ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Euricléa, Mirra. |
MIRRA |
Sí; pienamente in calma omai tornata,
cara Euricléa, mi vedi; e lieta, quasi,
del mio certo partire. |
EURICLÉA |
Oimè! fia
vero?...
Sola ne andrai col tuo Peréo?... né
trarti
al fianco vuoi,
non una pur di tante
tue fide ancelle? E me da lor non scerni,
che neppur me tu vuoi?... Di me che fia,
se priva io resto della dolce figlia?
Solo in pensarvi, oimè! morir mi
sento... |
MIRRA |
Deh! taci... Un dí ritornerò... |
EURICLÉA |
Deh! il voglia,
il voglia il cielo! Oh figlia amata!...
Ah! tale
durezza in te, no, non creda: sperato
avea pur sempre di morirmi al tuo
fianco... |
MIRRA |
S'io meco alcun di questa reggia trarre
acconsentir
poteva, eri tu sola,
quella ch'io chiesta avrei... Ma, in ciò
son salda... |
EURICLÉA |
E al nuovo dí tu parti?... |
MIRRA |
Al fin certezza
dai genitor ne ottenni; e scior vedrammi
da questo lido la nascente aurora. |
EURICLÉA |
Deh! ti sia fausto
il dí!... Pur ch'io felice
almen ti sappia!... Ella è ben cruda
gioja,
questa che quasi ora in lasciarci
mostri...
Pur, se a te giova, io piangerò, ma muta
con la dolente genitrice... |
MIRRA |
Oh! quale
muovi tu assalto
al mio mal fermo cuore?...
Perché sforzarmi al pianto?... |
EURICLÉA |
E come il pianto
celar poss'io?... Quest'è l'ultima
volta,
ch'io ti vedo, e ti abbraccio. D'anni
molti
carca me lasci, e di dolor piú assai.
Al tuo tornar, se
pur mai riedi, in tomba
mi troverai: qualche lagrima, spero,...
alla memoria... della tua Euricléa...
almen darai... |
MIRRA |
Deh!... per
pietá mi lascia;
o taci almeno. Io tel comando;
taci
Essere omai per
tutti dura io deggio;
ed a me prima io 'l sono. È
giorno questo
di gioja e nozze. Or, se tu mai mi
amasti,
aspra ed ultima prova oggi ten chieggo;
frena il tuo pianto,... e il mio.
Ma, giá lo sposo
venirne io veggio. Ogni dolor sia muto. |
|
SCENA
SECONDA
Peréo, Mirra, Euricléa. |
PERÉO |
D'inaspettata gioja hammi ricolmo,
Mirra, il tuo genitore: ei stesso, lieto,
il mio destin, ch'io tremando aspettava,
annunziommi felice. Ai cenni tuoi
preste saranno al
nuovo albór mie vele,
poiché tu il vuoi cosí. Piacemi almeno,
che vi acconsentan placidi e contenti
i genitori tuoi: per me non altra
gioja esser può, che di appagar tue
brame. |
MIRRA |
Sí, dolce sposo;
ch'io giá tal ti appello;
se cosa io mai ferventemente al mondo
bramai, di partir teco al nuovo sole
tutta ardo, e il voglio. Il ritrovarmi io
tosto
sola con te; non piú vedermi intorno
nullo dei tanti
oggetti a lungo stati
testimon del mio pianto, e cagion forse;
il solcar nuovi mari, e a nuovi regni
irne approdando; aura novella e pura
respirare, e tuttor trovarmi al fianco
pien di gioja e
d'amore un tanto sposo;
tutto, in breve, son certa, appien mi
debbe
quella di pria tornare. Allor sarotti
meno increscevol, spero. Aver t'è d'uopo
pietade intanto alcuna del mio stato;
ma, non fia
lunga; accertati. Il mio duolo,
se tu non mai men parli, in breve svelto
fia da radice. Deh! non la paterna
lasciata reggia, e non gli orbati e mesti
miei genitor; né cosa, in somma, alcuna
delle giá mie,
tu mai, né rimembrarmi
dei, né pur mai nomarmela. Fia questo
rimedio, il sol, che asciugherá per
sempre
il mio finor perenne orribil pianto. |
PERÉO |
Strano, inaudito è il tuo disegno, o Mirra:
deh! voglia il
ciel, ch'ei non t'incresca un giorno!
Pur, benché in cor lusinga omai non
m'entri
d'esserti caro, in mio pensier son fermo
di compier ciecamente ogni tua brama.
Ove poi voglia il mio fatal destino,
ch'io mai non
merti l'amor tuo, la vita
che per te sola io serbo (questa vita,
cui tolta io giá di propria man mi
avrei,
s'oggi perderti affatto erami forza)
questa mia vita per sempre consacro
al tuo dolore,
poiché a ciò mi hai scelto.
A pianger teco, ove tu il brami; a farti,
tra giuochi e feste, il tuo cordoglio e
il tempo
ingannar, se a te giova; a porre in opra,
a prevenir tutti i desiri tuoi;
a mostrarmiti
ognor, qual piú mi vogli,
sposo, amico, fratello, amante, o servo;
ecco, a quant'io son presto: e in ciò
soltanto
la mia gloria fia posta e l'esser mio.
Se non potrai me poscia amar tu mai,
parmi esser
certo, che odiarmi almeno
neppur potrai. |
MIRRA |
Che parli tu? Deh! meglio
Mirra e te stesso in un conosci e
apprezza.
Alle tante tue doti amor sí immenso
v'aggiungi tu, che di ben altro oggetto,
ch'io nol son, ti
fa degno. Amor sue fiamme
porrammi in cor, tosto che sgombro ei
l'abbia
dal pianto appieno. Indubitabil prova
abbine, ed ampia, oggi in veder ch'io
scelgo
d'ogni mio mal te sanator pietoso;
ch'io stimo te,
ch'io ad alta voce appello,
Peréo, te sol liberator mio vero. |
PERÉO |
D'alta gioja or m'infiammi: il tuo bel labro
tanto mai non mi disse: entro al mio core
stanno in note di fuoco omai scolpiti
questi tuoi dolci
accenti. Ecco venirne
giá i sacerdoti, e la festosa turba,
e i cari nostri genitori. O sposa,
deh! questo istante a te davver sia
fausto,
come il piú bello è a me del viver mio! |
|
SCENA
TERZA
Sacerdoti, Coro di fanciulli, donzelle, e vecchi;
Ciniro, Cecri, Popolo, Mirra, Peréo, Euricléa.
|
CINIRO |
Amati figli, augurio lieto io traggo
dal vedervi precedere a noi tutti,
al sacro rito. In sul tuo viso è sculta,
Peréo, la gioja; e della figlia io veggo
fermo e sereno
anco l'aspetto. I Numi
certo abbiamo propizj. In copia
incensi
fumino or dunque in su i recati altari;
e, per far vie piú miti a noi gli Dei,
schiudasi il canto; al ciel rimbombin
grati
devoti inni vostri alti-sonanti. |
CORO([1]) |
«O tu, che noi
mortali egri conforte,
«fratel d'Amor, dolce Imenéo, bel Nume;
«deh! fausto scendi; = e del tuo puro
lume
«fra i lieti sposi accendi
«fiamma, cui nulla estingua, altro che
morte. |
FANCIULLO |
«Benigno a noi,
lieto Imenéo, deh! vola
«del tuo german su i vanni; |
DONZELLE |
«e co' suoi stessi inganni
«a lui tu l'arco, = e la farétra
invola: |
VECCHI |
«ma scendi scarco
«di sue lunghe querele e tristi affanni:
|
CORO |
«de' nodi tuoi, bello Imenéo giocondo,
«stringi la degna coppia unica al
mondo». |
EURICLÉA |
Figlia, che fia? tu tremi?... oh cielo!... |
MIRRA |
Taci:
deh! taci... |
EURICLÉA |
Eppur... |
MIRRA |
No, non è ver;
non tremo. |
CORO |
«O d'Imenéo e
d'Amor madre sublime,
«o tra le Dive Diva,
«alla cui possa nulla possa è viva;
«Venere, deh! fausta agli sposi arridi
«dalle olimpiche
cime,
«se sacri mai ti fur di Cipro i lidi. |
FANCIULLO |
«Tutta è tuo
don questa beltá sovrana,
«onde Mirra è vestita, e non altera; |
DONZELLE |
«lasciarci in terra la tua immagin vera
«piacciati, deh! col farla allegra e
sana, |
VECCHI |
«e madre in breve di sí nobil prole,
«che il padre, e gli avi, e i regni lor,
console. |
CORO |
«Alma Dea, per
l'azzurre aure del cielo,
«coi be' nitidi cigni al carro aurato,
«raggiante
scendi; abbi i duo figli a lato;
«e del bel roseo velo
«gli sposi all'ara tua prostráti
ammanta;
«e in due corpi una sola alma
traspianta». |
CECRI |
Figlia, deh! sí; della possente nostra
Diva, tu sempre
umíl... Ma che? ti cangi
tutta d'aspetto?... Oimè! vacilli? e
appena
su i piè tremanti?... |
MIRRA |
Ah! per pietá,
coi detti
non cimentar la mia costanza, o madre:
del sembiante non so;... ma il cor, la
mente,
salda stommi, immutabile. |
EURICLÉA |
Per essa
morir mi sento. |
PERÉO |
Oimè! vieppiú turbarsi
la veggo in volto?... Oh qual tremor mi
assale! |
CORO |
«La pura Fe,
l'eterna alma Concordia,
«abbian lor templo degli sposi in petto;
«e indarno
sempre la infernale Aletto,
«con le orribil suore,
«assalto muova di sue negre tede
«al forte intatto core
«dell'alta sposa, = che ogni laude
eccede:
«e, invan
rabbiosa,
«se stessa roda la feral Discordia...» |
MIRRA |
Che dite voi? giá nel mio cor, giá tutte
le Furie ho in me tremende. Eccole;
intorno
col vipereo flagello e l'atre faci
stan le rabide
Erinni: ecco quai merta
questo imenéo le faci... |
CINIRO |
Oh ciel! che
ascolto? |
CECRI |
Figlia, oimè! tu vaneggi... |
PERÉO |
Oh infauste
nozze!
Non fia, no mai... |
MIRRA |
Ma che?
giá taccion gl'inni?...
Chi al sen mi stringe? Ove son io? Che
dissi?
Son io giá sposa? Oimè!... |
PERÉO |
Sposa non sei,
Mirra; né mai tu di Peréo, tel giuro,
sposa sarai. Le agitatrici Erinni,
minori no, ma dalle tue diverse,
mi squarcian pure il cuore. Al mondo
intero
favola omai mi
festi; ed a me stesso
piú insoffribil, che a te: non io per
tanto
farti voglio infelice. Appien tradita,
mal tuo grado, ti sei: tutto traluce
invincibile tuo lungo ribrezzo,
che per me nutri.
Oh noi felici entrambi,
che ti tradisti in tempo! Omai disciolta
sei dal richiesto ed abborrito giogo.
Salva, e libera, sei. Per sempre io tolgo
dagli occhi tuoi quest'odíoso aspetto...
Paga e lieta vo'
farti... Infra brev'ora,
qual resti scampo a chi te perde, udrai. |
([1]) Ove il coro non cantasse, precederá ad ogni stanza una breve
sinfonia adattata alle parole, che stanno per recitarsi poi.
|
SCENA
QUARTA
Ciniro, Mirra, Cecri, Euricléa,
Sacerdoti, Coro, Popolo.
|
CINIRO |
Contaminato è il rito; ogni solenne
pompa omai cessi, e taccian gl'inni.
Altrove
itene intanto, o sacerdoti. Io voglio,
(misero padre!) almen pianger non visto. |
|
SCENA
QUINTA
Ciniro, Mirra, Cecri, Euricléa.
|
EURICLÉA |
Mirra piú presso a morte assai, che a vita,
stassi: il vedete, ch'io a stento la
reggo?
Oh figlia!... |
CINIRO |
Donne, a se
medesma in preda
costei si lasci, e alle sue furie inique.
Duro, crudel, mal
grado mio, mi ha fatto
con gl'inauditi modi suoi: pietade
piú non ne sento. Ella, all'altar
venirne,
contra il voler dei genitori quasi,
ella stessa il voleva: e sol, per trarci
a tal nostr'onta
e sua?... Pietosa troppo,
delusa madre, lasciala: se pria
noi severi non fummo, è giunto il giorno
d'esserlo al fine. |
MIRRA |
È ver: Ciniro meco
inesorabil sia; null'altro io bramo;
null'altro io
voglio. Ei terminar può solo
d'una infelice sua figlia non degna
i martír tutti. Entro al mio
petto vibra
quella che al fianco cingi ultrice spada:
tu questa vita misera, abborrita,
davi a me giá;
tu me la togli: ed ecco
l'ultimo dono, ond'io ti prego... Ah!
pensa;
che se tu stesso, e di tua propria mano,
me non uccidi, a morir della mia
omai mi serbi, ed a null'altro. |
CINIRO |
Oh figlia!... |
CECRI |
Oh parole!... Oh
dolor!... Deh! tu sei padre;
padre tu sei;... perchè innasprirla?...
Or forse
non è abbastanza misera?... Ben vedi,
mal di se stessa è donna; ad ogni
istante
fuor di se stessa è dal dolore... |
EURICLÉA |
O Mirra...
Figlia,... e non
m'odi?... Parlar,... pel gran pianto,...
non posso... |
CINIRO |
Oh stato!... A
sí terribil vista
non reggo... Ah! sí, padre pur troppo io
sono;
e di tutti il piú misero... Mi sforza
giá, piú che l'ira, or la pietá. Mi
traggo
a pianger solo
altrove. Ah! voi sovr'essa
vegliate intanto. In se tornata,
in breve,
ella udrá poscia favellarle il padre. |
|
SCENA
SESTA
Cecri, Mirra, Euricléa. |
EURICLÉA |
Ecco, di nuovo ella i sensi ripiglia... |
CECRI |
Buona Euricléa, con lei lasciami sola;
parlarle voglio. |
|
SCENA SETTIMA
Cecri, Mirra.
|
MIRRA |
Uscito è
il padre?... Ei dunque,
ei di uccidermi niega?... Deh! pietosa
dammi tu, madre, un ferro; ah! sí; se
l'ombra
pur ti riman per me d'amore, un ferro,
senza indugiar,
dammi tu stessa. Io sono
in senno appieno; e ciò ch'io dico, e
chieggo,
so quanto importi: al senno mio, deh!
credi;
n'è tempo ancor: ti pentirai, ma
indarno,
del non mi aver d'un ferro oggi soccorsa. |
CECRI |
Diletta figlia,...
oh ciel!... tu, pel dolore,
certo vaneggi. Alla tua madre mai
non chiederesti un ferro... Or,
piú di nozze
non si favelli: uno inaudito sforzo
quasi pur troppo a compierle ti trasse;
ma, piú di te
potea natura; i Numi
io ne ringrazio assai. Tu fra le braccia
della dolce tua madre starai sempre:
e se ad eterno pianto ti condanni,
pianger io teco eternamente voglio,
né mai, né d'un
sol passo, mai lasciarti:
sarem sol'una; e del dolor tuo stesso,
poich'ei da te partir non vuolsi, anch'io
vestirmi vo'. Piú suora a te, che madre,
spero, mi avrai... Ma, oh ciel! che
veggio? O figlia,...
meco adirata
sei?... me tu respingi?...
e di abbracciarmi nieghi? e gl'infuocati
sguardi?... Oimè! figlia,... anco alla
madre?... |
MIRRA |
Ah! troppo
dolor mi accresce anco il vederti: il
cuore,
nell'abbracciarmi tu, vieppiú mi
squarci...
Ma... oimè!...
che dico?... Ahi madre!... Ingrata, iniqua,
figlia indegna son io, che amor non
merto.
Al mio destino orribile me lascia;...
o se di me vera pietá tu senti,
io tel ridico, uccidimi. |
CECRI |
Ah! me stessa
ucciderei, s'io
perderti dovessi:
ahi cruda! e puoi tu dirmi, e replicarmi
cosí acerbe parole? Anzi, vo'
sempre
d'ora in poi sul tuo viver vegliar io. |
MIRRA |
Tu vegliare al mio vivere? ch'io deggia,
ad ogni istante,
io rimirarti? innanzi
agli occhi miei tu sempre? ah! pria
sepolti
voglio in tenebre eterne gli occhi miei:
con queste man mie stesse, io stessa pria
me li vo' sverre, io, dalla fronte... |
CECRI |
Oh cielo!
che ascolto?...
Oh ciel!... Rabbrividir mi fai.
Me dunque abborri?... |
MIRRA |
Tu prima, tu
sola,
tu sempiterna cagione funesta
d'ogni miseria mia... |
CECRI |
Che parli?... Oh
figlia!...
Io la cagion?... Ma giá il tuo pianto a
rivi... |
MIRRA |
Deh! perdonami;
deh!... Non io favello;
una incognita forza in me favella...
Madre, ah! troppo tu m'ami; ed io... |
CECRI |
Me nomi
cagion?... |
MIRRA |
Tu, sí; de' mali
miei cagione
fosti, nel dar vita ad un'empia; e il
sei,
s'or di tormela
nieghi; or, ch'io ferventi
prieghi ten porgo. Ancor n'è tempo;
ancora
sono innocente, quasi... Ma,...
non regge
a tante furie... il languente... mio...
corpo...
mancano i piè,... mancano... i sensi... |
CECRI |
Io voglio
trarti alle
stanze tue. D'alcun ristoro
d'uopo hai, son certa; dal digiun tuo
lungo
nasce in te il vaneggiare. Ah! vieni; e
al tutto
in me ti affida: io vo' servirti, io
sola. |
|