ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Carlo. |
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Tenebre, o voi del chiaro dí piú assai
conveníenti a questa orribil reggia,
quanto mi aggrada il tornar vostro! In
tregua
non ch'io per voi ponga il mio duol; ma
tanti
vili ed iniqui aspetti almen non veggio.
Qui favellarmi d'Isabella in nome
vuol la sua fida Elvira: or, che
dirammi?...
Oh qual silenzio!... Infra i rimorsi
adunque,
fra le torbide cure, e i rei sospetti
placido scende ad ingombrar le ciglia
de' traditori e de' tiranni il sonno?
Quel, che ognor sfugge l'innocente
oppresso?
Ma, duro a me non è il vegliare: io
stommi
co' miei pensieri, e colla immagin cara
d'ogni beltá, d'ogni virtú: mi è grato
qui ritornar, dov'io la vidi, e intesi
parole (oimè!) che vita a un tempo e
morte
m'erano. Ah! sí; da quel fatale istante
meno alquanto infelice esser mi avviso,
ma piú reo ch'io non era... Or, donde
nasce
in me il timor d'orror frammisto? è
forse
al delitto il timor dovuta pena?...
Pena? ma qual commisi io mai delitto?
Non tacqui: e chi potea l'immenso amore
tacer, chi mai? Gente si appressa.
Elvira
sarà;... ma no: qual odo fragor cupo?...
Qual gente vien? qual balenar di luce?
Armati a me? Via, traditori... |
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SCENA
SECONDA
Soldati con armi e fiaccole.
Filippo, Carlo. |
CARLO |
Oh cielo!
Da tante spade preceduto il padre? |
FILIPPO |
Di notte, solo, in queste stanze, in armi,
che fai, che pensi tu? gl'incerti passi
ove porti? Favella. |
CARLO |
... E che
direi?...
L'armi, ch'io strinsi all'appressar
d'armati
audaci sgherri, al tuo paterno aspetto
cadonmi: a lor duce tu sei?... tu, padre?
Di me disponi a piacer tuo. Ma dimmi;
pretesti usar, t'era egli d'uopo? e
quali!...
Ah padre! indegni son di un re i
pretesti;
ma le discolpe son di me piú indegne. |
FILIPPO |
L'ardir v'aggiungi? Aggiungil pur, ch'è
ognora
all'alte scelleraggini compagno:
fa di finto rispetto infame velo
all'alma infida, ambizíosa, atroce;
giá non ti escusi tu: meglio, è che il
varco
tu schiuda intero alla tua rabbia: or
versa
il mortal tosco che in tuo cor rinserri;
audacemente ogni pensier tuo fello,
degno di te, magnanimo confessa. |
CARLO |
Che confessar degg'io? Risparmia, o padre,
i vani oltraggi: ogni piú cruda pena
dammi; giusta ella fia, se a te fia
grata. |
FILIPPO |
In cosí acerba età, deh! come giunto
sei di perfidia al piú eminente grado?
D'iniquità dove imparata hai l'arte,
che, dal tuo re colto in sí orribil
fallo,
neppur di aspetto cangi? |
CARLO |
Ove l'appresi?
Nato in tua reggia... |
FILIPPO |
Il sei, fellon,
per mia
sventura ed onta... |
CARLO |
Ad emendar tal
onta,
che tardi or piú? che non ti fai felice
col versar tu del proprio figlio il
sangue? |
FILIPPO |
Mio figlio tu? |
CARLO |
Ma, che fec'io? |
FILIPPO |
Mel chiedi?
Tu il chiedi a me? Non ti flagella dunque
rimorso nullo?... Ah! no; giá da gran
tempo
nullo piú ne conosci; o il sol che
senti,
del non compiuto parricidio il senti. |
CARLO |
Parricidio! Che ascolto? Io parricida?
Ma, né tu stesso il credi, no.
Qual prova,
quale indizio, o sospetto?... |
FILIPPO |
Indizio, prova,
certezza, io tutto dal livor tuo traggo. |
CARLO |
Non mi sforzar, deh! padre, al fero
eccesso
di oltrepassar quella terribil meta,
che tra suddito e re, tra figlio e padre,
le leggi, il cielo, e la natura, han
posto. |
FILIPPO |
Con sacrilego piè tu la varcasti,
gran tempo è giá. Che dico? ignota
sempre
ti fu. D'aspra virtú gli alteri sensi
lascia, che mal ti stan; qual sei,
favella:
svela del par gli orditi, e i giá
perfetti
tuoi tradimenti tanti... Or via, che
temi?
Ch'io sia men grande, che non sei tu
iniquo?
Se il vero parli, e nulla ascondi, spera;
se il taci, o ammanti, trema. |
CARLO |
Il vero io
parlo;
tu mi vi sforzi. Me conosco io
troppo,
perch'io mai tremi; e troppo io te
conosco,
perch'io mai speri. Infausto don, mia
vita
ripiglia tu, ch'ella è ben tua; ma mio
egli è il mio onor, né il togli tu, né
il dai.
Ben reo sarei, se a confessarmi reo
mi traesse viltà. L'ultimo fiato
qui spirar mi vedrai: lunga, crudele,
obbrobriosa apprestami la morte:
morte non v'ha, che ad avvilir me vaglia.
Te sol, te sol, non me compiango, o
padre. |
FILIPPO |
Temerario, in tal guisa al signor tuo
ragion de' tuoi misfatti render osi? |
CARLO |
Ragion? Tu m'odj; ecco il mio sol
misfatto:
sete hai di sangue; ecco ogni mia
discolpa:
tuo dritto solo, è l'assoluto regno. |
FILIPPO |
Guardie, si arresti; olá. |
CARLO |
Risposta sola
di re tiranno è questa. Ecco, le braccia
alle catene io porgo: eccoti ignudo
al ferro il petto. A che indugiar?
fors'oggi
a incrudelir cominci tu soltanto?
Il tuo regnar, giorno per giorno, in note
atre di sangue è scritto giá... |
FILIPPO |
Si tolga
dagli occhi miei. Della qui annessa torre
entro al piú nero carcere si chiuda.
Guai, se pietade alcun di voi ne sente. |
CARLO |
Ciò non temer, che in crudeltà son pari
i tuoi ministri a te. |
FILIPPO |
Si strappi a
forza
dal mio cospetto; a viva forza... |
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SCENA
TERZA
Isabella, Filippo.
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ISABELLA |
Oh cielo!
Che miro? oimè!... |
FILIPPO |
Donna, che fia? |
ISABELLA |
La reggia
tutta di meste grida dolorose
udía dintorno risuonare... |
FILIPPO |
Udisti
flebile suono; è ver... |
ISABELLA |
Dal tuo cospetto
non vidi io il prence strascinato a
forza? |
FILIPPO |
Tu ben vedesti; è desso. |
ISABELLA |
Il figliuol
tuo?... |
FILIPPO |
La mia consorte impallidisce, e trema,
nel veder trarre?... |
ISABELLA |
Io tremo? |
FILIPPO |
E n'hai ben
donde.
Il tuo tremar... dell'amor tuo... non
lieve
indizio m'è... Pel tuo... consorte or
tremi:
ma, riconforta il cor; svaní il
periglio. |
ISABELLA |
Periglio!... e quale? |
FILIPPO |
Alto periglio io
corsi:
ma omai mia vita in securtà... |
ISABELLA |
Tua vita?... |
FILIPPO |
A te sí cara e necessaria, è in salvo. |
ISABELLA |
Ma il traditor?... |
FILIPPO |
Del tradimento
pena
dovuta avrà. Piú non temer, ch'io mai
per lui riapra a pietá stolta il core.
Passò stagione; or di giustizia il solo
terribil grido ascolterò. |
ISABELLA |
Ma quale,
qual trama?... |
FILIPPO |
Oh ciel! contro
a me sol non era
forse ordita la trama. A chi del padre
il sangue vuol, (s'ei la madrigna abborre
del padre al par) nulla parrebbe il
sangue
versar della madrigna... |
ISABELLA |
In me?... Che
parli?...
Ahi lassa!... Il prence... |
FILIPPO |
Ingrato, i tuoi
non meno,
che i miei cotanti beneficj obblia.
Ma tu, in te stessa torna;... e lieta
vivi;...
e a me sol fida la importante cura
di assicurar la tua con la mia pace. |
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SCENA
QUARTA
Isabella. |
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... Oh detti!... oh sguardi!... A gran pena
ripiglio
i sensi miei. Che mai diss'egli? avrebbe
forse il mio amor?... ma no; racchiuso
stammi
nel piú addentro del core... Eppur,
quegli occhi
d'ira avvampanti, ed in me fitti... Ahi
lassa!...
Poi di madrigna favellò... Che disse
della mia pace?... Oh cielo! e che
risposi?
Nomato ho il prence? Oh! di qual freddo
orrore
sento agghiacciarmi! Ove corr'egli...
ahi! dove?
A che si appresta? ed io, che fo?
Seguirlo
voglio;... ma il piè manca, e il
vigor... |
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SCENA
QUINTA
Gomez, Isabella. |
GOMEZ |
Perdona
l'ardir mio troppo; io teco il re pur
anco
stimava. |
ISABELLA |
... Or dianzi ei
mi lasciò. |
GOMEZ |
Cercarne
dunque m'è forza altrove. Impazíente
per certo ei sta di udir l'evento
alfine... |
ISABELLA |
L'evento?... Arresta il piè: dimmi... |
GOMEZ |
Se a lui
tu favellasti, esposta avratti appieno
l'espettazion sua dubbia della estrema
sentenza... |
ISABELLA |
No: di un
tradimento in foschi
ambigui detti a me parlò; ma... |
GOMEZ |
Il nome
del traditor non ti dicea? |
ISABELLA |
Del prence... |
GOMEZ |
Tutto sai dunque. Io del consiglio arreco... |
ISABELLA |
Di qual consiglio? Oimè! che rechi? |
GOMEZ |
A lungo
l'alto affar discuteasi; e al fin
conchiuso
ad una s'è... |
ISABELLA |
Che mai? Parla. |
GOMEZ |
Sta scritta
in questo foglio la sentenza: ad essa
null'altro manca, che del re l'assenso. |
ISABELLA |
E il tenor n'è? |
GOMEZ |
Morte pronunzia. |
ISABELLA |
Morte?
Iniqui! morte? E qual delitto è in lui? |
GOMEZ |
Tel tacque il re? |
ISABELLA |
Mel tacque, sí. |
GOMEZ |
... Tentato
ha il parricidio. |
ISABELLA |
Oh ciel!
Carlo?... |
GOMEZ |
Lo accusa
il padre stesso; e prove... |
ISABELLA |
Il padre?... E
quali
prove ne dà?... mentite prove.
Ah! certo
altra ragion, che a me si asconde,
avravvi.
Deh! mi appalesa il suo vero delitto. |
GOMEZ |
Il suo delitto vero? E dirtel posso,
se tu nol sai?... Può il dirtelo
costarmi
la vita. |
ISABELLA |
Oh! che di' tu?
Ma che? paventi
ch'io tradire ti possa? |
GOMEZ |
Il re tradisco,
s'io nulla dico; il re. Ma, qual
ti punge
stimol sí caldo ad indagarne il vero? |
ISABELLA |
Io?... Sol mi punge curíosa brama. |
GOMEZ |
A te ciò in somma or che rileva? Il
prence
sta in gran periglio, e soggiacervi forse
dovrá: ma ch'altro a lui, fuorché
madrigna,
al fin sei tu?... Giá il suo morir non
nuoce
a te; potrebbe anzi la via del trono
ai figli, che uscir denno dal tuo fianco,
sgombrar cosí. Credi; la origin vera
dei misfatti di Carlo, è in parte,
amore... |
ISABELLA |
Che parli? |
GOMEZ |
Amor, che il re
ti porta. Ei lieto
piú fora assai di un successor tuo
figlio,
che non di Carlo sia per l'esser mai. |
ISABELLA |
Respiro. In me quai basse mire inique
supporre ardisci? |
GOMEZ |
Del mio re ti
ardisco
dire i pensier; non son, no, tali i miei;
ma... |
ISABELLA |
Vero è dunque,
è ver, ciò ch'io finora
mai non credea; che il padre, il padre
stesso,
il proprio figlio abborre... |
GOMEZ |
Oh quanto, o
donna,
io ti compiango, se finor conosci
sí poco il re! |
ISABELLA |
Ma, in chi
cred'io? Tu pure... |
GOMEZ |
Io pure, sí, poiché non dubbia or trovo
in te pietá, l'atro silenzio io rompo,
che il cor mi opprime. È ver pur troppo,
il prence
(misero!) non è reo d'altro delitto,
che d'esser figlio di un orribil padre. |
ISABELLA |
Raccapricciar mi fai. |
GOMEZ |
Di te non meno
inorridisco anch'io. Sai, donde nasce
lo snaturato odio paterno? Il muove
vile invidia: in veder virtú verace
tanta nel figlio, la virtú mentita
del rio padre si adira: a se pur troppo
ei dissimile il vede; ed, empio, ei vuole
pria spento il figlio, che di se
maggiore. |
ISABELLA |
Oh non mai visto padre! Ma, piú iniquo
il consiglio che il re, perché condanna
un innocente a morte? |
GOMEZ |
E qual consiglio
si opporrebbe a un tal re? Lo accusa ei
stesso:
falsa è l'accusa; ognun lo sa: ma
ognuno,
per se tremante, tacendo l'afferma.
Ricade in noi di ria sentenza l'onta;
ministri vili al suo furor siam noi;
fremendo il siam; ma invan: chi lo
negasse,
del suo furor cadria vittima tosto. |
ISABELLA |
E fia ver ciò che ascolto?... Io di stupore
muta rimango... E non resta piú speme?
Ingiustamente ei perirà? |
GOMEZ |
Filippo,
nel simular, sovra ogni cosa, è dotto.
Dubbio parer vorrà da pria; gran mostra
farà di duolo e di pietá; fors'anco
indugierà pria di risolver: folle
chi 'l duolo in lui, chi la pietá
credesse;
o che in quel cor, per indugiar di tempo,
l'ira profonda scemasse mai dramma. |
ISABELLA |
Deh! se tu nei delitti al par di lui
l'alma indurata ancor non hai, deh!
senti,
Gomez, pietade... |
GOMEZ |
E che poss'io? |
ISABELLA |
Tu, forse... |
GOMEZ |
Di vano pianto, e ben celato, io posso
onorar la memoria di quel giusto:
null'altro io posso. |
ISABELLA |
Oh! chi udí mai,
chi vide
sí atroce caso? |
GOMEZ |
A perder io me
stesso
presto sarei, purché salvare il prence
potessi; e sallo il cielo. Io, dai
rimorsi,
cui seco tragge di cotal tiranno
la funesta amistà, roder giá sento,
giá strazíarmi il cor; ma... |
ISABELLA |
Se il rimorso
sincero è in te, giovar gli puoi non
poco;
sí, il puoi; né d'uopo t'è perder te
stesso.
Sospetto al re non sei; puoi, di
nascosto,
mezzi al fuggir prestargli: e chi
scoprirti
vorria? Chi sa? fors'anco un dí
Filippo,
in se tornando, il generoso ardire
d'uom, che sua gloria a lui salvò col
figlio,
premiar potrebbe. |
GOMEZ |
E, se ciò
ardissi io pure,
Carlo il vorrà? quant'egli è altero, il
sai?
Giá il suo furor ravviso, in udir solo
di fuga il nome, e di sentenza. Ah! vano
ad atterrire quella indomit'alma
ogni annunzio è di morte; anzi, giá il
veggo
ostinarsi a perire. Aggiungi, ch'ogni
mio consiglio od ajuto, a lui sospetto
e odíoso sarebbe. Al re simile
crede egli me. |
ISABELLA |
Null'altro
ostacol havvi?
Fa' pur ch'io il vegga; al carcer suo mi
guida:
ivi hai l'accesso al certo: io mi lusingo
di risolverlo a fuga. Or, deh! tant'alto
favor non mi negare. Avanzan molte
ore di notte: al suo fuggire i mezzi
appresta intanto; e di arrecar sospendi
fatal sentenza, che sí tosto forse
non si aspetta dal re. Vedi,... ten
priego;
andiamo; il cielo avrai propizio ognora:
io ti scongiuro, andiamvi... |
GOMEZ |
E chi potrebbe
opra negar cosí pietosa? Io voglio
a ogni costo tentarla. Andiamvi.
Il cielo
perir non lasci chi perir non merta. |
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