de' primi popoli. Sì fatta civil
equità si truova naturalmente celebrata dalle nazioni eroiche così in pace come in
guerra (e se n'arrecano luminosissimi esempli così della storia barbara prima come
dell'ultima); e da' romani essersi praticata privatamente finché fu quella repubblica
aristocratica, che si truova esserlo stata fin a' tempi delle leggi Publilia e Petelia,
ne' quali si celebrò tutta sulla legge delle XII Tavole.
L'ultima giurisprudenza fu dell'equità naturale, che regna naturalmente nelle repubbliche
libere, ove i popoli, per un bene particolare di ciascheduno, ch'è eguale in tutti, senza
intenderlo, sono portati a comandar leggi universali, e perciò naturalmente le disiderano
benignamente pieghevoli inverso l'ultime circostanze de' fatti che dimandano l'ugual
utilità; ch'è l'"æquum bonum", subbietto della giurisprudenza romana ultima,
la quale da' tempi di Cicerone si era incominciata a rivoltare all'editto del pretore
romano. È ella ancora, e forse anco più, connaturale alle monarchie, nelle qual'i
monarchi hanno avvezzati i sudditi ad attendere alle loro private utilità, avendosi essi
preso la cura di tutte le cose pubbliche, e vogliono tutte le nazioni soggette uguagliate
tra lor con le leggi, perché tutte sieno egualmente interessate allo Stato. Onde Adriano
imperadore riformò tutto il diritto naturale eroico romano col diritto naturale umano
delle provincie, e comandò che la giurisprudenza si celebrasse sull'Editto perpetuo, che
da Salvio Giuliano fu composto quasi tutto d'editti provinciali.
Ora - per raccogliere tutti i primi elementi di questo mondo di nazioni da' geroglifici
che gli significano - il lituo, l'acqua e 'l fuoco sopra l'altare, l'urna ceneraria dentro
le selve, l'aratro che s'appoggia all'altare e 'l timone prostrato a piè dell'altare,
significano la divinazione, i sagrifizi, le famiglie prima de' figliuoli, le seppolture,
la coltivazione de' campi e la division de' medesimi, gli asili, le famiglie appresso de'
famoli, le prime contese agrarie, e quindi le prime colonie eroiche mediterranee e, 'n
difetto di queste, l'oltramarine e, con queste, le prime trasmigrazioni de' popoli, esser
avvenute tutte nell'età degli dèi degli egizi, che, non sappiendo o traccurando,
"tempo oscuro" chiamò Varrone, come si è sopra avvisato; - il fascio significa
le prime repubbliche eroiche, la distinzione degli tre domini (cioè naturale, civile e
sovrano), i primi imperi civili, le prime alleanze ineguali accordate con la prima legge
agraria, per la quale si composero esse prime città sopra feudi rustici de' plebei, che
furono suffeudi di feudi nobili degli eroi, ch'essendo sovrani, divennero soggetti a
maggior sovranità di essi ordini eroici regnanti; - la spada che s'appoggia al fascio
significa le guerre pubbliche che si fanno da esse città, incominciate da rube innanzi e
corseggi (perché i duelli, ovvero guerre private, dovettero nascere molto prima, come qui
sarà dimostrato, dentro lo stato d'esse famiglie); - la borsa significa divise di
nobiltà o insegne gentilizie passate in medaglie, che furono le prime insegne de' popoli,
che quindi passarono in insegne militari e finalmente in monete, ch'accennano i commerzi
di cose anco mobili con danaio (perché i commerzi di robe stabili, con prezzi naturali di
frutti e fatighe, avevan innanzi cominciato fin da' tempi divini con la prima legge
agraria, sulla quale nacquero le repubbliche); - la bilancia significa le leggi
d'ugualità, che sono propiamente le leggi; - e finalmente il caduceo significa le guerre
pubbliche intimate, che si terminano con le paci. Tutti i quali geroglifici sono lontani
dall'altare, perché sono tutte cose civili de' tempi ne' quali andarono tratto tratto a
svanire le false religioni, incominciando dalle contese eroiche agrarie, le quali diedero
il nome all'età degli eroi degli egizi, che "tempo favoloso" chiamò Varrone.
La tavola degli alfabeti è posta in mezzo a' geroglifici divini ed umani, perché le
false religioni incominciaron a svanir con le lettere, dalle quali ebbero il principio le
filosofie; a differenza della vera, ch'è la nostra cristiana, la quale dalle più sublimi
filosofie, cioè dalla platonica e dalla peripatetica (in quanto con la platonica si
conforma), anco umanamente ci è confermata. Laonde tutta l'idea di quest'opera si può
chiudere in questa somma. Le tenebre nel fondo della dipintura sono la materia di questa
Scienza, incerta, informe, oscura, che si propone nella Tavola cronologica e nelle a lei
scritte Annotazioni. Il raggio del quale la divina provvedenza alluma il petto alla
metafisica sono le Dignità, le Diffinizioni e i Postulati, che questa Scienza si prende
per Elementi di ragionar i Princìpi co' quali si stabilisce e 'l Metodo con cui si
conduce: le quali cose tutte son contenute nel libro primo. Il raggio che da petto alla
metafisica si risparge nella statua d'Omero è la luce propia che si dà alla Sapienza
poetica nel libro secondo, dond'è il vero Omero schiarito nel libro terzo. Dalla
Discoverta del vero Omero vengono poste in chiaro tutte le cose che compongono questo
mondo di nazioni, dalle lor origini progredendo secondo l'ordine col quale al lume del
vero Omero n'escono i geroglifici: ch'è il Corso delle nazioni, che si ragiona nel libro
quarto; e, pervenute finalmente a' piedi della statua d'Omero, con lo stess'ordine
ricominciando, ricorrono: lo che si ragiona nel quinto ed ultimo libro.
E alla fin fine, per restrignere l'idea dell'opera in una somma brievissima, tutta la
figura rappresenta gli tre mondi secondo l'ordine col quale le menti umane della
gentilità da terra si sono al cielo levate. Tutti i geroglifici che si vedono in terra
dinotano il mondo delle nazioni, al quale prima di tutt'altra cosa applicarono gli uomini.
Il globo ch'è in mezzo rappresenta il mondo della natura, il quale poi osservarono i
fisici. I geroglifici che vi sono al di sopra significano il mondo delle menti e di Dio,
il quale finalmente contemplarono i metafisici.
TABELLA:
EBREI: Diluvio universale ANNI DEL MONDO: 1656
CALDEI: Zoroaste o regno de' Caldei (VII) ANNI DEL MONDO 1756
EGIZI: Dinastie in Egitto GRECI: Deucalione (XI)
EBREI Chiamata d'Abramo EGIZI: Mercurio Trimegisto il vecchio
ovvero età degli dei d'Egitto (XII) GRECI: Età dell'oro, ovvero età degli dei di Grecia
(XIII)
GRECI: Elleno, figliuolo di Deucalione, nipote di Prometeo,
pronipote di Giapeto, per tre suoi figliuoli sparge nella Grecia tre dialetti (XIV) ANNI
DEL MONDO 2082
GRECI: Cecrope egizio mena dodici colonie nell'Attica, delle
quali poi Teseo compose Atene (XV)
GRECI: Cadmo fenice fonda Tebe in Beozia, ed introduce in Grecia
le lettere volgari (XVI) ANNI DEL MONDO 2448
EBREI: Iddio dà la legge scritta a Mosè ROMANI: Sarturno,
ovvero l'età degli dei del Lazio (XVII) ANNI DEL MONDO 2491
EGIZI: Mercurio Trimegisto il giovane ovvero età degli eroi
d'Egitto (XVII) GRECI: Danao caccia gl'Inachidi dal regno d'Argo (XIX). Pelope frigio
regna nel Peloponneso ANNI DEL MONDO 2553
GRECI: Eraclidi sparsi per tutta Grecia, che vi fanno l'età
degli eroi. Cureti in Creta, Saturnia, ovvero Italia, ed in Asia, che vi fanno regni di
sacerdoti (XX) ROMANI: Aborigini ANNI DEL MONDO 2682
CALDEI: Nino regna con gli assiri ANNI DEL MONDO 2737
FENICI: Didone da Tiro va a fondare Cartagine (XXI)
FENICI: Tiro celebre per la navigazione e per le colonie GRECI:
Minosse re di Creta, primo legislatore delle genti e primo corsale dell'Egeo. ANNI DEL
MONDO 2752
GRECI: Orfeo, e con essolui l'età de' poeti teologi (XXII).
Ercole, con cui è al colmo il tempo eroico di Grecia (XXIII) ROMANI: Arcadi
CALDEI: Sancuniate scrive storie in lettere volgari (XXIV) GRECI:
Giasone dà principio alle guerre navali con quella di Ponto. Teseo fonda Atene e vi
ordina l'Areopago ROMANI: Ercole appo Evandro nel Lazio, ovvero età degli eroi d'Italia
ANNI DEL MONDO: 2800
GRECI: Guerra troiana (XXV) ANNI DEL MONDO 2820
GRECI: Errori degli eroi, ed in ispezie d'Ulisse e di Enea
ROMANI: Regno d'Alba ANNI DEL MONDO: 2830
EBREI: Regno di Saulle ANNI DEL MONDO 2909
EGIZI: Sesotride regna in Tebe (XXVI) GRECI: Colonie greche in
Asia, in Sicilia, in Italia (XXVII) ANNI DEL MONDO: 2949
GRECI: Ligurco dà le leggi a' Lacedemoni ANNI DEL MONDO: 3120
GRECI: Giuochi olimpici, prima ordinati da Ercole poi intermessi
e restituiti da Isifilo (XXVIII) ANNI DEL MONDO: 3223
ROMANI: Fondazione di Roma (XXIX) ANNI DI ROMA: 1
GRECI: Omero, il quale venne che non si eran ancor truovate le
lettere volgari, e 'l quale non vidde l'Egitto (XXX) ROMANI: Numa re. ANNI DEL MONDO: 3290
ANNI DI ROMA: 37
EGIZI: Psammetico apre l'Egitto a' soli greci di Inia e di Caria
(XXXI) GRECI: Esopo, moral filosofo volgare (XXXII) ANNI DEL MONDO: 3334
GRECI: Sette savi di Grecia: de' quali uno, Solone, ordina la
libertà popolare d'Atene: l'altro, Talete Milesio, dà incominciamento alla filosofia con
la fisica (XXXIII) ANNI DEL MONDO: 3406
CALDEI: Ciro regna in Assiria co' persiani GRECI: Pittagora, cui
vivo dice Livio che nemmeno il nome potè sapersi in Roma (XXXIV) ROMA: Servio Tullio re
(XXXV) ANNI DEL MONDO: 3468 ANNI DI ROMA: 225
GRECI: I Pisistratidi tiranni cacciati da Atene ANNI DEL MONDO:
3491
ROMANI: I Tarquini tiranni cacciati da Roma ANNI DEL MONDO: 3499
ANNI DI ROMA: 245
GRECI: Esiodo (XXXVI) Erodoto, Ippocrate (XXXVII) ANNI DEL MONDO: 3500
SCITI: Idantura re di Scizia (XXXVIII) GRECI: Guerra
peloponnesiaca. Tucidide, il qual scrive che fin a suo padre i greci non seppero nulla
delle antichità loro proprie; onde si diede a scrivere di cotal guerra (XXXIX) ANNI DEL
MONDO: 3530
GRECI: Socrate dà principio alla filosofia morale ragionata.
Platone fiorisce nella metafisica. Atene sfolgora di tutte l'arti della più colta
umanità (XL). ROMANI: Legge delle XII Tavole. ANNI DEL MONDO: 3553 ANNI DI ROMA:
303GRECIA: Senofonte, con portar l'armi greche nelle viscere della Persia, è 'l primo a
sapere con qualche certezza le cose persiane (XLI) ANNI DEL MONDO: 3583 ANNI DI ROMA: 333
ROMANI: Legge Pubilia (XLII) ANNI DEL MONDO: 3658 ANNI DI ROMA:
416
GRECI: Alessandro Magno rovescia nella Macedonia la monarchia
persiana; ed Aristotile, che vi si porta in persona, osserva ch'i greci innanzi avevano
detto favole delle cose dell'Oriente ANNI DEL MONDO: 3660
ROMANI: Legge Petelia (XLIII). ANNI DEL MONDO: 3661 ANNI DI ROMA:
419
ROMANI: Guerra di Taranto, ove s'incomincian a conoscer tra loro
i latini co' greci (XLIV) ANNI DEL MONDO: 3708 ANNI DI ROMA: 489
ROMANI: Guerra cartaginese seconda, da cui incomincia la storia
certa romana a Livio, il qual pur professa non saperne tre massime circostanze (XLV) ANNI
DEL MONDO: 3849 ANNI DI ROMA: 552 |