C. Se io onorava prima il Bembo, ora l'adoro, ma
passiamo a un altro quesito, che in questo non ho più
da dubitare.
Se le lingue fanno gli scrittori, O gli scrittori le lingue
Quesito quarto
V. Io vi dissi, poco fa, che le lingue, come lingue non hanno
bisogno di chi le scriva, perché tutte le cose si debbono
considerare, e giudicare dal fine. Il fine di chi favella
è aprir l'animo suo a colui che l'ascolta, e questo non
ha bisogno né dall'una parte, né dall'altra, di scrittura, la
quale è artifiziale, e fu trovata per le cagioni, che io allora
vi raccontai, non altramente che furono trovate le vestimenta
all'uomo, perché l'uomo come uomo non ha bisogno
di vestirsi, ma il fa o per utilità, o per ornamento;
onde non le lingue semplicemente, ma le lingue nobili
hanno bisogno di scrittori.
C. Io intendeva bene di coteste.
V. Bisognava dirlo, affineché l'intendessi anch'io. Le
lingue nobili non è dubbio, che hanno, non mica l'essere,
ma l'essere nobili, o altramente che chiamare le vi vogliate,
dagli scrittori, perché tanto è più chiara, e più famosa
una lingua, quanto ella ha più chiari, e più famosi scrittori;
e così gli scrittori sono quelli, che fanno non le lingue semplicemente, ma le lingue nobili. Ma dall'altro lato
considerando, che se una lingua non fosse tale, che gli
scrittori si potessono servire, e onorare di lei, eglino, se
non fossero stolti, non vi scriverebbono dentro, si può
dire in un certo modo che le Lingue facciano gli scrittori;
certo è, che gli scrittori non possono essere senza le
lingue, dove le lingue possono essere senza gli scrittori,
ma non già nobili.
C. Il Bembo, pare a me che dica altramente. Considerate,
vi prego, queste, che sono sue parole formali: Perciocché
non si può dire che sia veramente Lingua alcuna
favella, che non ha scrittore. Già non si disse, alcuna delle
cinque Greche lingue essere lingue per altro, se non perché
si trovavano in quella maniera di lingue molti scrittori:
Né la Latina lingua chiamiamo noi lingua solo che per
cagion di Plauto, di Terenzio, di Virgilio, di Varrone, di
Cicerone, e degli altri che scrivendo hanno fatto che ella è
lingua, come si vede.
V. Cotesta sentenza assolutamente non è vera; perciocché
una favella la quale non abbia scrittori, si può,
anzi si dee, solo che sia in uso, chiamar lingua, ma
non già lingua nobile, e perciò è da credere che egli
v'aggiugnesse quella particella veramente, chiamando veramente
lingua quella, che noi chiamiamo lingua nobile,
il che pare, che dimostri ancora la materia, della quale ragiona;
conciossiacosaché volendo riprovare la falsa, e ridicola
oppenione del Calmeta, il quale preponeva la lingua
Cortigiana a tutte l'altre lingue, dice che ella non solamente
non ha qualità da preporsi ad alcuna, ma che
non sa, se dire si può che ella sia veramente lingua, allegando
questa ragione, perché ella non ha scrittori. E
chi non sa, che la favella Biscaina, o altre più strane, se
più strane trovare se ne possono, sebbene non sono nobili,
anzi inarticolate, e barbarissime, si chiamano nondimeno
lingue? E a provare che la lingua Cortigiana non
è lingua, basta dire che ella non è, e mai non fu naturalmente
favellata da niuno popolo.
C. Così pare a me, ma chi ha maggiore obbligo l'uno
all'altro, lo scrittore alla lingua, o la lingua allo scrittore?
V. A chi è più tenuta una statua, allo scultore che la
fece, o al marmo del quale fu fatta?
C. Io v'ho inteso; ma quali tenete voi degli scrittori che
arrechino maggior nobiltà alle lingue, quelli di verso, o
quelli di prosa?
V. Quelli di verso.
C. Per qual cagione?
V. Perché, oltreché furon prima i Poeti, che gli Oratori,
il modo di scrivere in versi è il più bello, il più artifizioso,
e il più dilettevole di tutti gli altri.
C. Perché?
V. Lungo sarebbe, e fuori della materia nostra, entrare
ora in questo ragionamento, e dichiararvi cotal cagione;
bastavi sapere che tutti gli altri scrittori si maneggiano intorno
a una maniera, e parte sola dell'eloquenza, dove i
Poeti, come n'afferma Aristotile, si maneggiano semplicemente
d'intorno a tutte; e anco vi doverreste ricordare,
che i Poeti sono non solamente da Aristotile, ma eziandio
da Platone, che gli cacciò della sua Repubblica, per
le cagioni dette da noi nelle Lezioni nostre della Poetica,
chiamati Divini, e la poesia cosa Divina. Né crediate che
fosse trovato a caso, o per nonnulla, che solo i Poeti delle
frondi dell'alloro, o del mirto, o dell'edera, e nessuno
degli altri scrittori, coronare si dovessero.
C. E' si truovano pur molti che gli biasimano, e scherniscono.
V. E' si truovano ancora molti che bestemmiano, e
dicono male de' Santi: non v'ho io detto che tutte le
cose hanno ad avere il loro rovescio? Se gli uomini che
sono veramente uomini, gli lodano tanto, e gli hanno
in così grande venerazione, i contrarj debbono ben fare
il contrario.
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