XXXIII |
Diventato un ciuchino vero, è portato a
vendere, e lo compra il direttore di una compagnia di pagliacci per insegnargli a ballare
e a saltare i cerchi; ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la
sua pelle un tamburo. |
Vedendo che la porta non si apriva, l'Omino la
spalancò con un violentissimo calcio: ed entrato che fu nella stanza, disse col suo
solito risolino a Pinocchio e a Lucignolo: |
- Bravi ragazzi! Avete ragliato
bene, e io vi ho subito riconosciuti alla voce. E per questo eccomi qui. |
A tali parole, i due ciuchini
rimasero mogi mogi, colla testa giù, con gli orecchi bassi e con la coda fra le gambe. |
Da principio l'Omino li lisciò,
li accarezzò, li palpeggiò: poi, tirata fuori la striglia, cominciò a strigliarli
perbene. |
E quando a furia di strigliarli,
li ebbe fatti lustri come due specchi, allora messe loro la cavezza e li condusse sulla
piazza del mercato, con la speranza di venderli e di beccarsi un discreto guadagno. |
E i compratori, difatti, non si
fecero aspettare. |
Lucignolo fu comprato da un
contadino, a cui era morto il somaro il giorno avanti, e Pinocchio fu venduto al direttore
di una compagnia di pagliacci e di saltatori di corda, il quale lo comprò per
ammaestrarlo e per farlo poi saltare e ballare insieme con le altre bestie della
compagnia. |
E ora avete capito, miei piccoli
lettori, qual era il bel mestiere che faceva l'Omino? Questo brutto mostriciattolo, che
aveva una fisionomia tutta latte e miele, andava di tanto in tanto con un carro a girare
per il mondo: strada facendo raccoglieva con promesse e con moine tutti i ragazzi
svogliati, che avevano a noia i libri e le scuole: e dopo averli caricati sul suo carro,
li conduceva nel Paese dei Balocchi, perché passassero tutto il loro tempo in giochi, in
chiassate e in divertimenti. Quando poi quei poveri ragazzi illusi, a furia di baloccarsi
sempre e di non studiare mai, diventavano tanti ciuchini, allora tutto allegro e contento
s'impadroniva di loro e li portava a vendere sulle fiere e sui mercati. E così in pochi
anni aveva fatto fior di quattrini ed era diventato milionario. |
Quel che accadesse di Lucignolo,
non lo so: so, per altro, che Pinocchio andò incontro fin dai primi giorni a una vita
durissima e strapazzata. |
Quando fu condotto nella stalla,
il nuovo padrone gli empì la greppia di paglia: ma Pinocchio, dopo averne assaggiata una
boccata, la risputò. |
Allora il padrone, brontolando,
gli empì la greppia di fieno: ma neppure il fieno gli piacque. |
- Ah! non ti piace neppure il
fieno? - gridò il padrone imbizzito. - Lascia fare, ciuchino bello, che se hai dei
capricci per il capo, penserò io a levarteli!... |
E a titolo di correzione, gli
affibbiò subito una frustata nelle gambe. |
Pinocchio dal gran dolore,
cominciò a piangere e a ragliare, e ragliando, disse: |
- ~J-a, j-a~, la paglia non la
posso digerire!... |
- Allora mangia il fieno! -
replicò il padrone che intendeva benissimo il dialetto asinino. |
- ~J-a, j-a~, il fieno mi fa
dolere il corpo!... |
- Pretenderesti, dunque, che un
somaro, par tuo, lo dovessi mantenere a petti di pollo e cappone in galantina? - soggiunse
il padrone arrabbiandosi sempre più e affibbiandogli una seconda frustata. |
A quella seconda frustata
Pinocchio, per prudenza, si chetò subito e non disse altro. |
Intanto la stalla fu chiusa e
Pinocchio rimase solo: e perché erano molte ore che non aveva mangiato cominciò a
sbadigliare dal grande appetito. E, sbadigliando, spalancava una bocca che pareva un
forno. |
Alla fine, non trovando altro
nella greppia, si rassegnò a masticare un po' di fieno: e dopo averlo masticato ben bene,
chiuse gli occhi e lo tirò giù. |
- Questo fieno non è cattivo, -
poi disse dentro di sé, - ma quanto sarebbe stato meglio che avessi continuato a
studiare!... A quest'ora, invece di fieno, potrei mangiare un cantuccio di pan fresco e
una bella fetta di salame!... Pazienza! |
La mattina dopo, svegliandosi,
cercò subito nella greppia un altro po' di fieno; ma non lo trovò perché l'aveva
mangiato tutto nella notte. |
Allora prese una boccata di
paglia tritata: ma in quel mentre che la masticava si dovè accorgere che il sapore della
paglia tritata non somigliava punto né al risotto alla milanese né ai maccheroni alla
napoletana. |
- Pazienza! - ripetè,
continuando a masticare. - Che almeno la mia disgrazia possa servire di lezione a tutti i
ragazzi disobbedienti e che non hanno voglia di studiare. Pazienza!... pazienza! |
- Pazienza un corno! - urlò il
padrone, entrando in quel momento nella stalla. - Credi forse, mio bel ciuchino, ch'io ti
abbia comprato unicamente per darti da bere e da mangiare? Io ti ho comprato perché tu
lavori e perché tu mi faccia guadagnare molti quattrini. Su, dunque, da bravo! Vieni con
me nel Circo, e là ti insegnerà a saltare i cerchi, a rompere col capo le botti di
foglio e a ballaré il valzer e la polca, stando ritto sulle gambe di dietro. |
Il povero Pinocchio, per amore o
per forza, dovè imparare tutte queste bellissime cose; ma, per impararle, gli ci vollero
tre mesi di lezioni, e molte frustate da levare il pelo. |
Venne finalmente il giorno, in
cui il suo padrone poté annunziare uno spettacolo veramente straordinario. I cartelloni
di vario colore, attaccati alle cantonate delle strade, dicevano cosi: |
Quella sera, come potete
figurarvelo, un'ora prima che cominciasse lo spettacolo, il teatro era pieno stipato. |
Non si trovava più né un posto
distinto, né un palco, nemmeno a pagarlo a peso d'oro. |
Le gradinate del Circo
formicolavano di bambini, di bambine e di ragazzi di tutte le età, che avevano la febbre
addosso per la smania di veder ballare il famoso ciuchino Pinocchio. |
Finita la prima parte dello
spettacolo, il direttore della compagnia, vestito in giubba nera, calzoni bianchi a coscia
e stivaloni di pelle fin sopra ai ginocchi, si presentò all'affollatissimo pubblico, e,
fatto un grande inchino, recitò con molta solennità il seguente spropositato discorso: |
"Rispettabile pubblico,
cavalieri e dame! L'umile sottoscritto essendo di passaggio per questa illustre
metropolitana, ho voluto procrearmi l'onore nonché il piacere di presentare a questo
intelligente e cospicuo uditorio un celebre ciuchino, che ebbe già l'onore di ballare al
cospetto di Sua Maestà l'Imperatore di tutte le Corti principali d'Europa. |
"E col ringraziandoli,
aiutateci della vostra animatrice presenza e compatiteci!" |
Questo discorso fu accolto da
molte risate e da molti applausi: ma gli applausi raddoppiarono e diventarono una specie
di uragano alla comparsa del ciuchino Pinocchio in mezzo al Circo. Egli era tutto
agghindato a festa. Aveva una briglia nuova di pelle lustra, con fibbie e borchie
d'ottone; due camelie bianche agli orecchi; la criniera divisa in tanti riccioli legati
con fiocchettini d'argento attraverso alla vita, e la coda tutta intrecciata con nastri di
velluto amaranto e celeste. Era, insomma, un ciuchino da innamorare! |
Il direttore, nel presentarlo al
pubblico, aggiunse queste parole: |
"Miei rispettabili
auditori! Non starò qui a farvi menzogne delle grandi difficoltà da me soppressate per
comprendere e soggiogare questo mammifero, mentre pascolava liberamente di montagna in
montagna nelle pianure della zona torrida. Osservate, vi prego, quanta selvaggina trasudi
dà suoi occhi, conciossiaché essendo riusciti vanitosi tutti i mezzi per addomesticarlo
al vivere dei quadrupedi civili, ho dovuto più volte ricorrere all'affabile dialetto
della frusta. Ma ogni mia gentilezza invece di farmi da lui benvolere, me ne ha
maggiormente cattivato l'animo. Io però, seguendo il sistema di Galles, trovai nel suo
cranio una piccola cartagine ossea che la stessa Facoltà Medicea di Parigi riconobbe
essere quello il bulbo rigeneratore dei capelli e della danza pirrica. E per questo io lo
volli ammaestrare nel ballo nonché nei relativi salti dei cerchi e delle botti foderate
di foglio. Ammiratelo, e poi giudicatelo! Prima però di prendere cognato da voi,
permettete, o signori, che io v'inviti al diurno spettacolo di domani sera: ma
nell'apoteosi che il tempo piovoso minacciasse acqua, allora lo spettacolo invece di
domani sera, sarà posticipato a domattina, alle ore undici antimeridiane del
pomeriggio". |
E qui il direttore fece un'altra
profondissima riverenza: quindi rivolgendosi a Pinocchio, gli disse: |
- Animo, Pinocchio!... Avanti di
dar principio ai vostri esercizi, salutate questo rispettabile pubblico, cavalieri, dame e
ragazzi! |
Pinocchio, ubbidiente, piegò
subito i due ginocchi davanti, fino a terra, e rimase inginocchiato fino a tanto che il
direttore, schioccando la frusta, non gli gridò: |
- Al passo! |
Allora il ciuchino si rizzò
sulle quattro gambe, e cominciò a girare intorno al Circo, camminando sempre di passo. |
Dopo un poco il direttore grido: |
- Al trotto! - e Pinocchio,
ubbidiente al comando, cambiò il passo in trotto. |
- Al galoppo!... - e Pinocchio
staccò il galoppo. |
- Alla carriera! - e Pinocchio
si dette a correre di gran carriera. |
Ma in quella che correva come un
barbero, il direttore, alzando il braccio in aria, scaricò un colpo di pistola. |
A quel colpo il ciuchino,
fingendosi ferito, cadde disteso nel Circo, come se fosse moribondo davvero. |
Rizzatosi da terra, in mezzo a
uno scoppio di applausi, d'urli e di battimani, che andavano alle stelle, gli venne
naturalmente di alzare la testa e di guardare in su... e guardando, vide in un palco una
bella signora, che aveva al collo una grossa collana d'oro, dalla quale pendeva un
medaglione. |
Nel medaglione c'era dipinto il
ritratto d'un burattino. |
- Quel ritratto è il mio!...
quella signora è la Fata! - disse dentro di sé Pinocchio, riconoscendola subito: e
lasciandosi vincere dalla gran contentezza, si provò a gridare: |
- Oh Fatina mia! oh Fatina mia! |
Ma invece di queste parole, gli
uscì dalla gola un raglio cosi sonoro e prolungato, che fece ridere tutti gli spettatori,
e segnatamente tutti i ragazzi che erano in teatro. |
Allora il direttore, per
insegnargli e per fargli intendere che non è buona creanza mettersi a ragliare in faccia
al pubblico, gli diè col manico della frusta una bacchettata sul naso. |
Il povero ciuchino, tirato fuori
un palmo di lingua, durò a leccarsi il naso almeno cinque minuti, credendo forse così di
rasciugarsi il dolore che aveva sentito. |
Ma quale fu la sua disperazione
quando, voltandosi in su una seconda volta, vide che il palco era vuoto e che la Fata era
sparita!... |
Si sentì come morire: gli occhi
gli si empirono di lacrime e cominciò a piangere dirottamente. Nessuno però se ne
accorse e, meno degli altri, il direttore, il quale, anzi, schioccando la frusta, gridò: |
- Da bravo, Pinocchio! Ora
farete vedere a questi signori con quanta grazia sapete saltare i cerchi. |
Pinocchio si provò due o tre
volte: ma ogni volta che arrivava davanti al cerchio, invece di attraversarlo, ci passava
più comodamente di sotto. Alla fine spiccò un salto e l'attraversò: ma le gambe di
dietro gli rimasero disgraziatamente impigliate nel cerchio: motivo per cui ricadde in
terra dall'altra parte tutto in un fascio. |
Quando si rizzò, era azzoppito,
e a malapena poté ritornare alla scuderia. |
- Fuori Pinocchio! Vogliamo il
ciuchino! Fuori il ciuchino! - gridavano i ragazzi dalla platea, impietositi e commossi al
tristissimo caso. |
Ma il ciuchino per quella sera
non si fece rivedere. |
La mattina dopo il veterinario,
ossia il medico delle bestie, quando l'ebbe visitato, dichiarò che sarebbe rimasto zoppo
per tutta la vita. |
Allora il direttore disse al suo
garzone di stalla: |
- Che vuoi tu che mi faccia d'un
somaro zoppo? Sarebbe un mangiapane a ufo. Portalo dunque in piazza e rivendilo. |
Arrivati in piazza, trovarono
subito il compratore, il quale domandò al garzone di stalla: |
- Quanto vuoi di cotesto
ciuchino zoppo? |
- Venti lire. |
- Io ti do venti soldi. Non
credere che io lo compri per servirmene: lo compro unicamente per la sua pelle. Vedo che
ha la pelle molto dura, e con la sua pelle voglio fare un tamburo per la banda musicale
del mio paese. |
Lascio pensare a voi, ragazzi,
il bel piacere che fu per il povero Pinocchio, quando sentì che era destinato a diventare
un tamburo! |
Fatto sta che il compratore,
appena pagati i venti soldi, condusse il ciuchino sopra uno scoglio ch'era sulla riva del
mare; e messogli un sasso al collo e legatolo per una zampa con una fune che teneva in
mano, gli diè improvvisamente uno spintone e lo gettò nell'acqua. |
Pinocchio, con quel macigno al
collo, andò subito a fondo; e il compratore, tenendo sempre stretta in mano la fune, si
pose a sedere sullo scoglio, aspettando che il ciuchino avesse tutto il tempo di morire
affogato, per poi levargli la pelle. |
XXXIV |
Pinocchio, gettato in mare, è mangiato
dai pesci e ritorna ad essere un burattino come prima; ma mentre nuota per salvarsi, è
ingoiato dal terribile Pesce-cane. |
Dopo cinquanta minuti che il ciuchino era sott'acqua,
il compratore disse, discorrendo da sé solo: |
- A quest'ora il mio povero ciuchino zoppo deve
essere bell'affogato. Ritiriamolo dunque su, e facciamo con la sua pelle questo bel
tamburo. |
E cominciò a tirare la fune, con la quale lo
aveva legato per una gamba: e tira, tira, tira, alla fine vide apparire a fior d'acqua...
indovinate? Invece di un ciuchino morto, vide apparire a fior d'acqua un burattino vivo
che scodinzolava come un'anguilla. |
Vedendo quel burattino di legno, il pover'uomo
credé di sognare e rimase lì intontito, a bocca aperta e con gli occhi fuori della
testa. |
Riavutosi un poco dal suo primo stupore, disse
piangendo e balbettando: |
- E il ciuchino che ho gettato in mare dov'è? |
- Quel ciuchino son io! - rispose il burattino,
ridendo. |
- Tu? |
- Io. |
- Ah! mariuolo! Pretenderesti forse burlarti di
me? |
- Burlarmi di voi? Tutt'altro, caro padrone: io
vi parlo sul serio. |
- Ma come mai tu, che poco fa eri un ciuchino,
ora, stando nell'acqua sei diventato un burattino di legno?... |
- Sarà effetto dell'acqua del mare. Il mare ne
fa di questi scherzi. |
- Bada, burattino, bada!... Non credere di
divertirti alle mie spalle. Guai a te, se mi scappa la pazienza. |
- Ebbene, padrone: volete sapere tutta la vera
storia? Scioglietemi questa gamba e io ve la racconterò. |
Quel buon pasticcione del compratore, curioso di
conoscere la vera storia, gli sciolse subito il nodo della fune, che lo teneva legato: e
allora Pinocchio, trovandosi libero come un uccello nell'aria prese a dirgli così: |
- Sappiate dunque che io ero un burattino di
legno come sono oggi: ma mi trovavo a tocco e non tocco di diventare un ragazzo, come in
questo mondo ce n'è tanti: se non che per la mia poca voglia di studiare e per dar retta
ai cattivi compagni, scappai di casa... e un bel giorno, svegliandomi, mi trovai cambiato
in un somaro con tanto di orecchi... e con tanto di coda!... Che vergogna fu quella per
me!... Una vergogna, caro padrone, che Sant'Antonio benedetto non la faccia provare
neppure a voi! Portato a vendere sul mercato degli asini, fui comprato dal Direttore di
una compagnia equestre, il quale si messe in capo di far di me un gran ballerino e un gran
saltatore di cerchi; ma una sera durante lo spettacolo, feci in teatro una brutta cascata,
e rimasi zoppo da tutt'e due le gambe. Allora il direttore non sapendo che cosa farsi d'un
asino zoppo, mi mandò a rivendere, e voi mi avete comprato! |
- Pur troppo! E ti ho pagato venti soldi. E ora
chi mi rende i miei poveri venti soldi? |
- E perché mi avete comprato? Voi mi avete
comprato per fare con la mia pelle un tamburo!... un tamburo!... |
- Pur troppo!... E ora dove troverò un'altra
pelle? |
- Non vi date alla disperazione, padrone. Dei
ciuchini ce n'è tanti, in questo mondo! |
- Dimmi, monello impertinente: e la tua storia
finisce qui? |
- No, - rispose il burattino, - ci sono altre
due parole, e poi è finita. Dopo avermi comprato, mi avete condotto in questo luogo per
uccidermi; ma poi, cedendo a un sentimento pietoso d'umanità, avete preferito di legarmi
un sasso al collo e di gettarmi in fondo al mare. Questo sentimento di delicatezza vi
onora moltissimo, e io ve ne serberò eterna riconoscenza. Per altro, caro padrone, questa
volta avete fatto i vostri conti senza la Fata... |
- E chi è questa Fata? |
- E la mia mamma, la quale somiglia a tutte
quelle buone mamme, che vogliono un gran bene ai loro ragazzi e non li perdono mai
d'occhio, e li assistono amorosamente in ogni disgrazia, anche quando questi ragazzi, per
le loro scapataggini e per i loro cattivi portamenti, meriterebbero di essere abbandonati
e lasciati in balia a se stessi. Dicevo, dunque, che la buona Fata, appena mi vide in
pericolo di affogare, mandò subito intorno a me un branco infinito di pesci, i quali
credendomi davvero un ciuchino bell'e morto, cominciarono a mangiarmi! E che bocconi che
facevano! Non avrei mai creduto che i pesci fossero più ghiotti anche dei ragazzi! Chi mi
mangiò gli orecchi, chi mi mangiò il muso, chi il collo e la criniera, chi la pelle
delle zampe, chi la pelliccia della schiena... e fra gli altri, vi fu un pesciolino cosi
garbato, che si degnò perfino di mangiarmi la coda. |
- Da oggi in poi, - disse il compratore
inorridito, - faccio giuro di non assaggiar più carne di pesce. Mi dispiacerebbe troppo
di aprire una triglia o un nasello fritto e di trovargli in corpo una coda di ciuco! |
- Io la penso come voi, - replicò il burattino,
ridendo. - Del resto, dovete sapere che quando i pesci ebbero finito di mangiarmi tutta
quella buccia asinina, che mi copriva dalla testa ai piedi, arrivarono,- com'è naturale,
all'osso... o per dir meglio, arrivarono al legno, perché, come vedete, io son fatto di
legno durissimo. Ma dopo dati i primi morsi, quei pesci ghiottoni si accorsero subito che
il legno non era ciccia per i loro denti, e nauseati da questo cibo indigesto se ne
andarono chi in qua chi in là, senza voltarsi nemmeno a dirmi grazie... Ed eccovi
raccontato come qualmente voi, tirando su la fune, avete trovato un burattino vivo, invece
d'un ciuchino morto. |
- Io mi rido della tua storia, - gridò il
compratore imbestialito. - Io so che ho speso venti soldi per comprarti, e rivoglio i miei
quattrini. Sai che cosa farò? Ti porterò daccapo al mercato, e ti rivenderò a peso di
legno stagionato per accendere il fuoco nel caminetto. |
- Rivendetemi pure: io sono contento, - disse
Pinocchio. |
Ma nel dir cosi, fece un bel salto e schizzò in
mezzo all'acqua. E nuotando allegramente e allontanandosi dalla spiaggia, gridava al
povero compratore: |
- Addio, padrone; se avete bisogno di una pelle
per fare un tamburo, ricordatevi di me. |
E poi rideva e seguitava a nuotare: e dopo un
poco, rivoltandosi indietro, urlava più forte: |
- Addio, padrone: se avete bisogno di un po' di
legno stagionato, per accendere il caminetto, ricordatevi di me. |
Fatto sta che in un batter d'occhio si era tanto
allontanato, che non si vedeva quasi più: ossia, si vedeva solamente sulla superficie del
mare un puntolino nero, che di tanto in tanto rizzava le gambe fuori dell'acqua e faceva
capriole e salti, come un delfino in vena di buonumore. |
Intanto che Pinocchio nuotava alla ventura, vide
in mezzo al mare uno scoglio che pareva di marmo bianco: e su in cima allo scoglio, una
bella Caprettina che belava amorosamente e gli faceva segno di avvicinarsi. |
La cosa più singolare era questa: che la lana
della Caprettina, invece di esser bianca, o nera, o pallata di due colori, come quella
delle altre capre, era invece turchina, ma d'un color turchino sfolgorante, che rammentava
moltissimo i capelli della bella Bambina. |
Lascio pensare a voi se il cuore del povero
Pinocchio cominciò a battere più forte! Raddoppiando di forza e di energia si diè a
nuotare verso lo scoglio bianco: ed era già a mezza strada, quando ecco uscir fuori
dall'acqua e venirgli incontro una orribile testa di mostro marino, con la bocca
spalancata, come una voragine, e tre filari di zanne che avrebbero fatto paura anche a
vederle dipinte. |
E sapete chi era quel mostro marino? |
Quel mostro marino era né più né meno quel
gigantesco Pesce-cane, ricordato più volte in questa storia, e che per le sue stragi e
per la sua insaziabile voracità, veniva soprannominato "l'Attila dei pesci e dei
pescatori". |
Immaginatevi lo spavento del povero Pinocchio
alla vista del mostro. Cerco di scansarlo, di cambiare strada: cercò di fuggire: ma
quella immensa bocca spalancata gli veniva sempre incontro con la velocità di una saetta. |
- Affrettati, Pinocchio, per carità! - gridava
belando la bella Caprettina. |
E Pinocchio nuotava disperatamente con le
braccia, col petto, con le gambe e coi piedi. |
- Corri, Pinocchio, perché il mostro si
avvicina! |
E Pinocchio, raccogliendo tutte le sue forze,
raddoppiava di lena nella corsa. |
- Bada, Pinocchio!... il mostro ti raggiunge!...
Eccolo!... Eccolo!... Affrettati per carità, o sei perduto!... |
E Pinocchio a nuotar più lesto che mai, e via,
e via, e via, come andrebbe una palla di fucile. E già era presso lo scoglio, e già la
Caprettina, spenzolandosi tutta sul mare, gli porgeva le sue zampine davanti per aiutarlo
a uscire dall'acqua! |
Ma oramai era tardi! Il mostro lo aveva
raggiunto: il mostro, tirando il fiato a sé, si bevve il povero burattino, come avrebbe
bevuto un uovo di gallina: e lo inghiottì con tanta violenza e con tanta avidità, che
Pinocchio, cascando giù in corpo al Pesce-cane, battè un colpo cosi screanzato, da
restarne sbalordito per un quarto d'ora. |
Quando ritornò in sé da quello sbigottimento,
non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c'era da ogni
parte un gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col
capo in un calamaio pieno d'inchiostro. Stette in ascolto e non senti nessun rumore:
solamente di tanto in tanto sentiva battersi nel viso alcune grandi buffate di vento. Da
principio non sapeva intendere da dove quel vento uscisse: ma poi capì che usciva dai
polmoni del mostro. Perché bisogna sapere che il Pesce-cane soffriva moltissimo d'asma, e
quando respirava, pareva proprio che tirasse la tramontana. |
Pinocchio, sulle prime, s'ingegnò di farsi un
poco di coraggio: ma quand'ebbe la prova e la riprova di trovarsi chiuso in corpo al
mostro marino allora cominciò a piangere e a strillare: e piangendo diceva: |
- Aiuto! aiuto! Oh povero me! Non c'è nessuno
che venga a salvarmi? |
- Chi vuoi che ti salvi, disgraziato?... - disse
in quel buio una vociaccia fessa di chitarra scordata. |
- Chi è che parla cosi? - domandò Pinocchio,
sentendosi gelare dallo spavento. |
- Sono io! sono un povero Tonno, inghiottito dal
Pesce-cane insieme con te. E tu che pesce sei? |
- Io non ho che vedere nulla coi pesci. Io sono
un burattino. |
- E allora, se non sei un pesce, perché ti sei
fatto inghiottire dal mostro? |
- Non son io, che mi son fatto inghiottire: gli
è lui che mi ha inghiottito! Ed ora che cosa dobbiamo fare qui al buio?... |
- Rassegnarsi e aspettare che il Pesce-cane ci
abbia digeriti tutt'e due!... |
- Ma io non voglio esser digerito! - urlò
Pinocchio, ricominciando a piangere. |
- Neppure io vorrei esser digerito, - soggiunse
il Tonno, - ma io sono abbastanza filosofo e mi consolo pensando che, quando si nasce
Tonni, c'è più dignità a morir sott'acqua che sott'olio!... |
- Scioccherie! - gridò Pinocchio. |
- La mia è un'opinione, - replicò il Tonno, -
e le opinioni, come dicono i Tonni politici, vanno rispettate! |
- Insomma... io voglio andarmene di qui... io
voglio fuggire... |
- Fuggi, se ti riesce!... |
- è molto grosso questo Pesce-cane che ci ha
inghiottiti? - domandò il burattino. |
- Figurati che il suo corpo è più lungo di un
chilometro, senza contare la coda. |
Nel tempo che facevano questa conversazione al
buio, parve a Pinocchio di veder lontan lontano una specie di chiarore. |
- Che cosa sarà mai quel lumicino lontano
lontano? - disse Pinocchio. |
- Sarà qualche nostro compagno di sventura, che
aspetterà come noi il momento di esser digerito!.... |
- Voglio andare a trovarlo. Non potrebbe darsi
il caso che fosse qualche vecchio pesce capace di insegnarmi la strada per fuggire? |
- Io te l'auguro di cuore, caro burattino. |
- Addio, Tonno. |
- Addio, burattino; e buona fortuna. |
- Dove ci rivedremo?... |
- Chi lo sa?... è meglio non pensarci neppure! |
|
XXXV |
Pinocchio ritrova in corpo al
Pesce-cane... Chi ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete. |
Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo
buon amico Tonno, si mosse brancolando in mezzo a quel buio, e cominciò a camminare a
tastoni dentro il corpo del Pesce-cane, avviandosi un passo dietro l'altro verso quel
piccolo chiarore che vedeva baluginare lontano lontano. |
E nel camminare sentì che i suoi piedi
sguazzavano in una pozzanghera d'acqua grassa e sdrucciolona, e quell'acqua sapeva di un
odore così acuto di pesce fritto che gli pareva di essere a mezza quaresima. |
E più andava avanti, e più il chiarore si
faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu
arrivato... che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola
apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde,
e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata,
il quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte
mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca. |
A quella vista il povero Pinocchio ebbe
un'allegrezza così grande e così inaspettata, che ci mancò un ette non cadesse in
delirio. Voleva ridere, voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava
confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate. Finalmente gli riuscì di
cacciar fuori un grido di gioia e spalancando le braccia e gettandosi al collo del
vecchietto, cominciò a urlare: |
- Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato!
Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più! |
- Dunque gli occhi mi dicono il vero? - replicò
il vecchietto stropicciandosi gli occhi, - Dunque tu sé proprio il mì caro Pinocchio? |
- Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete
digià perdonato, non è vero? Oh! babbino mio, come siete buono!... e pensare che io,
invece... Oh! ma se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul capo e quante cose mi son
andate per traverso! Figuratevi che il giorno che voi, povero babbino, col vendere la
vostra casacca mi compraste l'Abbecedario per andare a scuola, io scappai a vedere i
burattini, e il burattinaio mi voleva mettere sul fuoco perché gli cocessi il montone
arrosto, che fu quello poi che mi dette cinque monete d'oro, perché le portassi a voi, ma
io trovai la Volpe e il Gatto, che mi condussero all'osteria del Gambero Rosso dove
mangiarono come lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a
corrermi dietro, e io via, e loro dietro, e io via e loro sempre dietro, e io via, finché
m'impiccarono a un ramo della Quercia grande, dovecché la bella Bambina dai capelli
turchini mi mandò a prendere con una carrozzina, e i medici, quando m'ebbero visitato,
dissero subito: "Se non è morto, è segno che è sempre vivo", e allora mi
scappò detto una bugia, e il naso cominciò a crescermi e non mi passava più dalla porta
di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete
d'oro, che una l'avevo spesa all'osteria, e il pappagallo si messe a ridere, e viceversa
di duemila monete non trovai più nulla, la quale il giudice quando seppe che ero stato
derubato, mi fece subito mettere in prigione, per dare una soddisfazione ai ladri, di
dove, col venir via, vidi un bel grappolo d'uva in un campo, che rimasi preso alla
tagliola e il contadino di santa ragione mi messe il collare da cane perché facessi la
guardia al pollaio, che riconobbe la mia innocenza e mi lasciò andare, e il Serpente,
colla coda che gli fumava, cominciò a ridere e gli si strappò una vena sul petto e cosi
ritornai alla Casa della bella Bambina, che era morta, e il Colombo vedendo che piangevo
mi disse: "Ho visto il tù babbo che si fabbricava una barchettina per venirti a
cercare", e io gli dissi: "Oh! se avessi l'ali anch'io", e lui mi disse:
"Vuoi venire dal tuo babbo?", e io gli dissi: "Magari! ma chi mi ci
porta", e lui mi disse: "Ti ci porto io", e io gli dissi:
"Come?", e lui mi disse: "Montami sulla groppa", e così abbiamo
volato tutta la notte, e poi la mattina tutti i pescatori che guardavano verso il mare mi
dissero: "C'è un pover'uomo in una barchetta che sta per affogare", e io da
lontano vi riconobbi subito, perché me lo diceva il core, e vi feci cenno di tornare alla
spiaggia... |
- Ti riconobbi anch'io, - disse Geppetto, - e sarei
volentieri tornato alla spiaggia: ma come fare? Il mare era grosso e un cavallone
m'arrovesciò la barchetta. Allora un orribile Pesce-cane che era lì vicino, appena
m'ebbe visto nell'acqua corse subito verso di me, e tirata fuori la lingua, mi prese pari
pari, e m'inghiottì come un tortellino di Bologna. |
- E quant'è che siete chiuso qui dentro? -
domandò Pinocchio. |
- Da quel giorno in poi, saranno oramai due
anni: due anni, Pinocchio mio, che mi son parsi due secoli! |
- E come avete fatto a campare? E dove avete
trovata la candela? E i fiammiferi per accenderla, chi ve li ha dati? |
- Ora ti racconterò tutto. Devi dunque sapere
che quella medesima burrasca, che rovesciò la mia barchetta, fece anche affondare un
bastimento mercantile. I marinai si salvarono tutti, ma il bastimento colò a fondo e il
solito Pesce-cane, che quel giorno aveva un appetito eccellente, dopo aver inghiottito me,
inghiottì anche il bastimento... |
- Come? Lo inghiottì tutto in un boccone?... -
domandò Pinocchio maravigliato. |
- Tutto in un boccone: e risputò solamente
l'albero maestro, perché gli era rimasto fra i denti come una lisca. Per mia gran
fortuna, quel bastimento era carico di carne conservata in cassette di stagno, di
biscotto, ossia di pane abbrostolito, di bottiglie di vino, d'uva secca, di cacio, di
caffè, di zucchero, di candele steariche e di scatole di fiammiferi di cera. Con tutta
questa grazia di Dio ho potuto campare due anni: ma oggi sono agli ultimi sgoccioli: oggi
nella dispensa non c'è più nulla, e questa candela, che vedi accesa, è l'ultima candela
che mi sia rimasta... |
- E dopo?... |
- E dopo, caro mio, rimarremo tutt'e due al
buio. |
- Allora, babbino mio, - disse Pinocchio, - non
c'è tempo da perdere. Bisogna pensar subito a fuggire... |
- A fuggire?... e come? |
- Scappando dalla bocca del Pesce-cane e
gettandosi a nuoto in mare. |
- Tu parli bene: ma io, caro Pinocchio, non so
nuotare. |
- E che importa?... Voi mi monterete a
cavalluccio sulle spalle e io, che sono un buon nuotatore, vi porterò sano e salvo fino
alla spiaggia. |
- Illusioni, ragazzo mio! - replicò Geppetto,
scotendo il capo e sorridendo malinconicamente. - Ti par egli possibile che un burattino,
alto appena un metro, come sei tu, possa aver tanta forza da portarmi a nuoto sulle
spalle? |
- Provatevi e vedrete! A ogni modo, se sarà
scritto in cielo che dobbiamo morire, avremo almeno la gran consolazione di morire
abbracciati insieme. |
E senza dir altro, Pinocchio prese in mano la
candela, e andando avanti per far lume, disse al suo babbo: |
- Venite dietro a me, e non abbiate paura. E
così camminarono un bel pezzo, e traversarono tutto il corpo e tutto lo stomaco del
Pesce-cane. Ma giunti che furono al punto dove cominciava la gran gola del mostro,
pensarono bene di fermarsi per dare un'occhiata e cogliere il momento opportuno alla fuga. |
Ora bisogna sapere che il Pesce-cane, essendo
molto vecchio e soffrendo d'asma e di palpitazione di cuore, era costretto a dormir a
bocca aperta: per cui Pinocchio, affacciandosi al principio della gola e guardando in su,
poté vedere al di fuori di quell'enorme bocca spalancata un bel pezzo di cielo stellato e
un bellissimo lume di luna. |
- Questo è il vero momento di scappare, -
bisbigliò allora voltandosi al suo babbo. - Il Pescecane dorme come un ghiro: il mare è
tranquillo e ci si vede come di giorno. Venite dunque, babbino, dietro a me e fra poco
saremo salvi. |
Detto fatto, salirono su per la gola del mostro
marino, e arrivati in quell'immensa bocca cominciarono a camminare in punta di piedi sulla
lingua; una lingua così larga e così lunga, che pareva il viottolone d'un giardino. E
già stavano lì lì per fare il gran salto e per gettarsi a nuoto nel mare, quando, sul
più bello, il Pesce-cane starnutì, e nello starnutire, dette uno scossone così
violento, che Pinocchio e Geppetto si trovarono rimbalzati all'indietro e scaraventati
novamente in fondo allo stomaco del mostro. |
Nel grand'urto della caduta la candela si
spense, e padre e figliuolo rimasero al buio. |
- E ora?... - domandò Pinocchio facendosi
serio. |
- Ora ragazzo mio, siamo bell'e perduti. |
- Perché perduti? Datemi la mano, babbino, e
badate di non sdrucciolare!... |
- Dove mi conduci? |
- Dobbiamo ritentare la fuga. Venite con me e
non abbiate paura. |
Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la
mano: e camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro:
poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti. Prima però di fare
il gran salto, il burattino disse al suo babbo: |
- Montatemi a cavalluccio sulle spalle e
abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io. |
Appena Geppetto si fu accomodato per bene sulle
spalle del figliuolo, Pinocchio, sicurissimo del fatto suo, si gettò nell'acqua e
cominciò a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna splendeva in tutto il
suo chiarore e il Pesce-cane seguitava a dormire di un sonno così profondo, che non
l'avrebbe svegliato nemmeno una cannonata. |
|
XXXVI |
Finalmente Pinocchio cessa d'essere
un burattino e diventa un ragazzo. |
Mentre Pinocchio nuotava alla svelta per
raggiungere la spiaggia, si accorse che il suo babbo, il quale gli stava a cavalluccio
sulle spalle e aveva le gambe mezze nell'acqua, tremava fitto fitto, come se al pover'uomo
gli battesse la febbre terzana. |
Tremava di freddo o di paura? Chi lo sa? Forse
un po' dell'uno e un po' dell'altro. Ma Pinocchio, credendo che quel tremito fosse di
paura, gli disse per confortarlo: |
- Coraggio babbo! Fra pochi minuti arriveremo a
terra e saremo salvi. |
- Ma dov'è questa spiaggia benedetta? -
domandò il vecchietto diventando sempre più inquieto, e appuntando gli occhi, come fanno
i sarti quando infilano l'ago. - Eccomi qui, che guardo da tutte le parti, e non vedo
altro che cielo e mare. |
- Ma io vedo anche la spiaggia, - disse il
burattino. - Per vostra regola io sono come i gatti: ci vedo meglio di notte che di
giorno. |
Il povero Pinocchio faceva finta di essere di
buonumore: ma invece... Invece cominciava a scoraggiarsi: le forze gli scemavano, il suo
respiro diventava grosso e affannoso... insomma non ne poteva più, la spiaggia era sempre
lontana. |
Nuotò finché ebbe fiato: poi si voltò col
capo verso Geppetto, e disse con parole interrotte: |
- Babbo mio, aiutatemi... perché io muoio! E il
padre e il figliuolo erano oramai sul punto di affogare, quando udirono una voce di
chitarra scordata che disse: |
- Chi è che muore? |
- Sono io e il mio povero babbo!... |
- Questa voce la riconosco! Tu sei Pinocchio!... |
- Preciso: e tu? |
- Io sono il Tonno, il tuo compagno di prigionia
in corpo al Pesce-cane. |
- E come hai fatto a scappare? |
- Ho imitato il tuo esempio. Tu sei quello che
mi hai insegnato la strada, e dopo te, sono fuggito anch'io. |
- Tonno mio, tu capiti proprio a tempo! Ti prego
per l'amor che porti ai Tonnini tuoi figliuoli: aiutaci, o siamo perduti. |
- Volentieri e con tutto il cuore. Attaccatevi
tutt'e due alla mia coda, e lasciatevi guidare. In quattro minuti vi condurrò alla riva. |
Geppetto e Pinocchio, come potete immaginarvelo
accettarono subito l'invito: ma invece di attaccarsi alla coda, giudicarono più comodo di
mettersi addirittura a sedere sulla groppa del Tonno. |
- Siamo troppo pesi?... - gli domandò
Pinocchio. |
- Pesi? Neanche per ombra; mi par di avere
addosso due gusci di conchiglia, - rispose il Tonno, il quale era di una corporatura così
grossa e robusta, da parere un vitello di due anni. |
Giunti alla riva, Pinocchio saltò a terra il
primo, per aiutare il suo babbo a fare altrettanto; poi si voltò al Tonno, e con voce
commossa gli disse: |
- Amico mio, tu hai salvato il mio babbo! Dunque
non ho parole per ringraziarti abbastanza! Permetti almeno che ti dia un bacio in segno di
riconoscenza eterna!... |
Il Tonno cacciò il muso fuori dall'acqua, e
Pinocchio, piegandosi coi ginocchi a terra, gli posò un affettuosissimo bacio sulla
bocca. A questo tratto di spontanea e vivissima tenerezza, il povero Tonno, che non c'era
avvezzo, si sentì talmente commosso, che vergognandosi a farsi veder piangere come un
bambino, ricacciò il capo sott'acqua e sparì. |
Intanto s'era fatto giorno. |
Allora Pinocchio, offrendo il suo braccio a
Geppetto, che aveva appena il fiato di reggersi in piedi, gli disse: |
- Appoggiatevi pure al mio braccio, caro
babbino, e andiamo. Cammineremo pian pianino come le formicole, e quando saremo stanchi ci
riposeremo lungo la via. |
- E dove dobbiamo andare? - domandò Geppetto. |
- In cerca di una casa o d'una capanna, dove ci
diano per carità un boccon di pane e un po' di paglia che ci serva da letto. |
Non avevano ancora fatti cento passi, che videro
seduti sul ciglione della strada due brutti ceffi, i quali stavano lì in atto di chiedere
l'elemosina. |
Erano il Gatto e la Volpe: ma non si
riconoscevano più da quelli d'una volta. Figuratevi che il Gatto, a furia di fingersi
cieco, aveva finito coll'accecare davvero: e la Volpe invecchiata, intignata e tutta
perduta da una parte, non aveva più nemmeno la coda. Così è. Quella trista
ladracchiola, caduta nella più squallida miseria, si trovò costretta un bel giorno a
vendere perfino la sua bellissima coda a un merciaio ambulante, che la comprò per farsene
uno scacciamosche. |
- O Pinocchio, - gridò la Volpe con voce di
piagnisteo, - fai un po' di carità a questi due poveri infermi. |
- Infermi! - ripetè il Gatto. |
- Addio, mascherine! - rispose il burattino. -
Mi avete ingannato una volta, e ora non mi ripigliate più. |
- Credilo, Pinocchio, che oggi siamo poveri e
disgraziati davvero! |
- Davvero! - ripetè il Gatto. |
- Se siete poveri, ve lo meritate. Ricordatevi
del proverbio che dice: "I quattrini rubati non fanno mai frutto". Addio,
mascherine! |
- Abbi compassione di noi!... |
- Di noi!... |
- Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio
che dice: "La farina del diavolo va tutta in crusca". |
- Non ci abbandonare!... |
- ...are! - ripetè il Gatto. |
- Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio
che dice: "Chi ruba il mantello al suo prossimo, per il solito muore senza
camicia". |
E così dicendo, Pinocchio e Geppetto
seguitarono tranquillamente per la loro strada: finché, fatti altri cento passi, videro
in fondo a una viottola in mezzo ai campi una bella capanna tutta di paglia, e col tetto
coperto d'embrici e di mattoni. |
- Quella capanna dev'essere abitata da qualcuno,
- disse Pinocchio. - Andiamo là e bussiamo. |
Difatti andarono, e bussarono alla porta. |
- Chi è? - disse una vocina di dentro. |
- Siamo un povero babbo e un povero figliuolo,
senza pane e senza tetto, - rispose il burattino. |
- Girate la chiave, e la porta si aprirà, -
disse la solita vocina. |
Pinocchio girò la chiave, e la porta si apri.
Appena entrati dentro, guardarono di qua, guardarono di là, e non videro nessuno. |
- O il padrone della capanna dov'è? - disse
Pinocchio maravigliato. |
- Eccomi quassù! |
Babbo e figliuolo si voltarono subito verso il
soffitto, e videro sopra un travicello il Grillo-parlante: |
- Oh! mio caro Grillino, - disse Pinocchio
salutandolo garbatamente. |
- Ora mi chiami il "tuo caro
Grillino", non è vero? Ma ti rammenti di quando, per scacciarmi di casa tua, mi
tirasti un martello di legno?... |
- Hai ragione, Grillino! Scaccia anche me...
tira anche a me un martello di legno: ma abbi pietà del mio povero babbo... |
- Io avrò pietà del babbo e anche del
figliuolo: ma ho voluto rammentarti il brutto garbo ricevuto, per insegnarti che in questo
mondo, quando si può, bisogna mostrarsi cortesi con tutti, se vogliamo esser ricambiati
con pari cortesia nei giorni del bisogno. |
- Hai ragione, Grillino, hai ragione da vendere
e io terrò a mente la lezione che mi hai data. Ma mi dici come hai fatto a comprarti
questa bella capanna? |
- Questa capanna mi è stata regalata ieri da
una graziosa capra, che aveva la lana d'un bellissimo colore turchino. |
- E la capra dov'è andata? - |
- Non lo so. |
- E quando ritornerà?... - domandò Pinocchio,
con vivissima curiosità. |
- Non ritornerà mai. Ieri è partita tutta
afflitta, e, belando, pareva che dicesse: "Povero Pinocchio... oramai non lo rivedrò
più... il Pesce-cane a quest'ora l'avrà bell'e divorato!...". |
- Ha detto proprio così?... Dunque era lei!...
Era lei!... era la mia cara Fatina!... - cominciò a urlare Pinocchio, singhiozzando e
piangendo dirottamente. |
Quand'ebbe pianto ben bene, si rasciugò gli
occhi e, preparato un buon lettino di paglia, vi distese sopra il vecchio Geppetto. Poi
domandò al Grillo-parlante: |
- Dimmi, Grillino: dove potrei trovare un
bicchiere di latte per il mio povero babbo? |
- Tre campi distante di qui c'è l'ortolano
Giangio, che tiene le mucche. Và da lui e troverai il latte, che cerchi. |
Pinocchio andò di corsa a casa dell'ortolano
Giangio; ma l'ortoiano gli disse: |
- Quanto ne vuoi del latte? |
- Ne voglio un bicchiere pieno. |
- Un bicchiere di latte costa un soldo. Comincia
intanto dal darmi il soldo. |
- Non ho nemmeno un centesimo, - rispose
Pinocchio tutto mortificato e dolente. |
- Male, burattino mio, - replicò l'ortolano. -
Se tu non hai nemmeno un centesimo, io non ho nemmeno un dito di latte. |
- Pazienza! - disse Pinocchio e fece l'atto di
andarsene. |
- Aspetta un po', - disse Giangio. - Fra te e me
ci possiamo accomodare. Vuoi adattarti a girare il bindolo? |
- Che cos'è il bindolo? |
- Gli è quell'ordigno di legno, che serve a
tirar su l'acqua dalla cisterna, per annaffiare gli ortaggi. |
- Mi proverò... |
- Dunque, tirami su cento secchie d'acqua e io
ti regalerò in compenso un bicchiere di latte. |
- Sta bene. |
Giangio condusse il burattino nell'orto e
gl'insegnò la maniera di girare il bindolo. Pinocchio si pose subito al lavoro; ma prima
di aver tirato su le cento secchie d'acqua, era tutto grondante di sudore dalla testa ai
piedi. Una fatica a quel modo non l'aveva durata mai. |
- Finora questa fatica di girare il bindolo, -
disse l'ortolano, - l'ho fatta fare al mio ciuchino: ma oggi quel povero animale è in fin
di vita. |
- Mi menate a vederlo? - disse Pinocchio. |
- Volentieri. |
Appena che Pinocchio fu entrato nella stalla
vide un bel ciuchino disteso sulla paglia, rifinito dalla fame e dal troppo lavoro. |
Quando l'ebbe guardato fisso fisso, disse dentro
di sé, turbandosi: |
- Eppure quel ciuchino lo conosco! Non mi è
fisonomia nuova! |
E chinatosi fino a lui, gli domandò in dialetto
asinino: |
- Chi sei? |
A questa domanda, il ciuchino apri gli occhi
moribondi, e rispose balbettando nel medesimo dialetto: |
- Sono Lu...ci...gno...lo. |
E dopo richiuse gli occhi e spirò. |
- Oh! povero Lucignolo! - disse Pinocchio a
mezza voce: e presa una manciata di paglia, si rasciugò una lacrima che gli colava giù
per il viso. |
- Ti commovi tanto per un asino che non ti costa
nulla? - disse l'ortolano. - Che cosa dovrei far io che lo comprai a quattrini contanti? |
- Vi dirò... era un mio amico!... |
- Tuo amico? |
- Un mio compagno di scuola!... |
- Come?! - urlò Giangio dando in una gran
risata. - Come?! avevi dei somari per compagni di scuola!... Figuriamoci i belli studi che
devi aver fatto!... |
Il burattino, sentendosi mortificato da quelle
parole, non rispose: ma prese il suo bicchiere di latte quasi caldo, e se ne tornò alla
capanna. |
E da quel giorno in poi, continuò più di
cinque mesi a levarsi ogni mattina, prima dell'alba, per andare a girare il bindolo, e
guadagnare così quel bicchiere di latte, che faceva tanto bene alla salute cagionosa del
suo babbo. Né si contentò di questo: perché a tempo avanzato, imparò a fabbricare
anche i canestri e i panieri di giunco: e coi quattrini che ne ricavava, provvedeva con
moltissimo giudizio a tutte le spese giornaliere. Fra le altre cose, costruì da sé
stesso un elegante carrettino per condurre a spasso il suo babbo alle belle giornate, e
per fargli prendere una boccata d'aria. |
Nelle veglie poi della sera, si esercitava a
leggere e a scrivere. Aveva comprato nel vicino paese per pochi centesimi un grosso libro,
al quale mancavano il frontespizio e l'indice, e con quello faceva la sua lettura. Quanto
allo scrivere, si serviva di un fuscello temperato a uso penna; e non avendo né calamaio
né inchiostro, lo intingeva in una boccettina ripiena di sugo di more e di ciliege. |
Fatto sta, che con la sua buona volontà
d'ingegnarsi, di lavorare e di tirarsi avanti, non solo era riuscito a mantenere quasi
agiatamente il suo genitore sempre malaticcio, ma per di più aveva potuto mettere da
parte anche quaranta soldi per comprarsi un vestitino nuovo. |
Una mattina disse a suo padre: |
- Vado qui al mercato vicino, a comprarmi una
giacchettina, un berrettino e un paio di scarpe. Quando tornerò a casa, - soggiunse
ridendo, - sarò vestito così bene, che mi scambierete per un gran signore. |
E uscito di casa, cominciò a correre tutto
allegro e contento. Quando a un tratto sentì chiamarsi per nome: e voltandosi, vide una
bella Lumaca che sbucava fuori della siepe. |
- Non mi riconosci? - disse la Lumaca. |
- Mi pare e non mi pare... |
- Non ti ricordi di quella Lumaca, che stava per
cameriera con la Fata dai capelli turchini? Non ti rammenti di quella volta, quando scesi
a farti lume e che tu rimanesti con un piede confitto nell'uscio di casa? |
- Mi rammento di tutto, - gridò Pinocchio. -
Rispondimi subito, Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona Fata? Che fa? Mi ha
perdonato? Si ricorda sempre di me? Mi vuol sempre bene? E' molto lontana da qui? Potrei
andare a trovarla? |
A tutte queste domande fatte precipitosamente e
senza ripigliar fiato, la Lumaca rispose con la sua solita flemma: |
- Pinocchio mio! La povera Fata giace in un
fondo di letto allo spedale!... |
- Allo spedale?... |
- Pur troppo! Colpita da mille disgrazie, si è
gravemente ammalata e non ha più da comprarsi un boccon di pane. |
- Davvero?... Oh! Che gran dolore che mi hai
dato! Oh! povera Fatina! Povera Fatina! Povera Fatina!... Se avessi un milione, correrei a
portarglielo... Ma io non ho che quaranta soldi... eccoli qui: andavo giusto a comprarmi
un vestito nuovo. Prendili, Lumaca, e và a portarli subito alla mia buona Fata. |
- E il tuo vestito nuovo?... |
- Che m'importa del vestito nuovo? Venderei
anche questi cenci che ho addosso, per poterla aiutare! Và, Lumaca, spicciati: e fra due
giorni ritorna qui, che spero di poterti dare qualche altro soldo. Finora ho lavorato per
mantenere il mio babbo: da oggi in là, lavorerò cinque ore di più per mantenere anche
la mia buona mamma. Addio, Lumaca, e fra due giorni ti aspetto. |
La Lumaca, contro il suo costume, cominciò a
correre come una lucertola nei grandi solleoni d'agosto. |
Quando Pinocchio tornò a casa, il suo babbo gli
domandò: |
- E il vestito nuovo? |
- Non m'è stato possibile di trovarne uno che
mi tornasse bene. Pazienza!... Lo comprerò un'altra volta. |
Quella sera Pinocchio, invece di vegliare fino
alle dieci, vegliò fino alla mezzanotte suonata; e invece di far otto canestre di giunco
ne fece sedici. |
Poi andò a letto e si addormentò. E nel
dormire, gli parve di vedere in sogno la Fata, tutta bella e sorridente, la quale, dopo
avergli dato un bacio, gli disse così. |
- Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore,
io ti perdono tutte le monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che assistono
amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre
gran lode e grande affetto, anche se non possono esser citati come modelli d'ubbidienza e
di buona condotta. Metti giudizio per l'avvenire, e sarai felice. |
A questo punto il sogno finì, e Pinocchio si
svegliò con tanto d'occhi spalancati. |
Ora immaginatevi voi quale fu la sua maraviglia
quando, svegliandosi, si accorse che non era più un burattino di legno: ma che era
diventato, invece, un ragazzo come tutti gli altri. Dette un'occhiata all'intorno e invece
delle solite pareti di paglia della capanna, vide una bella camerina ammobiliata e
agghindata con una semplicità quasi elegante. Saltando giù dal letto, trovò preparato
un bel vestiario nuovo, un berretto nuovo e un paio di stivaletti di pelle, che gli
tornavano una vera pittura. |
Appena si fu vestito gli venne fatto
naturalmente di mettere la mani nelle tasche e tirò fuori un piccolo portamonete
d'avorio, sul quale erano scritte queste parole: "La Fata dai capelli turchini
restituisce al suo caro Pinocchio i quaranta soldi e lo ringrazia tanto del suo buon
cuore". Aperto il portamonete, invece dei quaranta soldi di rame, vi luccicavano
quaranta zecchini d'oro, tutti nuovi di zecca. |
Dopo andò a guardarsi allo specchio, e gli
parve d'essere un altro. Non vide più riflessa la solita immagine della marionetta di
legno, ma vide l'immagine vispa e intelligente di un bel fanciullo coi capelli castagni,
cogli occhi celesti e con un'aria allegra e festosa come una pasqua di rose. |
In mezzo a tutte queste meraviglie, che si
succedevano le une alle altre, Pinocchio non sapeva più nemmeno lui se era desto davvero
o se sognava sempre a occhi aperti. |
- E il mio babbo dov'è? - gridò tutt'a un
tratto: ed entrato nella stanza accanto trovò il vecchio Geppetto sano, arzillo e di
buonumore, come una volta, il quale, avendo ripreso subito la sua professione
d'intagliatore in legno, stava appunto disegnando una bellissima cornice ricca di
fogliami, di fiori e di testine di diversi animali. |
- Levatemi una curiosità, babbino: ma come si
spiega tutto questo cambiamento improvviso? - gli domandò Pinocchio saltandogli al collo
e coprendolo di baci. |
- Questo improvviso cambiamento in casa nostra
è tutto merito tuo, - disse Geppetto. |
- Perché merito mio?... |
- Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano
buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all'interno
delle loro famiglie. |
- E il vecchio Pinocchio di legno dove si sarà
nascosto? |
- Eccolo là, - rispose Geppetto; e gli accennò
un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le
braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un
miracolo se stava ritto. |
Pinocchio si voltò a guardarlo; e dopo che
l'ebbe guardato un poco, disse dentro di sé con grandissima compiacenza: |
Com'ero buffo, quand'ero un burattino!... e come
ora son contento di essere diventato un ragazzino perbene!... |