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La biblioteca di Babele
CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA


Il Dittamondo
di: Fazio degli Uberti 

LIBRO SESTO 

Capitoli I - XIV


CAPITOLO I 
“Qui si conviene andar con gli occhi attenti, 
qui si conviene aver la mente accorta, 
qui si convien fuggir tutti i spaventi”: 
cosí a dire prese la mia scorta; 
“noi siamo in Asia, lá dove si vede 5 
ogni pericol ch’acqua e terra porta”. 
E io a lui: “Quel Padre, in cui ho fede, 
spero che mi allumi e che mi guidi 
come l’animo mio lo prega e chiede. 
E spero in te, che mi conduci e fidi, 10 
col quale lungo tempo giá son ito, 
che mai palpar né temer non ti vidi. 
Con gli occhi attenti e col pensier sentito 
mi troverai a le tue spalle, ognora 
sicur, pur che non veggia te smarrito”. 15 
“La fede che hai buona, disse allora, 
mi piace: ché colui va senza intoppo 
che spera in Dio, che ’l crede e che l’adora”. 
Tu dèi saper, lettor, che s’io aggroppo 
le mie parole omai, piú che non soglio, 20 
che il fo ché il tempo è poco e ’l cammin troppo. 
Ma se tu vuoi veder dove le coglio, 
Plinio cerca, Livio e Isidero 
e piú autor, col mio, da cui le toglio. 
Non far sí come molti, ch’io considero, 25 
che braman di sapere e, per pigrizia 
o vanità, raffreddano il desidero. 
Per un sentiero, che ’l nocchier c’indizia, 
segnato per la riva del bel fiume, 
seguia colui, ch’era ogni mia letizia. 30 
Io avea preso, andando, per costume
addimandarlo, per non perder tempo 
e per trar del suo dire frutto e lume. 
E però, come io vidi luogo e tempo, 
li dissi: “Dimmi, s’altro mi sai dire 
dentro a quest’acqua, notato al tuo tempo”. 
E quel, ch’era disposto al mio disire, 
mi ragionò come il delfino a ’nganno 
il coccodril conduce e fa morire; 
e come quivi, in un’isola, stanno 40 
uomin di piccolissima statura, 
ch’ancor la morte a’ coccodrilli dánno. 
“Li senici ci son, d’altra figura; 
l’ippotamo, c’ha forma di serpente, 
crudel ne l’opra e ne la vista scura. 45 
E, se ben ti ricorda e hai a mente, 
di qua dal lito di Canopitano, 
dove intanata sta la trista gente, 
quando volgemmo a la sinistra mano, 
quivi, tra l’Etiopia e l’Egitto, 50 
leonipardi, leonze e tigri stano. 
Piú lá è l’animal ch’aucefa è ditto, 
simile al badalischio nel rimiro; 
ma va per terra piú grave e affitto. 
Altri animali sono per quel giro 55 
con tante orribil voci e sí diverse, 
che sol l’udirle altrui è gran martiro”. 
Cosí andando per le ripe sperse 
e ragionando, l’occhio mio da lungi 
con un gran muro piú torri scoperse. 60 
“O luce mia, che mi speroni e pungi 
per questa strada, diss’io, fammi chiaro 
che terra è quella, prima che lá giungi”. 
“Due cittá son, diss’el, che fan riparo 
sopra quest’acqua: quella di lá noma 65 
Babilonia; l’altra, di qua, il Caro. 
Tra l’una e l’altra son maggior che Roma: 
quivi è il real palagio del Soldano, 
che tutto Egitto signoreggia e doma”. 
E io a lui: “Per non andare invano, 70 
de’ re e de’ signori udir vorrei, 
che regnar qui nel tempo piú lontano”. 
“Figliuol, rispuose, i primi, saper dèi, 
poi ’l diluvio, che tennero il paese, 
fun molto accorti e nominati dei. 75 
Festus Sol, Osiris prima lo prese, 
Orontoloteo e Tifone apresso, 
da’ quai la gente qui vivere apprese. 
Seguitâr, dopo quei ch’io dico adesso, 
i Dinaste e Cineo, che fu il primo, 80 
di Cam disceso e parente ben presso. 
Seguirono i Pastor di questo vimo; 
seguiron similmente i Faraoni 
e i Tolomei, secondo ch’io stimo. 
Ma or la mente a quel ch’io dico poni: 85 
durarono i Dinaste in fin che tenne 
Amosis tutte queste regioni. 
Pastor costui si disse e allora venne 
di qua Ioseppo che, col suo gran senno, 
questo paese condusse e sostenne. 90 
Apresso Amram e Ioachabet dienno 
Moises allora in man de la fortuna 
e marinaro innanzi tempo il fenno, 
per tema, quando egli era ne la cuna; 
ma pria poco fu detto Faraone 95 
Amenofis per la gente comuna. 
Non molto poi, come il Genesis pone, 
lo mar s’aperse al popolo di Dio, 
per fuggir morte, danno e quistione: 
io dico quando Chencres lo seguio, 100 
sí come è manifesto a tutto il mondo 
che l’acqua lui e tutti i suoi sorbio. 
Orosio scrive sí come nel fondo 
quale il miracol fu si vede ancora, 
pur che ’l mar posi e ’l tempo sia giocondo. 
Saba reina tra questi s’onora; 
ma l’ultimo Natanabo si dice, 
che col Magno Alessandro poi dimora. 
Tolomeo Lago fu l’alta radice 
de’ Tolomei e certo, se ben miro, 110 
degno ne parve, tanto fu felice. 
Alfin colei, che l’uno e l’altro tiro 
abbeverò del sangue del suo busto, 
lo regno tenne e, dopo tal martiro, 
rimase in man del buon Cesare Augusto”. 115 

CAPITOLO II 
Sí come ’l ragno per la tela passa 
col filo a che s’appicca e, poi ch’è giunto, 
col tatto in su l’ordito il ferma e lassa, 
cosí con le parole mie appunto 
i versi filo e tesso in su l’ordito 5 
e ’l piú bel da notar fermo e appunto. 
“Ben hai, disse Solin vèr me, udito 
ciò ch’io t’ho detto; ma seguita ancora 
di dir sí come il regno poi è ito. 
Settecento e cinque anni e piú dimora 10 
sotto gl’imperador, che poi seguiro, 
che, come sai, viveano in Grecia allora. 
Ma propio in quel secol, se ben miro; 
che Macometto fu, levar lo niffo 
e da lo ’mperio in tutto si partiro. 15 
Un signor fen, nominato Califfo, 
dal quale ogni lor papa il nome ha preso: 
grande ebbe il cuore e il corpo corto e ’l niffo. 
Questo dominio, ch’io dico testeso, 
trecento quaranta anni stette e piue, 20 
che non si vide in alcun modo offeso. 
Ma non creda né pensi alcun né tue 
ch’ogni stato quaggiú non si maturi 
sí come il pomo e che non caggia giue: 
ché quando qui si stavan piú sicuri, 25 
nel mille con quaranta sette, dico, 
funno rubati e arsi in fino a’ muri. 
E ciò fenno i Cristian con Almerico; 
onde il Califfo mandò in Alappia 
per soccorso al Soldan, come ad amico. 30 
Ozaracon vi venne e vo’ che sappia 
che la terra difese e per cattivo 
prese il Califfo e in pregion l’accappia. 
Lo regno tenne in fin che el fu vivo; 
apresso, per Soldan rimase il figlio: 35 
Saladino me ’l noma e tal lo scrivo. 
Costui, per sua franchezza e gran consiglio, 
tolse la Terra santa ai Cristiani, 
vincendo quelli e dando lor di piglio. 
Lo fratello e ’l nipote fun Soldani 40 
apresso lui e ciascun per sé solo 
ben si guidò coi suoi e con gli strani. 
Melechsalem seguio: col grande stuolo 
de’ Cumani comprò molto tesoro, 
dai quali al fin sostenne mortal duolo. 45 
Signor fen Turqueman, ch’era di loro, 
e questo è quel che ’l re di Francia e Carlo 
di carcer trasse, ove facean dimoro. 
Non molto poi dal tempo, ch’io ti parlo, 
un altro Cumano uccise costui: 50 
sí si fidava in lui, che potea farlo. 
Melechmes si udio nomar da altrui 
e, Soldan fatto, Bondogar l’uccise 
e cosí prese il dominio per lui. 
Costui è quel ch’Antiocia conquise 55 
e al suo tempo il buon re Adoardo 
passò il mare e da’ suoi si divise. 
Il tosco fu a lui quel mortal dardo 
che gli trafisse il cuor senza ritegno: 
e tal gliel dié, che non ne avea riguardo. 
Melechzaich, lo figliuolo, disegno 
Soldano dopo lui; ma durò poco, 
ch’Alfi l’uccise e tolsegli il regno. 
Vero è che men costui tenne il loco: 
ché un altro, che pensò di farsi re, 65 
e che non fu, rifece a lui quel gioco. 
Qui puoi veder chi fa quel che non de’, 
come tu sai che dice il proverbo, 
che spesso gliene avièn quel che non cre’. 
Melcaseras tenne il nome e il verbo 70 
del padre Alfi e cacciando fu morto 
da tal, che ne perdé la carne e ’l nerbo. 
Melechnaser, un giovinetto accorto, 
rimase del Soldan, ché Guidoboga 
lui prese e ’l regno; ma ’l tempo fu corto: 75 
ché i Cumani, che allora erano in foga, 
grandi e temuti, morte a costui dienno: 
e cosí la sua vita poi fu poga. 
Lachin signore, un di lor gente, fenno: 
costui fu morto ove a scacchi giocava; 80 
e tal di chi l’uccise ancor t’impenno. 
Melechnaser, che ’mpregionato stava, 
com’io t’ho detto, di carcer fu tratto 
e Soldan fatto, in che poco sperava. 
Or puoi vedere in che nuovo baratto 85 
ben trecento anni questo regno è stato, 
ché ’l piú savio signor paruto è matto”. 
“Certo, diss’io, a quel che m’hai contato 
qual ci è Soldan, dee star sempre confesso 
e aspettare che ’l colpo ognor sia dato”. 90 
Cosí andando e ragionando adesso, 
cercai il Caro e fui in Babilona: 
formicar pare il popol, sí v’è spesso. 
E secondo ch’ancor la fama sona, 
al tempo del morbo un milione e mezzo 95 
quivi morí d’una e d’altra persona. 
Quando l’udio, me ne venne un riprezzo; 
poi dissi: “Esser ben può, poi che ’n Fiorenza 
ben cento milia ne fun posti al rezzo”. 
Io bramava d’avere esperienza 100 
se piú vi fosse da notare strano, 
quando colui, ch’era ogni mia credenza, 
mi ragionò del fico egiziano 
la forma e quanto al frutto s’argomenta, 
come lo scrisse giá con la sua mano. 105 
Una fontana ci è, che quando spenta 
vi metti una facella, tosto accende 
e, s’è accesa, morta vi diventa. 
Allor pensai: Questa quasi s’intende 
con quella che in Epirro fa dimora; 110 
ma tacqui, sí come uom ch’ad altro intende. 
E dissi: “Dimmi se tu sai ancora 
chi diede il nome a questo paese 
e com si parte tra le genti d’ora”. 
Ond’ello allora cosí a dir mi prese. 115 


CAPITOLO III 
“Da venti quattro nazion comprende 
Egitto tutto ed è partito in due, 
sí che di sopra e di sotto s’intende. 
Aeria prima nominato fue; 
poi da Mesraim di Cam truovo scritto 5 
che, ponendoli il suo, quel cadde giue. 
Seguio apresso per signore Egitto, 
fratel di Danai, e da costui 
lo nome, ch’ora tiene, li fu ditto.” 
Cosí parlando seguitava lui, 10 
come il discepol segue il suo maestro, 
tanto che sotto un alto poggio fui. 
“Questo monte, diss’el, fatto è silvestro, 
colpa e vergogna di quei che son ora, 
che miran solo in terra e da sinestro. 
Qua su piú volte Moises adora 
e vide il nostro sommo Adonaí 
come fiamma, ch’ardendo, s’avvalora. 
Questo è quel monte santo Sinaí, 
lá dove Caterina si glorifica 20 
per Cristian, Giudei e Canaí.” 
Indarno la mia penna qui versifica, 
ché non sa dir quanto a l’anima piacque 
trovarmi dove giace e si santifica. 
Quella contrizion, che nel cuor nacque, 25 
e ’l grande amor s’accese sí, che poi 
la rimembranza dentro non vi tacque. 
Partiti da quel santo loco noi, 
pur lungo il monte prendemmo la via, 
lassando Egitto e i termini suoi. 30 
Qui, senza dimandar, la scorta mia 
mi disse: “A ciò, che men si vada in vano 
e che piú breve lo cercar ti sia, 
quanto tu vedi da la destra mano 
su, vér levante, Arabia si dice, 35 
tra Siria, Caldea e l’Oceano. 
E tanto stende al mar le sue pendice, 
ch’assai vi son che veggon l’altro polo 
per quelle scure e secrete radice. 
Arabia in loro lingua vuol dir solo 40 
qual sacra in nostra, però che qui nasce 
cinnamo, mirra, incenso in ciascun brolo, 
erbe turifer, sane a tutte ambasce, 
odorifere e sante, e qui si trova 
l’uccel fenice, che d’esse si pasce. 45 
La sua natura so che non t’è nova, 
ché da quel che ti disse non mi stolgo 
quella che sopra il Tever piange e cova”. 
Dissemi poi de l’uccel cinomolgo 
la forma e dove nasce; e tu che leggi, 50 
se ’l vuoi saper, lui cerca ond’io lo tolgo. 
E se d’udirlo propio tu vagheggi 
de l’iride pietra e de la sardonica, 
similemente quivi fa che veggi; 
e troverai ancor ne la sua cronica 55 
qual v’è l’andromada, la pederonta, 
e una ed altra gentile e idonica. 
Apresso questo mi divisa e conta 
ch’aspidi e draghi con pietre vi sono 
e qui i colori e le vertú m’impronta, 60 
Ancor non lungi molto ti ragiono 
ch’una fontana ci è di questa forma: 
c’ha l’acqua chiara e ’l sapor dolce e bono. 
Se pecora ne bee, cambia e trasforma 
lo vello suo: Pitagora l’appropia; 65 
sí fa Ovidio, che la mette in norma. 
Cosí andando e dandomi copia 
di molte novitá, giungemmo al mare, 
lo quale è rosso sí, che par sinopia. 
Io n’avea tanto udito ragionare, 70 
che non mi fu, mirandol, maraviglia, 
ben che una strana cosa a veder pare. 
Scrive alcun che sí rosso somiglia 
ché, dentro a l’acqua ripercosso il sole, 
cotal color da esso propio piglia. 75 
Ed è chi da natura l’ha dir vole; 
ma i piú s’accordan dal sabbion, ch’è rosso 
d’intorno e sotto, e che tal color tole. 
Qui mi disse Solin: “Rivolgi il dorso 
in vèr settentrion, ché in ogni verso 80 
m’ingegno abbreviar la via ch’io posso. 
Questo braccio di mar, stretto in traverso, 
lungo fra terra, vien dal mezzogiorno; 
l’altro è di sopra tra l’Arabo e ’l Perso. 
Or puoi veder che ’l mar li va dintorno 
da le tre parti, come a Italia face. 
Molto è il paese di ricchezze adorno. 
Una provincia dentro a esso giace, 
a cui Saba di Cus lo nome diede, 
che prima l’abitò e tenne in pace”. 90 
Apresso tutto questo, mi fe’ fede 
del fiume Euleo e de la sua natura, 
che indi passa e da Media procede. 
Poscia mi disse: “Imagina e figura 
l’ocean rosso, come questo miri, 95 
quanto il lito d’Arabia e ’l Perso dura. 
E sappi ancor che dentro a questi giri 
Catabani e Sceniti ci vedi, 
e il monte Sinolepori e Cispiri. 
Ma or dirizza al contrario i piedi”. 100 
Io cosí feci ed e’ prese la strada, 
si come il mento a la sua spalla diedi, 
per voler ritrovare altra contrada. 


CAPITOLO IV 
Lassando Egitto e Arabia a le spalle, 
e Pelusio da lato e Cassio monte, 
era il nostro cammin sopra una valle. 
E quel, che m’era innanzi da la fronte, 
mi ragionava e segnava col dito 5 
piú cose, che vi fun giá belle e conte. 
“Quivi è, mi disse, ove fu soppellito 
quel gran Roman, che ne la navicella 
dinanzi a’ suoi fu morto e tradito”. 
E cosí fui, di novella in novella, 10 
oltra il braccio del mar, ch’Arabia bagna, 
a Idomea che Edom cosí appella. 
Forte è il paese, che tien di montagna, 
ed èvi tanto grande la calura, 
che, ’l sol quand’è in Leon, ciascun si lagna. 15 
Non vi son casamenti d’alte mura; 
per le spilonche e sotterra vi stanno, 
cercando quanto posson la freddura. 
“Tra loro e Palestina gran selve hanno; 
però, disse Solino, il cammin nostro 20 
di vèr sinistra fie con meno affanno. 
Ma vienne e nota ben ciò ch’io ti mostro”. 
Indi mi trasse, ove Andromade fue 
incatenata dove stava il mostro. 
Ancor nel sasso le vestige sue 25 
li piacque ch’io vedessi, a ciò ch’io fusse 
del miracolo grande esperto piue. 
Poi disse: “Scauro a Roma condusse 
del mostro la costa e per maraviglia 
fu misurata, quando ve l’addusse”. 30 
Di lá partiti, la sua strada piglia 
dirittamente a una fontana, 
che come sangue ci parea vermiglia. 
“Guarda la sua natura quanto è strana! 
Tre mesi sta che tal color non perde 35 
e tre polvere par che s’impantana, 
e altrettanti sí com’erba verde; 
poi l’avanzo de l’anno è qual Tesino: 
e ’n questo modo si trasforma e sperde”. 
Mostrommi poi, andando, nel cammino 40 
monte Seir – è chi ’l chiama Esaú – 
pien di caverne e tien molto alto il crino. 
E questo in prima abitato fu 
dal Correo, che Codorlaomor uccise, 
come nel Genesi trovar puoi tu. 45 
Ma quando Edom ad abitar si mise 
co’ suoi qua su, gli Oregi giganti 
per forza del paese fuor divise. 
E se passassi al monte piú avanti, 
vedresti d’Idomea le mura prope, 
ch’esso fondò co’ figliuoi tutti quanti. 
A dietro lassi la cittá di Iope. 
Omai è buon partir, ché piú non veggio, 
per trovar novitá, che qui si scope”. 
E io: “Va pur, ché quanto prego e cheggio 55 
al Sommo Bene, è sol che tosto sia 
nel bel paese ch’io bramo e vagheggio”. 
Misesi allor per tanto alpestra via, 
come sarebbe andar pel Genovese, 
a chi uscisse fuor di Lombardia. 60 
Mostrommi un monte al fin di quel paese: 
Hor mel noma e apresso mi disse: 
“Aron la morte, stando lá su, prese; 
e ’l suo figliuol, per quel che io udisse, 
i’ dico Eleazar, ver sacerdoto, 65 
lá tenne principato e quivi visse”. 
Cosí, per quel cammino aspro e rimoto, 
passammo nel paese di Giudea, 
che molto fu e pare ancor divoto. 
“Questo si disse, in prima, Cananea 70 
da un figliuolo di Cam e alcun dice 
da diece, per li quai si possedea. 
Questo per lungo stende la pendice 
da vico Arfa a Iuliade vico, 
lá dove quei di Tiro han la radice. 75 
La sua larghezza da Libano, dico, 
al Tiberiade lago scrivi e poni, 
ché cosí si notava al tempo antico. 
Nel mezzo del paese ancor componi 
la cittá Ierosolima e puoi dire 80 
bellico quasi a tutte regioni. 
E perché ’l possi ancora altrui ridire, 
t’accerto che non son quattro province 
miglior di questa in quanto il mondo gire”. 
E io: “Dimmi prima che tu schince 85 
altrove, perché poni questo sito. 
che quasi ogni altro in su la terra vince”. 
Rispuose: “Io penso ben che l’hai udito, 
ma che, per piú chiarezza, il vogli ancora 
saper da me; e però dove addito 
90 
l’animo poni”. E incominciò allora. 

CAPITOLO V 
“Veduto hai ben sí come per li stremi 
di tutto l’abitato son le genti 
mostruose e d’intelletti scemi. 
Alte montagne e piene di spaventi, 
oscure valli truovi e folte selvi 5 
con salvatiche fiere e gran serpenti. 
E quanto piú da queste ti divelvi 
e vien ne l’abitato, piú si trova 
dimestica la terra e con men belvi. 
Dunque questo paese, lo qual cova 10 
quasi nel mezzo d’ogni regione, 
de’ far, quanto alcun altro, buona prova. 
Ma nota ancor via piú viva ragione: 
che Dio elesse questo santo loco 
per sé e per le prime sue persone. 15 
Questa è la terra che in ombra di foco, 
com’io t’ho detto, a Moisé promise; 
a mente l’hai, ben so, ch’ancora è poco. 
Ma vienne omai e farai che t’avise 
del ver con l’occhio, che fa il cuore esperto”. 20 
E, cosí detto, nel cammin si mise. 
Poi, come quel che ben sapea per certo 
l’animo mio, in vèr Ierusalem 
mi trasse per sentier chiaro e aperto. 
“S’io piú vivessi che Matusalem, 25 
dissi io, meritar non ti potrei 
farmi vedere Elia o vuoi Salem. 
Ma se in tutto appagar vuoi gli occhi miei, 
menami dove io veggia il Sepolco, 
prima che in altra parte drizzi i piei”. 
Lucea il sole ed era il tempo dolco 
come si vede ne la primavera, 
e rose e fior parean per ogni solco, 
quando quel caro padre, con cui era, 
in vèr settentrion mi trasse, al monte 35 
Golgota, dove in tutto avea la spera. 
Se Egeria o Ciane diventaron fonte, 
maraviglia non m’è, perché due fiumi 
mi si converson gli occhi de la fronte, 
per gran dolor, quando mostrato fumi 40 
dove fu in croce il nostro Pellicano, 
quel dí che scurò il sol con tutti i lumi. 
Ma poi ch’io fui, non molto lontano, 
dentro al Sepolco, ove fu soppellito, 
dicendo, aggiunsi l’una a l’altra mano: 45 
“O somma luce, o Padre infinito, 
a Te l’anima mia raccomando, 
sí che sia degna al fin del tuo bel sito”. 
Appena cosí detto avea, quando 
un Saracin mi disse: “Oltra va’ tosto; 50 
qui non si prega e piange dimorando”. 
Pur io, che ’n tutto avea lo cuor disposto 
a dire e a finir lo prego mio, 
come l’avea ne l’animo proposto, 
aggiunsi: “Fammi tanta grazia, ch’io 55 
torni a riveder quel bel paese 
d’Italia, dico, dov’è il mio disio”. 
E ’l Turcomanno ancora a dir mi prese: 
“Qui non s’alberga; per l’altro uscio passa,” 
con volto tal, che sol l’atto m’offese. 60 
Co’ passi lunghi e con la testa bassa 
oltra passai e dissi: “Ecco vergogna 
del Cristian, che il Saracin qui lassa”. 
Poi al Pastor mi volsi per rampogna: 
“E tu ti stai, che se’ Vicar di Cristo, 65 
co’ frati tuoi a ’ngrassar la carogna”. 
Similemente dissi a quel sofisto, 
che sta in Buemme a piantar vigne e fichi 
e che non cura di sí caro acquisto: 
“Che fai? Perché non segui i primi antichi 70 
o i Cesari romani e ché non segui 
dico gli Otti, Curradi e Federichi? 
A che pur tieni questo impero in triegui? 
E se non hai il cuor d’esserne Augusto, 
ché nol rifiuti o ché non ti dilegui?” 75 
Cosí dicendo, quel savio vetusto 
col quale io era, mi disse: “Che fai, 
che mormorando vai cosí combusto?” 
Rispuosi: “Io ho disdegno e onta assai 
a pensar ch’esto loco degno e santo 80 
governi il Saracin, come visto hai. 
Ancora mosse il mormorare il pianto, 
ch’i’ veggio il Cristian con quei due gladii, 
che lassò Cristo, non curarne un quanto”. 
“Noi non andrem, mi disse, mille stadii, 85 
che ’l re di Cipri disperato in tutto, 
dico se ’l Ciel non tramuta i suoi radii, 
si partirá con dolore e con lutto 
da questi due, da’ baroni e da’ re, 
e fará, d’un bel, gioco sconcio e brutto, 90 
per mostrar vero e guadagnar per sé”. 

CAPITOLO VI 
Come uom, che legge ne l’Apocalipsa 
e ’ntender vuole e non ha lo ’ntelletto, 
si svaria piú quanto piú pensa in ipsa, 
cosí svariava io, per mio difetto, 
volendo imaginar che a dir venia 5 
quello che la mia guida m’avea detto. 
Ma poi ch’io vidi che giá se ne gia 
a la cittá, che per Tito fu strutta, 
lassai il pensiero e seguio la sua via. 
Quanto noiose al tempo de le frutta 10 
e impronte son le mosche, erano a noi 
la gente de la terra acerba e brutta. 
Pur la mia scorta a me: “Qui non ti nòi; 
lassali fare e dir; passa oltra e mira 
e nota sí, che ’l sappi ridir poi. 15 
Non si vuol qui mostrar dispetto e ira, 
ma temperanza, ché l’uom senza possa, 
e c’ha orgoglio, sovente sospira”. 
D’intorno da le mura e da le fossa 
la cittá tutta e per lo mezzo vidi 20 
cosí come s’avalla e si rindossa. 
E però voglio, lettor, che ti fidi 
che tal la troverai, qual la disegno, 
se mai avièn che tu di lá ti guidi. 
In monte è posta, in sito forte e degno; 25 
le mura ha belle ed èvi ancor la torre, 
che fece far David, tenendo il regno. 
Citerne v’èn, ché fiume non vi corre; 
monte Moria ha nel mezzo, dove l’Arca 
federa giá si soleva riporre, 30 
dico nel tempio lavorato in arca 
di care pietre, d’ariento e d’oro, 
divoto quanto alcun di quella marca. 
D’opra musaica era ogni suo lavoro: 
questo si disse il tempio Salamone: 35 
David comprò quel monte assai tesoro. 
Luce Moria s’interpreta e si spone; 
Iacob qui vide scendere e montare 
gli angioli per la scala, in visione. 
Qui su venia David per adorare; 40 
qui su giá fece Abraam sacrifizio, 
quando dovea Isaac immolare. 
Noi fummo dove io ebbi vero indizio 
che la madre di Cristo visse e nacque: 
d’Anna una chiesa v’ha presso l’ospizio. 45 
Probatica piscina lá mi piacque, 
dove l’angel di Dio a la sua foce 
sanava il primo infermo con quell’acque. 
Ancor dentro al gorgone è fama e voce 
che giá per Salamon poner fu visto 50 
quel legno, onde si fe’ la santa croce. 
Qui, come dice il Vangelio, giá Cristo 
fe’ sano il paralitico, che pianto 
avea piú di trent’anni infermo e tristo. 
Veduta la cittá ben d’ogni canto, 55 
disse Solin: “Buono è partirsi omai; 
veggiam di fuori”. E mossesi a tanto. 
Per porta Iosafat, che v’era assai 
presso, mi trasse in verso aquilon, 
pur lungo il muro, ove un poggio trovai. 60 
“Ecco, diss’ello a me, monte Sion, 
ch’è non men forte né men alto e bello 
che tu vedrai, giunto a Troia, Ilion”. 
“Dunque, diss’io, è questo monte quello 
che in mezzo al mondo appunto si divisa?” 65 
Rispuose: “Sí, ché d’altro non favello. 
Quanto fu degno anticamente avisa, 
ché la Scrittura Ierusalem chiama 
Filia Sion in diverse guisa. 
Dolci piante e odorifere rama 70 
eran per tutto e monte di scienza 
si nominava e de’ profeti brama”. 
Di Siloe mi fece conoscenza; 
poi disse: “Vienne”; ed io il seguio 
come de’ far chi vive a obbedienza. 75 
E cosí ragionando ello ed io, 
prese il cammino vèr monte Oliveto, 
per contentar, m’accorsi, il voler mio. 
Per che prima mi mena quel discreto 
in vèr Getsemani, lá dove Cristo 80 
coi suoi orava e stava secreto. 
E poi ch’io ebbi il santo loco visto, 
per gran compassion biastemai Giuda, 
traditor disperato, avaro, tristo. 
Quel caro padre mio, ch’ognor mi studa, 85 
su per lo monte mi trasse a la cima, 
ch’a levante Ierosolima scuda. 
D’ulivi è pien, dove piú si sublima; 
dattari, cedri, vigne, fichi e gelsa 
ed ogni frutto v’è buon che si stima. 90 
Vidi l’ombra di quella lubra eccelsa, 
che per amor fe’ fare, odiando Iddio, 
colui il quale fu figliuol di Belsa. 
Ben dico ancor che di quel monte udio 
da piú e piú, che son degni di fede, 95 
che ’l nostro Salvatore in ciel salio. 
Similemente s’afferma e si crede 
che qui discenderá al dí giudizio 
a sentenziare i rei e farne scede, 
chiamando i buoni al suo beato ospizio, 100 
dicendo: “E voi venite, benedetti, 
ch’amaste me e dispregiaste il vizio”. 
Noi discendemmo, poi, di quei tragetti, 
per una via, ch’era stretta e arta, 
a la cittá che fu, secondo i detti, 105 
di Lazaro, di Maria e di Marta. 

CAPITOLO VII 
“O grazioso sole, che mi guidi, 
dissi a Solin, cerchiam ben questo regno 
ch’è tanto degno e che giá mai non vidi: 
lungo tempo è ch’io n’ho l’animo pregno”. 
Ed el: “Come a te, piace, sia; ché sai 
che sol per contentarti teco vegno”. 
Giunti in Betania, a notar non trovai 
piú che gli mur del monister di Lazaro, 
che Gottifré fe’ bello e ricco assai. 
Certo, io non so niun cristian sí gazaro 
che, se vedesse quel loco rimoto 
chiuso tra cedri, tra ulivi e mazaro, 
che non venisse pietoso e divoto: 
per che quanto a me dolse qui non scrivo, 
poi che per tutto mi fu chiaro e noto. 
Pur di sotto al bel Monte de l’ulivo, 
per Iosaphat fu poi la nostra via, 
dove Cedron vi bagna ogni suo rivo. 
Se sospirato avea l’anima mia 
per Lazaro, qui pianse a veder dove 
fu seppellita la somma Maria. 
Indi partiti, volgemmo a Emaus, dove 
Cristo, frangendo il pan, fu conosciuto 
dopo la morte, com’è scritto altrove. 
E poi ch’io ebbi quel loco veduto, 
un pellegrin si mosse e ’l cammin prese 
né piú né meno come avrei voluto. 
Per ch’io dissi fra me: Costui m’intese 
come se stato dentro al mio cor fosse; 
e ’n verso Betelem diritto scese. 
Lontanato dal muro e da le fosse, 
si volse a me e ’n vèr la guida mia 
e ’n questo modo a ragionar si mosse: 
“A ciò che meno ci gravi la via, 
buono è d’alcuna cosa ragionare, 35 
ch’oltre ci porti e che util ci sia”. 
E Solino in vèr lui: “Tu dèi pensare 
che costui, con cui sono, altro non chiede 
ch’udire o veder cosa da notare. 
Però, s’alcuna se ne sente o vede 40 
per te antica, fa’ che tu ne ’l cibi”. 
Per ch’ello incominciò, movendo il piede: 
“Tutti i Giudei fun dodici tribi, 
li quai disceson dai dodici frati, 
che ’ngenerò Iacob et hic et ibi. 45 
Giuda fu l’un, del qual, se ben tu guati, 
David di grado in grado e Salamone 
per dritta linea funno ingenerati. 
Cosí Iosepo dopo piú persone, 
di Maria sposo, fu di questa schiatta, 50 
come Matteo nel suo principio pone. 
Or pensa come il mondo si baratta: 
ché, di sangue real, fabbro fatto era: 
e chi nol crede ha ben la testa matta. 
Dal lato di Maria funno Anna e Ismera 55 
d’Azacar figlie, del tribú Leví 
sacerdotale, come Luca avera. 
Qui del cuor apri l’uno e l’altro dí, 
ché sempre lo ’ntelletto si diletta 
piú quanto intende meglio ciò che di’. 60 
D’Ismera dico che nacque Isabetta, 
moglie di Zaccaria, e di lor due 
l’anima del Battista benedetta. 
D’Anna, che sposa di Gioachin fue, 
nacque la nostra Luna, onde ’l Sol venne 65 
ch’alluminò il mondo e ’l ciel lá sue. 
Non molto tempo Gioachin la tenne, 
perché morio; ond’ella con gran doglia 
vedova stette il tempo che convenne; 
poi, per seguir de’ parenti la voglia, 70 
si sposa a Cleofas, fratel di quello 
che balió Cristo e che ’l vestio e ispoglia. 
Due figliuoli ebbe questa santa d’ello, 
Simeone e Maria, la quale Alfeo 
isposò poi e diedeli l’anello. 75 
Questa Maria quattro figliuoli feo: 
Iacob e Simeone funno i primi; 
apresso, come par, seguí Taddeo, 
Iosep il quarto e voglio che tu stimi 
che Barsabas si noma e fu sortito 80 
per esser con Mattia de’ piú sublimi. 
Morissi d’Anna il secondo marito 
e, come al nostro sommo Padre piacque, 
ch’al miglior sempre drizza l’occhio e ’l dito, 
Salome poi la sposa e di lor nacque, 85 
dico, la terza Maria solamente, 
e qui di piú figliuoi crear si tacque. 
Questa terza fu poi tanto possente, 
che partorio di Zebedeo due stelle, 
ciascuna tanto innanzi a Dio lucente, 90 
che molto poche in cielo son sí belle”. 

CAPITOLO VIII 
La bella tema e ’l vago ragionare 
tanto mi piacque, ch’i’ dissi a Solino: 
“Costui è d’altra forma che non pare”. 
Ed ello a me: “Con questo suo latino 
noi ce n’andrem, se tu mi chiederai, 5 
pur dietro a lui, come ci fa il cammino. 
E però pensa, in mentre che tu vai, 
di trarne frutto e, da poi ch’ei si tace, 
entra in parol di quel che piú voglia hai”. 
Allor, per lo consiglio suo verace, 10 
mi trassi a lui e dissi: “O frate mio, 
dir non saprei quanto il tuo dir mi piace. 
E perché sappi il ver di me, com’io 
d’Italia sol per saper novitade, 
come costui t’ha detto, mi partio, 
però ti prego che, per tua bontade, 
m’allumini onde Iacob discese 
seguendo, apresso, d’una in altra etade”. 
Cosí com’ello il mio parlare intese, 
rispuose: “In tutto sono al tuo piacere”. 20 
E ’n questo modo a ragionar mi prese: 
“Dal principio del mondo dèi sapere 
può sei mila anni al tempo, ove ora se’, 
con cinquecen sessanta sei avere. 
E tutto questo tempo partito è 25 
in sei etadi: la prima si pone 
e scrive da Adam fino a Noè; 
da Noè la seconda si dispone 
in fino ad Abraam; la terza trova 
David, che padre fu di Salamone; 30 
la quarta giunge in fin che si rinnova 
la trasmigrazion di Babilona, 
quando il Giudeo perdé ogni sua prova; 
la quinta tanto il tempo suo sperona, 
che ’l nostro Sole apparve in questo mondo 35 
sol per dar luce a ogni persona; 
la sesta in fine al dí grande e giocondo 
per li buon, dico, durerá per certo; 
per li rei no, ché i piú cadranno al fondo. 
Or de la prima poco ci è scoperto, 40 
per quel ch’io truovi in ogni volume: 
e però in breve tel dirò aperto. 
Lo primo giorno, cielo, terra e lume 
Iddio creò; il secondo, divise 
l’acqua da l’acque, come mare e fiume; 45 
lo terzo, il mar da la terra recise; 
arbori, erbe, folti boschi e pruna, 
come tu vedi, per lo mondo mise; 
lo quarto, fece sole, stelle e luna; 
lo quinto, pesci, uccelli e ogni cosa 50 
che dentro l’acque e per l’aer si rauna; 
lo sesto, fece Adamo e la sua sposa 
con le sue mani e gli animai produsse; 
il settimo dí in tutto si riposa. 
In un bel paradiso a star condusse 55 
Adam e Eva; ma per l’inobbedienza 
volse che l’una e l’altro fuor ne fusse. 
Miseli al mondo in pianto e in temenza 
e diede loro l’argomento adesso 
a tutte piante e a ogni semenza. 60 
Ingeneraro tre figliuoli apresso: 
Cain fu il primo, che in l’agricoltura 
avaramente avea il suo cor messo; 
Abel fu poi, ch’ebbe l’anima pura, 
fedele a Dio, e sí come pastore 65 
le pecore guardava a la pastura. 
Cain sacrificando al suo Signore 
de’ frutti suoi, a lui non parea 
che li aggradisse a fè né con amore. 
Abel, che de la greggia sua prendea 70 
sempre il migliore a far suo sacrifizio, 
diritto il fumo al cielo andar vedea. 
Per questa invidia Cain fuor da l’ospizio 
il sangue del fratello al campo sparse, 
ben che gran pena portò poi del vizio. 75 
Seth fu il terzo dei fratelli e parse 
al padre che Dio per cambio gliel desse 
d’Abel, di cui il cor li cosse e arse. 
La prima cittá, ch’al mondo si fesse, 
Cain fondò e per Enoch ei volse, 80 
un suo figliuolo, che Enoch nome avesse. 
Colui, che prima due femine tolse 
in un tempo per moglie, Lamech fue, 
che ’l sangue pria creato al mondo spolse. 
In fra gli altri figliuoli, n’ebbe due 85 
d’Ada: Iabel ed a costui do vanto 
che pria s’attenda con le genti sue. 
Iubal, suo frate, trovò modo al canto, 
ad organi e chitarra e, s’io non erro, 
in questo spese il tempo tutto quanto. 90 
Tubalcain, di Sella, rame e ferro 
fabbricò prima e ogni altro metallo 
e fe’ carbon di castagno e di cerro. 
Questa schiatta Caina senza fallo 
multiplicava come la mala erba, 95 
se non è coltivata in buono stallo. 
Di Seth, lo qual fu per opra e per verba 
puro e fedele e con fermo disio, 
nemico d’ogni creatura acerba, 
nacque Enos e costui, per quel che io 100 
possa sapere, per certo fu il primo 
lo quale invocasse il nome di Dio. 
Discese Enoch di questo buono vimo, 
lo qual fu servo a Dio e con lui sparve 
nel terren paradiso, com’io stimo. 105 
Suo figliuol fu che visse e non li parve 
presso a mille anni di dover far casa, 
sí poco pregiò il tempo e l’etá parve. 
È costui avo a quel che si travasa 
per mar con l’arca e con ogni animale, 110 
in fin che vide la pioggia rimasa, 
quando spirò ogni cosa mortale”. 

CAPITOLO IX 
“Tanto multiplicâr ne’primi tempi 
ne gli uomini i peccati, che Dio disse, 
veggendo i lor gran mali e gravi scempi, 
Penitet enim me eos fecisse. 
Poi, come ingrati e pieni di lussuria, 
gli piacque e volse che ciascun perisse. 
Gran giganti, con forza e con ingiuria 
a libito viveano e senza legge, 
pien di superbia e d’ogni matta furia. 
Giá era il mondo, per quel che si legge, 
istato due milia anni e cinque croce, 
quando quel Lume, che ne guida e regge, 
Noè chiamò con angelica voce, 
fedele e giusto, e disse: – Fa un’arca 
tal, che sia forte in mar per ogni foce –. 
La misura li dié, la qual non varca; 
la gente gli ordinò e gli animali, 
de’ quali, al tempo che disse, la carca. 
De lo profondo abisso e infernali 
luoghi e de’ ciel le cataratte aperse, 
con tuon crudeli e saette mortali. 
Orribil venti e tempeste diverse 
tante seguîr, per l’aire tenebrosa, 
che l’acqua i monti per tutto coperse. 
E questo gran diluvio non riposa, 
sí vennon per lo mondo in tutto meno 
uomini, bestie, uccelli e ogni cosa. 
Aperta l’aire e venuto sereno, 
Noè mandò il corbo per suo messo, 
lo qual li venne a la risposta meno; 
similemente la colomba apresso, 
la qual fu tal, qual ciascun esser de’: 
ch’andò e vide e ritornò ad esso. 
Piú tempo per quelle acque andò Noè; 
al fine sopra il monte d’Erminia 35 
l’arca si posa, dove ancora è. 
Quel patto, ch’allor fu, par ch’ancor sia, 
tra Dio e Noè e, se nol sai, 
perché appar l’arco in ciel dimanda e spia. 
Bello è a saper, se non l’udisti mai, 40 
come la mente inebriato perse 
dormendo in terra disonesto assai, 
e come Cam ne rise e che sofferse 
veder la sua vergogna e come i due 
ciascun del palio suo il ricoperse. 45 
Per questo, maledetto poi Cam fue 
dal padre suo, quando il ver ne seppe, 
che servo fosse con le genti sue. 
Degno è bene di pascer per le greppe 
qual fa beffe del padre e non l’onora, 50 
come si legge che facea Ioseppe. 
In quel propio tempo, ch’io dico ora, 
le genti in Sanaar si raunaro 
con Nembrotto gigante, ch’era allora. 
Per gran superbia, la torre fondaro 55 
de la qual, credo, Iddio fe’ beffe e rise, 
veggendo in contro a Lui far tal riparo. 
Or odi l’argomento che vi mise: 
che, quando nel lavoro eran piú fermi, 
in settanta due lingue li divise. 60 
Ben è colui, che trovar pensa schermi 
al giudizio di Dio, che puote il tutto, 
con men discrezione assai che vermi! 
Onitus truovo in alcun costrutto 
che astrolago fu e grande maestro, 65 
dal qual Nembrotto trasse molto frutto. 
Ma Nembrotto, meccanico e campestro, 
diece cubiti grande, salvo il vero, 
sol quel facea che li venia piú destro. 
Acerbo visse, dispietato e fero, 70 
e, secondo Metodio, il primo pare 
che, usurpando l’altrui, prendesse impero. 
Di buona pianta dèi sempre aspettare 
d’aver buon frutto e cosí de la rea 
similemente rio imaginare. 75 
Nacque di Cam la gente Cananea, 
quella di Garama e d’Etiopia, 
di Egitto, di Libia e di Bugea. 
Di questa schiatta, ch’io ti conto, propia 
Nembrotto surse, Mineo e piú altri 80 
superbi a Dio, de’ quai non ti fo copia. 
De lo seme di Sem, Ermini e Baltri, 
Medi, Persi, Giudei, Sizi, Ircani, 
Caldei, con piú molti altri accorti e scaltri. 
Di Iafette seguirono i Romani, 85 
Ungari, Greci e, in vèr ponente, 
Franchi, Spagnoli, Tedeschi e Italiani. 
Ora, se a quel che ho detto ben pon mente, 
di Sem disceson quei che in Babilona 
imperiâr nel mondo primamente. 90 
Quei di Iafeth portaron la corona 
del tutto in Grecia e in Roma e quei di Cam 
stati son servi e sotto ogni persona. 
E qual fu il seme di Cain da Adam 
è stato il suo e quel de gli altri due 95 
qual quello di Iacob e d’Abraam, 
di cui ti vegno a dir l’opere sue”. 

CAPITOLO X 
“Ventiquattro anni tre mila dugento 
passati eran dal principio del mondo 
in fino ad Abraam, ch’or ti rammento. 
Costui si può dir che fu il secondo, 
dopo Noè, piú amato da Dio 5 
e piú di ciascun vizio puro e mondo. 
Tare fu il padre e per quello che io 
truovi, ché il vero n’ho cercato a punto, 
lo nono fu di Sem, che poi seguio. 
Lungo sarebbe a dir di punto in punto 
ciò che si scrive e legge di lui, 
per che passo oltre e nel piú bel fo punto. 
Due buon fratelli si vide costui: 
l’un si disse Nachor, l’altro Aran, 
secondo che ho compreso per altrui. 15 
Prima abitò in Caldea; poi in Haran 
apresso stette, come li fu ditto, 
in fin che fu la fame in Chanaan. 
Indi partito, passò in Egitto; 
Sara, sua sposa, si disse sorella, 20 
temendo che, per lei, non fosse afflitto. 
Tanto era gentil cosa, onesta e bella, 
che piacque a Faraon; ma Dio non volse 
ch’avesse arbitrio di giacer con ella. 
E, stato un tempo, a dietro si rivolse 25 
nel suo paese, e, come a Sara piacque, 
Agar sua ancilla a concubina tolse. 
Apresso, di costei Ismael nacque; 
poscia di Sara, come l’angiol disse, 
ebbe Isaac, quando con lei giacque. 30 
Qui non ti conto quanto contradisse 
agli angioli Abraam, con dolce verbo, 
che Sodoma e Gomorra non perisse. 
Qui non ti conto l’onta e ’l gran proverbo 
che dal popol bestiale Loth sofferse 35 
per lo peccato orribile e acerbo. 
Qui non ti conto com la terra aperse, 
né quanto dal ciel piovve foco e solfo, 
né tutte le cittá ch’al fondo amerse. 
Ma se di lá andremo, vedrai il golfo 40 
dispettoso a mirar, che manifesta 
se ’l miracolo fu piú che qui nol fo. 
O bestial gente, matta e disonesta, 
vaga del vizio, stringi il freno al male, 
fuggi qui il biasmo e di Dio la tempesta. 45 
Qui passo a dir com si converse in sale 
quella di Loth; e le figlie perché 
lo inebriaro e condussono a tale. 
Qui passo a dir come Abraam da sé 
partí Agar e Ismael e passo 50 
se parte o no al dipartir li fe’. 
Qui come Iddio comandò a dir lasso 
che del figliuol facesse sacrifizio 
e perché poi nol volse ancor trapasso. 
Qui passo a dir onde venne al suo ospizio 55 
Rebecca a Isaac, che ebbe a sposo, 
per darti de’ figliuoli chiaro indizio. 
Due gemelli fe’: il primo fu piloso 
e nominato dal padre Esaú, 
vago di caccia, altero e disdegnoso; 60 
Iacob l’altro e nota come fu: 
costui tenea il fratel per lo piede, 
quasi a dire: non ire innanzi tu. 
Giusto visse con pura e buona fede; 
Laban li dié, dopo lunga fatica, 65 
Rachel e Lia, in cambio di mercede. 
Di queste due spose e d’altra amica 
Ruben, Gad, Aser e Giuda uscí, 
de’ quali il seme suo hai per rubrica, 
Nephtali, Manasse, Simeon, Leví, 70 
Issachar, Zabulon, Iosep apresso 
e Beniamin, che l’ultimo seguí. 
Ioseppo fu ne la citerna messo, 
venduto poi e in Egitto menato, 
comperato da Putifar adesso. 75 
Ahi, vizio cieco, brutto e scelerato, 
lussuria, senza modo e senza legge 
sí come vento, dal voler portato! 
Paura né minacce ti corregge 
amor di compagnia con bella vista, 
né mal, né morte, che di te si legge. 
Questo dich’io per quella falsa e trista 
che Iosep accusò, che preso stette 
in fin ch’onor, per lo suo senno, acquista. 
Dispose il sogno de le sette e sette 85 
vacche a Faraone, onde in tal grazia 
li venne, che poi tutto li credette. 
Poco tempo apresso questo spazia, 
che ’l padre coi figliuoi a lui sen gio, 
lo qual ciascun di gran ricchezze sazia. 90 
E stato un tempo, Iacob morio 
e nel campo Efron, sí com’elli volse, 
dov’era il padre suo, si soppellio. 
Assai fu pianto, tanto a’ suoi ne dolse”. 

CAPITOLO XI 
“Amram discese del tribú Levi, 
che ’ngenerò Aron e Moisè: 
non so se udito l’hai mai piú che qui. 
Moisè fu legisto e con gran fè; 
la lingua non avea bene spedita: 5 
ma qui non dico la cagion perchè. 
Uomo giá fatto e veggendo far lita 
tra due, quello d’Egitto tosto uccise, 
che tôr volea al suo Giudeo la vita. 
Per tema, del paese si divise 10 
e, giunto al pozzo, dove stava Ietro, 
Sefora vide, in cui l’amor suo mise. 
Presela a sposa e, ritornato a dietro, 
quello che Dio li disse qui non dico, 
ché fun verba di marmo e non di vetro. 15 
Per non dir troppo ancor non m’affatico 
con quante pistolenze Dio percosse, 
col re, l’Egitto in quel tempo antico. 
Parve al popolo suo che troppo fosse 
Moisè sopra il monte, perché un toro 20 
fe’ d’or, col quale a idolar si mosse. 
Tornato e visto il peccato loro, 
le tavol de la legge infranse e ruppe; 
poi arse l’idol fabbricato d’oro. 
Color, ch’al mal la gente piú corruppe, 25 
di subito, per gran disdegno e ira, 
del sangue e de la carne lor fe’ suppe. 
Data la legge, sí come disira, 
al popol suo, dopo venti anni e cento 
in val di Moab, sotto Phasga, spira. 30 
Rimase duca d’alto intendimento 
Iosuè giusto, prudente, ed a cui 
Iddio promise, per darli ardimento: 
– Quale con Moisè, mio servo, fuital sarò teco in ogni tua gloria –: 35 
in questo modo ragionò con lui. 
Sopra Merom e Maserophe vittoria 
li diede in contro a Iabi, re d’Asor, 
e ’n contro a piú, de’ quai non fo memoria. 
A secco piede passò Dan e Ior 40 
con l’arca federa e giá soppellito 
era Aron di sopra il monte Hor. 
Poi, tra dodici tribi fu sortito 
tutto il paese che, vincendo quel re, 
Iosue prese, sí come hai udito. 45 
Piú e piú altre cose al mondo fe’; 
la vita sua fu cento anni e diece 
e venti sei il popol tenne a sé. 
Sopra il monte Efraim l’avel suo fece 
e sappi bene che, quando morio, 50 
che duca alcun non rimase in sua vece. 
A’ Giudici la signoria seguio, 
li quai duraro in fino a Samuel, 
che santo fu e amico di Dio. 
Quindici funno e ’l primo Othoniel; 
in questo tempo si vide Sansone: 
i’ dico del figliuol di Manuel. 
Costui, per quello che si scrive e pone, 
lungo una selva andando larga e bella, 
senz’arme uccise, abbracciando, un leone. 60 
Costui, com’è dipinto per novella, 
uccise mille Filistei coi colpi 
grandi, che dava con una mascella. 
Costui arse col foco e con le volpi 
molte contrade; costui da una femina 65 
tôso e ’ngannato perdé ossa e polpi. 
Duol sopra duol senza fallo s’ingemina 
addosso di colui c’ha mala sposa, 
tanti falsi pensier produce e semina. 
Similemente in pace si riposa 70 
e vive chi l’ha buona; ma, per certo, 
poche ne son, chi ben guarda ogni cosa. 
Assai t’ho chiaro in breve e discoperto 
lo Genesi, l’Esodo e il Levitico 
e infino a Ruth gli altri libri aperto. 75 
Benché in alcuna parte parlo ellitico, 
piú chiaro in alcun’altra, mi passo oltre, 
ch’è poco quel, che non mi piace, tritico. 
Ruth fu quella, che a piè de la coltre 
di Booz si puose e onde poi scese 80 
l’un dopo l’altro con David, se oltre. 
Saul di Cis, che del tribú discese 
di Beniamino, fu colui il quale 
sopra a’ Giudei a regnar prima prese. 
Costui sopra a Naas aperse l’aie, 85 
poi in verso a Doeg e senza fallo 
ciascun da lui sentio vergogna e male. 
Oh, quanto è folle chi ode il bando, e sallo, 
del suo signore, se ’l contrario fa; 
o, pur se ’l fa, se non cerca arrostallo! 90 
Questo dich’io, qui, per Ionata, 
che gustò il mel contro al bando del re, 
ch’a pena ne scampò, come si sa. 
Oh, quanto è folle chi in Dio non ha fè 
per sua superba, come Saul fu 95 
che, morti i suoi, s’uccise in Gelboè! 
Qui non ti vo’ contare, a ciò che tu 
da te cerchi, con quanta invidia e ira 
Saul cacciò David piú volte e piú. 
Oh quanto è fol chi ’l mal d’altrui disira 100 
senza cagion, sol per invidia propia; 
oh, quanto è giusto se poi ne sospira, 
come han giá piú, de’ quai non ti fo copia!” 

CAPITOLO XII 
“Giovane, forte, bel, sicuro e destro 
era David, al tempo che guardava 
le bestie sue e che vivea campestro. 
Gigante fu Golia, lo quale stava 
acerbo e fiero a modo d’un villano 5 
sopra l’oste di Saul e minacciava. 
Giunto David con la frombola in mano 
nel campo, proveduto su e giú, 
vide il gigante ch’era sconcio e strano. 
Subitamente, che non vi fu piú, 10 
si combatteo in quella forma propia 
con lui, che Orlando fe’ con Ferragú, 
lo qual, secondo che, Turpin fa copia, 
per tema stava con le pietre al monte, 
fuggendo per non darli di sé copia. 15 
David ferí Golia ne la fronte 
da lungi, con la frombola, sí forte, 
che ruppe l’osso e feceli una fonte, 
cosí seguendo, con le braccia accorte, 
d’un’altra pietra in quel loco stesso; 
poi, con la terza, li diede la morte. 
Per questo e per piú cose venne adesso 
in tanta grazia di Saul, che a sposa 
Micol li diede, sua figliola, apresso. 
In questo modo da poi non riposa 25 
che, Amaleche sopra Besor fiume 
vincendo, tolse ai suoi ciascuna cosa. 
E sí come ora s’usa per costume 
cantar gli onor de’ gran signor, cosí 
s’usava allora e metteasi in volume. 30 
Per che cantare in quel tempo s’udí 
che Saul mille ne sconfisse e prese 
e diece milia n’ha vinto Daví. 
Tanta invidia per questo s’accese 
nel cuore di Saul, che, come ho detto, 35 
piú volte e piú a la sua morte intese. 
Qui passo come David venne al letto 
dove Saul dormia e l’arme tolse, 
chiamando, poi, per trarlo di sospetto. 
Qui passo a dire come il giunse e colse 40 
in monte Engaddi in una spelonca 
e come volontier la pace volse. 
Qui puoi vedere sí come Dio tronca 
la voglia di colui, c’ha mala fè: 
Saul, cacciando, cadde ne la conca. 45 
Morto costui e David fatto re, 
mandò suoi messi a confortare Anon, 
ai quai mezza la barba rader fe’. 
Di Bersabea nacque Salamon 
dopo li tre peccati; ma non dico 50 
quel mal che per Tamar fe’ Ansalon. 
Né qui di ricordarti m’affatico 
come fe’ guerra al padre né il consiglio 
d’Achitofel, ch’i’ biasmo e maledico. 
Né qui di farti chiaro non m’impiglio 55 
come Ansalon fu morto e chi l’uccise, 
quando a la treccia il ramo dié di piglio. 
Per li peccati che David commise, 
Iddio li volse dar la penetenza 
e, de’ tre, l’un partito a prender mise: 60 
fame sett’anni o che desse potenza 
tre mesi a’ suoi nemici aver vittoria 
sopra di lui o tre dí pistolenza. 
Usanza è de’ signor, quanto han piú gloria, 
che piú accecan gli occhi de la mente 65 
e men curan di Dio o fan memoria. 
E però spesso, se tu pon ben mente, 
per modi assai e diversi ne paga, 
né lassa al fine di punir niente. 
Li tre dí prese: e non fu gente smaga 70 
per morbo mai o per rompere in mare, 
come ’l suo popol crudelmente piaga. 
Io non ti posso per ordin contare 
le sue grandi opre; ma poi che il lin venne 
a Cloto meno e a Lachesi il filare, 75 
l’officio suo del tutto far convenne 
ad Atropos; ma giá era sí sene, 
che ’n bianco trasformate avea le penne. 
Quaranta anni regnò; ma or convene 
dir del figliuolo Salamon, lo quale 80 
tenne poi il regno e governollo bene. 
Io non ti dico se fe’ bene o male 
far morire Adonias, che a sposa chiese 
Abisag, ch’era suo fratel carnale. 
Costui Ioab, poi che ’l regno prese, 85 
condusse a morte; ma qui non t’indizio 
il dove né il perché, tanto l’offese. 
Bello è a sapere a’ signori il giudizio 
che fece del fanciul, tra quelle due 
ch’eran dormite dentro a uno ospizio, 90 
Savio quanto alcun altro, o ancor piue, 
pognam che da la legge sua disvia 
e che lussurioso troppo fue. 
Per lo gran senno, che di lui s’udia, 
Saba reina di lontana parte 95 
venne a lui con ricca compagnia. 
Costui, come si legge in molte carte, 
sacrificava, onde Dio l’ebbe in ira, 
fanum Chamos, Moloch e dea Astarte. 
Mille femine truova, chi ben mira, 100 
ch’avea tra spose e concubine; dico 
regnato avea, quando a morte spira, 
anni quaranta ed era assai antico”. 

CAPITOLO XIII 
“Di rado avièn che giovane signore 
sia cosí temperato ne la vita, 
ch’a’ suoi sia pro e a lui torni onore. 
Colui, che ora qui per me s’addita, 
fu Roboam, che per consiglio acerbo 5 
d’altrui e suo, co’ suoi si vide in lita. 
Nota costui, tu che vivi superbo: 
che de’ dodici tribi perdé i diece, 
fuggendo senza colpo e senza verbo. 
Un vitel d’oro fabbricar poi fece; 10 
questo adorando, un santo uom lo riprese 
del gran peccato e de le opere biece. 
La man, dicendo, in contro a’ suoi distese: 
– Colui prendete –; e come l’atto fe’,
odi miracol bel che ne li prese: 15
che ’l braccio non poteo tirare a sé, 
sí dir convenne, pentendo, a quel giusto: 
– Io ti prego che preghi Dio per me –.
E se ’l suo padre giovane e vetusto 
si vide temperato e d’alto ingegno, 20 
costui cattivo, bestiale e robusto. 
Ora, come di sopra ti disegno, 
Ieroboam del tribo d’Efraí 
le diece parti tenne del suo regno. 
Nadab, Baasa, Ela, Zambri e Amrí 25 
Achab, Ochozia, Ioram e piú molti 
nel regno d’Israel di poi seguí. 
Quaranta soli e dugento eran volti, 
quando Salmanasar Samaria vinse 
e prese Osea con quei che vi fun colti. 30 
Poi tutto questo popolo costrinse 
in Hala e in Habor di lá da Media, 
dove col monte e con Gozan li cinse. 
E per ben prender del regno la sedia, 
partio la terra a’ suoi di Babilonia 35 
e cosí d’abitarlo si remedia. 
Qui puoi veder come talor si conia 
e translata la gente in su la terra 
per modo tal, ch’uom nol pensa né sonia. 
Ma perché molte volte avièn che s’erra, 40 
per dilungarsi da la tema troppo, 
onde il parlar col proposto non erra, 
intendo qui appuntare e fare groppo, 
e ritornar dove lassai colui, 
che di dattaro venne in tristo pioppo. 45 
Sette e diece anni visse re costui; 
ma poi che morte a la terra il diede, 
Abia rimase signor dopo lui. 
Apresso di costui, segue e procede 
ch’io ti ricordi il suo figliuolo Asa, 50 
lo qual fu giusto e pien di bona fede. 
Guerra fe’ grande costui con Baasa, 
re d’Israel, che di sopra ti nome, 
e fel tornare alcuna volta a casa. 
Se ’l ver ne vuoi saper e ’l dove e ’l come, 55 
nel libro de’ Proverbi fa’ che veggi, 
ché quivi coglierai d’ogni suo pome. 
Iosafat segue e vedrai, se tu leggi, 
che fece compagnia con Achab, 
per far piú forti e securi i suoi seggi. 
Achab poi combatté con Benadab 
e lui con trenta re vinse in sul campo, 
figliuol d’Amri e sceso di Nadab. 
Poi dopo Iosafat disegno e stampo 
Ioram, che de’ Giudei il regno tenne, 65 
quando con pace e quando con inciampo. 
Morto costui, re dopo lui venne 
Ochozias che da Dio si disvia; 
infermo visse e gran pene sostenne. 
E se tu cerchi ove leggi d’Elia, 70 
troverai come scese dal ciel foco 
sopra i suoi messi e la sua morte ria. 
Ma perché giunto son, parlando, al loco 
che dir d’alcun de’ profeti s’aspetta, 
intendo qui tacer de’ re un poco. 75 
Cercando Elia digiuno in Saretta, 
ebbe de la farina, onde apresso 
del suo ben far godeo la feminetta. 
Se questa allegra fu, ben ti confesso 
che quella troppo piú si vide lieta, 80 
di cui il figliuolo suscitò adesso. 
Sopra il fiume Cison quei mal profeta 
di Baal fe’ morire ed Eliseo 
levò dai buoi col palio de la seta. 
Di santa vita fu e molto feo 85 
di miracoli belli; al fin sul carro 
del foco il suo discepol lui perdeo. 
Ben vo’ che noti quel che or ti narro: 
come Maria d’Egitto il fiume passa 
senza burchiello, bestia o tabarro; 90 
similemente Eliseo trapassa 
Giordan col mantel suo, ch’allor era, 
al modo veronese, grosso massa. 
Per dar da bere a tutta l’oste intera, 
di Iosafat, orò e, al prego, loro 95 
apparir fece una bella rivera. 
Oh, cieco quel ch’è si vago de l’oro, 
che mente al suo signor, come Giezi, 
che tolse da Naaman robe e tesoro! 
Io non ti conto apertamente qui 100 
come Eliseo resuscitò un morto 
col santo prego, che Dio di lui udí. 
Io non ti conto, poi che li fu scorto 
quel pargoletto, a cui die’ luce e lume, 
quanto ai parenti fu grazia e conforto; 105 
né sí come Isaia nascose il fiume”. 

CAPITOLO XIV 
“Apresso di Ochozias il regno tenne 
Athalia, Ioas e Amasia, 
Ozias poi e Ioathan ne venne. 
In questo tempo ti dico che pria 
lo numer de le Olimpiadi si disse: 5 
Ifito Prassonide a’ Greci il cria. 
Achaz signore dopo costor visse, 
poi Ezechias, che ne l’amor di Dio 
per sua vertute parve che fiorisse. 
Al prego suo, de’ nemici morio 10 
cento quaranta milia dico e piú, 
dove Senacharibo si fuggio. 
Lo qual fuggito, odi che ne fu: 
dentro a un tempio li dienno la morte 
i suoi figliuoi, come s’uccide un bu’. 15 
Tanto fu dolce il priego e ’l pianto forte 
ch’a Dio fe’ Ezechias, che quindici anni 
gli allungò il tempo e tenne regno e corte. 
O tu che regni, o cieco, a che t’inganni, 
se da Dio non ricevi quel che hai? 
Ché nudo ci venisti e senza panni. 
Pensa s’è degno che sentisse guai 
Senacharib ingrato, che non volse 
il ben ch’ebbe da Dio conoscer mai. 
E pensa se fu giusto se gli dolse 25 
d’Ezechia, sí che la vita gli accrebbe, 
che ’l cuor giammai da lui pregar non tolse. 
Ma poi che ’l tempo aggiunto finito ebbe, 
rimase il regno a Manasses, lo quale, 
piú che lodar, biasmare si potrebbe. 30 
Amon seguio e, se li prese male 
del suo mal fare, assai li stette bene: 
da’ servi suoi prese il colpo mortale. 
Iosias qui ricordare si convene, 
lo qual fu giusto e di santa vita, 35 
tanto che d’Ezechia mi risovene. 
E secondo ch’io truovo e che s’addita, 
Olda d’Ain, una femina, allora 
era come profeta al mondo udita. 
Ioachaz dopo costui dimora; 40 
ma signor poco visse e ciò fu degno, 
perché fu reo e poco Dio onora. 
Seguio Ioachim, che tenne il regno, 
e Ieconia, apresso di costui, 
solo tre mesi, e non piú, re disegno. 45 
Sedechias fu che venne dopo lui, 
lo quale Ieremia in pregion mise, 
per dire il ver, non per mal fare altrui. 
In quel tempo Ierusalem conquise 
Nabuchodonosor e il regno tutto, 50 
lo qual partio come volse e divise. 
Sedechias prese e con pianto e con lutto 
gli occhi li trasse e poi lo ’mpregiona 
con molti piú e in Caldea fu condutto. 
Qui la trasmigrazion di Babilona, 55 
qui venne meno il regno de’ Giudei 
e qui Ierusalem sí s’abbandona. 
Eran passati, come saper dèi, 
da Roboam in fin a questo punto 
quattrocento anni diciesette e sei. 60 
E cosí sono, abbreviando, giunto 
del regno d’Israel a quel di Giuda, 
come udisti fin qui di punto in punto. 
Ma ora segue che qui si conchiuda 
d’alcun profeta, a ciò che la lor fama 65 
in questa parte non rimanga nuda. 
Con gli occhi tristi e con la mente grama 
si compiangea Ieremia, lamentando 
che ’l fior vedea del male in su la rama. 
Baruch fe’ sacrificio a Dio, orando 70 
per Nabuchodonosor e per lo figlio, 
secondo il suo volere e il suo comando. 
Iddio allumò gli occhi e ’nfiammò il ciglio 
a Ezechiel e mostrogli la gloria 
sopra Chobar appien del suo consiglio. 75 
E se deggio seguir la dritta storia, 
come spianò Daniele dir bisogna 
lo sogno al re, che non l’avea in memoria; 
e l’altro poi che de l’albero sogna 
e de le bestie, che ’ntorno vedea: 80 
ch’assai fu bel, ben che qui non si spogna; 
e come disse la sventura rea 
a Baltasar, che di sé scriver vide 
ch’alcuno interpretar non gliel sapea. 
Sempre la ’nvidia dolorosa uccide 85 
l’uom, c’ha vertú, con bugiadre cagioni, 
benché talor da sé l’alma divide. 
Gettato fu Daniele tra i leoni 
per molta invidia; ma ne la fin scampa 
e quei, che ve ’l gettâr, provâr gli unghioni. 90 
Oh quanto è bestia l’uomo, in cui s’avampa 
lo vizio di lussuria, e quanto è giusto 
se, offendendo altrui, offeso inciampa! 
Due s’accordâr, l’uno e l’altro vetusto, 
di sentenziare a la morte Susanna, 95 
che negò loro il suo leggiadro busto, 
quando spirato fu dal sommo Osanna 
Daniele sí, ch’al popol mostrò chiaro: 
ond’ella scampa e i due giudici danna. 
Non parve a Iona, credo, tanto amaro 100 
l’esser gettato in mar, quanto vedersi 
nel corpo del gran pesce far riparo. 
Lettor, ben vo’ che noti questi versi: 
Iona, che al voler di Dio fuggia, 
si vide in luoghi sí scuri e diversi. 105 
In questo tempo vivea Azaria, 
Sidrach, Misach e Abdenago, dico, 
Osea, Ioel, Misael, Anania. 
Abacuch in codesto tempo antico, 
da l’angelo portato, il cibo porta 110 
a Daniel, di Dio fedele amico, 
e tra’ leon, morto ’l drago, il conforta”. 


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Ultimo Aggiornamento:
14/07/2005 23.44