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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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IL DUELLO

Di: GIACOMO CASANOVA

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Parte Seconda

Copiato e sigillato questo biglietto, egli scosse dal sonno un cosacco, che dormia sempre vestito sulla soglia della sua stanza, ed il mandò portatore del biglietto alla Corte, all'appartamento del Postòli, e gli ordinò di consegnarlo senza nominare chi lo mandava e di ritornar subito a casa. Così ei fece. Non passò mezz'ora che un paggio del Postòli venne a consegnare nelle proprie mani del veneziano la seguente risposta, scritta di sua mano, sigillata con le sue armi.

 

Monsieur,

l'accepte votre proposition, mais vous aurez la bonté, Monsieur, de vouloir bien m'avertir quand j'aurai l'honneur de vous voir. Je suis très parfaitement, Monsieur,

Votre très humble et très obéissant

Serviteur Branicki P.

5 mars 1766.

 

Signore,

Accetto la vostra proposizione, ma avrete la bontà, Signore, di voler bene avvertirmi quando avrò l'honore di vedervi. Sono perfettissimamente, Signore,

Vostro Um. ed Obbed. Servitore.

 

Dal nobile laconismo di questo biglietto si conosce che il Postòli non esitò neppur un minuto ad accettare la sfida, e che fu anzi un piacere per lui quello di riceverla. Scorgendo in un attimo di aver offeso un uomo che nol teme, gli venne un pensiero che gli trafisse il core: ebbe timore che lo sfidatore potesse immaginarsi di aver a fare con un poltrone, e forse di atterrirlo. Rifletté che l'uomo che lo sfidò si crede forse più bravo di lui, e se ne rise. Gli venne poi in pensiero che ebbe forse la disgrazia d'insultare un uomo intrepido, e quindi riconobbe per suo religioso dovere quello di risarcirlo, anche uccidendolo se abbisognasse, ma onorandolo nel medesimo tempo e compiangendolo poi che abbia voluto farsi uccidere per non saper soffrire da lui una picciola ingiuria; non indifferente in questa riflessione al piacere di un nuovo trionfo. Quindi si affrettò ad accettar la sfida, acciò l'altro, supponendolo timoroso, non avesse tempo di accrescersi il coraggio. Gli venne anche un altro pensier maligno. S'imaginò che lo sfidatore, sfidandolo, abbia sperato ch'egli non accetti la sfida. Accettò dunque, e si lusingò ch'ei fosse per inciampare in qualche poltroneria, la quale poi potesse giustificar lui, dimostrando al mondo che alfine non avea insultato che un vile. Desiderò però nel fondo del suo core che lo sfidatore fosse uomo valoroso, poiché non avviene mai che un bravo stimi un altro più bravo di lui, onde prevede la sua vittoria sempre più gloriosa, e della vittoria nel suo core è sicuro. Questi sono i pensieri che in simili occasioni albergano nell'animo dell'uomo veramente nobile. L'uomo nobile, che ha offeso, non va in traccia di sotterfugi per esimersi dal dare all'oltraggiato tutte le soddisfazioni. Quelli che non sono pronti a darle sono infingardi, se pure non dimostrino che le persone che offesero meritavano d'esserlo, o erano in debito d'essere anime vili insensibili ad ogni affronto; ovvero tenuti dall'umiltà della loro condizione o dalla doverosa subordinazione a dissimularlo.

Contento il veneziano di avere condotta a buon termine la faccenda, rispose sul fatto così:

 

Je me rendrai, Monseigneur, demain matin jeudi, à l'antichambre de V. E.; j'attendrai votre réveil, et j'aurai toute la journée libre. Vous ne sauriez penser, Monseigneur, combien je me crois honoré par la réponse que V. E. m'a faite. J'ai l'honneur, etc.

Domani mattina giovedì aspetterò nella sua anticamera che V. E. si svegli, ed avrò libero tutto il giorno. V. E. non può figurarsi quanto io mi senta onorato dalla sua risposta. Ho l'onore d'essere, etc.

 

Egli consegnò la risposta al medesimo paggio, il quale ritornò un quarto d'ora dopo con questo biglietto dell'impaziente Postòli:

 

Je ne consens pas à transporter à demain une affaire qu'on doit terminer aujourd'hui. Je vous attends chez moi d'abord. Marquez-moi, en attendant, les armes et le lieu, etc.

Non acconsento a trasportare a dimani un affare, che si deve terminar oggi. Vi aspetto qui subito. Nominatemi intanto le armi e il luogo, etc.

 

Il veneziano gli rispose:

 

Je n'aurai point d'autre arme que mon épée, et quant au lieu ce sera celui où V. E. me conduirà, hors de la starostie de Varsovie; mais pas avant demain, puisqu'auiourd'hui j'ai un paquet à remettre au roi, j'ai pris médecine, et j'ai un testament à faire. Je suis, etc.

Non avrò altre armi che la mia spada e, quanto al luogo, mi piacerà quello dove V. E. mi condurrà fuori della starostia di Varsavia; ma replico che ciò avverrà dimani, poiché oggi ho un pacchetto da rimettere al re, ho preso medicina, ed ho a fare testamento. Sono, etc.

 

Mezz'ora dopo che questa lettera fu spedita, il veneziano, il quale era a letto, rimase un poco sorpreso di veder il Postòli comparire solo nella sua stanza e di udirlo a dirgli che avea a parlargli di affare segreto. Onde udite queste parole, alquanti subalterni, che si trovavano per caso nella stanza, non aspettarono di esser pregati di partire; i due principali attori rimasero soli ed il Postòli si assise sul letto. Perdoni il lettore se chi scrive ha qui bisogno di divenir drammatico per essere fedelissimo nella storia ed abbastanza chiaro.

Postòli (seduto sul letto del veneziano). - Sono venuto per domandarvi se pensate prendervi giuoco della mia persona.

Venez. - Come mai! Io ho per la vostra persona, o signore, il maggior rispetto che aver si possa.

Post. - Mi mandate una sfida e, dopo ch'io l'ho prontamente accettata, cercate di guadagnar tempo. Questo non si fa. Se sentiste l'affronto che pretendete ch'io vi abbia fatto, dovreste aver più fretta di me di scaricarvene.

Venez. - Dell'ingratissimo peso mi sento già di molto alleggerito dal momento che vi siete impegnato di battervi meco. Una dilazione di ventiquattr'ore non è considerabile; la nostra rissa, dopo un accordo, è divenuta tale che può accoppiarsi con la cortesia. Chi ci affretta ad andarci a battere oggi più tosto che domani?

Post. - La persuasione in cui sono che, se non ci battiamo subito, non ci batteremo più.

Venez. - Chi potrà impedircelo?

Post. - Un comune arresto d'ordine regio.

Venez. - E come? chi potrà far nota a S. M. la nostra intenzione?

Post. - Io no per sicuro.

Venez. - E men'io.

Post. - Non so; conosco i strattagemmi della vostra nazione.

Venez. - V'intendo, ma v'ingannate a partito. La mia nazione ha insegnato la bravura e la civile politezza alla vostra, e, per quanto dipende da me, vi sforzerò a rispettarla. Sappiate poi che son tanto lontano dallo scruttinar strattagemmi per ischivare di cimentarmi con voi che, per aver un tal onore, farei cento leghe a piedi, tanto è grande la stima che ho del vostro personaggio; e sappiate ancora ch'io ho sopra di voi un vantaggio, ed è ch'io non credo voi capace di una viltà.

Post. - Mi rallegro che mi conosciate perfettamente. Io non sono tenuto ad aver di voi la buona opinione che voi avete di me, poiché voi dovete sapere che non vi conosco. Vi dirò bensì che la vostra sfida mi fa ben augurare di voi, ma col differire il cimento mi date di voi un saggio che vi è assai svantaggioso. Non facciamo tante parole; battiamoci oggi e datemi così una convincente prova che non chiudete in mente i disegni che sono indotto a sospettar che coviate.

Venez. - Ho una medicina in ventre, ho lettere a scrivere di somma importanza, e debbo fare un picciolo testamento.

Post. - Da qui a sei ore la medicina avrà oprato; le lettere potrete scriverle dopo che ci saremo battuti, e, se soccombete con la vita, credetemi, che non vi verrà ciò, da chi resterà al mondo dopo di voi, annotato a gran mancamento; quanto poi al testamento, in verità mi fate ridere; voi prendete un duello per cosa troppo seria; non si muore, no, tanto facilmente; sappiatelo. Non abbiate paura. Voglio che in questo voi pensiate come me; sono picciole bagatelle. Vi dirò in somma in due parole che, dopo che mi sfidaste e ch'io accettai, ho dritto di dirvi che o voglio battermi oggi o mai più. Voi mi avete inteso.

Venez. - V'intesi tanto bene che mi avete persuaso, anzi convinto. Sarò pronto ad andar in vostra compagnia a battermi con voi oggi tre ore dopo mezzogiorno.

Past. - Così mi piacete: bravo; ma ho ancora una cosa a dirvi.

Venez. - Ditela, di grazia.

Post. - Voi mi avete scritto che le vostre armi saranno la vostra spada; e questo è un sogno.

Venez. - Perché?

Post. - Perché io posso dispensarmi dal battermi con la spada con qualunque uomo ch'io non conosco, essendoché voi potete di quel giuoco essere troppo abile maestro ed in tal guisa aver sopra di me un troppo grande vantaggio, poiché non ne so di più di quello che convenga sapere ad ogni cavaliere, la professione del quale è la guerra.

Venez. - Potreste rifiutare un maestro di scherma, ve l'accordo, ma non me, che naturalmente credo di saperne meno di voi, essendoché il vostro mestiere non fu mai il mio.

Post. - Vi replico che non vi conosco. Ci batteremo a colpo di pistola. L'arma è eguale, e facilmente con essa eguale può essere il valore.

Venez. - La pistola è troppo pericolosa. Con mio sommo dolore potrebbe avvenirmi la sciagura di uccidervi, ed egualmente potreste, malgrado vostro, senza forse molto odiarmi, uccider me. Dunque no pistola. Con la spada alla mano spero che non mi avverrà di ferirvi mortalmente, e poche stille del vostro sangue abbondantemente mi compenseranno dell'affronto con cui mi avete lordato. Così a voi non riuscirà, tanto porrò ogni studio a tenermi bene in guardia, se mi feriste, che il pungermi leggermente la pelle, e quella poca quantità del mio sangue mi avrà sufficientemente lavato dalla brutta macchia con cui mi avete annerito. Ricordatevi, in somma, che mi avete dato la scelta dell'armi, che scelsi la spada, e che non voglio battermi che con la spada, e che ho il diritto di sostenervi che non dipende più da voi il rifiutarla.

Post. - È vero, non posso negarlo: io non sono più in dritto di ritirare la mia parola; ma se vi domandassi ciò, come si domanda ad un amico un piacere?

Venez. - Un piacere! Uomo barbaro!

Post. - Sì un piacere. Ascoltatemi. Cominceremo il nostro duello con un buon colpo di pistola cadauno, e poi se vorrete ci batteremo alla spada a sazietà. Questo è il piacere che vi chieggo. Potrete negarmi un così tenue favore che vi domando?

Venez. - Se è poi vero tanto fermamente, come mi dite, che questo vi paia un piacere, quello di contentarvi diventa un piacere anche per me. Sarete servito, ci manderemo entrambi un buon colpo di pistola; ma lasciatemi ridere, perché egli è di una specie che credo non abbia molto del voluttuoso. Vi prego intanto di portar con voi due pistole da duello, poiché io non ne ho che di corte.

Post. - Porterò meco arme perfette. Mi avete sensibilmente obbligato. Vi ringrazio e vi stimo. Porgetemi la vostra mano. Verrete meco ed andremo a batterci con la più intera reciproca soddisfazione, e saremo poi buoni amici. Verrò a prendervi in punto all'ore tre dopo mezzogiorno. Mi promettete voi di esser pronto?

Venez. - Vi prometto, signore, che non vi occorrerà nemmeno di salire queste lunghe scale. Mi troverete prontissimo.

Posi. - Tanto mi basta. Addio.

Tosto che il veneziano rimase solo, mise in pacchetto sotto sigillo le scritture che avea presso di sé importantissime; e, dopo aver ben pensato di qual persona gli convenisse servirsi, della di cui fede potesse credersi sicuro, si determinò a scegliere un veneziano maestro di ballo, dimorante allora in Varsavia, chiamato Vincenzo Campioni. Egli mandò a cercare quest'uomo e, consegnandogli il pacchetto, gli domandò s'era pronto a giurargli di eseguir fedelmente una commissione che a lui importava più della propria vita. Egli impegnossi. Il veneziano gli disse allora Se alla fine di questo giorno potete parlarmi, mi rimetterete questo pacchetto; se no, andrete a rimetterlo tra le proprie mani di S. M., e, se questa mia commissione vi fa in questo momento formare qualche sospetto, vi avviso che, se osate comunicarla a qualcuno, divenite verso di me un traditore e divenite il più atroce de' miei nemici. Quest'uomo, che sapea ciò ch'era avvenuto tra il veneziano e il gran panettiere nel giorno innanzi, e che l'avea per caso veduto quella stessa mattina uscire dalla di lui casa, s'immaginò che trattavasi di un duello. Egli temea molto per la vita del veneziano, ch'egli avea cagione di amare; e dipendea da lui l'andar tosto a riferire ogni cosa al sovrano, onde il conflitto non avrebbe avuto luogo, ed avrebbe allontanato dall'amico il pericolo di perder la vita o la libertà; ma così non oprò: se avesse così oprato sarebbe stato un vile, uno spergiuro, un poltrone, un traditore, insomma, un falso amico.

Il vero amico non sa far nulla che ad intera soddisfazione dell'amico, e crede mal fatto tutto ciò che a qualcun altro sembrerebbe meglio fatto in diversa guisa. Il vero amico è ammirabile negli affari, ne' quali interesse o gloria impedisce l'interamente spiegarsi. Facilissimo è il fargli vedere e capire ciò che non si vuole nè mostrargli, nè dirgli, ed a cagione di quella riserva non si offende, nè s'impiega con meno calore di quello con cui si sarebbe impiegato, se l'amico con lui si fosse affatto spiegato, affidandosi alla di lui discrezione. Il vero amico in somma non può essere contento di sé medesimo che tanto quanto rende soddisfatto colui per il qual opera, non avendo altro interesse in ciò che fa, se non il solo dell'amico per cui s'impegna.

Il falso amico, all'opposto, è sempre mal soddisfatto della maniera con cui è impiegato; abbonda di tacite riflessioni; si forma sempre qualche interesse personale nell'affare che gli viene appoggiato; ed ha sempre qualche segreta mira che non ardirebbe confessare. Quando fa d'uopo penetrare il senso sostanziale della cosa, l'eseguisce ad verbum, e, quando non conviene staccarsi in modo alcuno dalla parola, va ghiribizzando raffinamenti. Egli ha sempre o mal letto, o mal inteso, e con lui nessuno si è mai abbastanza spiegato. Posto ch'egli ebbe in sicuro l'involto, pensò a desinare delicatamente, onde diede sopra di ciò gli ordini opportuni e mandò a pregare due dotti giovani cavalieri, affettuosi fratelli, che l'onoravano della loro amicizia, di portarsi a pranzar seco a mezzogiorno. Le vivande squisite, il buon vino e la buona compagnia di persone scelte, e sopra tutto bene affette, compongono un nutrimento che colloca un uomo sano nel sommo grado di quella perfezione di cui è capace. Un pasto tale mette in un fermo equilibrio i fluidi, corrobora i solidi, dà tutto il necessario vigore a tutte le facoltà fisiche ed una letizia allo spirito che sveglia tutte le virtù, le quali, unite all'eccitato coraggio, costituiscono quell'individuo attissimo ad intraprendere qualunque importante azione, nella quale abbia bisogno di tutto se stesso, e sopra tutto di non aver a rimproverarsi qualche mancamento se non riesce con felicità, onde gli esaminatori dell'azione possano dopo l'avvenimento dire ch'egli si regolò male. Ciò era noto al veneziano: egli sapea che le facoltà del corpo e dello spirito rimangono a cagione del mangiare e del bere sopite ed ammorzate in quelli ch'eccessivamente ne usano, onde sopravvien loro, dopo preso il nutrimento, quel letargo che chiamasi sonno, del quale la natura non avrebbe quel pronto bisogno, se non l'avessero stancata, oppressa e mortificata col soverchio, grossolano, o mal ammannito mangiare. La cucina francese, che giustamente gode dell'applauso universale, non genera, in quelli che ne conoscono i pregi, nè intempestivo sonno, nè indigestione, nè pentimento in chi senza ingordigia sa gustarne le delizie. Non v'è uomo, non v'è donna che non sia, dopo un delicato pranzo più bella, più eloquente, più animata, più cortese e più giudiziosa e più presente a se stessa, feconda di bei pensieri e di peregrine invenzioni atte a procurar onesti e leciti piaceri a questa misera umanità che, se si lascia andare abbandonata a se stessa, è una fonte inesausta di miserie, di noje e di affannosi dissapori.

Siccome dunque procede dal buon cibo la salute del corpo, non si dovrà dubitare che da esso non derivi anche la tranquillità dello spirito, che non può aver altro moto che quello che riceve dalle impressioni fisiche. Guai poi a quelli che si sono meritati al mondo il nome che li disegna per mangiatori. Rari sono fra questi quelli che sappiano cosa sia ben mangiare; l'ingordigia è il loro nume, e se li contempliamo non discerniamo nè nel loro corpo, nè nel loro spirito, verun segno del felice nutrimento di cui io qui sopra feci l'elogio. Il soverchio mangiare genera malattie, accorcia la vita e rintuzza le facoltà dell'anima.

 

Dulcia se in bilem vertent, stomacoque tumultum

Lenta feret pituita. Vides ut pallidus omnis

Cœna desurgat dubia? quin corpus onustum

Hesternis vitiis animum quoque pregravat una,

Atque affigit humo divinæ particulam auræ.

 

Dopo aver ben pranzato ed amalgamato il cibo con puro vino di Borgogna, egli pregò la compagnia di andarsene. Il giorno di corriere questa preghiera non può parer incivile. Restato solo, si mise in punto di non fare aspettare il Postòli che, secondo l'accordo, poco potea stare a comparire. Egli arrivò all'ora stabilita a gran trotto di sei cavalli, che tiravano una carrozza inglese da quattro persone. Scese presto il veneziano le scale e si trovò alla portiera del legno, mentre il Postòli era per uscirne. Nel legno si ritrovava oltr'esso un ciamberlano ajutante di campo generale del re ed uno de' suoi cacciatori. L'aiutante generale, che sedea presso il Postòli, cedette il loco al veneziano, sedendosi sul d'innanzi; ma questo, tenendo già il piede sullo staffone del cocchio, sospese l'entrarvi quando in un'occhiata vide, oltre i postiglioni, cacciatori, volanti, staffieri e paggi, anche un altro ajutante generale a cavallo con un servo che avea alla mano due cavalli bardati. Egli rivolse allora il capo e disse a' due suoi servi, che erano per montar dietro la carrozza, che nol seguissero, ma stessero là ad aspettar i suoi ordini. Il gran panettiere, udendo ciò, gli disse: Lasciate che vi seguano, poiché potrebbe avvenire che aveste bisogno di essi; il veneziano gli rispose: - giacché non posso condur meco un numero di servi eguale al vostro, non voglio neppure que' due miserabili; voi ne avete abbastanza per far servire anche me, se ne avessi bisogno. Posso sperarlo? - Sì, egli rispose, e vi prometto da cavalier d'onore, che vi farò servire in preferenza di me medesimo. E, ciò dicendo, gli porse la mano, che l'altro strinse entrando in carrozza e ponendosi presso di lui. Partirono subito, e non seppe dove andassero, nè si curò di domandarlo.

Non erano ancora fuori della città, quando parve al veneziano una civiltà quella di rompere il silenzio. Egli domandò dunque al Postòli se pensava di far la sua dimora in Varsavia nella futura estate; alla qual questione egli rispose: Così avevo divisato di fare, ma voi forse sarete cagione che dovrò fare altrimenti. Il veneziano gli rispose che sperava di non aver ad esser cagione di cosa alcuna, che fosse per dispiacergli. - M'immagino già, rispose l'altro, che abbiate carattere di gentiluomo, o che abbiate servito in guerra... - Il veneziano, interrompendolo, gli disse che non si era mai trovato tanto nobile quanto in quel giorno; ma perché, soggiunse egli, guardando il Postòli in viso, mi fate voi questa dimanda?

- Non so perché, rispose l'altro vivacemente e sorridendo, per non sapere che altro dire: non ne parliamo più, vi prego. E non se ne parlò più. Malgrado la molta neve i cavalli, correndo assai bene, arrivarono due ore e mezza avanti notte a Wola, ampio giardino appartenente al conte di Bruhl, gran generale dell'artiglieria della corona, che allora trovavasi a Dresda.

Inoltratosi nel giardino il Postòli, con l'altro a fianco e seguito da tutta la sua comitiva, si fermò sotto una pergolata di figura ovale, non più lunga di dieci pertiche, che avea nel mezzo una tavola di pietra. Su questa tavola il suo cacciatore, cui egli fece un cenno, depose un paio di pistole di lunga misura e brillanti dal forbito acciajo, e con esse una picciola ferriera ed un astuccio, d'onde quell'uomo trasse polve, palle e bilancia, con una specie di mulinello necessario a caricare quell'arme. Dopo ch'ei mostrò ch'eran vuote ai due principali attori, che attentissimi stavano guardando il di lui lavoro, scelse due palle adattate e di egualissimo peso e calibro, e pesò due eguali quantità di polvere, ed indi le caricò. Caricate che furono, il gran panattiere con viso cortese pregò il veneziano di dar di mano a quella di quell'arme che più gli piacesse, essend'egli per servirsi dell'altra. La voce allora dell'ajutante generale del re impedì il veneziano dal prontamente scegliere. Qui si tratta, diss'egli in tedesco, di un duello, e ciò io non soffrirò. - Voi non dovete sapere, risposegli il Braniscki, di che si tratti; tacete e state a vedere, e quando avrete veduto potrete parlare. - Non posso ignorar nulla, replicò l'altro, siamo nella starostia di Varsavia, io sono oggi di guardia, mi avete con inganno levato dalla corte per rendermi complice di un delitto che mi tirerà addosso lo sdegno di S. M. Alle vostre idee, giacché mi avete fatto venir qui, io mi oppongo. - Come volete opporvi? disse l'altro sorridendo: il re vi perdonerà quando saprà che voi siete stato presente al fatto per sorpresa, e pel rimanente acchetatevi, poiché prendo sopra di me tutte le conseguenze dell'affare, cui per buone ragioni vi voglio presente. Avete inteso? Scostatevi dunque due passi e lasciateci fare. Son cavaliere d'onore e debbo dar soddisfazione a chiunque crede aver dritto di domandarmela, e voglio dimostrar a quest'italiano «que je sais payer de ma personne,» che so sempre bastar a me medesimo. - Tocca dunque a voi signor C....... (replicò al veneziano l'ajutante generale) a schivar questo duello: vi invito a rimettere ogni vostra cagione di lagnanza a S. M., e vi avviso che qui non potete battervi, poiché siete nella regia starostia. Il veneziano allora rispose che non pensava a battersi ma a difendersi, il che avrebbe fatto anche se fosse in chiesa; ma che se si trattava di dar un segno della sua venerazione al re, (e ciò dicendo, levossi il cappello) rimettendosi a lui pel compenso di un torto che il signor Postòli gli avea fatto, era pronto a tutta la sommissione purché a ciò l'invitasse il medesimo Postòli, e ch'era anzi pronto a non pretender soddisfazione ulteriore, se egli volea allora, lui presente, dirgli che gli dispiacea di avergli detto jeri quelle oltraggiose parole. Con faccia brusca allora il Postòli, guardando fisso in faccia il veneziano, gli disse: Monsieur! je ne suis pas venu ici pour raisonner, mais pour me battre, - io non venni in questo luogo per discorrere, ma per battermi. - L'ajutante generale allora levò gli occhi al cielo e, percotendosi con la sua destra la fronte, ritirossi due passi. Il Postòli con aria serena levossi la pelliccia, che un paggio raccolse, e si slacciò la spada che consegnò allo stesso paggio. L'altro si vergognò di non imitarlo: fece anch'esso lo stesso e consegnò la sua spada allo stesso paggio, ma con dolore, poiché non sapea come l'affare potesse andare, e così oprando rimanea disarmato. Pensò un istante che potea tener la sua spada a fianco, richiamando al Postòli il patto di sguainarla dopo un colpo di pistola, ma temette di dimostrarsi men cortese del cavaliere, o troppo eccitato da mal animo. Il Postòli allora gli replicò che desse di mano ad una di quell'armi che incrociate erano sulla tavola, il che egli eseguì prendendo quella di cui il calcio era verso lui rivolto, e prontamente il Postòli afferrò l'altra dicendogli queste medesime parole: L'arme que vous tenez, Monsieur, est parfaite; j'en suis garant. - Quell'arma che sceglieste è perfetta, ve ne faccio io la sicurtà. Al qual complimento di formalità venne in bocca all'altro questa troppo vera risposta: Actuellement, Monseigneur, je le crois, mais je ne le saurai qu'après en avoir fait l'expérience contre votre tête; prenez garde à vous: - Ora, signore, credo ciò, ma nol saprò che dopo averne fatto l'esperienza contro la vostra testa; tenetevi bene in guardia. Di più non dissero, ma con arme basse, guardandosi in faccia, retrocessero lentamente entrambi dieci passi, onde restarono dieci passi geometrici lontani uno dall'altro, distanza ch'era quasi tutta la lunghezza della pergolata. Il veneziano, che aveva già montata la pistola tenendone la bocca verso terra, si adattò in fianco, come se dovesse battersi alla spada, ma senza punto allungar la guardia, ed in questa positura, levandosi il cappello e, portandolo al ginocchio sinistro, disse al Postòli: Votre Excellence m'honorera de tirer le premier. Egli rispose: Mettez-vous en garde. L'altro in un istante si mise il cappello, portò la stessa mano al suo sinistro fianco, alzò con l'altra mano la pistola, e, quando la vide dritta al corpo del Postòli, la sparò: nel medesimo istante il cavaliere sparò la sua, sicché i vicini non udirono che un sol colpo, tanto è vero che scaricarono nello stesso tempo. Se il Postòli non avesse perduto tempo, è cosa certa che avrebbe tirato avanti l'altro e l'avrebbe forse ucciso; ma egli perdette almeno tre secondi a rispondere all'altro: mettez-vous en garde (cosa alla quale non toccava a lui a pensare) ed a estendersi sul suo corpo, allungando a tutto suo potere la sua guardia, in modo che l'altro non potea più vedergli la testa, contro la quale supponea che il veneziano mirasse, in conseguenza delle parole che gli avea detto; parole, che egli disse per un modo di dire, non già con intenzion di eseguirle, poiché troppo disavantaggio ha il duellante che prende di mira il capo dell'avversario e non il petto. Il veneziano, dopo aver detto all'avversario: fatemi l'onore di tirare il primo, non si credette tenuto a supporre che differisse nè a troppo allungare il civil complimento aspettando tutto il comodo dell'altro, nè pensò al fievole vantaggio di farsi più picciolo allungandosi sulla guardia, ma nella non incomoda positura in cui era, senza punto muoversi nè batter occhio, con polso fermo sparò, e nello stesso tempo che si sentì ferito alla mano sinistra, che cacciò presto nella saccoccia della giubba, vide il Postòli sostenersi con la sinistra a terra per non cadere, e l'udì dire: Je suis blessé. Gettò via il veneziano la pistola e corse ad esso, ma a mezza strada vide due sciabole polacche pendenti sopra lui pronte a tagliarlo in pezzi; e gli sarebbero già piombate addosso, poiché erasi fermato ed immobile attendea i due fendenti, se con voce di atroce collera il guerriero, che sostenevasi appena, vedendo que' sciagurati non avesse gridato: Canaille, respectez ce chevalier. - Canaglie, rispettate questo cavaliere[1] A questi accenti si vergognarono quegli infingardi (alla polacca però veri amici del Braniscki) e si ritirarono. Corse il veneziano alla sinistra del generoso, e con la sua destra sotto l'ascella il sollevò, mentre alla dritta era accorso l'affannato generale ad aitarlo. In questa guisa il Postòli, camminando curvo sostenuto dai due e seguito dai suoi, giunse all'osteria cento passi di là distante, dove sdrajato sopra una gran sedia volle veder la sua ferita. Fu prestamente, supino come si tenea, sbottonato, ed alzatagli da' servi l'insanguinata camiscia sino al petto, si vide che la palla eragli entrata nel corpo fra la terza e quarta costa spuria alla dritta, ed era uscita descrivendo una diagonale lunga un palmo verso il mezzo dell'ippocondrio sinistro, lasciando illesi gl'intestini; tanto era egli allungato ed esteso quando ricevette il colpo. Mentre i suoi servi mondavangli il ventre dal sangue di cui era tutto bruttato, il veneziano, che stavagli a fianco in piedi, osservò ch'egli volgea di tempo in tempo gli occhi al di lui ventre, onde gettando egli il guardo sopra se stesso, si avvide ch'era tutto grondante di sangue che uscivagli dal ventre, della qual cosa si maravigliò, ma non fece alcun movimento.

Quando il Postòli vide l'orribile propria ferita, sereno in faccia ordinò che corressero alla città tutti in traccia di chirurghi, ed all'altro, che tenevasi appoggiato alla spalliera della sedia, disse: Monsieur, vous m'avez tué, j'ai le cordon de l'aigle blanc et une charge dans la couronne; les duels sont défendus, et nous sommes dans le district de Varsovie; vous serez condamné à mort; sauvez-vous; servez-vous de mes chevaux, dont je croyais de devoir me servir moi-même, allez en Livonie et si vous n'avez pas d'argent, acceptez ma bourse. Mi avete ucciso, ho l'onore dell'Aquila bianca ed una carica nella corona; i duelli sono proibiti, e siamo nel distretto di Varsavia; sarete condannato a morte; fuggite; servitevi de' miei cavalli, de' quali credevo dovermi servire io stesso; ricovratevi in Livonia; e se non avete denaro accettate la mia borsa. Il veneziano ammiratore di tanta virtù, gli rispose con l'angoscia nell'anima: Accetterei, signore, le vostre offerte, se pensassi a fuggire; vado in Varsavia a farmi medicare, e spero che pericolosa non sia la ferita, di cui mi avete astretto ad esser autore. Se fossi poi reo di morte, vado a portar la mia testa a' piedi del trono. - J'accepterais vos offres, Monseigneur, si je pensais à me sauver. Je vais à Varsovie me faire soigner de mes blessures, et le veux espérer que celle dont vous m'avez forcé à être l'auteur n'est pas dangereuse. Si le suis coupable de mort, je vais porter ma tête aux pieds du trône. Detto questo, gl'impresse un bacio sulla sudata fronte, e partì solo, gettandosi ad attraversare un campo coperto di neve per cogliere una slitta che vedea giungere a buon trotto di due cavalli sulla strada maestra. Senza quella slitta che mandogli la provvidenza, egli si sarebbe trovato a mal partito, poiché a piedi pericoloso gli sarebbe stato il portarsi alla città e difficile, a cagione del molto sangue che perdea dalla mano e dal ventre, e degli angosciosi dolori che la ferita della mano, che cominciava ad inasprirsi, gli recava.

Questo fatto fece divenir lecito al veneziano queste seguenti critiche riflessioni.

Il Signor Postòli il condusse seco solo, essend'egli accompagnato da dieci persone; e questa fu una soperchieria, poiché, s'egli rimanea morto, quegli amici suoi uccidevano il suo uccisore. Ciò fu dimostrato dal fatto, ed in simili materie il punto d'onore e la delicatezza esigono che si supponga tutto. Gli promise di battersi con la spada dopo una mutua pistolettata, e, sul campo di battaglia levandosela, costrinse la delicatezza dell'altro a far lo stesso, onde l'espose al sommo dei pericoli. Quando entrò nel di lui legno, gli giurò da cavalier d'onore che il faria servire in preferenza di lui medesimo, e nol fece, sicché senza quella slitta, che gli fu certamente mandata dal suo angelo custode, egli rimanea esposto alla furia dell'indemoniato Bissinscki, che gli avrebbe tagliato il capo netto, il quale diavolo arrivò dieci minuti dopo, come si vedrà.

Il colpo di pistola che gli diede Postòli il colse un pollice sotto l'umbelico: sdrucciolò la palla a fior di carne, lasciandogli una poco considerabile ferita che per altro suppurò per molti giorni ma che sul fatto non sentì, ed entrò nella sua mano sinistra nei muscoli del pollice, ed infrangendo la prima falange rimase dentro morta e schiacciata, come fu veduta quando il chirurgo per estrarla fu costretto ad aprirgli la mano alla parte superiore opposta.

Entrato nella slitta in virtù di un zecchino che diede al paesano che la guidava, si sdrajò e si fece coprire da una stuoja, più per ripararsi dalla neve che il trotto de' cavalli facea saltar dentro, che per nascondersi. Buon fu per lui il trovarsi così coperto e non esposto alla vista di alcuno, poiché non avea ancora fatto un miglio che incontrossi col Bissinscki, che a cavallo di carriera aperta con la sciabola sfoderata correa, sperando d'incontrarlo per tagliarlo in minuti pezzi con tanto buon core, con quanto l'amoroso pastore dà un'archibugiata al lupo che incontra traendo seco sul collo l'agnella, che gli uccise e rubò. Il Bissinscki avrebbe eseguito il suo polacco progetto senza né pure idearsi che creatura ragionevole avesse potuto chiamare la sua azione men che onesta, non che spacciarla per un tradimento; tanto sembra eroica oggidì ancora a' polacchi la vendetta. Egli non poté mai immaginarsi ch'ei fosse sotto quella stuoja, onde seguitò a correre verso l'osteria, dove l'amico suo ferito stava aspettando ristoro, e 'l veneziano giunse in Varsavia, dove, non avendo trovato alcuno alla casa del principe Adamo Czartoryski, si determinò a ricoverarsi nel convento de' zoccolanti.

Essendosi egli presentato, il portinaio, che nol conoscea, vedendolo tutto sporco di sangue e supponendolo perciò un malfattore, era per chiudergli la porta in faccia, ma il veneziano non gli diede tempo; entrò a forza gettandolo con le gambe all'aria. Accorsero molti frati allora, e 'l guardiano istesso, il quale si determinò a dargli una stanza. Non passò mezz'ora che quella stanza si vide piena de' primi signori della corte e de' più accreditati, poiché il Postòli in sostanza, quantunque intrepido e valorosissimo, era considerato come il maggior nemico della nazione, e favorito del re, avea la maledizione che hanno tutti i favoriti, era temuto ed odiato o invidiato da tutti. I più cospicui tra magnati si affrettarono dunque di accorrere al convento, chi per udire la storia del fatto, chi per assicurar il ferito di protezione, chi per offrirgli danaro che non accettò e che se fosse stato saggio avrebbe accettato; ma trovavasi troppo in que' momenti in preda del demone dell'eroismo. La necessità però il costrinse ad accettare cento zecchini dal principe palatino di Russia, e dal figlio principe Adamo il trattamento intero della tavola giornaliera, non per lui che fu tosto condannato alla dieta, ma per chi portavasi all'ora di pranzo ad onorarlo. Un chirurgo francese accorse tosto ad aver cura di lui, il quale dopo avergli cacciato sangue, gli aprì il di sopra della mano presso al pollice, gli estrasse la palla, gli passò nella ferita un cordone di seta, gliela fasciò, e poi gli ordinò un medicamento, perché dicea che sgombro da ogni materia dovea essere lo stomaco di un ferito e che dovea poi esser lasciato senza nutrimento alcuno, eccettuato quello di semplice brodo; al qual ordine il veneziano non osò opporsi, come avrebbe desiderato, quando udì quel chirurgo, che pregiavasi d'intendere il latino, fulminargli l'aforismo: Vulnerati fame crucientur. L'operazione che il chirurgo gli fe' per trargli dall'interno della mano la palla, fu dolorosissima; ma egli imparò che non v'è dolore materiale che un animo risoluto non possa dissimulare: mentre il chirurgo oprava, egli narrava il fatto al palatino di Calich Tuardouski e ad altri magnati astanti, e poté, malgrado il dolore che sentia, né dar segno di sentirlo, né interrompere il suo racconto. Il non posso è troppo di frequente sulle labbra dei mortali; per l'uomo che vuole, vi si trova assai di raro.

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Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.37

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