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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA |
LA SPOSA PERSIANA |
Di: Carlo Goldoni |
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ATTO TERZO
Scena I Ibraima, Zama ed altre Schiave.
Ibraima: Vedesti ancor la sposa? Zama: Pocanzi lho veduta. Ibraima: Come ti piace? Zama: Assai. Ibraima: A me pure è piacciuta. Parlar non le potei, ma sembrami gentile. Zama: Si conosce dal volto, chè affettuosa, umile. Ibraima: E pure, udisti Ircana? Zama: In lei parla lo sdegno. Ibraima: E Curcuma? Zama: La vecchia ha tal costume indegno, Che a te di me parlando, te esalta, e me deprime; E meco fa lo stesso, quando di te si esprime. Ibraima: Prego di cuore il cielo, che ami il padron la sposa, E umilïata resti Ircana orgogliosa. Zama: E vedasi costei, cui servitude è grave, Al bagno, ed alla mensa servir colle altre schiave. Ibraima: Qual merto aver presume la lusinghiera astuta? Ella è, quali noi siamo schiava al signor venduta. Zama: E ancor per poco prezzo. Machmut lebbe alle mani Per cento mamoède, che forman due tomani. Ibraima: Per me ne hanno sborsato quatordeci i meschini, Che formano dugento gialli, europei zecchini. Zama: Lo so, che Machmut, avido di comprarmi, Saziar non si potea di soppiato in mirarmi. Pare a lodar volesse in me qualche bellezza, Ma il costume ti è noto; chi vuol comprar disprezza. Vidi però, che alluso di Persia contrattando, Le man col padre mio sotto il manto celando, Le punta delle dita, le dita or curve, or tese Tanto alternò, che alfine a dir "basta" sintese; E co la mano aperta, che suol valer per cento, Mostrossi il padre mio del prezzo esser contento. Ibraima: Ma non aperse il pugno, che conta mille. Zama: Alfine Noi siam Circasse, e siam del più colto confine. E Ircana non è degna né men di starci a fronte. Ibraima: E soffrirem da lei busse, minaccie ed onte? Affé se mi ci metto... Zama: Se mi ci metto anchio... Ibraima: Vuo svellerle le chiome. Zama: Vuo fare il dover mio. Ora che vi è la sposa non conta più nïente; Finito avrà laudace di far limpertinente.
Scena II Fatima, e dette.
Fatima: (Desio mirarla in viso questa rival sì bella; Qui con le schiave unite vi sarà forse anchella) (da sé). Ibraima: Vedi? (a Zama). Zama: La sposa (a Ibraima). Ibraima: O bella! Zama: Mira che luci oneste! Fatima: (La schiava fortunate qual mai sarà di queste?) (da sé). Ibraima: Via; faciamole onore (a Zama). Zama: Sì, lobligo lo vuole (a Ibraima). Ibraima: Signora, che coi lumi splendete al par del sole, Che a Venere in bellezza potete muover guerra, Che avete nel bel ciglio larbitrio della terra, Possano i cari figli, che voi darete al mondo Regger delluniverso coi loro cenni il pondo. Zama: Di quelle lunghe chiome possano ai fili neri In numero esser pari de figliuoli glimperi. Venuta dalle stelle a noi per ornamento, II lume, la ricchezza scemaste al firmamento, Degna, che Persia tutta vi veneri e vadori, Regina delle donne, bellidolo de cuori. Fatima: Donne, lusato stile dOriente io non ammetto; Adulazion mi spiace, candor bramo, ed affetto. Al ver questalma avvezza, del ver sappaga, e gode. Serbate a chi lapprezza liperbolica lode. Ibraima: Senti? Questa è virtude (a Zama). Zama: Virtude, che innamora (a Ibraima). Fatima: (Qual sia Ircana fra queste, non ben discerno ancora) (da sé). Ibraima: Sposa del signor nostro, che di lui donna siete, Usate il poter vostro, e di me disponete. Fatima: (Questa non è) (da sé). Zama: Signora, sempre più in me si desta Il desio di servirvi. Fatima: (Non è nemeno questa. Fra quelle, che stan chete forse saravvi anchella Ma pur niuna di quelle parmi superba, e bella) (da sé).
Scena III Ircana, e dette.
Ircana: Olà, qual ozio è questo? Le schiave in concistoro? Itene immantinente ai giardini, al lavoro. Fatima: (Eccola, me laddita quellaltero sembiante) (da sé). Ibraima: Frenate quellorgoglio (a Fatima e parte). Zama: Punite larrogante (fa lo stesso). Ircana: (Chi è costei, che non parte?) (da sé). Fatima: (Numi, Consiglio, aita) (da sé). Ircana: (Ah sì la veggio; è questa la rivale abborrita. Fuggasi) (da sé). Fatima: Ircana. Ircana: A nome chi sei tu, che mappelli? Fatima: Di Tamas la consorte questa è, con cui favelli. Ircana: E ben? che dir vorresti? che io son tua schiava? Fatima: Invano Temi, che usar io voglia teco il poter sovrano. Non servono con laltre le schiave, che han lonore Daver incatenato del signor loro il cuore. Ircana: Né comandare è dato a sposa non amata, Per obbedire il padre, dal giovane sposata. Fatima: È ver, non lo contrasto; tu sei la più felice. Vuoi, che io ti serva? Imponi! Ircana: A te servir non lice. Donna fra suoni, e canti al talamo venuta, Schiava obbedir non deve da parenti venduta. Fatima: Tal legge in un serraglio rare volte si osserva Spesso il signor confonde colla sposa la serva. Ircana: E chi tal legge soffre mal volentier, sen rieda, Pria che allonta privata la pubblica succeda. Fatima: Lonte sfuggir non cura chi soffre, e non saggrava. Ircana: Donna, che soffre i torti è più vil di una schiava. Fatima: Qual torto, se non mi ama sposo, di te invaghito? Ircana: Non vi è ragion, che approvi le ingiurie dun marito. Fatima: Con tai ragion condanni te sol di contumace. Ircana: Condanno te, se resti, se lo sopporti in pace. Fatima: Ma se ne lumi tuoi merto maggiore io vedo, Se Tamas compatisco, se amo il tuo ben... Ircana: Nol credo. Fingi ben, lo conosco, fingi soffrir suoi lacci, Ma tanto più taccendi, quanto più fremi, e tacci. Chi sa sotto quel ciglio qual covisi lo sdegno, Qual della mia rovina si mediti il disegno? Fatima, donne siamo; parliam tra noi sincere, Ciascuna in modi vari sa fare il suo mestiere, Io dun amor schernito non soffrirei gli affanni Tu, se il tuo cuor lo soffre, o sei stolta, o minganni. Fatima: Stolta sarò. Ircana: Non dice desserlo chi è in diffetto. Fatima: Dunque? Ircana: Dunque tu celi colla pace il dispetto. Fatima: E tu con labro sciolto ad insultare avvezzo Aggiungi allaltrui danno con lingiurie il disprezzo. Vuoi, che lo sdegno io nutra? tu pur lo nutri in seno, Ma con parole audaci non ne fo pompa almeno. Ircana: Taci; or siamo scoperte, sei mia nemica. Fatima: Ed io Dovrei a chi minsulta giurar lo sdegno mio. Ma non temer, son tale, che a chi minsulta ancora Non posso il cor sincero serbar nemico unora. Ircana: Segno di tua viltade. Fatima: Tinganni; un segno è questo, Che dellanime vili la vendetta detesto, E se la virtù stessa vuoi che per te mi aggrave, Segno è, che non mi cale di altercar colle schiave. Ircana: Schiava son io che puote far tremare unaltera. Fatima: Anche di gallo il canto fa tremar una fera. Ircana: O parti, o Tamas duna di noi vedrà la morte. Fatima: Veggala; ambe moriamo; ma dentro a queste porte. Ircana: Perfida! Fatima: Io non tinsulto. Ircana: Più il tuo tacer maffanna. Fatima: Non la mia sofferenza, il tuo furor condanna. Ircana: Parto perché il tuo volto mi provoca, e muccide; Più della morte ho in odio donna, che freme, e ride (parte).
Scena IV
Fatima sola. No, non voglio pentirmi daver sofferto in pace, Senza cambiar le offese, senza insultar laudace. Lira sfogar col labbro con chi cinsulta è segno, Che sopra la ragione, predomina lo sdegno. È la viltà un estremo, temeritade è laltro; Prudenza è il mezzo onesto, in un nobile, e scaltro: Nobile che glinsulti sdegna, conosce, e prova; Scaltro, che per virtude sa simular, se giova. Era di quellindegna ogni superbo detto Aspra mortal ferita duna consorte al petto; Ma a lei giovar potea più, che a me lirritarmi Empia per questo Ircana tentò di provocarmi, Ed io lira celando, senza mostrarla in viso, Le ingiurie, e le minaccie ricompensai col riso: Tamas, che labbia offesa dir non potrà, se affetto Tenero le promisi, e le mostrai rispetto. Pietà più facilmente sperare alle mie pene Posso nel di lui cuore... Eccolo, che a me viene.
Scena V Tamas, e detta.
Tamas: (Eccola quellaudace; creduto ah non lavrei... Onte, insulti ad Ircana? Provi gli sdegni miei) (da sé). Fatima: Sposo? Tamas: Taccheta, e parti. Fatima: A me che parta? Oh cielo! Tamas, alla tua sposa? Tamas: Torna a riporti il velo. Fatima: Come? Tamas: Divorzio io chiedo. Fatima: Senza ragion? Tamas: Ragione? È il mio voler, taccheta: femmina invan soppone. Fatima: Io vi dissento; è legge nellAlcoran firmata, Che non sia moglie a forza senza ragion scacciata. Al Cadì si ricorra, egli, che il dritto regge, Esamini le colpe, interpetri la legge. Tamas: Che parli di Cadì, di legge, e dAlcorano? Io son nei tetti miei linterpetre, e il sovrano. Fatima: Ah signor qual mia colpa varma a sì ria vendetta? Tamas: Non merta lamor mio colei, che nol rispetta. Fatima: Che dir volete? Ircana... Tamas: Sì, linsultasti, audace. Fatima: Ah non è ver. Tamas: Taccheta; non è Ircana mendace. Fatima: Ella che linsultassi può sostenere? Lafferma Francamente il suo labbro? Tamas: E Curcuma il conferma. Fatima: Curcuma? scellerata! Quella, che un rio veleno... Tamas: Doveva alla mia schiava dar, per tua legge, al seno. Ma il cielo... Fatima: Ah non è vero. Tamas: Perfida! Fatima: Ah son tradita. Tamas: Indegna duno sposo, indegna della vita. Togliti agli occhi miei; non vi sarà chi invano Teco dunirmi ardisca col cuore, o con la mano; E se volesse il padre, a forza, e a mio dispetto, Ti caccerei, ribalda, questo pugnale in petto (sfodra un pugnale). Fatima: Aita...
Scena VI Machmut, e detti.
Machmut: Olà, che tenti? Tamas: Minaccio, e non ferisco. Machmut: Chi minacci? Tamas: Unindegna. Machmut: Sei tu? (a Fatima). (Non lo capisco) (da sé). Fatima: Son io quellinfelice, che ha la gran colpa in seno Daver alla sua bella... Tamas: Preparato il veleno. Fatima: Ah mi fulmini il cielo! orrida sepoltura Mapra quindi la terra, se ciò fia ver. Tamas: Spergiura! Machmut: Fatima, ti allontana. Fatima: Pietà! Tamas: Parti. Fatima: Obbedisco. Miratemi signore, minsulta, ed io languisco (a Machmut). Soglion le spose in Persia, per gelosia di schiave, Chiedere esse il divorzio, e a me par duro, e grave Poiché se per destino seco mi sono unita, Mi han per destino ancora, quegli occhi suoi ferita. Vendetta non domando, vendetta non procuro; Veleni non conosco, tocco la fronte, e il giuro. Pietà chiedo allo sposo, se invan gli chiedo affetto: Ecco la sua pietade, malza un pugnale al petto. Morirei pria di dirlo al Muftì, o al Divano, Lo dico al genitore, che per il figlio è umano. Bramo la di lui pace, bramo, che mi ami, e viva; Io morirei più tosto chessere di lui priva. Signor, voi padre siate di me qual dello sposo, Nuora non abbandoni il suocero amoroso. Attenderò il decreto, pene, supplicii, e morte; Tutto, fuor che staccarmi dal mio crudel consorte (parte).
Scena VII Machmut e Tamas. Machmut: Misera, sventurata! Tamas: Colei... Machmut: Taci, e mascolta. Tamas: Non conoscete il cuore... Machmut: Rispettami una volta! Tamas: Vi ascolterò. Machmut: Tu celi sotto ragion mendace Lamor, che nutri in seno per una schiava audace. Di questo amore indegno niun ti contrasta il foco; Si tollera, si tace, e per te ancora è poco? Tace, e tollera un padre, lo fa la sposa istessa; Tu il genitore insulti, vuoi la consorte oppressa... Tamas: Una consorte indegna... Machmut: Taci. Tamas: Che per vendetta... Machmut: Taci. Tamas: Non parlo. Machmut: Ardito! mascolta, e mi rispetta. Che far puote in un giorno, anzi in pochore appena, Al talamo guidata, figlia di rossor piena? A preparar veleni, a meditar fierezza, Tempo vi vuole, e unalma ai tradimenti avvezza. Sciocchi pretesti indegni dalma ribalda e nera, Sedotta da una schiava, che le comanda altera! Empio, col ferro in mano minacci una donzella? Ecco perché lEuropa barbari noi appella; Non per le leggi nostre, non per il culto al Nume, Non perché di scienza in noi non siavi il lume; Ma perché un uom lascivo, pien di scorrette voglie Al piacer duna schiava sagrifica una moglie. Tamas: Permettete, chio parli? Machmut: Oh traccotanza estrema! Non lo permetto ancora; odimi, audace, e trema. Trema del tuo destino, trema del tuo periglio: Odi a che mi esponesti, ingratissimo figlio. Non si conosce in Persia nobiltà de natali! Fuor della regia stirpe, tutti siam nati eguali, E quel più si distingue fra noi, che ha più fortuna, Quel, che ha gli onori in casa, e le ricchezze aduna. Lo sai che il padre mio per Angli, Ispani, e Galli Con le sue man pescava le perle, e i coralli; Ei col denaro, a forza di sudori acquistato, Mi ha questo pingue officio di finanzier comprato; Ed io per le gabelle, esposto a gente ardita, Mille soffersi ingiurie, ed arrischiai la vita. Or tu, che unico sei, dogni mio bene erede, Cui, dopo me, comprata ho la medesma sede, Tu, ingratissimo figlio, anzi che sollevarmi, Con onte, e con insulti vorrai precipitarmi? Sai pur, che ogni pretesto serve al giudice avaro A togliere in Oriente le cariche, e il denaro. E sai che facilmente soggetto è a tal periglio Anche il padre innocente, per le colpe del figlio. Tu minacciar la sposa? Tu con il ferro in mano, Minacciar la figliuola del terribile Osmano? Sai tu qual pena avresti, se incauto luccidevi? (E ucciderla pur troppo, si non venia, potevi). Ecco la legge: un reo, che abbia talun svenato, Conducesi da schiavi al tribunal legato; Fatto il processo in breve, confessor ovver convinto, Consegnasi ai parenti dellinfelice estinto; Ed essi, con tormenti inusitati, e strani, Delluccisor nel sangue si lavano le mani. Anche le donne stesse, per legge altrui celate, Sono per tai tragedie in libertà lasciate, Con lugne, e con i denti straccian le carni, e i crini Avide di vendetta, fiere più de mastini. Di, che ti pare? Ircana merta davere il vanto Che il suo signor per lei saccenda, e arrischi tanto? Tamas: Posso parlar, signore? Machmut: Parla, sì, tel concedo. Tamas: Padre, se per Ircana... Machmut: Osmano quel chio vedo (osservando verso la scena). Tamas: Se per Ircana il petto... Machmut: Parti. Tamas: Ma dunque invano Potrò sperar, signore.... Machmut: Lasciami con Osmano. Tamas: (Non so che dir; dal padre il cor mi si divide, Fatima mi tormenta, ed Ircana mi uccide) (da sé e parte). Machmut: Parmi commosso, oh cielo! Tamas, lo sai, se ti amo, Ma il periglioso laccio veder troncato io bramo.
Scena VIII Osmano, e Machmut.
Osmano: Che ha Fatima, che piange? Machmut: Non lo chiedesti a lei? Osmano: Mostra di non saperlo. Machmut: Io più nol chiederei. Osmano: Odimi: due poeti del seguito festoso Cantano della sposa le lodi, e dello sposo; Ma in mezzo ai loro canti, in mezzo ai loro accenti, Framischiano sovente le satire pungenti. Fatima (un di quei dice), Fatima è mia sovrana, Ma dovrà star soggetta alla mia schiava Ircana. Fatima un sol rassembra (laltro poeta disse), Ma un sole, a cui minaccia laltro pianeta ecclisse. Io loro avrei dun colpo tronca la testa, e il canto; Rispettai le tue soglie, lira frenai; ma intanto, Dimmi tu, che il saprai, chi è questardita Ircana; Che potrebbe a mia figlia comandar da sovrana? Machmut: Ah indegni, scellerati satirici cantori, Che or fanno i maldicenti, or fan gli adulatori, E quando dicon bene, e quando dicon male, Sempre in lor linteresse alla ragion prevale! Possano andar raminghi per lAsia, e mal pasciuti, Come in Europa sono in obbrobrio venuti, Sbanditi dare genti cotai spiriti inquieti, Derise, e svergognate le satire, e i poeti. Odimi, Osmano, il vero celar fia cosa vana Mio figlio ama una schiava, il di cui nome è Ircana. Osmano: Che ami una schiava, è poco; ne ami anche dieci, è nulla; Sposa soffrir lo deve, sia donna, o sia fanciulla. Basta, che non ardisca per un amore insano Tenere a lei soggetta la figliuola di Osmano. Machmut: No, non temer. Osmano: Se invano temer ciò si dovesse, Non sentiriansi i vati cantar satire espresse; Le donne dagli eunuchi han preso largomento, E Fatima è ormai resa laltrui divertimento. Machmut: Da un padre, e da un amico chiedo consiglio, e aita. Osmano: Odimi: a quante schiave questa superba è unita? Machmut: Quelle del genitore non son quelle del figlio. Le sue dieci saranno. Osmano: Eccoti il mio Consiglio. Dieci donne son troppe; vendi laudace Ircana. Cesserà ogni periglio, quando è costei lontana. Machmut: Facciasi. Osmano: Ogni dimora può assassinare il cuore Di un figlio affascinato. Machmut: Si cerchi il compratore. Osmano: Come è costei? Machmut: Vezzosa. Osmano: Giovine? Machmut: Giovinetta. Osmano: Lavora? Machmut: Nel ricamo lho trovata perfetta. Osmano: La comprerò. Machmut: A qual prezzo? Osmano: Vederla, e si contratti. Machmut: Fra due, che giusti sono brevi saranno i patti. Olà... Curcuma io voglio (esce un eunuco, e parte). Osmano: Chi è costei? Machmut: La custode. Osmano: Queste son ne serragli maestre dogni frode.
Scena IX Curcuma, e detti.
Curcuma: Eccomi: (oh me meschina!) un uom, che mi ha veduta. Presto, pria, che si dica, che ho lonestà perduta (vuol coprirsi). Machmut: Odimi. Curcuma: Si, signore (coprendosi). Machmut: Qual timore improviso? Curcuma: Non vè un uomo? mi sento i rossori sul viso. Machmut: Vieni; letà canuta ti salva dal rigore. Curcuma: Eh, se sono canuta, è per troppo calore. Machmut: Odimi. Curcuma: Dite pure. Machmut: Eh scopriti, schifosa. Curcuma: Signor sì; sono stata sempre un po vergognosa. Machmut: Fa, che Ircana a me venga, e se venir non vuole. Usa la forza, quando non vaglian le parole; Legata dagli eunuchi, guidala al mio cospetto. Eseguisci il comando, sollecita ti aspetto. Curcuma: Legata? strascinata? oh povera ragazza! Più tosto son qua io... Machmut: Vanne: sei vecchia, e pazza. Curcuma: Oh questo maltrattarmi, signor padron mio caro, Dirmi che sono vecchia è un boccon troppo amaro. Per le fatiche il viso par un po crespo, e vecchio, Ma sono le mie carni lustre come uno specchio (parte).
Scena X Machmut, e Osmano.
Machmut: (Giovine sventurato!) (da sé). Osmano: Machmut, che pensi? Machmut: Ah penso Qual dolore il mio figlio proverà crudo, intenso! Osmano: Dagli una sciabla, un arco, dagli un agil destriero, Meco in tre giorni al campo dilegua ogni pensiero; Stanco di tollerare la neghittosa pace, II Perso valoroso vuole attaccare il Trace; Poiché, quantunque uniti sien sotto lAlcorano, Sono i più fier nemici il Perso, e lOttomano. Luna e laltra nazione venera, il sai, Maometto, Ma abbiam noi per Alì forse maggior rispetto. E quei nel nostro Impero, che ci governa, e regge, Col parer deglOmani interpreta la legge. Venera il Turco Omar, Albumelech, Osmano, Diviso in due partiti il popol monsulmano. Articoli di legge tengono in aspra guerra, Due principi fra loro formidabili in terra. Machmut: Tu nel parlar di guerra perdi te stesso: osserva: Ecco la schiava. Osmano: A forza guidano la proterva.
Scena XI Ircana tenuta legata da due eunuchi, e detti.
Ircana: Ah signor, perché in lacci? Misera! in che peccai? Che da me si pretende? Machmut: Chetati, e lo saprai. Ircana: Fammi coprire almeno dinnanzi a uno straniero. Machmut: (Mirala qual ti sembra?) (ad Osmano). Osmano: (Ha il portamento altero) (a Machmut). Machmut: Piaceti? Osmano: Non mi spiace. Machmut: Se la vuoi contrattiamo. Osmano: Sotto il manto le mani (pongono le mani sotto le vesti). Machmut: Prestamente accordiamo. Ircana: (Ah che il crudel mi vende! In tal modo fu fatto Già da Machmut istesso col padre mio il contratto) (da sé). Misera me! lasciate, perfidi, uninfelice (tenta liberarsi dalle catene). Tamas più non mascolta, sperar più non mi lice. Machmut: Basta cosi, son pago. Osmano: Avrai tosto il contante; Avrai zecchini cento, del nuovo giorno innante. Ircana: Ah per pietà, signore, a qual destin funesto?... (a Machmut). Machmut: Schiava mia più non sei, il tuo signore è questo (parte). Osmano: Seguimi (ad Ircana). Ircana: Ah pria di trarmi lungi da questo tetto, Pensate, che di Tamas son io lunico affetto. Osmano: E tu pensa, chio sono padre della sua sposa; Ti tratterò qual merti, femina orgogliosa (parte). Ircana: Ahimé? che intesi mai? Ahimé, lamor, la vita... Tamas, Tamas, mio bene, io parto; io son tradita (parte cogli eunuchi). |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.14 |