De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

 

FIRENZE VECCHIA

STORIA - CRONACA ANEDDOTICA - COSTUMI

(1799-1859)

 

di: Giuseppe Conti

  

XXXVII

La città si abbellisce

Riforma della polizia urbana - li carrettone della pubblica nettezza - La paura del Cholera - Capitolato d'appalto - Grascieri aggiunti - Deputati parrocchiali - Perito grasciere sanitario - Le sollecitazioni del Presidente del Buon Governo - Dispensa dalle vigilie - Una questione di cimiteri - Il Comune rivendica il fabbricato di Candeli - Ampliamento delle Scuole Pie - L'ammazzatoio presso il torrino di Santa Rosa - Dietro le Logge di Mercato Nuovo - Il Bazar Buonaiuti - Case da poveri - Il quartiere di Barbano - Il trasloco della Dogana - Acque piovane - Le statue delle Logge degli Uffizi - Tombole - Una madiella del Ponte Vecchio - La piena del 1844 Un emissario per lo scolo delle acque - Il Municipio cambia di residenza - Dopo gradito - Allargamento della Via Calzaioli - Il nuovo Lungarno - Il gas e la luna - L'orario del gas - Calcoli necessari - Inaugurazione del gas - Il Granduca sotto un lampione - Strade ferrate - Il mercato dell'erbaggio.

La vecchia Firenze cominciava a poco a poco a subire l'influsso delle nuove idee e presentava già tempi nuovi. Fu abbellita di eleganti quartieri, allargò strade e provvide alla igiene ed alla polizia urbana in modo più consentaneo ad una città civile. Al provvedimento, di una maggiore osservanza dei precetti d'igiene, diede disgraziatamente la spinta il cholera manifestatosi a Livorno nei primi d'agosto del 1835, ed importato da due bastimenti mercantili provenienti da Marsiglia. Sviluppatasi la malattia anche a Firenze, furono dal Magistrato prese le più severe misure. I primi casi si ebbero fra i dementi di Bonifazio; e la città fu subito in grande costernazione, ma fu più la paura che l'intensità delle morti.

Il cavaliere Gaetano Pazzi, Gonfaloniere in quel tempo, non tralasciò nessuna disposizione per impedire il propagarsi del terribile morbo. Prima di tutto, con deliberazione del Magistrato del dì 11 agosto 1835, fu richiamato l'impresario della nettezza pubblica "ad un miglior metodo di servizio" poiché esistevano imperiose circostanze che esigevano la più scrupolosa diligenza ed attenzione per tener pulite e nette, specialmente da materie putride e di cattive esalazioni in generale, tutte le strade, piazze e vicoli della città. E siccome il servizio di nettezza, nel modo col quale si eseguiva, "non produceva l'effetto stabilito dal contratto d'accollo del 3 febbraio 1832", così fu imposto all'impresario che "il carrettone di ciascuna sezione dovesse esser servito da un solo uomo, per il trasporto delle materie ai luoghi predestinati, prestando il servizio giornaliero da mattina a sera, eccettuate le ore necessarie al riposo tanto dell'uomo che del cavallo; e che i due uomini addetti a ciaschedun carrettone, in qualità di spazzini destinati al pulimento delle strade, continuassero da mattina a sera il servizio, ammassando le materie in diversi punti delle strade e piazze, perché potessero caricarsi senza interruzione dai carrettonai". Per assicurarsi del continuato servizio, il signor Gonfaloniere doveva procurare di aver notizia per mezzo dei portieri, o con qualunque altro mezzo, di quanti viaggi giornalieri facesse ciascun carrettonaio. Resultando poi dal citato contratto d'accollo, che l'impresario era tenuto ad aumentare, secondo il bisogno, i carrettoni e gli uomini, tanto di giorno che di notte ed in qualunque stagione, per la pulizia delle strade, il Magistrato, nella stessa adunanza del dì 11 agosto, reputò necessario che l'impresario medesimo aumentasse, per quel tempo che dal Gonfaloniere fosse creduto opportuno, quattro carrettoni forniti, due per il migliore e più pronto servizio del trasporto delle materie ai luoghi destinati; e due con botti di acqua per lavare e tener pulite quelle strade e vicoli che ne avessero bisogno, essendo ciò analogo al citato contratto.

E siccome il cholera faceva paura a tutti, così i signori Priori non finivan di prender disposizioni atte a tenerlo lontano. Quando il pericolo non c'era, avevan lasciato tener la città come aveva voluto l'ingordo impresario; allorché si manifestò il pericolo, allora venivan fuori con le prescrizioni più rigorose, riportandosi per ogni piccolezza al contratto d'accollo, come se fin allora non fosse esistito, o nessuno l'avesse saputo leggere.

Ed è sempre così. Quando le Comunità concludono un appalto, per qualunque servizio pubblico, ci metton dentro tutte le clausole possibili, credendo con quelle d'aver rimediato ad ogni cosa: una volta in vigore, non se ne occupan più. Soltanto in casi estremi d'epidemia, si mostrano i denti agli accollatari; imperocché la paura che il male non guarda in viso nessuno rende tutti zelanti ed energici.

Per tornare al Magistrato civico, vedendo questi che "nelle circostanze attuali, due soli deputati agli affari della grascia non erano sufficienti a supplire alle funzioni ordinate dall'alta Polizia, per assicurarsi della buona qualità di tutti i commestibili, i priori deputarono ed elessero in aggiunta, i signori Luigi Cantagalli, Pietro Gallizioli e Francesco Maria Ciacchi".

Dal Gonfaloniere fu altresì rappresentato di essere stato interpellato dal Governo "se credeva opportuno che anche per la città di Firenze fosse adottato il sistema preso dalle città di Livorno e di Pisa, di eleggere deputati o per Quartieri o per Parrocchie, che invigilassero agli oggetti di pulizia e di salute pubblica".

I signori Priori, che quando si trattava di conservar la pelle eran d'una iniziativa esemplare, dichiararono tutti premurosi "che ancor essi riconoscevano molto utile l'adottare un tal provvedimento, destinando per ciascuna Parrocchia un sufficiente numero di deputati, proporzionato all'estensione e popolazione delle Parrocchie, e che perciò, venendo ordinato un tal provvedimento, incaricavano il signor Gonfaloniere di eleggere e destinare soggetti onesti, abili e capaci di adempiere la commissione loro affidata".

Sentendo che era necessario ai signori deputati agli affari di grascia, di destinare un perito capace di conoscere la buona e la cattiva qualità dei commestibili, confermarono il signor Giovanni Agostino Violi perito sanitario per tale oggetto; "e qualora il medesimo non fosse sufficiente ad adempiere tutte le funzioni, autorizzarono il Gonfaloniere a nominare altri periti per l'oggetto medesimo, mentre nelle attuali circostanze non saranno mai troppe le cautele da prendersi"!

La paura sola di un contagio, val più delle lagnanze e dei reclami. Ma quando mai i fiorentini avrebbero ottenuto in ventiquattr'ore tante belle cose, se il timore del cholera non scuoteva la fibra del Magistrato?

Per farsi un'idea esatta di quanto qui è detto, basterà rilevare il fatto, che ci volle una lettera diretta al Gonfaloniere dal Presidente del Buon Governo, con la quale si rimettevano al Comune diverse carte, tendenti a prender le misure necessarie per provvedere al grave incomodo dei numerosi depositi di materie putride e fermentate esistenti in questa capitale. Perciò si invitava il Magistrato a trovar locali fuori della città per deporre cenci, letami e spazzature che si raccoglievano nella città da diversi spazzaturai, e dei quali se ne faceva traffico da alcuni mercanti, riponendoli in magazzini entro la città medesima; i quali, a forma degli ordini veglianti erano stati intimati a remuoverli per allontanare il pericolo delle cattive esalazioni a danno degli abitanti circonvicini. Ed il Magistrato, dopo questa tirata d'orecchi del Commissario del Buon Governo, il quale anche lui prima non vedeva nulla, letta la lettera del Commissario del Quartiere di Santo Spirito, ed il rapporto del medico fiscale sopra detto oggetto, consultato a lungo l'affare - ebbero anche bisogno di consultarlo a lungo - dichiararono "che il Magistrato non aveva autorità né mezzi per trovare detti locali fuori della città, né modo di conciliare l’interesse dei mercanti, e specialmente quello dei raccoglitori di cenci, letami e spazzature, che vivevano e mantenevano con tale industria le loro famiglie, colla necessità ed urgenza di allontanare dalla città i depositi di dette materie, facendo comprendere, a chi occorreva, che la periferia della loro Comunità viene limitata dal pomerio, ossia strada esterna lungo le mura urbane".

L'autorità che gli mancava per togliere di mezzo i depositi delle spazzature, il Magistrato la seppe trovare per i cibi magri. Infatti, "considerando che l'essersi manifestato in vari luoghi d'Italia ed anche nella Toscana il cholera morbus, poteva essere un mezzo confacente e preservativo per allontanare detto morbo l'uso delle carni salubri in tutti i giorni del venerdì, sabato e vigilie, nei quali dalla legge e disciplina ecclesiastica viene vietato, mentre l'uso dei cibi magri in detti giorni, specialmente per il comune del popolo, poteva giustamente essere un motivo predisponente a contrarre detto morbo; determinò che fossero umiliate preci all'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Arcivescovo di Firenze, perché volesse degnarsi di ottenere dal Santo Padre la dispensa ed indulto dal detto rigore disciplinare, e l'opportuna facoltà di far uso generalmente per tutti gli abitanti della città delle carni salubri anche nei giorni preindicati, per tutto quel tempo che il giusto timore e sospetto della propagazione del morbo lo esigesse, con quelle modificazioni che fossero piaciute alla saviezza del prefato Monsignor Arcivescovo; ed incaricò il signor gonfaloniere a presentarsi a Monsignore per l'oggetto che sopra".

Con questa deliberazione avevano salvato il paese!

Una prova della civiltà del Magistrato civico, fu data nella occasione nella quale il 19 novembre 1835, una "deputazione sanitaria della parrocchia di San Frediano in Cestello, domandava che fosse soppresso il cimitero per l'inumazione dei cadaveri della popolazione israelitica, posto lungo le mura della città fuori della Porta San Frediano, per le cause latamente rilevate in una rappresentanza, o supplica, firmata dal signor Stefano Minucci, di commissione di detta deputazione". Il Magistrato commesse al Presidente del Buon Governo di prendere quella domanda in opportuna considerazione, trovando ben fondati i motivi dedotti nella medesima; e così se ne lavò le mani.

Ma quando fu presentata una supplica "dei Massari dell'Università Israelitica, con la quale imploravano che dalla Comunità fosse ai medesimi ceduto in vendita o a livello uno degli appezzamenti di terreno liberi dai cadaveri, che esistono in continuità del camposanto di Trespiano, per tumularvi i cadaveri di detta Università, essendo stato loro impedito di interrarli nel loro cimitero fuori di Porta San Frediano", con partito di voti dodici tutti contrari, il Magistrato rigettò una tal domanda, adducendo che "se fosse stata ammessa, avrebbe potuto suscitare un malcontento universale nella popolazione cattolica": facendo osservare "che essendovi diversi possessori di terreni di detta Università, anche in prossimità del camposanto di Trespiano, potevan rivolgersi a loro per ottenere l'intento".

Dopo questa bizantina deliberazione, il Provveditore della Camera diresse al Gonfaloniere un biglietto col quale gli faceva alcuni rilievi e osservazioni per indurre il Magistrato "a prestarsi alla domanda dei Massari dell'Università Israelitica, accordando loro, o in compra o a livello, una porzione di terreno contiguo al cimitero di Trespiano per tumularvi i cadaveri dei morti di detta Università affetti dal cholera". Ma i Priori incaponiti ormai nella negativa, dichiararono che il Magistrato loro non avrebbe prestato mai il consenso, perché detti cadaveri fossero tumulati nelle adiacenze del camposanto di Trespiano "per non incorrere nell'odiosità della popolazione cattolica, e non urtare l'opinione religiosa"; e che perciò si riportavano interamente a quanto avevan già deliberato in proposito. "E per quanto riconoscessero imponente la circostanza allegata dal signor Provveditore d'impedire temporariamente la tumulazione nel solito loro cimitero", non la reputavano un motivo sufficiente a cangiar l'opinione; "sì perché i terreni adiacenti al camposanto di Trespiano, sebbene non destinati alla tumulazione dei cadaveri formavano una parte integrante del medesimo, sì perché i Massari potevan benissimo provvedersi altrove il terreno opportuno alla tumulazione dei cadaveri della loro Università". E con questo troncaron la questione in modo affatto strano: fu accettata la domanda della deputazione sanitaria di San Frediano, per sopprimere il cimitero israelitico lungo quelle mura, e non si volle accordare agli ebrei il terreno per un cimitero nuovo. Dove fosse andata a cacciarsi la logica, Iddio solo lo sa!

Più fortunata, fu l'Arciconfraternita della Misericordia; la quale con deliberazione del Magistrato del 30 agosto 1837, ottenne la cessione di un pezzo di terreno del camposanto fuori di Porta a Pinti, per destinarlo alla inumazione dei cadaveri dei fratelli dell'Arciconfraternita stessa, purché fosse da essa lasciato libero il rettangolo che serviva ai malati di Santa Maria Nuova che invece di tornare a casa dopo la cura, andavano a finir lì!

Passiamo ora ai nuovi lavori decretati dal Comune per abbellire e render più comoda la città.

Prima di procedere a' quali, furono dal Magistrato, nel 9 luglio 1832 "umiliate preci a S. A. I. e R." per autorizzare il Comune a ripetere dallo Stato il fabbricato di Candeli, pel quale la Comunità "sotto la dominazione francese" aveva speso la somma di 155,000 franchi, avendolo dovuto arredare anche della necessaria mobilia. Questa domanda il Magistrato era indotto a farla onde trarne partito per "la diminuzione delle pubbliche imposizioni".

La decisione dell'"amato Sovrano" si fece aspettare un pezzo; ma finalmente nel 10 marzo 1835, il Provveditore della Camera partecipò al Magistrato che S. A. I. e R. aveva concordato il rimborso al Comune di 120,000 lire toscane, equivalenti a 108,000 franchi. La differenza in meno di 47,000 franchi rappresentava i frutti!

I Comuni fanno sempre di buoni affari col Governo. Tiriamo via. Quelle centoventimila lire però, non potevan portar nessun vantaggio ai contribuenti; perciò Leopoldo II ordinò con "venerato dispaccio del 6 marzo 1835" che quella somma fosse esclusivamente destinata all'accrescimento dei locali ad uso di scuole nel convento delle Scuole Pie, e che perciò il Comune acquistasse la casa di proprietà del signor balì Niccolò Martelli, contigua a detto Collegio, per la somma di 9500 scudi, "quando non si fossero potute ottenere condizioni migliori". Ma il prelodato balì tenne fermo: voleva un gran bene anche lui ai reverendi Padri Scolopi, ma, negli interessi, "amici cari e borsa del pari"! La somma avanzata delle 120,000 lire, fu passata al Provinciale delle Scuole Pie, con l'obbligo di spenderla nell'adattamento della casa Martelli, "e di istituire e mantenere a tutto carico delle Scuole Pie, un maestro di lingua italiana".

E così gli Scolopi poterono render un maggior servizio alla pubblica istruzione, che in Firenze a quel tempo era tenuta in pregio quasi soltanto da essi.

Una delle prime opere pubbliche più importanti eseguite dal Comune, fu la costruzione, nel 1835, del nuovo ammazzatoio presso il torrino di Santa Rosa, affidandone l'accollo all'impresa Faldi e C., dai quali poi il Comune lo riscattò per la somma di trecentomila lire, che prese in prestito dalla Cassa di Risparmio al 4 per cento.

Una cosa che maggiormente incontrò il plauso dei cittadini, fu quella di avere il Magistrato ordinati cinquantaquattro carri coperti per il trasporto delle carni macellate, e di proibire che si continuasse ad ammazzare i maiali in Mercato Vecchio.

Nello stesso anno fu dal Magistrato deliberato l'allargamento di Via Val di Lamona e del Vicolo della Seta, "per allargare da quella parte la strada, ossia vicolo, che stava di fronte e quasi addossato colle fabbriche ivi situate alla Loggia magnifica di Mercato Nuovo, all'oggetto non solo di tor di mezzo le immodezze e inconvenienze che vi succedevano, ma per rendere ancora più spazioso da quella parte il giro delle stesse Logge, che sono uno dei più bei monumenti della città".

Contemporaneamente a questi abbellimenti per parte del Comune, uno se ne aggiunse di iniziativa privata; e fu il magnifico Bazar Buonaiuti in Via Calzaioli, che parve per quei tempi una meraviglia, e fu davvero uno dei primi edifizi di quel genere in Italia. Le botteghe di vari articoli che vi furon riunite, ed il caffè dove nei primi tempi specialmente accorreva numerosa una clientela sceltissima, ne fecero il ritrovo preferito ed elegante d'allora. Oggi è ridotto a magazzino di ferrarecce!

Nel dì 20 febbraio 1838 fu partecipata al Comune una Ministeriale del Provveditore della Camera del dì 5 febbraio stesso con la quale si accompagnava "un progetto dell'architetto Leoni per costruire cinquantatré case da poveri, capaci di 318 famiglie, in una nuova strada da aprirsi in Firenze sulla linea di Via degli Arazzieri al bastione San Paolo del Forte da Basso, secondo il disegno dell'architetto suddetto". Fatte più e diverse considerazioni dai signori adunati, ritrovarono utile e comodo per la classe dei poveri il progetto dell'architetto Leoni ed incaricarono, secondo il solito, il Gonfaloniere di rimetterlo al Provveditore della Camera delle Comunità, "beninteso però che l'obbligo della loro Comune dovesse esser ristretto all'acquisto del puro suolo della strada e piazza, esclusi i fabbricati da demolirsi e ogni altro impedimento da togliersi, che si ritrovasse nella linea della strada da esser aperta, e con che fossero fabbricate realmente le case di cui si trattava e per l'uso che veniva proposto".

Non correvan tanto, i signori Priori, a quanto pare, a credere alle buone intenzioni. Ma le case furon fatte; e la loro costruzione non soltanto riuscì graditissima alla cittadinanza, ma diede occasione al nuovo grandioso quartiere detto di Barbano, che fu il quartiere nuovo, il quartiere signorile di Firenze e dove fu fatta quella magnifica Piazza che si chiamò prima Maria Antonia in ossequio alla Sovrana, e quindi dell'Indipendenza, per ricordare che di là partì il 27 aprile 1859 il nucleo della dimostrazione fiorentina, che al grido di "Viva l'indipendenza italiana" abbatté il trono dei Lorenesi, e fu l'inizio della "Unità d'Italia"!

Il progetto del nuovo quartiere incontrò anche il favore del Sovrano, che fece comunicare la sua "reale soddisfazione al Gonfaloniere ed alla Magistratura civica". nel dì 28 luglio 1843, con suo venerato dispaccio, nel quale ordinava che fosse affidato "allo zelo della magistratura stessa, l'incarico di eseguire per conto della Comunità, senza intervento di particolari intraprenditori, le operazioni occorrenti col fine di ottenere che l'industria privata si volga all'impiego dei capitali nella edificazione di case, sul terreno che verrebbe opportunamente espropriato".

I beni interessati nel grandioso lavoro appartenevano ai signori Niccolò e Giuseppe Gondi, e alle monache di Santa Appollonia.

In quel torno altresì venne trasportata la Dogana in Via Larga nel Casino Mediceo, togliendola da Palazzo Vecchio, venendo così a cessare l'ingombro quasi costante della Piazza del Granduca dal lato di tramontana.

Nel 1839 fu approvato definitivamente l'incanalamento a spese del Comune delle acque dei tetti che erano di grave incomodo e danno alla viabilità nei giorni di pioggia, ed avviando la città sulla via di un miglior sistema di pulizia e di igiene.

Un veneratissimo rescritto del dì 11 marzo 1842 approvava la costituzione della Deputazione fiorentina - presieduta dal marchese Giovanni Ginori - per lo scolpimento delle statue ad illustri toscani, onde compire la decorazione "delle Logge degli Uffizi", le quali statue venivano a mano a mano offerte in dono al Comune.

La "benemerita deputazione" predetta, ottenne perciò "dalla clemenza sovrana" la permissione di eseguire nel 1843, "quattro pubbliche tombole" i cui resti, depurati dalle spese e dai premi, costituivano una buona risorsa per la società medesima. La prima tombola ebbe luogo nel 24 giugno di quell'anno nel Piazzale degli Ufizi; e la seconda, il 26 detto sulla Piazza di Santa Maria Novella, ove "per rendere il divertimento maggiormente vario" fu eseguita nell'anfiteatro dei cocchi, una corsa con fantino alla tonda.

Le prime statue collocate a posto nel 1842 furon quelle di Dante, di Michelangiolo, di Leonardo da Vinci e di Lorenzo il Magnifico; e nel 1843 quelle di Andrea Orcagna e di Giovanni Boccaccio. Onde il Magistrato accordava alla benemerita Deputazione fiorentina la somma di ottocento lire per favorire i trattenimenti o tombole che la Deputazione stessa avrebbe fatte, allo scopo di provvedere alle spese occorrenti; e commise altresì al signor Gonfaloniere "che in nome del Magistrato e come rappresentante di Firenze, esprimesse alla benemerita Deputazione la generale riconoscenza per le sue premure, che procurarono alla nostra città le quattro statue già messe a posto nel 1842, e le due da collocarsi in quell'anno".

Un altro non meno veneratissimo rescritto del 7 aprile 1843 approvava l'acquisto per parte del Comune, della madiella di proprietà di Stanislao Ferranti situata "alla testata del Ponte Vecchio a destra dell'Arno, per il prezzo di L. 5600, compreso impostàmi ed altro, che fosse di corredo alla bottega medesima"; e ciò "per il comodo utilissimo, dello stretto scosceso e pericoloso sito di strada, presso il Ponte Vecchio nel Lungarno, destinato ai giornalieri e deliziosi corsi delle carrozze e passeggi dei cittadini della capitale".

Ed ora usciamo un po' dall'argomento, per ritornarvi fra breve.

La memorabile piena dell'Arno del 3 novembre 1844 che allagò la intera città con danni enormi per i cittadini e per il Comune, fu salutare causa in tanta sventura di provvedere a difendere Firenze da nuove alluvioni.

In quella funesta giornata, Firenze mostrò una volta di più la nobiltà d'animo, lo slancio e la carità di tutti i cittadini, dal Sovrano ai più poveri ed umili.

Per le insistenti pioggie, i fiumi e i corsi d'acqua della Toscana erano in piena e quasi tutti strariparono con danni incalcolabili delle campagne, che diventarono altrettanti laghi.

In Firenze, fin dal giorno d'Ognissanti, si temeva da un momento all'altro che l'Arno, già gonfio e minaccioso, desse di fuori; e pareva impossibile che non si sentisse dire tutt'a un tratto che ciò era avvenuto. All'alba del 3 novembre l'acqua fu nelle vie, mettendo il terrore e la desolazione nella città. È inutile descrivere ciò che ognuno si può facilmente immaginare.

"Il flutto distruttore" continuò ad alzare nelle strade fino a mezzogiorno, raggiungendo in molti punti l'altezza quasi d'un primo piano. Il Gonfaloniere marchese Pierfrancesco Rinuccini "dispose subito con senno e risolutezza di tutti i mezzi che erano a disposizione del Municipio" per portare i primi soccorsi a coloro che si trovavano in maggior pericolo. "Nobile testimonianza di patria carità e d'amore la dettero il marchese Carlo Torrigiani ed altri illustri personaggi" i quali da se stessi aiutati dai loro amici, portarono ogni modo d'aiuti, anche "a quelli ai quali il pudore soffocava l'imperiosa voce del bisogno".

A cotesti infelici, che pur troppo son più numerosi di quanto non si creda, provvide la benemerita istituzione fondata da Sant'Antonino quand'era arcivescovo di Firenze, detta dei Buonomini di San Martino, o dei poveri vergognosi, come tuttora si vede scritto sulla buca in marmo per le elemosine, a sinistra della loro chiesetta, ricca di antiche pitture, sulla Piazza di San Martino.

Persone d'ogni ceto si segnalarono in quella giornata per atti di eroica carità, che potendo narrare singolarmente ci recherebbero grata meraviglia e giusto sentimento d'orgoglio. Insieme al Gonfaloniere "meritarono specialissima lode gli impiegati del Municipio" che per molto tempo, giorno e notte, trascurarono interessi e famiglia per dedicarsi interamente al pubblico servizio.

In tanto slancio di carità e di pietà fraterna, sdegnò il contegno della "Congregazione dei Filippini" di San Firenze, i quali dopo le funzioni, era di domenica, chiusero la chiesa cacciando fuori i devoti e coloro che vi s'erano rifugiati chiedendo soccorso quando l'acqua irrompente allagò la piazza e le strade, ricoprendo quasi la gradinata della chiesa. Pioveva a ciel rotto, e quei disgraziati, bloccati dalla piena che sempre cresceva, soli come in un'isola, in mezzo all'immensa desolazione, invocavano invano soccorsi da quegl'indegni servi di Dio. Un infelice, spinto dal pensiero della famiglia, si arrischiò a scendere rasente la gradinata da Borgo de' Greci, ma travolto dal gorgo della fiumana affogò sotto gli occhi dei compagni esterrefatti.

Al contrario di quelli di San Firenze, si distinsero i frati di Santa Croce e quelli d'Ognissanti, distribuendo a coloro che rimasero nelle loro chiese senza potere uscire perché l'acqua alzava più di due braccia, tutte le provvisioni delle quali disponevano e quelle che la carità pubblica aveva loro "elargite per la propria sussistenza".

Leopoldo II con la famiglia si trovava tuttavia alla villeggiatura di Poggio a Caiano. Svegliato nella notte dal 2 al 3 novembre dalle grida di tanti miseri, che avevano abbandonate le loro case "fuggendo la prepotenza dell'acque nell'orror della notte", fece ricoverare nella regia villa molte famiglie, provvedendole di vesti, di alloggio e di vitto. Ed egli stesso, la mattina, in una barca, sebbene con molto disagio e pericolo, volle recarsi a Prato essendo anco quella città allagata e fin là tutt'un esteso piano d'acqua dalla quale uscivan fuori i rami degli alberi, che con molta cautela e pericolo bisognava scansare.

Incoraggiata Con la sua presenza la popolazione di Prato, distribuiti soccorsi e dati ordini per sollevare tante miserie nel modo migliore che per il momento si poteva, volle tornare a Firenze a cavallo, col soprabito fradicio intinto per la incessante pioggia e una gran tuba bigia, che era diventata a striscie, per il pelo allumacato.

Il Comune istituì subito una "Commissione civica" per raccogliere soccorsi d'ogni genere a pro dei danneggiati più poveri, e le somme in danaro raggiunsero la egregia cifra di 260 mila lire.

A ricordo di questo terribile avvenimento, il Municipio fece apporre delle liste di bronzo in vani punti della città per indicare fin dove era arrivata l'acqua d'Arno nel 3 novembre 1844.

Sulla cantonata di Via del Diluvio (Via del Fosso) e Piazza di Santa Croce, il ricordo fu messo sotto una striscia di marmo, che rammentava la famosa piena del 1557, che era salita molto più in su di quella pur tremenda del 1844 che era giunta, in quel punto, oltre l'altezza d'un uomo.

L'anno dopo il disastro, e cioè nel 14 novembre 1845 il Magistrato prese in esame il progetto dell'ingegnere di circondario Flaminio Chiesi per la costruzione "di un emissario per lo scolo delle acque dalla parte di settentrione della città di Firenze". Questo progetto "abbracciava il prolungamento della Via Vacchereccia da Mercato Nuovo fino a Piazza Santa Trinita, e la riduzione e ingrandimento del Palazzo Comunale di San Biagio".

Il nuovo emissario veniva proposto dall'ingegnere Chiesi "per l'oggetto di impedire che le acque del fiume Arno in piena, trovino mezzo di introdursi in città". E così fu iniziata quella utilissima e grande opera, che finita di costruire, ha effettivamente salvato la città da nuove piene.

La parte del progetto non eseguito, fu quello della prosecuzione di Via Vacchereccia e dell'ingrandimento del Palazzo Comunale del quale ultimo lavoro non vi fu poi più bisogno, perché nel 31 agosto 1846 il Magistrato civico deliberò l'acquisto dell'antico palazzo Spini, o Feroni, da Santa Trinita, per la somma di 34,500 scudi, "per togliere la sede della Magistratura dall'angusto, indecente e nascosto locale in cui si trovava". Ma temendo che le pretese del venditore Luigi Hombert potessero aumentare, quando avesse saputo che il compratore era il Comune, il Gonfaloniere stimò furbescamente bene, di fare apparire una terza persona che fu l'avvocato Luigi Siccoli, il quale trattò la cosa con delicatezza signorile e con la massima segretezza. Onde il Gonfaloniere ritenne doveroso dimostrare la riconoscenza del Magistrato verso di lui, con offrirgli un dono del valore almeno di sessanta zecchini. Ed il Magistrato, sebbene si ricordasse sempre dello spillo rimandato dall'architetto Del Rosso, approvò la spesa, incaricando lo stesso Gonfaloniere di procedere all'acquisto del dono che avrebbe ritenuto più conveniente; e questo consisté in "un brillante legato in oro per portarsi in petto".

Ma l'avvocato Siccoli non fece lo sgarbo di rimandare il brillante: se lo tenne anzi in petto, e ringraziò sentitamente il signor Gonfaloniere ed i Priori.

L'altra grandiosa opera compiuta nel 1846 fu l'allargamento della Via Calzaioli del quale si parlava già fin dal 1841 perché vi erano due opinioni: non si sapeva cioè se per aprire una più comoda strada di comunicazione fra la Piazza del Granduca e quella del Duomo fosse convenuto più di allargare la Via delle Farine, quella de'Cerchi, da Sant'Elisabetta fino alla Misericordia o Via Calzaioli. Finalmente vinse il progetto di Via de' Calzaioli, e quello che fu veramente da ammirarsi in un lavoro così in grande, fu che sopra una spesa di L. 1,024,905.6.8 la eccedenza fu di sole L. 8396.17.8! Son miracoli, cotesti, che non si vedon più! La prosecuzione del Lungarno dal Ponte alla Carraia alle Cascine stata già studiata dall'architetto Del Rosso fin dal 1813, fu portata ad effetto anch'essa subito dopo l'allargamento di Via Calzaioli, e la città prese con tutti questi abbellimenti un nuovo aspetto.

A questo è da aggiungersi il fatto strepitoso della illuminazione a gas nel 1846. In omaggio al Sovrano si cominciò l'impianto di quella nuova illuminazione nella Via Maggio, come la strada principale più prossima alla Reggia.

Ma una delle preoccupazioni tremende del Magistrato civico era di stabilire in quali sere d'ogni mese non dovessero accendersi i fanali, perché.... c'era la luna che non costava nulla. C'era però anche il caso che la luna facesse la burletta di non farsi vedere; e allora il Gonfaloniere, con atto energico e risoluto, mentre aspettava quelli a gas, ricorse ai lumi dei colleghi: e nel 20 marzo 1846 fece approvar loro questa deliberazione che si riporta tale e quale, perché rimanga esempio della ingenuità dei tempi!

"Per regolare con precisione il servizio dell'illuminazione a gas è indispensabile la compilazione di un orario che indichi l'ora di accensione e di estinzione delle lanterne. Senza ciò non sarebbe possibile di sorvegliare e tenere a calcolo la Società accollataria della detta illuminazione, e oltre al danno che potrebbe risentire la pubblica sicurezza, si andrebbe incontro al pregiudizio della Cassa di questa Comunità, che, in ordine al contratto del 10 luglio 1845, deve spendere in proporzione del maggiore o minore consumo del gas a ragione di millesimi 26 113 di lira l'ora per ciascuna lanterna.

Non senza ragione adunque il contratto predetto, sull'esempio di quanto si pratica per la città di Parigi, stabilì che la Società dovesse conformarsi all'orario che annualmente gli sarebbe dato dalla Comunità.

Inoltre il detto contratto stabilisce che quando splende la luna piena, o quasi piena, le lanterne debbono rimanere

spente (meno quelle permanenti che costituiscono la prima classe P).

Per secondare tale disposizione e per impedire che l'accensione non sia inopportunamente ritardata o anticipata, io chiesi ed ottenni dalla gentilezza del cav. Amici, professore di astronomia nel R. Museo di Fisica, una tavola del sorgere e del tramontare della luna, della quale mancano i lunari toscani.

Con questo elemento, e giudicando come si era sempre fatto per le illuminazioni a olio, che la luna due ore circa dopo il suo sorgere, e due ore avanti del suo tramontare, fosse tanto alta da rendere inutile ogni altra luce artificiale, si formò in questo uffizio l'orario dei quattro mesi dell'anno decorso. Ma l'esperienza fece tosto conoscere che quella consuetudine era troppo difettosa, inquantoché la luna dall'essere australe o boreale, mette più o meno tempo ad alzarsi al medesimo grado sul nostro orizzonte. E perciò fu ravvisato necessario l'altro elemento dell'ora in cui la luna si trovi all'altezza di venti gradi nelle ultime quattro sere del suo secondo quarto, e nelle prime cinque sere successive del plenilunio.

Non volendo abusare della bontà del professore Amici, mi diressi al signor Mariano Mangani, addetto all'Osservatorio delle Scuole Pie, perché facesse i calcoli necessari, ed egli corrispose al mio invito, ponendomi così in grado di far compilare con maggior precisione l'orario del 846.

I calcoli procuratimi dal signor Mangani meritavano una ricompensa proporzionata alla loro difficoltà ed alla occupazione che gli avevano recato. Tale ricompensa nella somma di L. 80 gli fu da me fatta pagare per mano del magazziniere signor Demetrio Bellini, nella lusinga che la Magistratura avrebbe in seguito approvata questa inevitabile spesa.

Domando pertanto che sia girato il partito per lo stanziamento delle predette L. 80 pagate dal signor Demetrio Bellini". E il partito venne approvato.

Dopo tanti sospiri i fiorentini che vivevano nell'anno di grazia 1846, poteron godere del saggio della nuova illuminazione e ne rimasero entusiasti; e siccome fra i patti con la società Cottin, e tutti gli altri, c'era quello che "si potesse leggere la Gazzetta di Firenze alla distanza di braccia I7 a 22 dalla fiammella del gaz", così la sera che fu inaugurata la illuminazione a gas, tutti in Via Maggio avevano il giornale in mano e, calcolando la distanza stabilita, leggevano benone.

Anche il Granduca col seguito onorò con la sua sovrana presenza quella festa di una luce che oggi.... pare quella del buio: e fermatosi il buon Leopoldo sotto un lampione per mostrare che ci vedeva bene anche lui, tirò fuori di tasca una lettera e si mise a leggerla, rimanendo soddisfattissimo del progresso della dominante! C'eran poi alcuni di vista più acuta, che andavan col giornale anche a trenta braccia per darsi più tono; ma eran quelli.... che non sapevan leggere; la Gazzetta tenuta a rovescio li tradiva.

Più dell'illuminazione a gas meravigliò addirittura l'impianto della Strada ferrata. In Toscana il primo tronco fu da Pisa a Livorno; molti fiorentini, per godere la novità si recavano a Pisa con le diligenze dell'Orcesi che partivan da Firenze a cinque cavalli e vi arrivavano dopo nove ore. Quel viaggio era pieno di emozioni; poiché ogni poco arrotavano con qualche baroccio o carrozza che facevan trabaltare, ed eran litigi e bestemmie e correvan quasi quasi il pericolo di non continuare la gita.

Quando più tardi, nel 1847 fu aperto il tronco Firenze - Prato la "Società Anonima di detta Strada Ferrata" che si chiamò Maria Antonia, perché non si poteva far nulla di nuovo, se non si battezzava col nome della Granduchessa, rivolse preghiera al Comune di trasferire altrove il Mercato del fieno e dell'erba che si teneva nella Piazza vecchia di Santa Maria Novella, "onde render libera quella piazza alla circolazione dei legni per il trasporto dei passeggeri e delle merci d'arrivo e di partenza". Ed il Magistrato nel 29 dicembre 1847 "riconosciuto indispensabile il detto provvedimento" stabilì che il mercato dell'erbaggi si facesse nella Piazza d'Ognissanti; e quello del fieno nella Piazza dell'Uccello.

E così i buoni fiorentini, per andare a Prato, non inciampavan più nelle carote, nei broccoli o nei cavoli.

              

  

 Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 08/01/99 23.23