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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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LA SPOSA PERSIANA

Di: Carlo Goldoni

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ATTO QUARTO

 

Scena I

Tamas, tenendo per mano Curcuma.

 

Tamas:

Vieni qui, scellerata.

Curcuma:

Aiuto; io non so nulla;

Portatemi rispetto, che sono ancor fanciulla.

Tamas:

Presto: Ircana dov'è?

Curcuma:

Ve lo dirò, aspettate.

(Se gliela dico tutta, m'accoppa a bastonate) (da sé).

Tamas:

Dov'è Ircana, dich'io?

Curcuma:

Ircana? (tremante).

Tamas:

Oh me tapino!

Presto: me l’han rapita? (sdegnato).

Curcuma:

Eh, signor no: è in giardino.

Tamas:

Vanne a lei...

Curcuma:

Sì signore... (vuol partire).

Tamas:

Fermati.

Curcuma:

Ahimé! ci sono.

Tamas:

Anderò io a vedere (in atto di partire).

Curcuma:

Signor, chiedo perdono.

Tamas:

Come? non è in giardino?

Curcuma:

Non è (tremando).

Tamas:

Vecchia, m'inganni?

Curcuma:

Sempre mi dite vecchia, e non ho ancor trent'anni.

Tamas:

Io troncherò ben presto il corso a' giorni tuoi:

Ti ucciderò, ribalda.

Curcuma:

Via uccidetemi, e poi?...

Tamas:

Parla.

Curcuma:

Io non so nulla.

Tamas: Dov’è Ircana?

Curcuma:

Non so...

Tamas:

Non è più nel serraglio?

Curcuma:

Ho paura di no.

Tamas:

Ah indegna, scellerata: Ircana se ne andrà

Senza che tu lo sappia? (minacciandola).

Curcuma:

Eh signor, vi sarà.

Tamas:

Si, vi sarà; ma dove?

Curcuma:

Là dentro. (Oh me meschina!) (da sé).

Tamas:

Vado, se non la trovo, ti vo' conciar, bambina (in atto di partire).

Curcuma:

Eh sì, la troverete. (Oh se fuggir potessi!)

Tamas:

Ma non ti credo; olà (torna indietro, chiama gli eunuchi).

Curcuma:

(È meglio ch'io confessi).

Tamas:

Legatela colei (agli eunuchi).

Curcuma:

Ah signor...

Tamas:

Non tardate (agli eunuchi).

Curcuma:

Legate con modestia, le man non mi toccate (agli eunuchi).

Tamas:

Resti costei legata fin ch'io ritorni: vecchia,

Se Ircana non ritrovo, a morir ti apparecchia (parte).

Curcuma:

Signore... Ah sul mio dorso qualche flagello aspetto!

Mi ha fatta legar stretta, e poi vecchia mi ha detto.

Ma voi, cani arrabbiati, con tante corde rie

Perché queste legate tenere carni mie?

Tanti che pagherieno averle un po' toccate,

E voi, brutti visacci, così le strappazzate?

Ah se pietade avete di me, povera donna...

(un eunuco le parla all'orecchie).

Che dici sciagurato? Non è ver, non son nonna.

Non ho nemmen figliuoli, ma ben se scamperò

Fuori di questo imbroglio, spero che ne averò.

 

Scena II

Tamas, e detta.

 

Tamas:

Perfida! (furiosamente, con arma alla mano).

Curcuma:

Ahimé meschina!

Tamas: Presto a colei sien date

Sulle piante de' piedi trecento bastonate

Viva poi sotterrata fino alla gola, i cani

Vengano il capo indegno a lacerarle in brani.

Curcuma:

E poi...

Tamas:

Poi d'ingannarmi avrai finito, insana.

Curcuma:

E poi voi non saprete dove sia ita Ircana.

Tamas:

A forza di tormenti dir lo dovrai.

Curcuma:

Pazienza!

Ma son donna capace di dirvelo anche senza.

Tamas:

Presto

(gli eunuchi credendo dica a loro, vogliono legar Curcuma).

Curcuma:

Fermi bricconi, e ben, che cosa ci è?

Ei non l’ha detto a voi presto, l’ha detto a me.

Sì, signor, presto parlo; Ircana se n'è andata;

Machmut l’ha venduta, e Osmano l’ha comprata;

E quei, che l’han condotta a così bel mercato

Son questi scellerati, che mi hanno assassinato.

Tamas:

Ah traditori indegni!

(con un pugnale ferisce uno degli eunuchi, e tutti fuggono).

Curcuma:

(Affé, gli sta a dovere.

Ah se fuggir potessi!)

Tamas:

Perfida, in tuo potere

Non era il custodirla, difenderla, avvisarmi?

Il ciel nelle mie mani ti lasciò per sfogarmi (minacciandola).

Curcuma:

Ah ci sono!

 

Scena III

Alì, e detti.



Tamas:

Deh, amico, venite in mio soccorso.

Curcuma:

(Io non so, se ferita m'abbia la testa, o il dorso).

Tamas:

Ircana mia... (ad Alì)

.

Alì:

La vidi (parla confuso, come se fosse briaco).

Tamas:

Ohimé! da voi veduta?

Dove?

Alì:

Per via.

Tamas:

Ma quando?

Alì:

Ora.

Tamas:

Perché?

Alì:

Venduta.

Tamas:

Ah ciel! penar mi fate i cenni, e le parole.

L'oppio che rende audaci, instupidir poi suole.

Curcuma:

(Ah di me si scordasse!) (da sé)

Tamas:

Chi l’ha comprata?

Alì:

Osmano.

Tamas:

Chi la scorta?

Alì:

Due schiavi.

Tamas:

Colle catene?

Alì:

A mano.

Tamas:

Vado.

Curcuma:

(Sen va) (con letizia).

Tamas:

Deh, amico, pietà d'un uomo tradito.

Deh, non mi abbandonate; andiam.

Alì:

Sono stordito.

Tamas:

Maledetto sia l'oppio; solo ne andrò.

Curcuma:

(Buon viaggio.

Di me non si ricorda, quest'è un buon avantaggio) (da sé).

Tamas:

Perfida, non mi scordo: ripiglierem l'istoria (a Curcuma, e parte).

Curcuma:

Obligata davvero della buona memoria.

 

Scena IV

Alì, e Curcuma.

 

Alì:

Caffè (a Curcuma).

Curcuma:

Non mi guardate, portatemi rispetto.

Alì:

Tempo già fu; sei vecchia.

Curcuma: (Che tu sia maledetto!

Ma se m'ha detto vecchia, non vo' scandalizzarmi,

È amico del padrone, potrebbe anche giovarmi).

Sì, signor, ve lo porto (va prendere il caffè, e prima gli accomoda due guanciali nel mezzo della scena per sedere).

Alì:

Troppo ne ho trangugiato.

Ho dormito sei ore, né ben son risvegliato.

Desta il caffè, mi duole per Tamas, un amico

Dee seguitar... ma invano star in piè m'affatico

(s'alza, e poi torna a sedere).

Se oppio farò cotanto entrar per la mia gola

Mi toglierà col tempo il moto, e la parola.

È ver, che talor giova a noi dell'oppio l'uso,

Ma stolidi ci rende il replicato abuso.

Favole della Grecia agli Europei narrate,

Credo sieno i veleni amici a Mitridate.

Curcuma:

Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato

(Alì beve il caffè mentre ella ragiona),

E dalle caravane in Ispaan portato.

L'arabo certamente sempre è il caffè migliore,

Mentre spunta da un lato, mette dall'altro il fiore.

Nasce in pingue terreno, vuol ombra, e poco sol;

Piantare ogni tre anni l’arboscello si suole.

II frutto non è vero, che esser debba piccino,

Anzi deve esser grosso, basta sia verdolino.

Usarlo indi conviene di fresco macinato,

In luogo caldo, e asciutto con gelosia guardato.

Alì:

Caffè buono, e ben fatto (rendendo la tazza).

Curcuma:

A farlo vi vuol poco;

Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.

Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto,

Sei sette volte almeno, il caffè presto è fatto.

Alì:

Sciolti del tutto ancora i spirti miei non sono.

Recatemi tabacco.

Curcuma:

Signor, chiedo perdono.

Volete il kalïam?

Alì:

Sì il kalïam mi aggrada,

Curcuma:

(Per farmi un protettore vo cercando la strada;

E ver, che sperar posso qualche cosa dal merto,

Ma quel delle finezze è il segreto più certo) (parte).

Alì:

Tamas mi sta nel cuore; misero! in tal periglio

Non recargli un amico, né aiuto, né consiglio?

Di me che dirà mai? l'unico pregio antico

È del vero Persiano l'esser fedele amico.

Al par dell'Alcorano, che ci governa, e regge

Dell'ospitalitade si venera la legge;

Ed io, che son di lui ospite, e amico, e sono

Beneficato ancora, ingrato or l'abbandono (s'alza),

Cerchisi... O ciel! che miro? Tamas...

 

Scena V

Tamas, guidando Ircana, col ferro in mano, conducendola nel serraglio, e detto.

 

Tamas:

Andiam, mia vita (parte con Ircana correndo).

Alì:

Ecco l’amico vostro, eccomi in vostra aita...

Tutto di sangue è tinto, il misero infelice.

Vorrei... ma ad un amico là penetrar non lice

(vorrebbe seguitar Tamas, poi s'arresta).

 

Scena VI

Curcuma, e detto.

 

Curcuma:

Pietà, misericordia.

Alì:

Vecchia, che cosa è stato?

Curcuma:

Vecchia, quel, che volete, il padrone sdegnato

Minaccia, mi vuol morta; or ora viene qui,

A voi mi raccomando. Ihi, ihi, ihi (piangendo).

Alì:

Celati.

Curcuma:

E se mi trova?

ALI

A me lascia la cura.

Curcuma:

Ah non vorrei canuta venir per la paura (parte).

Alì:

Anche fra' suoi spaventi pensa all’irsute chiome.

Femina più che morte, odia di vecchia il nome.

 

 

Scena VII

Tamas, e detto.

 

Tamas:

Quell'indegna dov'è? Perfida! spera invano

Sottrarsi dalla morte, fuggir dalla mia mano.

Alì:

Perché cotanto sdegno contro una vecchia insana?

Tamas:

Ella con tradimento pose fra' lacci Ircana.

Alì:

La liberaste alfine.

Tamas: È ver, con mano ardita

Ricuperai la donna, ed arrischiai la vita.

Alì:

Di chi è il sangue, che nero, vi lorda e vesti, e mano?

Tamas:

Di due schiavi svenati del mio suocero Osmano.

Alì:

Egli lo sa?

Tamas:

Non vi era; ma avuti avrà gli avvisi

D'Ircana sprigionata, de' suoi custodi uccisi.

Alì:

La fierezza d'Osmano?...

Tamas:

Non la temo.

Alì:

Vedete: (guardando alla porta del serraglio)

Vuol femmina velata venir, se il concedete.

Tamas:

È Fatima colei?

Alì:

Fatima vostra sposa?

 

Tamas:

Quella, che agli occhi miei è più di morte odiosa.

Alì:

Par, che per me s'arresti (in atto di partire).

Tamas: Fermate.

Alì: No, sì ardito

Non son di dispiacere, o alla moglie, o al marito.

Permettete signore... (in atto di partire).

Tamas:

Peggio per lei se viene.

Alì:

A voi serbar prudenza, partire a me conviene (parte).

 

Scena VIII

Fatima, Tamas, poi Osmano colla sciabla alla mano.

 

 

Fatima:

Sposo?

Tamas:

Che cerchi?

Osmano:

Ah, mori... (drizzando un colpo a Tamas).

Tamas:

Nelle mie stanze?

Osmano:

Indegno!

Le stanze del Soffì non tratterrian mio sdegno.

Si, mori, scellerato (volendolo ferire).

Fatima: Ah caro padre! (si frappone).

Osmano:

Ah figlia!

Qual destin ti conduce? qual follia ti consiglia?

Scostati, forsennata; lascia, che l'empio mora,

O d'essere tuo padre potrò scordarmi ancora.

Fatima:

Scordati d'esser padre, ma Fatima non osa

Scordar con quel di figlia il bel nome di sposa.

Tamas:

Lascia che avvanzi il passo quell'aggressore ardito,

O io più facilmente mi scordo esser marito (a Fatima)

Fatima:

Ambi stendete il ferro, a me date la morte.

In me sfoghi lo sdegno il padre, ed il consorte.

Osmano:

Perfido! (avventandosi contro Tamas)

Fatima:

Ecco il mio petto (si pone dinanzi al padre).

Osmano:

Ingrata! (ritirandosi)

Tamas: (ad Osmano)

II colpo arresti?

I Tartari famosi, gli eroi persian son questi?

Eccomi: io non ti temo, odio ho per te, e dispetto;

Ruota quel ferro, audace, a piè fermo ti aspetto.

Osmano:

Perfido! insulti ancora? l'ira non ha più freno:

Scostati temeraria.. (a Fatima). Indegno! (contro Tamas).

Fatima: (come sopra)

Eccoti il seno.

Tamas:

E che t'arresta? Dimmi, l’amor di genitore,

O, di un giovine a fronte, il codardo timore?

Osmano:

Giuro a Maccon! tai onte ha da soffrire Osmano,

Che ben dodici volte fe' fuggir l'Ottomano,

Che fin su le pendici del Caucaso gelato

Frenò l'Indica gente, lo Scita ha debellato?

Odimi, figlia, e mi oda quel che ami a suo dispetto;

Dei seguaci di Marte l'onore anima il petto.

Mia figlia più non sei, se la mia gloria oscuri,

Se l'onte, e le minaccie del genitor procuri;

E se non sei più figlia, odio la tua pietade,

E sesso non rispetto, non rispetto l'etade.

L'ira, l'onor m'infiamma, tra gli insulti infierisco;

Parti, resta, frapponti, nulla mi cal, ferisco

(s'avventa contro Tamas).

Fatima:

Ohimè!

(sviene, e cade sui guanciali dove prima si è seduto Alì).

Osmano:

Sei tu ferita? morta sei tu caduta?

Tamas:

Né spenta, né ferita; è pel timore svenuta.

Osmano:

Mirala, cuor di tigre, mirala, in quale stato

La misera è ridotta per uno sposo ingrato!

Ohimè, che una tal vista l'alma mi opprime a segno,

Che ho i spirti confusi fra l’amore, e lo sdegno.

Mira un padre avvilito dall'amor d'una figlia.

A te qual nuovo eccesso la crudeltà consiglia?

Stupido la rimiri? né men cerchi un'aita,

Per ridonarle i spirti, per richiamarla in vita?

Perfido, se ti cale, ch'ella ti lasci, e mora,

Svenala, scellerato, svena suo padre ancora (getta la spada).

Tamas:

Di sangue non mi pasco, non son disumanato,

Non odio, che me stesso, io sono un disperato (parte).

Osmano:

Fatima, figlia; oh Numi! conosco or come fura

Tutti gli affetti a un padre l’affetto di natura.

Ecco la mia figliuola, eccolo il mio tesoro.

Gente, aita; chi porge a Fatima ristoro?

 

Scena IX

Curcuma, e detti.

 

Curcuma:

È partito?

Osmano:

Deh vieni.

Curcuma:

È partito il padrone?

Osmano:

Sì, soccorri la sposa.

Curcuma:

Che le ha fatto il guidone'?

Osmano:

Vedila, se respira; cuor non ho di mirarla.

Curcuma:

Eh sì, signore, è viva; sarà bene slacciarla.

Osmano:

Basti tu?

Curcuma:

Sì signore (oh queste gioie belle

Non mi escon dalle mani se mi cavan la pelle)

(leva le gioie a Fatima, e le ripone).

Osmano:

Non rinviene?

Curcuma:

Mi pare, ma con tal peso intorno

Rinvenir non potrebbe né meno in tutto il giorno

(seguita a cavarle le gioie).

 

Scena X

Machmut, e detti.

 

Machmut:

Stelle! Osmano?

Osmano:

Machmut, vedi mia figlia al suolo.

Machmut:

Morta?

Osmano:

No, tramortita per eccesso di duolo,

Machmut:

Tamas mio figlio io viddi da fier dolore oppresso.

Osmano:

Di Fatima l’affanno vien da tuo figlio istesso.

Ma s'ella non cadeva sugli occhi miei svenuta,

La testa di tuo figlio fora al mio piè caduta.

Machmut:

Di mio figlio?

Curcuma:

Signori, par che riprenda fiato.

(Rinvenga quando vuole, il meglio l’ho intascato).

Fatima:

Ohimè!

Osmano:

Figlia?

Fatima:

Consorte? (verso Machmut).

Machmut:

Il suocero son io.

Osmano:

Volgiti al genitore.

Fatima:

Dov'è lo sposo mio?

Osmano:

Pensa alla tua salute non a quell'alma ingrata.

Curcuma:

Con un po' di marito è bella, e risanata.

Fatima:

Tamas dov'è? (a Machmut).

Machmut:

Non lungi.

Fatima:

Vive? (ad Osmano).

Osmano:

Si, per tuo zelo,

Perché tu lo salvasti.

Fatima: Ah benedetto il cielo!

Benedetta la mano del genitor pietoso,

Che in grazia d'una figlia, ha salvato lo sposo,

Vive poi? Deh signore, Tamas, il caro figlio,

Respira, o langue, è in libertà, o in periglio? (a Machmut).

Machmut:

Si, respira, sta lieta.

Osmano:

Ancor l’ami cotanto?

Machmut:

Ira ho contro il mio figlio, e tu mi movi al pianto.

Curcuma:

In tant'anni, ch'io faccio di custode il mestiero

Quest'è la prima volta, che vedo un amor vero.

Fatima:

Dove son le mie gioie? (a Curcuma).

Curcuma:

Son qui, ve le ho serbate.

(Credea fra tanti affanni se le avesse scordate) (da sé).

Machmut:

Itene a riposare (a Fatima)

Fatima: Tamas?

Machmut:

Non dubitate,

A voi verrà fra poco.

Fatima:

Oh Dio! non m'ingannate.

Padre, suocero, io sono d'amor sì ardente, accesa,

Che già di lui mi scordo ogni onta, ed ogni offesa.

Io stessa non intendo, come in un giorno appena,

S'abbia per un oggetto a provar tanta pena;

Come improvvisa forza di mal inteso amore

Abbia da render dolci anche i disprezzi a un cuore.

Ma se di tal portento vera cagion non trovo,

Posso narrar gli effetti di quell'ardor, ch'io provo.

Tosto, che in me ragione si sprigionò, che in seno

Principiar le passioni a conoscere il freno

Piacquemi, che la madre, che la balia amorosa,

Mi dicesser sovente: figlia, sarai la sposa.

E più della coltura del viso, e delle chiome,

Mi piacea dello sposo sentir i priegi, e il nome.

Tamas m'avea invaghita, pria d'averlo veduto.

Tre lustri l’ho adorato, posso dir, sconosciuto;

E quando il giovinetto s'offerse al mio sembiante,

Principiai a godere, non ad essere amante.

Trista d'amor mercede, misera, ottenni, è vero;

Ma poco gel non scioglie fiamma del nume arciero.

L'onta, che in altra avrebbe il poco ardor scemato,

In me, d'amor ripiena, l'ha spinto, e l'ha aumentato;

E quanto del crudele crescea meco il rigore,

In me crescea la brama di guadagnargli il cuore.

Fino la sua diletta, fin la rivale audace,

Per non sdegnar lo sposo, vidi e soffersi in pace;

Colla speranza in petto, che l’anime consola,

Si cangierà col tempo, ed amerà me sola.

Ah genitor, col ferro, se non mi avevi allato,

Tutte le mie speranze, tu distruggevi, irato.

Misera figlia, e sposa, che far potea di meno,

Che offrir per il consorte al genitor il seno?

Morta sarei piuttosto, che vedova trovarmi,

Per quella mano istessa, che mi guidò a sposarmi.

L'onor, la tenerezza, l’amore, e la pietade,

La fralezza del sesso, e quella dell'etade

Mi tolsero ad un tratto il lume, e le parole,

Caddi, qual fior sul campo colto dai rai del sole.

II ciel mi serba in vita, e non mi serba invano,

Tamas darammi il cuore, come mi diè la mano.

Possibil [che] in vedermi pronta a morir per lui,

Non abbia a dir pentito: Fatima ingrato io fui?

Fatima, per me offristi alle ferite il petto

Eccoti in ricompensa qualche tenero affetto?

Si, mi basta anche un segno d'amor, di tenerezza;

Tutto contenta un'alma alle sventure avvezza.

Dimmi, sol, che non m'odi, dimmi ch'io sono... Oh Dio!

Padre, suocero, ah dite: dov'è lo sposo mio?

Perché tarda a vedermi? perché non vien l'ingrato?

Ohimè! Tamas sarebbe tradito, assassinato?

Che vive mi diceste. Creder lo deggio a voi,

Perdonate a una sposa l’ardir de' dubbi suoi.

L'amor è, che me rende impazïente ardita,

A rintracciar io stessa il mio ben, la mia vita (parte).

 

Scena XI

Machmut, Osmano, e Curcuma.

 

Machmut:

Seguila (a Curcuma).

Curcuma:

Sì, signore. Poverina, è pietosa;

Anch'io son per natura tenera, ed amorosa (parte).

Machmut:

Osmano, se ti lascio, forza è d'amore.

Osmano:

Io stesso

Teco verrò.

Machmut:

Fra donne non si chiede l’accesso.

Osmano:

V'è mia figlia.

Machmut:

E vi sono giovani schiave, ancelle.

Osmano:

E la perfida Ircana si asconderà fra quelle.

Machmut:

Nol so.

Osmano:

Sappilo, e rendi la schiava a me venduta,

O con quella del figlio temi la tua caduta.

Machmut:

Non minacciate, Osmano, ché alle minaccie avvezzo

Machmut non è mai stato; v'amo, vi stimo, e apprezzo.

Calmi di vostra figlia mirar contento il cuore,

Lo merta sue virtude, lo merta il suo dolore.

Tutto farò per lei contro mio figlio istesso

D'Ircana o viva, o estinta, voi avrete il possessor

Ma vel ridico in pace, l’amico rispettate.

Quando parlate meco, Osman, non minacciate (parte).

Osmano:

Basta, che tu m'inganni, o che il tuo figlio indegno

Provochi, temerario, il mio foco, il mio sdegno:

Fatima non fia sempre vostra difesa, e scudo:

Né tratterrà il mio ferro tenero petto ignudo.

Da questo brando mio, che unqua sofferse un torto,

Qual si sia l'offensore, cadrà svenato, e morto.

E s'io morir dovessi, per vendicarmi ancora,

Salva la gloria mia, salvo l'onor, si mora (parte).

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.14

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