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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Mirra

Di: Vittorio Alfieri

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ATTO QUARTO

 

 

SCENA PRIMA

 

Euricléa, Mirra.

MIRRA

Sí; pienamente in calma omai tornata,

cara Euricléa, mi vedi; e lieta, quasi,

del mio certo partire.

EURICLÉA

Oimè! fia vero?...

Sola ne andrai col tuo Peréo?... né trarti

al fianco vuoi, non una pur di tante

tue fide ancelle? E me da lor non scerni,

che neppur me tu vuoi?... Di me che fia,

se priva io resto della dolce figlia?

Solo in pensarvi, oimè! morir mi sento...

MIRRA

Deh! taci... Un dí ritornerò...

EURICLÉA

Deh! il voglia,

il voglia il cielo! Oh figlia amata!... Ah! tale

durezza in te, no, non creda: sperato

avea pur sempre di morirmi al tuo fianco...

MIRRA

S'io meco alcun di questa reggia trarre

acconsentir poteva, eri tu sola,

quella ch'io chiesta avrei... Ma, in ciò son salda...

EURICLÉA

E al nuovo dí tu parti?...

MIRRA

Al fin certezza

dai genitor ne ottenni; e scior vedrammi

da questo lido la nascente aurora.

EURICLÉA

Deh! ti sia fausto il dí!... Pur ch'io felice

almen ti sappia!... Ella è ben cruda gioja,

questa che quasi ora in lasciarci mostri...

Pur, se a te giova, io piangerò, ma muta

con la dolente genitrice...

MIRRA

Oh! quale

muovi tu assalto al mio mal fermo cuore?...

Perché sforzarmi al pianto?...

EURICLÉA

E come il pianto

celar poss'io?... Quest'è l'ultima volta,

ch'io ti vedo, e ti abbraccio. D'anni molti

carca me lasci, e di dolor piú assai.

Al tuo tornar, se pur mai riedi, in tomba

mi troverai: qualche lagrima, spero,...

alla memoria... della tua Euricléa...

almen darai...

MIRRA

Deh!... per pietá mi lascia;

o taci almeno. – Io tel comando; taci

Essere omai per tutti dura io deggio;

ed a me prima io 'l sono. – È giorno questo

di gioja e nozze. Or, se tu mai mi amasti,

aspra ed ultima prova oggi ten chieggo;

frena il tuo pianto,... e il mio. – Ma, giá lo sposo

venirne io veggio. Ogni dolor sia muto.

 

SCENA SECONDA

 

Peréo, Mirra, Euricléa.

PERÉO

D'inaspettata gioja hammi ricolmo,

Mirra, il tuo genitore: ei stesso, lieto,

il mio destin, ch'io tremando aspettava,

annunziommi felice. Ai cenni tuoi

preste saranno al nuovo albór mie vele,

poiché tu il vuoi cosí. Piacemi almeno,

che vi acconsentan placidi e contenti

i genitori tuoi: per me non altra

gioja esser può, che di appagar tue brame.

MIRRA

Sí, dolce sposo; ch'io giá tal ti appello;

se cosa io mai ferventemente al mondo

bramai, di partir teco al nuovo sole

tutta ardo, e il voglio. Il ritrovarmi io tosto

sola con te; non piú vedermi intorno

nullo dei tanti oggetti a lungo stati

testimon del mio pianto, e cagion forse;

il solcar nuovi mari, e a nuovi regni

irne approdando; aura novella e pura

respirare, e tuttor trovarmi al fianco

pien di gioja e d'amore un tanto sposo;

tutto, in breve, son certa, appien mi debbe

quella di pria tornare. Allor sarotti

meno increscevol, spero. Aver t'è d'uopo

pietade intanto alcuna del mio stato;

ma, non fia lunga; accertati. Il mio duolo,

se tu non mai men parli, in breve svelto

fia da radice. Deh! non la paterna

lasciata reggia, e non gli orbati e mesti

miei genitor; né cosa, in somma, alcuna

delle giá mie, tu mai, né rimembrarmi

dei, né pur mai nomarmela. Fia questo

rimedio, il sol, che asciugherá per sempre

il mio finor perenne orribil pianto.

PERÉO

Strano, inaudito è il tuo disegno, o Mirra:

deh! voglia il ciel, ch'ei non t'incresca un giorno! –

Pur, benché in cor lusinga omai non m'entri

d'esserti caro, in mio pensier son fermo

di compier ciecamente ogni tua brama.

Ove poi voglia il mio fatal destino,

ch'io mai non merti l'amor tuo, la vita

che per te sola io serbo (questa vita,

cui tolta io giá di propria man mi avrei,

s'oggi perderti affatto erami forza)

questa mia vita per sempre consacro

al tuo dolore, poiché a ciò mi hai scelto.

A pianger teco, ove tu il brami; a farti,

tra giuochi e feste, il tuo cordoglio e il tempo

ingannar, se a te giova; a porre in opra,

a prevenir tutti i desiri tuoi;

a mostrarmiti ognor, qual piú mi vogli,

sposo, amico, fratello, amante, o servo;

ecco, a quant'io son presto: e in ciò soltanto

la mia gloria fia posta e l'esser mio.

Se non potrai me poscia amar tu mai,

parmi esser certo, che odiarmi almeno

neppur potrai.

MIRRA

Che parli tu? Deh! meglio

Mirra e te stesso in un conosci e apprezza.

Alle tante tue doti amor sí immenso

v'aggiungi tu, che di ben altro oggetto,

ch'io nol son, ti fa degno. Amor sue fiamme

porrammi in cor, tosto che sgombro ei l'abbia

dal pianto appieno. Indubitabil prova

abbine, ed ampia, oggi in veder ch'io scelgo

d'ogni mio mal te sanator pietoso;

ch'io stimo te, ch'io ad alta voce appello,

Peréo, te sol liberator mio vero.

PERÉO

D'alta gioja or m'infiammi: il tuo bel labro

tanto mai non mi disse: entro al mio core

stanno in note di fuoco omai scolpiti

questi tuoi dolci accenti. – Ecco venirne

giá i sacerdoti, e la festosa turba,

e i cari nostri genitori. O sposa,

deh! questo istante a te davver sia fausto,

come il piú bello è a me del viver mio!

 

SCENA TERZA

 

Sacerdoti, Coro di fanciulli, donzelle, e vecchi;

Ciniro, Cecri, Popolo, Mirra, Peréo, Euricléa.

 

CINIRO

Amati figli, augurio lieto io traggo

dal vedervi precedere a noi tutti,

al sacro rito. In sul tuo viso è sculta,

Peréo, la gioja; e della figlia io veggo

fermo e sereno anco l'aspetto. I Numi

certo abbiamo propizj. – In copia incensi

fumino or dunque in su i recati altari;

e, per far vie piú miti a noi gli Dei,

schiudasi il canto; al ciel rimbombin grati

devoti inni vostri alti-sonanti.

CORO([1])

«O tu, che noi mortali egri conforte,

«fratel d'Amor, dolce Imenéo, bel Nume;

«deh! fausto scendi; = e del tuo puro lume

«fra i lieti sposi accendi

«fiamma, cui nulla estingua, altro che morte. –

FANCIULLO

«Benigno a noi, lieto Imenéo, deh! vola

«del tuo german su i vanni;

DONZELLE

«e co' suoi stessi inganni

«a lui tu l'arco, = e la farétra invola:

VECCHI

«ma scendi scarco

«di sue lunghe querele e tristi affanni: –

CORO

«de' nodi tuoi, bello Imenéo giocondo,

«stringi la degna coppia unica al mondo».

EURICLÉA

Figlia, che fia? tu tremi?... oh cielo!...

MIRRA

Taci:

deh! taci...

EURICLÉA

Eppur...

MIRRA

No, non è ver; non tremo. –

CORO

«O d'Imenéo e d'Amor madre sublime,

«o tra le Dive Diva,

«alla cui possa nulla possa è viva;

«Venere, deh! fausta agli sposi arridi

«dalle olimpiche cime,

«se sacri mai ti fur di Cipro i lidi.

FANCIULLO

«Tutta è tuo don questa beltá sovrana,

«onde Mirra è vestita, e non altera;

DONZELLE

«lasciarci in terra la tua immagin vera

«piacciati, deh! col farla allegra e sana,

VECCHI

«e madre in breve di sí nobil prole,

«che il padre, e gli avi, e i regni lor, console. –

CORO

«Alma Dea, per l'azzurre aure del cielo,

«coi be' nitidi cigni al carro aurato,

«raggiante scendi; abbi i duo figli a lato;

«e del bel roseo velo

«gli sposi all'ara tua prostráti ammanta;

«e in due corpi una sola alma traspianta».

CECRI

Figlia, deh! sí; della possente nostra

Diva, tu sempre umíl... Ma che? ti cangi

tutta d'aspetto?... Oimè! vacilli? e appena

su i piè tremanti?...

MIRRA

Ah! per pietá, coi detti

non cimentar la mia costanza, o madre:

del sembiante non so;... ma il cor, la mente,

salda stommi, immutabile.

EURICLÉA

Per essa

morir mi sento.

PERÉO

Oimè! vieppiú turbarsi

la veggo in volto?... Oh qual tremor mi assale! –

CORO

«La pura Fe, l'eterna alma Concordia,

«abbian lor templo degli sposi in petto;

«e indarno sempre la infernale Aletto,

«con le orribil suore,

«assalto muova di sue negre tede

«al forte intatto core

«dell'alta sposa, = che ogni laude eccede:

«e, invan rabbiosa,

«se stessa roda la feral Discordia...»

MIRRA

Che dite voi? giá nel mio cor, giá tutte

le Furie ho in me tremende. Eccole; intorno

col vipereo flagello e l'atre faci

stan le rabide Erinni: ecco quai merta

questo imenéo le faci...

CINIRO

Oh ciel! che ascolto?

CECRI

Figlia, oimè! tu vaneggi...

PERÉO

Oh infauste nozze!

Non fia, no mai...

MIRRA

– Ma che? giá taccion gl'inni?...

Chi al sen mi stringe? Ove son io? Che dissi?

Son io giá sposa? Oimè!...

PERÉO

Sposa non sei,

Mirra; né mai tu di Peréo, tel giuro,

sposa sarai. Le agitatrici Erinni,

minori no, ma dalle tue diverse,

mi squarcian pure il cuore. Al mondo intero

favola omai mi festi; ed a me stesso

piú insoffribil, che a te: non io per tanto

farti voglio infelice. Appien tradita,

mal tuo grado, ti sei: tutto traluce

invincibile tuo lungo ribrezzo,

che per me nutri. Oh noi felici entrambi,

che ti tradisti in tempo! Omai disciolta

sei dal richiesto ed abborrito giogo.

Salva, e libera, sei. Per sempre io tolgo

dagli occhi tuoi quest'odíoso aspetto...

Paga e lieta vo' farti... Infra brev'ora,

qual resti scampo a chi te perde, udrai.

([1]) Ove il coro non cantasse, precederá ad ogni stanza una breve sinfonia adattata alle parole, che stanno per recitarsi poi.
 

SCENA QUARTA

 

Ciniro, Mirra, Cecri, Euricléa,

Sacerdoti, Coro, Popolo.

 

 

CINIRO

Contaminato è il rito; ogni solenne

pompa omai cessi, e taccian gl'inni. Altrove

itene intanto, o sacerdoti. Io voglio,

(misero padre!) almen pianger non visto.

 

SCENA QUINTA

 

Ciniro, Mirra, Cecri, Euricléa.

 

EURICLÉA

Mirra piú presso a morte assai, che a vita,

stassi: il vedete, ch'io a stento la reggo?

Oh figlia!...

CINIRO

Donne, a se medesma in preda

costei si lasci, e alle sue furie inique.

Duro, crudel, mal grado mio, mi ha fatto

con gl'inauditi modi suoi: pietade

piú non ne sento. Ella, all'altar venirne,

contra il voler dei genitori quasi,

ella stessa il voleva: e sol, per trarci

a tal nostr'onta e sua?... Pietosa troppo,

delusa madre, lasciala: se pria

noi severi non fummo, è giunto il giorno

d'esserlo al fine.

MIRRA

È ver: Ciniro meco

inesorabil sia; null'altro io bramo;

null'altro io voglio. Ei terminar può solo

d'una infelice sua figlia non degna

i martír tutti. – Entro al mio petto vibra

quella che al fianco cingi ultrice spada:

tu questa vita misera, abborrita,

davi a me giá; tu me la togli: ed ecco

l'ultimo dono, ond'io ti prego... Ah! pensa;

che se tu stesso, e di tua propria mano,

me non uccidi, a morir della mia

omai mi serbi, ed a null'altro.

CINIRO

Oh figlia!...

CECRI

Oh parole!... Oh dolor!... Deh! tu sei padre;

padre tu sei;... perchè innasprirla?... Or forse

non è abbastanza misera?... Ben vedi,

mal di se stessa è donna; ad ogni istante

fuor di se stessa è dal dolore...

EURICLÉA

O Mirra...

Figlia,... e non m'odi?... Parlar,... pel gran pianto,...

non posso...

CINIRO

Oh stato!... A sí terribil vista

non reggo... Ah! sí, padre pur troppo io sono;

e di tutti il piú misero... Mi sforza

giá, piú che l'ira, or la pietá. Mi traggo

a pianger solo altrove. Ah! voi sovr'essa

vegliate intanto. – In se tornata, in breve,

ella udrá poscia favellarle il padre.

 

 

SCENA SESTA

 

Cecri, Mirra, Euricléa.

 

EURICLÉA

Ecco, di nuovo ella i sensi ripiglia...

CECRI

Buona Euricléa, con lei lasciami sola;

parlarle voglio.

 

SCENA SETTIMA

 

Cecri, Mirra.

 

MIRRA

– Uscito è il padre?... Ei dunque,

ei di uccidermi niega?... Deh! pietosa

dammi tu, madre, un ferro; ah! sí; se l'ombra

pur ti riman per me d'amore, un ferro,

senza indugiar, dammi tu stessa. Io sono

in senno appieno; e ciò ch'io dico, e chieggo,

so quanto importi: al senno mio, deh! credi;

n'è tempo ancor: ti pentirai, ma indarno,

del non mi aver d'un ferro oggi soccorsa.

CECRI

Diletta figlia,... oh ciel!... tu, pel dolore,

certo vaneggi. Alla tua madre mai

non chiederesti un ferro... – Or, piú di nozze

non si favelli: uno inaudito sforzo

quasi pur troppo a compierle ti trasse;

ma, piú di te potea natura; i Numi

io ne ringrazio assai. Tu fra le braccia

della dolce tua madre starai sempre:

e se ad eterno pianto ti condanni,

pianger io teco eternamente voglio,

né mai, né d'un sol passo, mai lasciarti:

sarem sol'una; e del dolor tuo stesso,

poich'ei da te partir non vuolsi, anch'io

vestirmi vo'. Piú suora a te, che madre,

spero, mi avrai... Ma, oh ciel! che veggio? O figlia,...

meco adirata sei?... me tu respingi?...

e di abbracciarmi nieghi? e gl'infuocati

sguardi?... Oimè! figlia,... anco alla madre?...

MIRRA

Ah! troppo

dolor mi accresce anco il vederti: il cuore,

nell'abbracciarmi tu, vieppiú mi squarci... –

Ma... oimè!... che dico?... Ahi madre!... Ingrata, iniqua,

figlia indegna son io, che amor non merto.

Al mio destino orribile me lascia;...

o se di me vera pietá tu senti,

io tel ridico, uccidimi.

CECRI

Ah! me stessa

ucciderei, s'io perderti dovessi:

ahi cruda! e puoi tu dirmi, e replicarmi

cosí acerbe parole? – Anzi, vo' sempre

d'ora in poi sul tuo viver vegliar io.

MIRRA

Tu vegliare al mio vivere? ch'io deggia,

ad ogni istante, io rimirarti? innanzi

agli occhi miei tu sempre? ah! pria sepolti

voglio in tenebre eterne gli occhi miei:

con queste man mie stesse, io stessa pria

me li vo' sverre, io, dalla fronte...

CECRI

Oh cielo!

che ascolto?... Oh ciel!... Rabbrividir mi fai.

Me dunque abborri?...

MIRRA

Tu prima, tu sola,

tu sempiterna cagione funesta

d'ogni miseria mia...

CECRI

Che parli?... Oh figlia!...

Io la cagion?... Ma giá il tuo pianto a rivi...

MIRRA

Deh! perdonami; deh!... Non io favello;

una incognita forza in me favella...

Madre, ah! troppo tu m'ami; ed io...

CECRI

Me nomi

cagion?...

MIRRA

Tu, sí; de' mali miei cagione

fosti, nel dar vita ad un'empia; e il sei,

s'or di tormela nieghi; or, ch'io ferventi

prieghi ten porgo. Ancor n'è tempo; ancora

sono innocente, quasi... – Ma,... non regge

a tante furie... il languente... mio... corpo...

mancano i piè,... mancano... i sensi...

CECRI

Io voglio

trarti alle stanze tue. D'alcun ristoro

d'uopo hai, son certa; dal digiun tuo lungo

nasce in te il vaneggiare. Ah! vieni; e al tutto

in me ti affida: io vo' servirti, io sola.


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 13/07/2005 22.34

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