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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Filippo

Di: Vittorio Alfieri

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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA 

Filippo, Gomez.

FILIPPO

Gomez, qual cosa sovra ogni altra al mondo

in pregio hai tu?

GOMEZ

La grazia tua.

FILIPPO

Qual mezzo

stimi a serbarla?...

GOMEZ

Il mezzo, ond'io la ottenni;

obbedirti, e tacermi.

FILIPPO

Oggi tu dunque

far l'uno e l'altro dei.

GOMEZ

Novello incarco

non m'è: sai, ch'io...

FILIPPO

Tu fosti, il so, finora

il piú fedel tra i fidi miei: ma in questo

giorno, in cui volgo un gran pensiero in mente,

forse affidarti sí importante e nuova

cura dovrò, che il tuo dover mi piacque

in brevi detti or rammentarti pria.

GOMEZ

Meglio dunque potrammi il gran Filippo

conoscer oggi.

FILIPPO

A te per or fia lieve

ciò ch'io t'impongo; ed a te sol fia lieve,

non ad altr'uom giammai. – Vien la regina

qui fra momenti; e favellare a lungo

mi udrai con essa: ogni piú picciol moto

nel di lei volto osserva intanto, e nota:

affiggi in lei l'indagator tuo sguardo;

quello, per cui nel piú segreto petto

del tuo re spesso anco i voler piú ascosi

legger sapesti, e tacendo eseguirli.

SCENA SECONDA

Filippo, Isabella, Gomez.

ISABELLA

Signor, io vengo ai cenni tuoi.

FILIPPO

Regina,

alta cagion vuol ch'io ti appelli.

ISABELLA

Oh! quale?...

FILIPPO

Tosto la udrai. – Da te sperar poss'io?...

Ma, qual v'ha dubbio? imparzial consiglio

chi piú di te potria sincero darmi?

ISABELLA

Io, consigliarti?...

FILIPPO

Sí: piú il parer tuo

pregio che ogni altro: e se finor le cure

non dividevi del mio imperio meco,

né al poco amor del tuo consorte il dei

ascriver tu; né al diffidar tampoco

del re tu il dei: solo ai pensier di stato,

gravi al tuo sesso troppo, ognor sottrarti

io volli appieno. Ma, per mia sventura,

giunto è il giorno, in cui veggo insorger caso

ove frammista alla ragion di stato

la ragion del mio sangue anco è pur tanto,

che tu il mio primo consiglier sei fatta. –

Ma udir da te, pria di parlar, mi giova,

se piú tremendo, venerabil, sacro

di padre il nome, o quel di re, tu stimi.

ISABELLA

Del par son sacri; e chi nol sa?...

FILIPPO

Tal, forse,

tal, che saper piú ch'altri sel dovrebbe. –

Ma, dimmi inoltre, anzi che il fatto io narri,

e dimmi il ver: Carlo, il mio figlio,... l'ami?...

o l'odj tu?...

ISABELLA

... Signor...

FILIPPO

Ben giá t'intendo.

Se del tuo cor gli affetti, e non le voci

di tua virtude ascolti, a lui tu senti

d'esser... madrigna.

ISABELLA

Ah! no; t'inganni: il prence...

FILIPPO

Ti è caro dunque: in te virtude adunque

cotanta hai tu, che di Filippo sposa,

pur di Filippo il figlio ami d'amore...

materno.

ISABELLA

... A' miei pensier tu sol sei norma.

Tu l'ami,... o il credo almeno; ... e in simil guisa

anch'io... l'amo.

FILIPPO

Poi ch'entro il tuo ben nato

gran cor non cape il madrignal talento,

né il cieco amor senti di madre, io voglio

giudice te del mio figliuol...

ISABELLA

Ch'io?...

FILIPPO

M'odi. –

Carlo d'ogni mia speme unico oggetto

molti anni fu; pria che, ritorto il piede

dal sentier di virtude, ogni alta mia

speme ei tradisse. Oh! quante volte io poscia

paterne scuse ai replicati falli

del mal docile figlio in me cercava!

Ma giá il suo ardire temerario insano

giunge oggi al sommo; e violenti mezzi

usar pur troppo ora degg'io. Delitto

cotal si aggiunge ai suoi delitti tanti;

tale, appo cui tutt'altro è nulla; tale,

ch'ogni mio dir vien manco. Oltraggio ei fammi,

che par non ha; tal, che da un figlio il padre

mai non l'attende; tal, che agli occhi miei

giá non piú figlio il fa... Ma che? tu stessa

pria di saperlo fremi?... Odilo, e fremi

ben altramente poi. – Giá piú d'un lustro,

dell'oceán lá sul sepolto lido,

povero stuolo, in paludosa terra,

sai che far fronte al mio poter si attenta.

A Dio non men, che al proprio re, rubelli,

fan dell'una perfidia all'altra schermo.

Sai quant'oro e sudore e sangue indarno

a questo impero omai tal guerra costi;

quindi, perder dovessi e trono e vita,

non baldanzosa, né impunita ir mai

io lascierò del suo delitto atroce

quella vil gente. Al ciel vittima giuro

immolar l'empia schiatta: e a lor ben forza

sarà il morir, poiché obbedir non sanno. –

Or, chi a me il crederia? che a sí feroci

nemici felli, il proprio figlio, il solo

mio figlio, ahi lasso! aggiunger deggia...

ISABELLA

Il prence?...

FILIPPO

Il prence, sí: molti intercetti fogli,

e segreti messaggi, e aperte altere

sediziose voci sue, pur troppo!

certo men fanno. Ah! per te stessa il pensa;

di re tradito, e d'infelice padre,

qual sia lo stato; e a sí colpevol figlio

qual sorte a giusto dritto omai si aspetti,

per me tu il di'.

ISABELLA

... Misera me!... Vuoi, ch'io

del tuo figlio il destino?...

FILIPPO

Arbitra omai

tu, sí, ne sei; né il re temer, né il padre

dei lusingar: pronunzia.

ISABELLA

Altro non temo,

che di offendere il giusto. Innanzi al trono

spesso indistinti e l'innocente e il reo...

FILIPPO

Ma, dubitar di quanto il re ti afferma

puoi tu? Chi piú di me non reo lo brama?

Deh, pur mentisser le inaudite accuse!

ISABELLA

Giá convinto l'hai dunque?...

FILIPPO

Ah! chi 'l potrebbe

convincer mai? Fero, superbo, ei sdegna,

non che ragioni, anco pretesti opporre

a chiare prove. A lui parlar non volli

di questo suo novello tradimento,

se pria temprato alquanto in cor lo sdegno

dal bollor primo io non avea: ma fredda

ragion di stato, perché taccia l'ira,

in me non tace... Oh ciel! ma voce anch'odo

di padre in me...

ISABELLA

Deh! tu l'ascolta: è voce,

cui nulla agguaglia. Ei forse è assai men reo;...

anzi impossibil par, che in questo il sia:

ma, qual ch'ei sia, lo ascolta oggi tu stesso:

intercessor farsi pel figlio al padre,

chi piú del figlio il può? Se altero egli era

talor con gente al ver non sempre amica,

teco ei per certo altier non fia: tu schiudi

a lui l'orecchio, e il cor disserra ai dolci

paterni affetti. A te non mai tu il chiami,

e non mai gli favelli. Ei, pieno sempre

di mista tema, a te si appressa; e in duro

fatal silenzio il diffidar si accresce,

e l'amor scema. La virtú sua prima

ridesta in lui, se pure è in lui sopita;

ch'esser non puote, in chi t'è figlio, estinta:

né altrui fidar le paterne tue cure.

Di padre a lui mostra l'aspetto, e agli altri

serba di re la maestà severa.

Che non si ottien con generosi modi

da generoso core? Ei d'alcun fallo

reo ti par? (chi non erra?) allor tu solo

l'ira tua giusta a lui solo dimostra.

Dolce è l'ira di un padre; eppur, qual figlio

può non tremarne? Un sol tuo detto, un detto

di vero padre, in suo gran cor piú debbe

destar rimorsi, e men rancor lasciarvi,

che cento altrui, malignamente ad arte

aspri, oltraggiosi. Oda tua reggia intera,

ch'ami ed apprezzi il figlio tuo; che degno

di biasmo, e in un di scusa, il giovanile

suo ardir tu stimi; e udrai repente allora

la reggia intorno risuonar sue laudi.

Dal cor ti svelli il sospettar non tuo:

basso terror di tradimento infame,

a re, che merti esser tradito, il lascia.

FILIPPO

... Opra tua degna, e di te sola, è questa;

il far che ascolti di natura il grido

un cor paterno: ah! nol fan gli altri. Oh trista

sorte dei re! del proprio cor gli affetti,

non che seguir, né pur spiegar, ne lice.

Spiegar? che dico? né accennar: tacerli,

dissimularli, le piú volte è forza. –

Ma, vien poi tempo, che diam loro il varco

libero, intero. – Assai, piú che nol pensi,

chiara ogni cosa il tuo dir fammi... Ah! quasi

innocente ei mi par, poiché innocente

credi tu il prence. – Ei tosto, o Gomez, venga.

SCENA TERZA

Filippo, Isabella. 

FILIPPO

Or vedrai, ch'io so padre anco mostrarmi;

piú che a lui mi dorria, se un dí dovessi

in maestà di offeso re mostrarmi.

ISABELLA

Ben tel credo. Ma ei vien: soffri, che il piede

altrove io porti.

FILIPPO

Anzi, rimani.

ISABELLA

Esporti

osava il pensier mio, perché il volevi:

a che rimango omai? testimon vano

tra il figlio e il padre una madrigna fora...

FILIPPO

Vano? ah! t'inganni: testimon mi sei

qui necessario. Hai di madrigna il nome

soltanto; e il nome, anche obbliare il puoi. –

Gli fia grato il tuo aspetto. Eccolo: ei sappia,

che ti fai tu mallevador dell'alta

sua virtú, della fe, dell'amor suo.

SCENA QUARTA

 Filippo, Isabella, Carlo, Gomez.

FILIPPO

Prence, ti appressa. – Or, di'; quando fia il giorno,

in cui del dolce nome di figliuolo

io ti possa appellare? In me vedresti

(deh tu il volessi!) ognor confusi i nomi

e di padre e di re: ma, perché almeno,

da che il padre non ami, il re non temi?

CARLO

Signor; nuova m'è sempre, ancor ch'io l'abbia

udita spesso, la mortal rampogna.

Nuovo cosí non m'è il tacer; che s'io

reo pur ti appajo, al certo io reo mi sono.

Vero è, che in cor non giá rimorso io sento,

ma duol profondo, che tu reo mi estimi.

Deh! potess'io cosí di mie sventure,

o, se a te piace piú, de' falli miei,

saper la cagion vera!

FILIPPO

Amor,... che poco

hai per la patria tua, nulla pel padre;

e il troppo udir lusingatori astuti;...

non cercar de' tuoi falli altra cagione.

CARLO

Piacemi almen, che a natural perversa

indole ascritto in me non l'abbi. Io dunque

far posso ancora del passato ammenda;

patria apprender cos'è; come ella s'ami;

e quanto amare io deggia un padre; e il mezzo

con cui sbandir gli adulator, che tanti

te insidian piú, quanto hai di me piú possa.

FILIPPO

– Giovin tu sei: nel cor, negli atti, in volto,

ben ti si legge, che di te presumi

oltre al dover non poco. In te degli anni

colpa il terrei; ma, col venir degli anni,

scemare io 'l senno, anzi che accrescer, veggio.

L'error tuo d'oggi, un giovanil trascorso

io 'l nomerò, benché attempata mostri

malizia forse...

CARLO

Error!... ma quale?...

FILIPPO

E il chiedi? –

Or, nol sai tu, che i tuoi pensier pur anco,

non che l'opre tue incaute, i tuoi pensieri,

e i piú nascosi, io so? – Regina, il vedi;

non l'esser, no, ma il non sentirsi ei reo,

fia il peggio in lui.

CARLO

Padre, ma trammi al fine

di dubbio: or che fec'io?

FILIPPO

Delitti hai tanti,

ch'or tu non sai di quale io parli? – Ascolta. –

Lá dove piú sedizíosa bolle

empia d'error fucina, ivi non hai

pratiche tu segrete? Entro mia reggia,...

furtivamente,... anzi che il dí sorgesse,...

all'orator dei Batavi ribelli

lunga udíenza, e rea, non desti forse?

A quel malvagio, che, se ai detti credi,

viene a mercé; ma in cor, perfidia arreca,

e d'impunito tradimento speme.

CARLO

Padre, e fia che a delitto in me si ascriva

ogni mia menom'opra? È ver, che a lungo

all'orator parlai; compiansi, è vero,

seco di que' tuoi sudditi il destino;

e ciò ardirei pur fare a te davanti:

né forse dal compiangerli tu stesso

lunge saresti, ove a te noto appieno

fosse il ferreo regnar, per cui tanti anni

gemono oppressi da ministri crudi,

superbi, avari, timidi, inesperti,

ed impuniti. In cor pietade io sento

de' lor mali; nol niego: e tu, vorresti

ch'io, di Filippo figlio, alma volgare

avessi, o cruda, o vile? In me la speme

di riaprirti alla pietade il core,

col dirti intero il ver, forse oggi troppo

ardita fu: ma come offendo io 'l padre,

nel reputarlo di pietá capace?

Se del rettor del cielo immagin vera

in terra sei, che ti pareggia ad esso,

se non è la pietá? – Ma pur, s'io reo

in ciò ti appajo, o sono, arbitro sei

del mio gastigo. Altro da te non chieggo,

che di non esser traditor nomato.

FILIPPO

... Nobil fierezza ogni tuo detto spira...

Ma del tuo re mal penetrar puoi l'alte

ragioni tu, né il dei. Nel giovin petto

quindi frenar quel tuo bollor t'è d'uopo,

e quella audace impazíente brama

di, non richiesto, consigliar; di esporre,

quasi gran senno, il pensier tuo. Se il mondo

veder ti debbe, e venerarti un giorno

sovra il maggior di quanti ha seggi Europa,

ad esser cauto apprendi. Ora in te piace

quella baldanza, onde trarresti allora

biasmo non lieve. Omai, ben parmi, è tempo,

di cangiar stile. – In me pietá cercasti,

e pietá trovi; ma di te: non tutti

degni ne son: dell'opre mie me solo

giudice lascia. – A favor tuo parlommi

or dianzi a lungo, e non parlommi indarno,

la regina: te degno ancor cred'ella

del mio non men, che del suo amore... A lei,

piú che a me, devi il mio perdono;... a lei.

Sperar frattanto d'oggi in poi mi giova,

che tu saprai meglio stimare, e meglio

meritar la mia grazia. – Or vedi, o donna,

che a te mi arrendo; e che da te ne imparo,

non che a scusare, a ben amar mio figlio.

ISABELLA

... Signor...

FILIPPO

Tel deggio, ed a te sola io 'l deggio.

Per te il mio sdegno oggi ho represso, e in suono

dolce di padre, ho il mio figliuol garrito.

Pur ch'io pentir mai non men debba! – O figlio,

a non tradir sua speme, a vie piú sempre

grato a lei farti, pensa. E tu, regina,

perché piú ognor di bene in meglio ei vada,

piú spesso il vedi,... e a lui favella,... e il guida. –

E tu, la udrai, senza sfuggirla. – Io 'l voglio.

CARLO

Oh quanto il nome di perdon mi è duro!

Ma, se accettarlo pur dal padre or debbo,

e tu per me, donna, ottenerlo, ah! voglia

il mio destin (ch'è il sol mio fallo) a tale

vergogna piú non mi far scender mai.

FILIPPO

Non di ottenerlo, abbi miglior vergogna

di mertar tu dal genitor perdono.

Ma basti omai: va; del mio dir fa' senno. –

Riedi, o regina, alle tue stanze intanto;

me rivedrai colá fra breve: or deggio

dar pochi istanti ad altre cure gravi.

SCENA QUINTA

Filippo, Gomez.

 

FILIPPO

Udisti?

GOMEZ

Udii.

FILIPPO

Vedesti?

GOMEZ

Io vidi.

FILIPPO

Oh rabbia!

Dunque il sospetto?...

GOMEZ

... È omai certezza...

FILIPPO

E inulto

Filippo è ancor?

GOMEZ

Pensa...

FILIPPO

Pensai. – Mi segui.


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 14/07/2005 23.53

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