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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

 

FIRENZE VECCHIA

STORIA - CRONACA ANEDDOTICA - COSTUMI

(1799-1859)

 

di: Giuseppe Conti

  

XXXVI

Il primo parto della Granduchessa

La nascita del Principe ereditario

L'animo e la cultura della Granduchessa - L'annunzio officiale di un prossimo parto - Adunanza del Magistrato civico - La Regina di Napoli a Firenze - I reali piedi di Sua Maestà - Ritratto della Regina - Servitori napoletani - Un triduo - La morte di una figlia del Granduca - Dolori di parto - Nasce una femmina! - Battesimo della real Prole - Solenne Te Deum - Le spese per l'illuminazione - La partenza della Regina - La purificazione dopo il parto - Voti esauditi - La nascita del Principe ereditario - Il compare e la comare - L'intervento del Sovrano - Dispensa di spese - Un'altra illuminazione - Un discorso fatto bene.

Nei capitoli precedenti abbiamo descritto la città di Firenze, e abbiamo accennato particolareggiatamente alle sue abitudini e alle sue usanze, in special modo quando Maria Antonietta venne Granduchessa in Toscana. La città né le abitudini per molto tempo non furono in grazia della Sovrana, forse perché essa non aveva il sentimento innato dell'arte, forse per la mancanza di cultura, che in lei, come Principessa era deficentissima, tanto da includer sempre qualche erroruccio ortografico quando scriveva. Delle lingue straniere non parlava a perfezione che il dialetto napoletano! Cosicché se il Granduca desiderò soltanto la donna, che avesse allietata di nuova prole la reggia, ebbe la grazia senza pregare il santo.

Infatti, ai primi del 1834 si annunziò officialmente che S. A. I. e R. era incinta; e siccome il parto si prevedeva che sarebbe avvenuto verso la metà di maggio, così il Magistrato civico fu adunato il 7 aprile di quell'anno, per prendere in tempo le opportune disposizioni. In cotesta adunanza il signor Gonfaloniere rappresentò "di avere creduto suo dovere d'interpellare l'I. e R. Governo, come dovesse la Comunità fare le sue dimostrazioni di gioia in occasione del prossimo parto di S. A. I. e R. la Granduchessa, nella circostanza specialmente che non potevano più eseguirsi i fuochi d'artifizio alla Torre di Palazzo Vecchio, come si era praticato in addietro in tutte le occasioni di parti delle RR. Granduchesse"; e soggiunse che il Governo aveva convenuto "si abbandonasse un tal sistema, e si sostituisse quello d'illuminare tutta la città con invitare gli abitanti della medesima a tale illuminazione". Perciò i signori Priori autorizzarono "detto signor Gonfaloniere a fare in nome di tutto il Magistrato un tale invito per una o più sere, come piacerà all'I. e R. Governo - tanto chi spendeva erano i cittadini - ed a fare eseguire detta illuminazione in forma decente anche alle fabbriche della Comunità, come pure alla cupola della Metropolitana".

Avvicinandosi l'epoca del parto, il 17 d'aprile giunse in Firenze la Regina di Napoli, Maria Isabella, che veniva ad assistere in quella circostanza la figliuola Granduchessa.

La prima cosa di cui si diede subito pensiero l'Augusta Donna, appena arrivata per dimostrare che sapeva d'essere nella città dell'Arte, fu quella di informarsi subito del miglior callista di Firenze; e le fu mandato, il Guelfi, callista di Corte, che abitava in Via de’ Bardi, per esser più pronto a buttarsi ai piedi del Sovrano. Egli accorse subito alla chiamata di S. M., la quale gli affidò fiduciosa nelle mani i reali suoi piedi, che il Guelfi le rimise a nuovo.

Isabella di Napoli aveva tutt'altro che faccia ed aspetto da regina. Pareva una fattoressa rivestita; grassoccia, rubiconda, con un petto da' balia, avendo rilevata da sé la numerosa prole a cui aveva dato la vita, ciò che formava, a giusta ragione, il suo maggior vanto. Aveva sempre il viso ilare e gioviale nel trattare, e non somigliava davvero la figliuola, che aveva sempre "l'aria di giramento" come dicevan parlando di lei i fiorentini. con frase un po' volgare, ma efficacissima.

Per Firenze, furono oggetto di curiosità i servitori che aveva portato seco la Regina: tutti bei pezzi d'uomini, che nessuno intendeva, perché parlavano il puro dialetto napoletano, ed era lo stesso che parlassero il turco.

Il bello era però, che nemmen loro capivano i fiorentini, i quali rimanevan mortificati; poiché sapendo di parlar la vera lingua italiana si sentivan dire ogni poco: - Nun ve capisco; e che ne saccio io ?!

I servitori napoletani avevano un giubbetto turchino a falde corte, con le manopole e il bavero color amarante; cappello a tuba e pantaloni lunghi. Nell'insieme eran piuttosto buffi. Gli staffieri di Corte li portarono a veder la città, e fra loro diventarono amiconi: poiché la maldicenza che naturalmente facevano a carico dei padroni, e il racconto di tante cose che nessuno, altri che loro potevan sapere, anche in dialetto o in qualunque altra lingua, s'intendevan benone.

Il 21 aprile fu cominciato un triduo con esposizione del Santissimo nella cappella di Corte "per implorare un felice parto dell'Augusta Granduchessa" al qual triduo "per ordine superiore facevano l'ora d'orazione gli impiegati della Corte, dalle sette antimeridiane alla benedizione, la sera".

Il Granduca e la Corte aspettavano con ansia il momento del parto, sperando che finalmente con la nascita di un principe fosse assicurata la successione al trono di cui il buon uomo si preoccupava tanto, senza supporre che sarebbe stato, un giorno, tutto tempo e fiato sprecato!

Nel frattempo, il 18 maggio, dopo lunga infermità, morì la figlia minore del Granduca, Maria Massimiliana, l'ultima nata dalla defunta granduchessa Maria Anna. Ciò parve di triste augurio, per quanto tale sventura fosse attesa da un momento all'altro: ma avvenuta per l'appunto in quei giorni, contristò l'animo di Leopoldo, che non era davvero uno spirito forte.

Alle due pomeridiane del 21 maggio, "la Granduchessa cominciò a sentire qualche piccolo indizio del prossimo parto"; e perciò alle tre fu esposto daccapo il Santissimo nella cappella di Corte, nella chiesa di San Lorenzo e alla Santissima Annunziata.

"Approssimandosi la sera, i dolori - dice il diario di Corte - si son fatti più frequenti e più intensi; talché alle nove e dieci, si sgravò felicemente.... di una Arciduchessa"!

Addio speranze!Il Granduca contenne la sua disillusione, e seppe anzi mostrarsi contento come una pasqua. La sposa era giovane e si faceva sempre più bella; per conseguenza non c'era da disperare. Coraggio, voleva essere! Iddio avrebbe provveduto. La fede non abbandonò mai Leopoldo II.

Una guardia del Corpo fu spedita immediatamente al Comandante del forte di Belvedere, e tosto una salva di centun colpo di cannone annunziò il fausto avvenimento. Nel tempo stesso fu cantato il Te Deum in cappella; e quindi dal Gran Ciambellano fu ordinato ai furieri di far l'invito per il battesimo, che avrebbe avuto luogo il giorno dipoi alle cinque e mezzo, con massima gala, che veniva ordinata per tre giorni.

La riunione ebbe luogo, per la nobiltà e i militari nel salone delle nicchie; nella stanza verde e in quella rossa per i ministri esteri, l'anticamera e i forestieri presentati; rimaneva la stanza celeste per il ricevimento della Reale Comare.

Il 22 maggio alle cinque e mezzo furono messe le sentinelle delle guardie nobili alle sale, e nel ripiano e nelle prime stanze quelle dei granatieri e degli anziani. All'ora stabilita arrivò l'arcivescovo, accompagnato dai suoi cerimonieri e dai ciambellani. "Al primo ricetto" fu ricevuto dal priore di Santa Felicita, e dai cappellani di Corte; e nel secondo dal ciambellano capitano Giuseppe Campi, che lo condusse nella prima stanza della Galleria de’ quadri, dove si riunirono tutti gli ecclesiastici.

La nobiltà senza spada, e la cittadinanza, fu ricevuta dai Taù dei cavalieri di Santo Stefano.

Alle sei, l'arciduchessa Maria Luisa, preceduta dal furiere e dagli uscieri ed in mezzo a quattro guardie nobili, dal suo Maggiordomo maggiore e dalla Maggiordama, col treno dei ciambellani e delle dame del suo seguito, andò all'appartamento della Regina di Napoli, che l'attendeva; e tutt'e due con doppio seguito di ciambellani e di dame si recarono alla stanza da letto della reale puerpera, dove l'aspettava Leopoldo II, che si trattenne con la suocera qualche minuto in colloquio particolare, intanto che nella sala della funzione si facevan collocare dai ciambellani, nei posti assegnati, le cariche di corte, i ministri, le dame, la nobiltà, ecc.

Quando tutto fu in ordine, il Gran Ciambellano ne avvertì il Sovrano, che si diresse subito a quella volta. Gli staffieri formavano due ali dal secondo "ricetto" alla sala. Apriva il corteggio per recarsi alla sala dove si sarebbe amministrato il battesimo, un usciere e il sottofuriere; quindi i paggi coi loro precettori; i camerieri, il furiere, i ciambellani e i consiglieri, il Sovrano e la Reale Comare (la Regina di Napoli). Dopo di essi la granduchessa Maria Ferdinanda e l'arciduchessa Maria Luisa coi loro maggiordomi. Finalmente la bussola con la Maggiordama maggiore che teneva la Prole, preceduta da un cameriere ed un usciere, circondata da due ciambellani e da quattro guardie del Corpo.

Venivan dopo le dame di Corte, le signore di camera, il protomedico, la camerista, l'ostetrica, la donna di guardaroba, la servente di camera e la levatrice.

L'ingresso nella sala fu annunziato dall'orchestra con una marcia, mentre che il Sovrano andava al suo inginocchiatoio di faccia all'altare; e al lato di questo, due altri per la Comare, la granduchessa Ferdinanda e l'arciduchessa Maria Luisa. Entrata la bussola, da un ciambellano che le diede di braccio, scese la Maggiordama con la real prole, che consegnò subito al Maggiordomo maggiore che la prese sulle braccia, dalle quali gliela cavò la Maggiordama e la pose su quelle della "Reale Comare". Cominciò così la funzione: terminate le orazioni, la regina Isabella rese la real prole al Maggiordomo maggiore, e questi alla Maggiordama, che la pose su una tavola preparata. La "Signora di camera" le levò la berretta, e daccapo la ripassò alla Maggiordama, e questa al Maggiordomo, e lui alla Regina che la tenne sulle braccia fino al termine del battesimo, e poi dopo asciugata, con lo stesso ordine se la ripassarono, e finalmente la real prole dopo tutto questo giro, tornò sulla tavola ove le rimisero la berretta. Ripresa dalla Maggiordama, costei in bussola fece ritorno alle stanze della real puerpera. I nomi imposti alla neonata furono: Maria, Isabella, Annunziata, Giovanna, Giuseppa, Umiltà, Appollonia, Filomena, Virginia, Gabriella; e.... basta.

Mentre la prole partiva dalla sala della cerimonia, l'Arcivescovo intonò il Te Deum, e subito fu spedito a Napoli il ciambellano Giuseppe Rucellai a portare la faustissima notizia a quella Corte.

Il successivo dì 23, il Maggiordomo maggiore e la Maggiordama marchesa Riccardi, in abito di gala entrarono in anticamera per ricevere le persone che "in abito di gala" anch'esse, andavano a prender nuove della puerpera e della prole, la quale cerimonia durò da mezzogiorno alle due pomeridiane.

Frattanto "gl'Illustrissimi Signori Gonfaloniere e Priori nobili e cittadini della comunità civica di Firenze, adunati in una delle stanze del convento della Santissima Annunziata, si portarono insieme con le altre Magistrature nella chiesa di detta Basilica a ore 6 pomeridiane; ed essendo intervenuto ancora S. A. I. e R. l'amatissimo Sovrano, fu scoperta l'Immagine della Santissima Annunziata, e fu cantato solennemente con musica l'Inno Ave Maris Stella, ed il Te Deum, in ringraziamento all'Altissimo del felice parto di S. A. I. e R. la Granduchessa, per aver dato alla luce una Reale Principessa. Sulla Piazza le truppe fecero i tre spari d'uso; e terminata la sacra funzione. fatta dall'Ill.mo e Rev.mo Monsignor Ferdinando Minucci, Arcivescovo di questa Dominante, - per mutare - furono licenziati"!

E dopo essere stati licenziati i signori Priori, sempre in segno di giubbilo, deliberarono che il Comune pagasse alla Deputazione I. e R. sopra l'Opera di Santa Maria del Fiore, e per essa ad Andrea Bambi magazziniere, lire 652.13.8 per l'illuminazione fatta alla cupola della Metropolitana nelle tre sere de’ 22, 23 e 24 maggio decorso, in occasione del felice parto di S. A. I. e R. la Granduchessa "Nostra Sovrana" come dicevan loro.

La regina Isabella dopo circa un mese e mezzo di soggiorno a Firenze, se ne tornò a Napoli accompagnata dal genero fino ad un certo punto della strada, il quale sperava presto di darle nuove migliori, cioè che finalmente il benedetto Principe ereditario, aspettato più del Messia, si risolvesse a venire alla luce.

Il dì 3 luglio alle 10 di mattina, Maria Antonietta andò in santo nella cappella di Corte "per la purificazione dopo il parto". Discese nel cortile della Dispensa, e da questo entrò nel cortile grande, seguìta dalla "real prole" portata dalla signora di camera e accompagnata dalla marchesa Riccardi. Quindi, passando dalla porta maggiore, salì di nuovo in Palazzo, per simulare che essa venisse di fuori. Appena arrivata nella cappella, sulla porta, s'inginocchiò in terra ma su un cuscino, e prese la bambina sulle braccia. L'Arcivescovo che le era andato incontro le diede la benedizione. Recitate le orazioni di rito, l'accompagnò fino all'altare e dopo un'altra orazione, la Granduchessa consegnò la prole alla signora di camera che uscì dalla porta di fianco e si recò al coretto. Maria Antonietta consegnò il torcetto e s'inginocchiò accanto al Sovrano. Poi l'Arcivescovo disse la messa piana e intonò il Te Deum.

Quindi la sera alle 7, gli augusti sposi andarono alla villa della Petraia.

Il dissimulato dolore di Leopoldo II, per non avere ancora un figlio maschio, si attutì alquanto, allorché dopo sei mesi la Granduchessa gli annunziò che era daccapo incinta.

La speranza rinacque nel cuore del Sovrano; e questa volta i suoi voti più ardenti furono esauditi, poiché la sera del dì 10 giugno 1835 "la serenissima granduchessa Maria Antonia" partorì "un reale arciduca Gran Principe di Toscana" che se fosse giunto a regnare, sarebbe stato Ferdinando IV.

Laus Deo!

Si spararono le solite cannonate, si spedì un ciambellano a Napoli a recare la strepitosa novella, si battezzò il nuovo principe, con la nascita del quale la Toscana non tremava più, e si cantò nella Real Cappella uno di quei Te Deum, da valere per dieci.

L'onore altissimo di esser comare fu conferito alla marchesa Rinuccini; ed il compare fu il marchese Giovanni Ginori.

La balia poi, cercata apposta sulle montagne pistoiesi, era una vera bellezza. Non faceva torto alla reale puerpera!

E lo zelantissimo Magistrato comunitativo, adunatosi nel dì 12 giugno "in una delle stanze del R. Ufizio del Bigallo, a ore dieci e mezzo di mattina, si portò insieme con le altre Magistrature nella Metropolitana, ove assistette alla messa dello Spirito Santo" per la fausta circostanza della nascita del Gran Principe, dato felicemente alla luce dalla "Serenissima Granduchessa di Toscana, con l'intervento di S. A. I. e R. l'amatissimo Sovrano"!

Che il Gran Principe fosse stato intervento dell'amatissimo Sovrano, come apparirebbe dalla deliberazione dei signori Priori, parve un po' curioso! S'intende che essi volevan dire invece che egli era intervenuto al Te Deum; ma tante volte, col voler profondersi in ossequi, anche in atti dove tanto ossequio è superfluo, si presta il fianco alla burla, al motteggio, che i fiorentini avevano sempre pronto sul labbro, e scaturiva loro dal cuore.

Il giorno seguente, 13 giugno, festa di Sant'Antonio, e conseguentemente onomastico della "amatissima Granduchessa" il Magistrato civico con le Magistrature e col solito intervento di Leopoldo II, si recò la mattina alle dieci alla messa solenne in Duomo; e alle sette pomeridiane alla Santissima Annunziata ove fu cantata l’Ave Maris Stella con il Te Deum , anche là "con l'intervento dell'amatissimo Sovrano" per ringraziare il Signore un'altra volta "per la fausta circostanza della nascita del Reale Arciduca".

Era proprio il ben venuto! Chi avesse avuto a dire che da grande sarebbe stato invece il ben andato!

Il Granduca, con atto di vera clemenza, "dispensò le Comunità dello Stato da fare spese per feste pubbliche, o con invio di deputati alla capitale, in occasione della nascita dell'Arciduca primogenito". Credeva sulla parola!

Eppoi gli bastava la liberalità del Magistrato fiorentino che in quella circostanza aveva speso 1180 lire "e dieci crazie" per la consueta illuminazione della cupola di Santa Maria del Fiore, nelle sere del dì 11, I 2 e 13 giugno. Soltanto il Magistrato, senza dirlo né scriverlo, desiderò, che una volta assicurate oramai le sorti della Toscana, questi fatti non si ripetessero tanto spesso.

E a farlo apposta, s'era ogni poco a illuminare la cupola!

Si vede che Don Tommaso Corsini, quando andò a Napoli a chieder la mano della principessa Maria Antonia, s'era fatto intender bene!

             

  

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Ultimo Aggiornamento: 08/01/99 23.19