XVI Credeva che questo avvenimento le avrebbe impedito di uscire, e
ne sarei stato lieto, giacché avevo ricevuto in quel giorno una lettera da Clara, e mi
sentiva lanima tutta ripiena di lei. Avrei bensí desiderato di recarmi in quel
giardino, ma avrei voluto andarvi solo; aveva bisogno di pensare, di ricordare, di
fantasticare a mio talento.
In quel momento la compagnia stessa di Clara mi sarebbe
forse stata meno piacevole della sua memoria. Piú volte a Milano aveva cercato qualche
pretesto onde allontanarmi da lei, allo scopo di ritirarmi nella mia stanza e pensarci
liberamente. Lamore ha spesso bisogno di ripiegarsi su se medesimo.
In quel giorno Fosca venne invece a sedersi a tavola
vicino a me; e benché apparisse estremamente sofferente, si adoprò a tenerci lieti, e a
rinfocare la conversazione con mille artifizi ingegnosissimi ogni qualvolta mostrava di
languire.
Il suo spirito non era superficiale, la sua intelligenza
era assai piú profonda di quanto non so lo sia ordinariamente unintelligenza di
donna: essa aveva del talento, e una distinzione di modi affatto speciale. Non poteva
però indovinare se quel suo dissimulare tali virtú, quellaria di non avvertirle
fosse vera inconsapevolezza, o artifizio.
Uscimmo come sera convenuto. Il colonnello avendo
incontrato per via un suo amico, si accompagnò con esso, e mi disse:
Siete un cattivo cavaliere; mia cugina non è
troppo sicura delle sue gambe, datele il braccio.
Cosí rimasi solo con essa.
Dacché aveva lasciato Clara non avevo piú dato il
braccio ad una donna; ed erano parecchi anni che, lei toltane, non mera trovato in
questa specie di contatto con una di loro. Camminammo per qualche tempo senza parlare.
Fosca era assai mesta.
Stamattina vi ho forse spaventato, mi
dissella con dolcezza ne fui afflitta per voi, molto afflitta; ma chi
lavrebbe preveduto? Fu una sorpresa cosí triste! Non ho molta paura di morire, ve
lo giuro, benché sappia che non ho piú gran tempo a vivere; ma ho paura di tutto ciò
che accompagna e segue la morte: quel vedersi chiusi tra quattro tavole, quel sentirsi
buttare la terra addosso, quel disfarsi
tutto ciò è troppo orribile! Se si potesse
morire improvvisamente, nella pienezza della gioventú e della salute, e se la morte fosse
un annichilimento istantaneo, io lavrei implorata di già come una benedizione!
Ma questi pensieri vi fanno male io le
risposi. Perché pensare a queste cose? Non vedo nella vostra salute motivo di
tanta apprensione, e anche qui sapeva di mentire. Mi avete fatto pena, è
vero, ma non mi avete spaventato, perché sapeva che non vera in ciò alcun
pericolo.
Ve lavevano già detto? Sí.
Mi avevate già sentita?
Sí.
Eppure
Sinterruppe e tacque.
Continuammo a camminare in silenzio. Io era tutto
immerso nellegoismo del mio amore. Pensava a Clara, non poteva distaccarne il mio
pensiero. Laver una donna al mio fianco, una donna vestita con eleganza, che posava
il suo braccio sul mio, un braccio fino, esile, leggiero che mi toccava
collo strascico del suo abito; e camminare con essa in un luogo solitario, sotto gli
alberi, era cosa che accresceva del doppio la mia illusione. Non solo io non poteva
arrestare il mio pensiero su Fosca, ma la mia mente si valeva di lei come di una guida in
quella ricerca smaniosa delle sue memorie. Che quella donna fosse poi brutta, orribilmente
brutta, non ci pensava. Sapeva tanto illudermi da dimenticarlo.
Una cosa sopratutto contribuiva a tenermi saldo nella
mia illusione, una specie di profumo delicato, molle, voluttuoso che emanava dalla sua
persona, e che aveva spesso sentito vicino a Clara. Gli abiti di seta riscaldati dal sole
esalano questa fragranza elettrizzante. Coloro che hanno passeggiato in giorni estivi con
unamante lo sanno; essi non passeranno mai dappresso ad una donna vestita di seta
senza sentire quel profumo, e senza ricordarsi di quei giorni.
Oltre a ciò le donne hanno un profumo a sé non
so come la scienza non abbia avvertito questo fenomeno che non sfugge allamore
tutto ciò che esse toccano è profumato, tutti i luoghi per cui passano ritengono
qualche poco della loro fragranza. Non ho mai potuto ricordarmi bene di mia madre, che
perdetti fanciullo, se non baciando un fazzoletto che mi è rimasto di lei, e che ritiene
ancora dopo tanti anni le reliquie del suo profumo di santa.
Era troppo tardi per recarci a visitare il castello;
entrammo nel giardino.
Non aveva veduto mai prima di quel giorno un luogo cosí
incantevole, cosí pieno di maestosa orribilità. In quelle mie prime escursioni non ne
aveva visitate che alcune parti. Non verano né aiuole, né fiori, ma spalliere
gigantesche di carpini, viali ampi e lunghissimi fiancheggiati da ippocastani secolari, e
gruppi di olmi cadenti per vecchiezza luno sullaltro. Nel mezzo vi era un lago
estesissimo, la cui acqua corrotta dal ristagno e dalle foglie che vi serano
infracidite, non aveva piú alcuna trasparenza; a quando a quando il vento vi faceva
cadere dagli alberi i rami secchi, schiantati dal turbine, e appena ne sollevavano le
onde, tanto erano dense ed immobili. Piccoli serpentelli dacqua scivolavano in mezzo
alle foglie delle ninfee. Dappertutto statue mutilate, annerite dalle pioggie, coperte di
musco e di acetose; cippi e basi di colonne sepolte in mezzo alle ellere; avanzi di
acquedotti, tra le cui screpolature crescevano ranuncoli e capelveneri. Da un lato
verano pure le rovine di un tempio pagano, sulla cui sommità aveva posto radice un
ulivo; grosse lucertole, uscivano e entravano dalle fessure delle pareti smattonate.
Lumidità e lombra vi erano sí costanti che in pieno agosto vi fiorivano le
viole; ed erano tante che il suolo pareva coperto da un tappeto azzurro, se non che non
avevano profumo. Non si sentiva che il canto di una sola specie di uccelli (non vi intesi
mai altro uccello a cantare, né ne vidi daltra sorta in tutte le volte che mi recai
a passeggiarvi), ed erano certi scriccioli non piú grandi duna farfalla. Il loro
canto era un fischio lamentevole e pieno di malinconia. Gli uccelli piú piccoli di quel
paese ne abitavano gli alberi piú grandi.
In quel momento il sole era presso a tramontare, e vi
gettava orizzontalmente alcuni de suoi raggi. Le sommità delle piante erano
talmente ampie, e avevano talmente intrecciato i loro rami che vi raccoglievano e vi
trattenevano quasi tutta quella luce, come sotto un padiglione di verzura impenetrabile.
Quegli effetti di sole erano meravigliosi. La mia anima era rapita di quello spettacolo.
Se Clara fosse stata con me!
Le ultime parole che mi aveva detto Fosca risuonavano
ancora al mio orecchio come un eco, aveva ancora nel cuore qualche cosa della sensazione
che ne aveva ricevuto.
Come! proruppi io improvvisamente quasi
per rispondere a me stesso e a suoi dubbi sconfortanti come si può pensare a
morire quando tutto ciò che ci circonda è cosí pieno di vita, è cosí bello; quando vi
è ancora tanta parte di esistenza innanzi a noi? Guardate questi alberi, questo tappeto
di viole, questo orizzonte
Non vi pare che la sola sensazione dellesistere, il
vedere, il sentire, il toccare, il muoversi, il respirare in questo luogo sia qualcosa che
debba renderci allettante la vita?
Perché non avete aggiunto, pensare?
I pensieri che nascono dalla contemplazione della
natura non possono non essere che sereni.
Voi non conoscete tutti gli abissi del pensiero. Forse
Né le sue torture.
Queste sí, conosco però anche le sue dolcezze.
Io non le ho mai conosciute.
Vorrei dirvi ingiusta. Sono convinto che non vi
è assoluta infelicità, né felicità assoluta. Leredità di beni e di mali che ci
ha legato la natura, può eccedere o difettare nella misura di questi o di quelli, ma
ciascun uomo ne ha una parte piccola o grande, ne ha una non vi è esistenza
cosí misera che non sia stata letificata un istante da un baleno di fugace
felicità
Pocanzi mi parlavate dei piaceri della fantasia.
Altro è immaginare, illudersi; altro è aver
coscienza e sentimento di un bene reale. Vi fu un tempo in cui avrei accettato qualunque
miseria, qualunque spasimo, a patto di sognare tutte le notti, di sognar sempre, di non
vivere che di questa vita di illusioni. Allora non era ancora malata. I miei stessi mali
mi hanno ora esaudita; la mia infermità mi procura ogni notte sonni convulsivi, periodi
di assopimento febbrile, nei quali ripassano innanzi a me tutte le scene, tutte le
visioni, tutte le complicazioni possibili di questo mondo sterminato dei sogni. Ebbene, lo
credereste? Non ne ho piú alcuna gioia, spesso anzi mi disgustano, mi tediano. Noi
viviamo in un mondo reale, dobbiamo afferrare il reale, il concreto.
Esso è sempre inferiore allideale.
Non importa. Chi non preferirebbe
allimmagine di un bene smisurato, il possesso di un bene anche minimo?
Tutto ciò è relativo; io dissi
gli aspetti e le sorgenti della felicità sono molteplici, chi si reputa avventurato in
una maniera, chi in unaltra; la maggior parte degli uomini lo sono in modi opposti o
diversissimi. Non vi è che un mezzo comune, facile, sicuro di essere felici.
Quale?
Amare.
Essa tacque, e sentii il suo braccio pesare con maggior
abbandono sul mio.
Amare! ripeté ella dopo qualche istante.
Che cosa avete inteso di dire? Spiegatevi.
Credeva di essermi giovato di una parola assai
semplice dissi io. Se non ne comprendete il valore, le mie spiegazioni non
avrebbero alcun frutto.
Ella sorrise a fior di labbra, e riprese:
Intendete di escludere le piccole simpatie, le
amicizie, gli affetti domestici? Amare è una parola assai generica.
Assai esclusiva alletà vostra. Non escludo
gli affetti che voi dite; ma non li considero che come una sfumatura, come una eccedenza,
come la cornice del quadro. Forse anzi minganno, essi hanno natura oppostissima.
Dicendo amore intendo amore.
E ripresi col pensiero rivolto a Clara:
Intendo lamore che sentiamo alla nostra
età, noi, giovani, ardenti, immaginosi; quellamore che è superiore a tutto, che
sfida tutto, che è tutto; quella fusione piena di due anime che fa vivere la stessa vita,
pensare gli stessi pensieri, volere le stesse volontà, desiderare gli stessi desideri;
quel periodo di acciecamento e di ebbrezza in cui tutto è bello, tutto è nobile e puro,
tutto è felice; giacché lamore non è che un grande acciecamento ed una grande
ebbrezza!
Ah, sí! esclamò ella sommessamente, e
come parlasse a se stessa quello è lamore.
E credete, continuai io senza avvedermi
del male che le facevano le mie parole credete che la vita avrebbe qualche
attrattiva se vuota di questo sentimento che loccupa tutta; nella fanciullezza col
desiderio, nella gioventú colla fruizione, nella vecchiezza colle memorie? Credete che
questo mondo ci parrebbe sí bello e sí buono, se non avesse questa luce e questo
profumo? Che questo stesso luogo dove siamo ora mi sembrerebbe cosí incantevole, se non
lo vedessi attraverso questo prisma abbagliante?
Voi!
esclamò ella voi lo
vedete
E sinterruppe di nuovo angosciosamente.
Eravamo arrivati in quel punto nel mezzo di una crociera
ove sorgeva un monumento di marmo. Sopra una fronte di esso, rimasta intatta, erano
scritti a matita molti nomi che il tempo aveva in parte cancellati: due righe sole
parevano recenti e dicevano: 22 agosto 1863. Giulio e Teresa amanti
e sposi felici.
Mentre Fosca me le indicava col dito, sentiva la sua
persona pesare sopra la mia con abbandono. Non era effetto di voluttà, ma prostrazione,
abbattimento improvviso. Quanto a me, quelle parole mi avevano colpito piú intimamente:
la mia situazione era tale da sentire piú al vivo quel richiamo: "amanti e
sposi", noi non eravamo che amanti, noi, io e Clara, non saremmo stati sposi mai; il
nostro stesso amore non era che una colpa, che una violazione di quella legittima
felicità di cui godevano quei due ignoti. Essi erano stati in quelleliso quattro
soli giorni prima di noi era allora il ventisei agosto, me ne ricordo bene
come come dovevano esservisi sentiti felici! Correre lungo quei viali,
nascondervisi dietro i carpini; chiamarsi, inseguirsi, sedersi su quelle viole; oppure
passeggiarvi a braccio, vicini vicini, colle teste che si toccano, colle mani intrecciate;
e parlare di cose malinconiche, di ammalarsi, di morire
"prima io; no, prima
io
assieme
". E mi veniva in mente che quattro giorni prima era stato un
bel giorno quieto, fresco, sereno, e il sole doveva essere tramontato, come allora, in un
oceano di raggi infuocati, e quel luogo doveva essere stato bello, severo, incantevole
come in quel momento.
Limmagine di quella felicità era venuta a
colpirmi nella pienezza della mia baldanza. Non invidiava quelle due creature, ma mi
faceva male il pensare che verano al mondo esseri tanto piú felici di me.
Avvenne una reazione istantanea nelle mie idee; mi
riebbi subito da quella specie di allucinazione che maveva dominato fino allora,
pensai al discorso tenuto con Fosca, e ne sentii pentimento.
Meditava sul modo di dirglielo opportunamente, allorché
essendo stati raggiunti da suo cugino che discuteva forte col suo amico intorno ad un
quesito di strategia, essa gli disse:
Mi sento male, torniamo a casa.
Il colonnello si rivolse senza risponderle, tutto
infervorato come era nella sua discussione.
Vi sentite male? le chiesi con dolcezza.
Mio Dio! forse le mie parole
i discorsi insensati che abbiamo tenuto
finora
Voi siete ben crudele dissella.
E parve che non potesse continuare.
Crudele, esclamai io e perché? Non
vi comprendo.
Voi non sapete quanto mi avete fatto soffrire. O
siete incredibilmente ingenuo, o incredibilmente cattivo. Parlarmi damore, di
felicità, parlarmene in tal guisa
e si calò il velo del cappello, non so se
per nascondere la sua emozione, o per celarmi la sua bruttezza in un momento in cui stava
per trionfare della mia pietà. Non comprendevate quanto mi dovevano far male
quelle parole?
Perdonate, io dissi con accento commosso
vi giuro che era ben lungi dal sospettarlo: mi avviene spesso di parlare
inconsideratamente
E avrei voluto aggiungere: "Voi mi avete però
provocato". Ma me ne astenni.
Sentite dissella cercando la mia
mano colla mano del braccio che aveva fatto passare nel mio una mano secca, lunga,
leggiera e stringendola a intervalli convulsivamente. Qualche giorno vi
farò della confidenze, vi racconterò la mia vita; voi me lo permetterete, non è vero?
Ho bisogno del vostro compianto. Avete unaria cosí dolce, cosí buona. Ve lo
confesserò: io vi ho veduto fin dal primo momento che siete venuto in nostra casa, vi
vedeva tutti i giorni, e non usciva mai dalla mia stanza perché aveva vergogna di voi,
temeva di dispiacervi, sono cosí brutta! Mio cugino non è cattivo, mi vuol bene, ma non
mi sa comprendere; gli altri sono gente grossolana, buoni ma rozzi soldati! Non vi
siete che voi che possa capirmi, sopportarmi senza umiliarmi, compiangermi. Perché non
vha alcuno tra essi che non mi rispetti, è vero, ma in segreto mi deridono, ne sono
ben certa, lo sento. Dicono che sono dispettosa, volubile, ironica, spesso cattiva. Son
essi, è il mondo che mi ha fatta diventare cosí, mi conoscerete. Ho bisogno di essere
conosciuta, capita. Voi non potete immaginare come questi uomini che dicono di sapere
tante cose, che sembrano conoscere il mondo sí bene, e ne ridono, sieno poi tanto
ignoranti, tanto superficiali nella scienza del cuore umano. Silludono perché si
conoscono tra loro, e si conoscono tra loro perché sono tutti eguali! Voi siete diverso,
voi; mi è bastato vedervi per comprenderlo. Non vi domando che la vostra protezione, la
vostra tolleranza. Ho qui nel cuore tante cose che mi fanno male, perché non le posso mai
dire; e poi lo vedete, sono malata, sono anche brutta, assai brutta, dovete aver
compassione di me
quella compassione amorevole, generosa, sincera che non ho trovato
mai, mai, e di cui sento tanto bisogno. Non mi rifiuterete la vostra pietà, ditelo, non
me la rifiuterete!
Buona creatura esclamai io profondamente
commosso sí, avrete tutta la mia amicizia, tutta la mia confidenza; avrò
anchio tante cose a dirvi; sarò felice di avere unamica
E trovandomi imbarazzato a continuare, strinsi
calorosamente la mano che ella aveva posto nella mia.
La vostra mano è ardente. Ho la febbre, lho sempre.
Sentite, riprese ella dopo qualche istante
ho bisogno di giustificarmi con voi, sento che ne ho il diritto e il dovere. Se
oggi stesso, il primo giorno in cui vi ho veduto, ho osato tenere con voi alcuni discorsi
che nessunaltra donna avrebbe tenuto, e ho voluto quasi provocarli, lho fatto
perché la mia bruttezza mi garantiva contro tutti i pericoli di una simile discussione, e
anche contro il sospetto di essermivi abbandonata per uno scopo biasimevole. La mia
deformità ha almeno questo vantaggio.
Ora proseguí Fosca, vedendo che non
eravamo piú che a pochi passi dalla sua casa dovete promettere di perdonarmi la
prima colpa che ho commesso a vostro riguardo.
Quale! una colpa! Promettetelo prima.
Con tutta lanima.
Quella di avervi fatto uscire con me. È una
ferita che ho recato al vostro amor proprio; e so quanto ciò vi possa essere dispiaciuto.
Non tentate di farmi credere il contrario.
Non lo farò, io le dissi (giacché mi
vedeva posto nel caso di dire una nuova menzogna) non lo farò perché me lo
proibite, ma
Essa mi guardò e sorrise tristemente, come avesse
voluto dirmi:
"È vero, perciò non lo farete".
In quel momento avevamo raggiunto il colonnello ed il
suo amico che si erano fermati alla porta ad aspettarci.
Sapreste dirmi mi chiese il colonnello col
volto arrossato dalla discussione avuta col suo compagno se fu De-Fauchée
linventore delle capsule a secco, o piuttosto se non fu lui che le ha perfezionate?
Egli ne fu linventore. Lo sapete positivamente?
Positivamente.
Al diavolo! disse il suo amico.
Benissimo! esclamò il colonnello,
fregandosi le mani sei bottiglie di madera guadagnate!
XVII
Mi ritirai nella mia stanza tristissimo; era assai
malcontento di me, e sentiva che aveva il dovere di indagare severamente la mia condotta.
Il risultato di quellesame non poteva che mettermi in maggior ira contro me
medesimo; mi era contenuto come un ragazzo, come un collegiale. Fosca aveva avuto ragione
ad approfittare della mia semplicità; essa non aveva fatto che cedere alle mie
provocazioni. Se il mio contegno era stato tale con lei di cui avrei abborrito
laffetto, quale sarebbe stato con una donna avvenente, il cui amore avrebbe
lusingato la mia vanità? Come mi sentiva colpevole verso Clara! Come era umiliato della
mia debolezza!
Un altro pensiero metteva a tortura lanima mia.
Quella donna era realmente buona, realmente ingenua? O non era che un essere infinto,
astuto, corrotto? Aveva ella voluto abusare della mia semplicità, sorprendermi, condurre
allamore per la via della compassione; o le sue intenzioni erano pure, e questa mia
stessa semplicità laveva invogliata della mia amicizia, della mia sola amicizia?
Infelice lo era, e assai: le miserie sue dovevano essere infinite; né era strano che ella
potesse desiderare unanima in cui versarsi, desiderarla con tale intensità di
desiderio, e invocarne la pietà con tale abbandono.
Oltre a ciò Fosca non era una donna comune. Il suo
spirito era assai colto, la sua intelligenza assai vasta; e la sua stessa infermità, la
sua bruttezza erano tali circostanze che concorrevano a formare uneccezione. Le sue
passioni, i suoi sentimenti, le sue idee dovevano anche essere eccezionali; ed era forse
sotto questo aspetto che bisognava giudicarne. Nondimeno quellaprirmi subito
lanima sua; quellabbandonarsi cosí a me nel primo giorno che mi vedeva, quel
richiedermi disperatamente della mia amicizia
Diffidavo dellamicizia di una donna, e mi doleva
non poco di aver accettato quella di lei. Io sapeva che noi non possiamo sottrarci mai
agli istinti, e che tra un uomo e una donna giovani, che vogliono violentare la natura
amandosi di amicizia, non può esistere che un affetto monco, artificiale, violento,
spesso ridicolo, perché non conduce che ad un amore già nudo dogni illusione e
dogni attrattiva. Lamicizia ci ha fatto veder tutta lindiscretezza della
sua intimità, ci ha spogliati di ogni velo; non si può piú essere né amici veri, né
amanti veri; ed è cosí che la natura si vendica spesso delloltraggio che ha
ricevuto.
Avrei dato un anno della mia vita per potermi sottrarre
a quella promessa, per poter infrangere quel legame. Se tutto ciò non fosse avvenuto!
Prevedeva che quella donna si sarebbe posta fra me e la
mia felicità, avrebbe attraversato il mio avvenire. Non sapeva immaginare le ragioni di
questo timore, ma il cuore me lo diceva, né il mio cuore mi aveva mai ingannato.
Cercai in quella notte di prendere una risoluzione
pronta ed efficace, di fuggirla, di essere crudele. Ma Dio mio! Come potevo io essere
crudele? Io non era mai stato nella mia vita che semplice, che affettuoso, che buono!
XVIII
Vera però un mezzo ben certo di rendere
impossibile ogni altro legame, e di distruggere quello che avevamo già contratto
evitare di trovarmi solo con lei. Fuggirla era follia; lavessi pur potuto, non
lavrei dovuto; tale estremo era inopportuno, né ella il meritava, né suo cugino ci
sarebbe passato sopra senza volerne sapere le cause.
Ella avrebbe potuto leggere nellanima mia il
pentimento che io sentiva di quel primo abbandono, e la risoluzione decisa di
dimenticarlo; il mio contegno doveva essere sufficiente a ciò, né il suo orgoglio le
avrebbe permesso di chiedermene una spiegazione.
Riuscii per alcuni giorni ad evitare di trovarci soli
cosa che non ebbe a costarmi poca fatica, perché ella, dal canto suo, poneva in
opera ogni strattagemma possibile per ottenere uno scopo contrario. Aveva ella indovinato
le mie intenzioni? Non lo lasciava apparire. Forse ad arte, giacché in tal caso il suo
amor proprio le avrebbe dovuto imporre la stessa severità di contegno a mio riguardo.
Non era piú stata malata, né aveva lasciato passare
una sola occasione per vedermi. Allindomani di quella passeggiata, ciascun
commensale aveva trovato un fiore sul suo coperto; inutile dire che il mio era il piú
bello. Tutte le cure, tutte le preferenze possibili erano per me. Ella sapeva porre
tantarte in dissimulare questa predilezione, che nessuno se nera avveduto, ma
era tal cosa che a me non poteva sfuggire. Ne era commosso, ma me ne doleva amaramente.
Da principio mi era sembrato tollerasse quella mia
apatia con animo indifferente, in seguito mi avvidi che incominciava ad immalinconire, e
ne soffriva.
Una sera in cui eravamo seduti dappresso fosse
caso, fosse disegno accostò tanto il suo braccio al mio da toccarlo e da premerlo;
io mi ritrassi un poco: bastò questatto a cagionarle una crisi nervosa delle piú
violente.
Che poteva io fare? Sentiva pietà di lei, vedeva il suo
cuore e ne soffriva; ma legoismo del mio amore, la mia felicità, la natura stessa
facevano tacere in me quel sentimento. Io ero divenuto piú fermo che mai nel disegno di
respingere quellaffezione.
Una sera il colonnello mi aveva detto:
Domani usciremo in carrozza assieme, vi farò
vedere una pariglia che non avete ancora veduto, andremo al castello.
Volontieri.
Allindomani rimasi penosamente sorpreso nel veder
Fosca apparecchiata ad accompagnarci. Eravamo soltanto noi tre, e aspettavamo che ci si
annunciasse che la vettura era pronta. Indugiando i domestici in ciò, il colonnello salí
sulle furie, e discese egli stesso nel cortile. Rimanemmo soli, in piedi, luno di
fronte allaltra. Nessuno di noi osava rompere quel silenzio angoscioso.
Ad un tratto, Fosca afferrò con atto disperato le mie
mani che io teneva riunite sul petto, e vi nascose il volto esclamando con voce
supplichevole:
Oh Giorgio, oh Giorgio!
Finsi di essere sorpreso, di non comprendere.
Che avete? le chiesi io con freddezza
vi sentite forse male? Che è avvenuto?
Ah! gridò ella respingendo le mie mani
con violenza, e guardandomi con espressione di affettuoso rancore. E prorompendo in
lacrime fuggí nella sua camera.
Suo cugino fu assai sorpreso di questo incidente.
Che hai? Che accadde?
Nulla, unemicrania improvvisa,
insoffribile: sto male, non uscirò piú, sono disperata. Vorrei morire, morire!
Morire! Sei pazza! esclamò il colonnello.
E avvicinandosi a me che ero rimasto immoto
sulluscio, mi disse:
Abbiate pazienza, mio caro, voi vedete che mia
cugina sta male; non ho cuore a lasciarla sola; andremo un altro giorno a visitare quel
castello.
XIX
Quella situazione non poteva durare. Al domani, mentre
ci trovavamo a tavola, dissi a suo cugino:
Ho ricevuto lettere da Milano che rendono
indispensabile una mia gita in quella città; vi sarei obbligato se poteste concedermi una
licenza di tre giorni.
Accordato rispose il colonnello. Se
me ne aveste fatto domanda in ufficio, vi avrei forse risposto di no, ma a tavola! Come
fare! Voi conoscete il mio debole, e ne approfittate. Fate conto di partire domani? E con
qual convoglio?
Con quello delle quattro.
Bisognerà far anticipare il vostro pranzo.
Non occorre, pranzerò alla locanda.
Che diavolo! esclamò il colonnello.
Perché alla locanda? Non ne vedo la necessità.
E diede ordine che si apparecchiasse alle tre per me
solo.
Avevo fatto quella domanda per riabbracciar Clara, anzi
tutto; poi per aver tempo a riflettere sopra una risoluzione piú fruttuosa, e
forsanche a consigliarmi con lei. Se avessi veduto modo di abbandonare quella casa,
tutto sarebbe stato finito; ma la mia mente non giungeva a trovare per ciò un pretesto
ragionevole.
Al domani, come aveva preveduto, trovai Fosca che mi
aspettava nella sala da pranzo. Essa vi sera fatta portare un suo piccolo tavolino
debano, e vi stava lavorando di ricamo.
Quella sua costanza, quel difetto di amor proprio che mi
pareva scorgere nel suo carattere, quellostinazione a volermi imporre il suo
affetto, fecero sí che io la vedessi sotto un aspetto ancora piú triste di quanto non me
la avesse già fatta vedere la sua bruttezza. Ne fui offeso e disgustato. Se non era che
in quellistante il pensiero della mia felicità mi rendeva lieto e indulgente, sarei
stato veramente cattivo con lei. Ma si può essere cattivi quando si ama? Se tutti gli
uomini amassero, se lesistenza fosse una giovinezza perenne, la questione del bene e
del male sarebbe risolta, il trionfo della virtú sarebbe assicurato: noi non spiccheremmo
piú dallalbero della vita che i dolci frutti del bene.
Mi contenni nondimeno con molta freddezza. Fosca non
parlò mai; io divorava in silenzio. Di quando in quando alzavo gli occhi e la guardavo.
Era facile accorgersi che ella soffriva orribilmente, e faceva violenza a se stessa per
contenersi. Vedeva in lei come qualche cosa che stesse per prorompere, come una fiamma che
stesse per avvampare; non mi tenevo affatto sicuro di poter uscire da quella casa senza
subire le spiegazioni che tanto temeva.
Lorologio suonò le ore.
Tre e mezza, io dissi non ho tempo
a perdere.
Ella alzò gli occhi, e mi chiese:
Andate a Milano?
Sí.
Vi divertirete?
Spero.
Mi sembrate molto contento.
Non ho motivo di essere triste.
Quando ritornerete?
Fra tre giorni.
Vi ricorderete di me?
Perché no! Ricordandomi di questa città, di
vostro cugino
mi ricorderò anche di voi
Essa chinò il capo. Io mi alzai, e presi il mio
cappello. Fosca fece atto di volermi accompagnare nellanticamera.
Restate, io le dissi non lo
permetto.
E stesi la mano quasi per impedirlo.
Essa la strinse tra le sue sí fortemente che ne sentii
quasi dolore. Se la portò al cuore e se la premette sul petto con atto convulsivo; poi,
prima che io avessi potuto rimettermi da quella sorpresa, abbandonò la mia mano, mi
gettò le braccia al collo e mi coperse il volto dei suoi baci, il cui ribrezzo mi fece
restare agghiacciato ed immobile.
Cessate, io le dissi, sciogliendomi con
dolcezza da quellabbracciamento cessate per carità; vi vedranno,
pensate
No, no, interruppe ella mi
vedessero, e che monta? Oh Giorgio! pietà di me, pietà di me! Io vi adoro.
Si gettò a terra con atto disperato, e mi abbracciò le
ginocchia. Il suo volto era tutto pieno di lacrime.
Mi disprezzerete! Ebbene, non importa; purché mi
soffriate, purché mi permettiate di vedervi, di dirvi il mio amore, di raccontarvi i miei
patimenti, di piangere con voi. Se non lavessi confessato io che vi amava, voi non
me lavreste detto mai, nessuno me lavrebbe detto perché hanno tutti orrore di
me. Oh, abbiate compassione! amatemi, amatemi; si ama un cane, una bestia
e perché
non amerete me che sono una creatura come voi?
(Mi ricordo ancora di queste parole terribili: "si
ama un cane, una bestia
".)
Alzatevi, alzatevi io le dissi con voce
tremante. Le vostre parole mi turbano, mi straziano il cuore. Calmatevi,
ricomponetevi. Ora, lo vedete, io debbo partir subito, non posso dirvi tutto ciò che
vorrei. Il vostro affetto mi commuove, la vostra simpatia mi lusinga
veramente
ma ora
Vi scriverò da Milano, vi scriverò lungamente, subito
vi dirò tante
cose; datemi un indirizzo, un nome
Il mio nome di ragazza?
Avete marito?
Lebbi.
(Mio Dio!)
Mi diede un indirizzo.
Mi scriverete davvero? dissella col
volto raggiante di gioia davvero? mi scriverete? Oh grazie, grazie!
Non ne dubitate, domani stesso. Ora restate qui,
siete agitata, potrebbero indovinare
Mi accompagnò fino alla soglia delluscio, mi
guardò con tenerezza ineffabile, mi stese le mani, mi baciò un lembo dellabito,
tornò a ripetere:
Grazie, grazie della vostra pietà! Pregherò per
voi. Siate benedetto! siate benedetto!
Uscii col cuore lacerato.
XX
"Come sono belle le campagne che corrono di là a
Milano! Le ho attraversate come in un sogno. Quando si viaggiava in carrozza, a giornate,
si vedeva un lembo di terra alla volta, ora la nostra vista può abbracciarne in poche ore
estensioni smisurate. Luomo si affanna sempre piú a conquistare la terra.
Le pianure della Lombardia sono serene come il suo
cielo, liete e fiorenti come le sue donne; quel cielo è fatto apposta per quelle
campagne, non sta bene che lí, con un altro suolo non armonizzerebbe. Non so perché mi
piacciano adesso le pianure, a me cui non sono piaciute mai, a me nato e cresciuto tra le
montagne. Ma chi non amerebbe i luoghi dove è stato felice e dove lo può essere ancora?
La Lombardia è allItalia ciò che sono le praterie allAmerica, gli
Elisi, i Campi felici.
Ho passato sei ore in una specie di dolce rapimento,
colla testa fuori dello sportello, collanima perduta nella natura. Un viaggio in
ferrovia è una corsa attraverso la natura: si provano le stesse vertigini del volare.
Dopo che la scienza ha creato questo mezzo di locomozione si può quasi dire che
luomo ha delle ali.
Che bella fantasmagoria di alberi, di fiumi, di case, di
paesaggi! Come lorizzonte pareva girare intorno a me, quasi mi fossi trovato in
circolo magico! Ho veduto su nellalto, nellalto, una lunga fila di gru che
erano appena visibili. Dove andavano? Chi dirigeva la loro corsa? Chi lo sa dire!
Dove va a finire il corso della mia vita?
Ho viaggiato con alcune fanciulle, e con due vecchi che
non mi levavano mai gli occhi daddosso. Essi comprendevano senza dubbio che vi era
in me qualche cosa di straordinario, laspettazione di una grande felicità. Mi
sentiva voglia di voltarmi, e di dir loro: "Signori non sapete che io sono molto
felice?" Ma ho avuto pietà della loro vecchiezza!
Eccomi di nuovo in questo piccolo santuario. Esso è
ancora tutto ripieno di lei, vi è ancora tutto il suo profumo. Se mi avessero condotto
qui ad occhi chiusi, avrei gridato subito: "Clara, Clara!" perché avrei sentito
la sua presenza.
Ho trovato un suo capello, e ho baciato e ribaciato il
guanciale che riteneva ancora limpronta della sua testa. Quanti ragnateli! Ho visto
un millepiedi sulla parete. Il micio del vicino ha veduto luscio aperto ed è
entrato ad accarezzarmi le gambe colla coda, lho riveduto come un vecchio amico.
Quellellera che veste la parete esternamente si è abbarbicata alla persiana, e ha
cacciato dentro, per le gretole, alcuni rami coperti di fogliuzze quasi bianche, perché
non avevano luce. È una pianta sempre viva, e ne ho tratto un presagio lusinghiero.
Sono le quattro dopo mezzanotte: passeggio, piango e
sorrido. Ripeto spesso, protendendo le braccia: "Oh Clara, vieni, vieni!"
Non posso coricarmi: ancora otto ore, a domani:
ancora otto ore!
Ho aperto le finestre; il cielo è chiaro e sereno. Che
scintillio di stelle! che silenzio! Oh mio Dio, come siete grande!"
Tale è un brano delle memorie che io scrissi in quella
mia prima gita a Milano, e che ricopio ora dal mio giornale. |