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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA |
C'era una volta... fiabe |
Di: Luigi Capuana |
L'UOVO NERO |
C'era una volta una vecchia che campava di elemosina, e tutto quello che buscava, lo divideva esattamente: metà lei, metà la sua gallina. |
Ogni giorno, all'alba, la gallina si metteva a schiamazzare; avea fatto l'uovo. La vecchia lo vendeva un soldo, e si comprava un soldo di pane. La crosta la sminuzzava a quella, la midolla se la mangiava lei: poi andava attorno per l'elemosina. |
Ma venne una mal'annata. Un giorno la vecchina tornò a casa senza nulla. |
- Ah, gallettina mia! Oggi resteremo a gozzo vuoto. |
- Pazienza ci vuole! Mangeremo domani. |
Il giorno appresso, sul far dell'alba, la gallina si mise a schiamazzare. Invece d'un uovo, ne aveva fatti due, uno bianco e l'altro nero. |
La vecchia andò fuori per venderli. Quello bianco lo vendé subito; quello nero, nessuno voleva credere che fosse uovo di gallina. La vecchina comprò il solito soldo di pane, e tornò a casa: |
- Ah, gallinetta mia! L'uovo nero non lo vuol nessuno. |
- Portatelo al Re. |
La vecchia lo portò al Re. |
- Che uovo è questo? |
- Maestà, di gallina. |
- Quanto lo fai? |
- Maestà, quello che il cuore v'ispira. |
- Datele cento lire. |
La vecchina, con quelle cento lire, si credette più ricca di Sua Maestà. |
Giusto in quei giorni la Regina avea posta una gallina, e alle uova messe a covare aggiunse anche quello. Ma la chioccia non lo covò. |
Il Re fece chiamare la vecchia: |
- Quell'uovo era barlaccio. |
- Maestà, non può essere; la gallina l'avea fatto lo stesso giorno. |
- Eppure non è nato. |
- Bisognava lo covasse la Regina. |
La cosa parve strana. Ma la Regina, curiosa, disse: |
- Lo coverò io. |
E se lo mise in seno. Dopo ventidue giorni, sentì rompersi il guscio. Venne fuori un pulcino bianco ch'era una bellezza. |
- Maestà, Maestà! Fatemi la zuppa col vino. |
E pigolava. |
- Sei galletto o pollastra? |
- Maestà, son galletto. |
- Canta. |
- Chicchirichì! |
Era proprio galletto. E diventò il divertimento di tutta la corte. Ma più cresceva e più si faceva impertinente. A tavola beccava nei piatti del Re e della Regina; razzolava, come se nulla fosse, nei piatti dei Ministri, che non osavano dirgli sciò per rispetto del Re; girava di qua e di là per tutte le stanze del palazzo reale, s'appollaiava dovunque, e insudiciava e riempiva ogni cosa di pollìna. E poi tutto il giorno: |
- Chicchirichì! Chicchirichì! |
Rintronava le orecchie. La gente del palazzo reale non ne poteva più. |
Un giorno la Regina s'era fatta un vestito nuovo ch'era una meraviglia, ed era costato un sacco di quattrini. Prima che lo indossasse, va il galletto e glielo insudicia. |
La Regina montò sulle furie: |
- Sporco galletto! Per questa volta passi. Un'altra volta te la farò vedere io! |
E ordinò alla sarta un altro vestito più ricco di quello. La sarta ci si messe con impegno; figuriamoci che vestito!... Ma prima che la Regina lo indossasse, va il galletto e glielo insudicia. |
La Regina perdé il lume degli occhi: |
- Sporco galletto! Ora ti concio io. Chiamatemi il cuoco. |
Il cuoco si presentò. |
- Mi si faccia con cotesto galletto una buona tazza di brodo. |
In cucina gli tirarono il collo e lo messero a lessare. Appena la pentola diè il primo bollore: |
- Chicchirichì! |
Il galletto era scappato fuori, come se non gli avessero mai tirato il collo e non lo avessero mai pelato e abbrustolito. |
Il cuoco corse dalla Regina: |
- Maestà, il galletto è risuscitato! |
La cosa era troppo strana, e il galletto diventò prezioso. Tutti lo guardavano con rispetto; qualcuno anche con un po' di paura. Ed esso se n'abusava. A tavola beccava peggio di prima, nei piatti del Re e della Regina; razzolava, come se nulla fosse, nei piatti dei Ministri che non osavano dirgli sciò per rispetto del Re; s'appollaiava dovunque, insudiciava perfino il soglio reale e lo riempiva di pollìna. E poi, notte e giorno: chicchirichì! chicchirichì! Rintronava gli orecchi. E il popolo imprecava a denti stretti: |
- Accidempoli al galletto e a chi lo fa allevare! |
Un giorno Sua Maestà dovea scrivere a un altro Re. Prese carta, penna e calamaio, fece la lettera e la lasciò sul tavolino ad asciugare. Va il galletto e gliela insudicia, proprio dov'era la firma. |
- Sporco galletto! Per questa volta passi. Un'altra volta te la farò vedere io! |
Il Re scrisse di bel nuovo la lettera, e la lasciò sul tavolino ad asciugare. Va il galletto, e gliela insudicia, proprio dov'era la firma. |
Il Re perdé il lume degli occhi: |
- Sporco galletto! Ora ti concio io! Chiamatemi il cuoco. |
Il cuoco si presentò. |
- Mi si faccia arrosto pel pranzo. |
In cucina gli tirarono il collo e lo infilzarono nello spiedo. |
Quando fu l'ora del pranzo, il cuoco lo servì in tavola. Sua Maestà cominciò a dividerlo, a chi un'ala, a chi una coscia, a chi un po' di petto, a chi il codione: serbò per sé il collo e la testa colla cresta e coi bargigli. |
Avea terminato appena di mangiare, che dal fondo del suo stomaco sente scoppiare: |
- Chicchirichì! |
Fu una costernazione generale. Chiamarono tosto i medici di corte. |
Bisognerebbe spaccar la pancia del Re; ma chi ci si mette? |
E il galletto, di tanto in tanto, dal fondo dello stomaco di Sua Maestà, dava la voce: |
- Chicchirichì! |
- Chiamatemi la vecchia - disse il Re. |
Appunto essa veniva a domandar l'elemosina al palazzo reale, e la condussero su. |
- Strega del diavolo! Che malìa hai tu fatta a quell'uovo? Ho mangiato la testa del galletto, ed esso mi canta dentro lo stomaco. Se non me ne liberi, tienti per morta! |
- Maestà, datemi un giorno di tempo. |
E tornò subito a casa: |
- Ah, gallettina mia! Sono stata chiamata dal Re: "Ho mangiato la testa del galletto, ed esso mi canta dentro lo stomaco". Se non lo libero, sarò morta! |
- Vecchia mia, questo è nulla. Domani prenderai un po' di becchime, tornerai dal Re e farai: billi! billi! Sentendo la tua voce, il galletto verrà fuori. |
E così fu. |
La cosa era troppo strana. Il galletto diventò famoso, e tornò a fare peggio di prima. |
Una mattina, avanti l'alba: |
- Chicchirichì! Maestà, vo' una gallina. |
- E diamogli una gallina! |
Il giorno appresso, avanti l'alba: |
- Chicchirichì! Maestà, vo' un'altra gallina. |
- E diamogli un'altra gallina! |
Insomma, ne volle due dozzine. |
Un'altra mattina, avanti l'alba: |
- Chicchirichì! Maestà, vo' gli sproni d'oro. |
E sproni d'oro siano! |
Il galletto, ch'era diventato un bel gallo, con quegli sproni d'oro si pavoneggiava attorno, beccando questo e quello. |
Un'altra volta, avanti l'alba: |
- Chicchirichì! Maestà, vo' la cresta doppia d'oro. |
- E cresta doppia d'oro sia! |
Il Re cominciava a stufarsi; ma il gallo, con quegli sproni d'oro e quella cresta doppia d'oro, si pavoneggiava attorno, beccando questo e quello. |
Finalmente un'altra mattina, avanti l'alba: |
- Chicchirichì! Maestà, vo' mezzo regno; ho corona al par di voi! |
Al Re scappò la pazienza: |
- Levatemelo di torno, questo gallaccio impertinente! |
Ma come fare? Ammazzarlo era inutile; risuscitava sempre. Portarlo lontano non concludeva nulla: sarebbe tornato. Prenderlo colle buone era peggio; rispondeva canzonando: - Chicchirichì! Il Re, disperato, mandò a chiamare la vecchia: |
- Se non mi liberi del gallo, ti fo mozzare la testa! |
- Maestà, datemi un giorno di tempo. |
E tornò subito a casa: |
- Ah, gallinetta mia! Sono stata chiamata dal Re: "Se non mi liberi del gallo, ti fo mozzare la testa". Che debbo rispondere? |
- Rispondi: "Maestà, voi non avete figliuoli; adottatelo per figliuolo, si cheterà". |
Il Re, messo colle spalle al muro, risolvette di adottarlo. Ma giovò poco. |
Con tutte quelle galline, il palazzo reale era diventato un pollaio. Il Re, la Regina, i Ministri, le dame di corte, i servitori, tutti si sentivan pieni di pollìna dalla testa ai piedi, e non potevano reggere. E poi, schiamazzate di qua, chicchiriate di là; aveano il capo come un cestone. |
Il popolo imprecava a denti stretti: |
- Accidempoli al gallo, alle galline e a che li fa allevare! |
- Senti, strega - disse il Re. - Se fra un giorno non mi spazzi gallo e galline, pagherai con la tua testa. |
- Maestà, qui ci vuole la fata Morgana; mandatela a chiamare. |
Il Re mandò a chiamare la fata Morgana. La Fata rispose: |
- Chi vuole vada, chi non vuole mandi. |
E il Re dovette andarci egli stesso in persona. |
- Maestà, finché quel gallo non sarà diventato un uomo al pari di voi, non avrete mai pace. |
- Ma che cosa ci vuole, perché diventi un uomo al pari di me? |
- Ci vuol tre sorta di becchime. Fate tre solchi colle vostre mani, e spargete queste tre sementi. Mietete, trebbiate, senza mescolare il grano, e poi dite: |
Billi, billi! |
Chi gli piace se ne pigli! |
E spargerete per terra questo grano qui. Quando non ne rimarrà più un chicco: |
Billi, billi! |
Chi gli piace se ne pigli! |
E spargerete per terra quest'altro grano. Quando non ne rimarrà più un chicco: |
Billi, billi! |
Chi gli piace se ne pigli! |
E spargerete per terra l'ultimo grano. |
Il Re s'ingegnò di far tutto a puntino. Quando fu il momento: |
- Billi, billi! |
Chi gli piace se ne pigli! |
E una metà delle galline morì. |
- Billi, billi! |
Chi gli piace se ne pigli! |
E il resto delle galline morì. |
- Billi, billi! |
Chi gli piace se ne pigli! |
Il gallo si mise a beccare lui solo, e appena beccato l'ultimo grano, si ritirò, s'allungò, chicchirichì! Si scosse le penne d'addosso e diventò un giovane alto e bello. Di gallo gli eran rimasti soltanto la cresta e gli sproni. Ma non importava. |
Il Re disse al popolo: |
- Non ho figliuoli, e questo qui sarà il Reuccio. Rispettatelo per tale. |
- Viva il Reuccio! Viva il Reuccio! |
Ma, sottovoce, dicevano: |
- Staremo a vedere. Chi gallo nasce dee chicchiriare. |
Il Reuccio, dopo parecchi mesi, diventò malinconico. Voleva star solo, non parlava con nessuno. |
- Che cosa avete, figliuolo mio? |
- Maestà, nulla. |
Non lo voleva dire, provava rossore, ma sentiva una gran voglia di far chicchirichì! |
Chiamarono i medici di corte; chiamarono anche quelli fuori del regno, i più valenti. Non ci capivano niente. |
- Forse il Reuccio voleva moglie? |
- Non voleva moglie. |
- Ma dunque che cosa voleva? Qualunque cosa avesse voluto, gli sarebbe stata concessa. |
- Vorrei... fare chicchirichì! |
Bisognò permetterglielo: e si sfogò tutta la giornata. |
Allora gli tagliarono la cresta, e quella voglia non la ebbe più. |
E il popolo: |
- Staremo a vedere! Chi da gallina nasce convien che razzoli. |
Dopo parecchi mesi il Reuccio tornò ad essere malinconico. Voleva star solo, non parlava con nessuno. |
- Che cosa avete, figliuolo mio? |
- Maestà, nulla. |
Non lo voleva dire, provava rossore, ma sentiva una gran voglia d'uscir fuori a razzolare. |
Tornarono a chiamare i dottori, ma non ci capivano niente. |
- Forse il Reuccio voleva moglie? |
- Non voleva moglie. |
- Ma dunque che cosa voleva? Qualunque cosa avesse chiesta, gli sarebbe stata concessa. |
- Vorrei... uscir fuori a razzolare! |
E bisognò permetterglielo. |
Allora gli strapparono gli sproni, e quella voglia non la ebbe più. |
Venne il tempo di dargli moglie: |
- Vi piacerebbe, figliuolo mio, la Reginotta di Spagna? |
- Maestà, dovendo sposare,... vorrei sposare una pollastra! |
Si era dunque sempre daccapo? |
Il Re quel giorno avea le paturne. Tira fuori la sciabola e gli taglia la testa. |
Ma, invece di sangue d'uomo, gli uscì fuori sangue di pollo. |
Si presentò allora la vecchina: |
- Maestà, ecco, è finita. |
Gli riappiccicò il capo collo sputo, e il Reuccio tornò vivo. |
Ora ch'era un uomo davvero stette tranquillo, e di lì a poco si sposò colla Reginotta di Spagna. Poi diventarono Re e Regina, e fecero un po' di bene. |
E la fiaba finisce. |
Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento: 02/03/99 0.27