De Bibliotheca
La biblioteca di Babele
CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA


Il Dittamondo
di: Fazio degli Uberti 

LIBRO QUARTO 

Capitoli XIV - XXVII


CAPITOLO XIV 
Due son le Germanie, l’alta e la bassa: 
l’alta di sopra al Frioli si stende 
per Chiarentana e ’l Tirallo oltrapassa; 
la bassa lungo il Ren tutta s’intende. 
Molto sono i paesi grandi e ricchi; 5 
molto in tornei e in giostre vi si spende. 
Passati di Buemmia in Ostericchi, 
dissi a Solino: “Io ti prego, per Dio, 
che quanto puoi piú tosto te ne spicchi”. 
“Perché?”, rispuose. “È il paese sí rio?” 10 
“No, anzi è buon: ma Ridolfo e Alberto 
me ’l fan cosí spiacer dentro al cuor mio: 
ché l’uno e l’altro ti dico per certo 
ebbe lo ’mperio in mano e ciascun fue 
tal, ch’ogni suo ne rimase diserto”. 15 
Usciti di Vienna sol noi due, 
prese la strada per veder Soapia, 
per lo molto valor che giá vi fue. 
Poi dimandai se di quella prosapia 
alcun possente e vertudioso v’era: 20 
ma non trovai chi bene il ver ne sapia. 
Di lá partiti, passammo in Bavera, 
onde fu il buon Namo e questa schiatta 
la piú gentil, che sia di lá, s’avera. 
Molto mi parve quella gente tratta 25 
d’amare e portar fede al suo signore, 
ne l’arme accorta e tutta bene adatta. 
Cosí cercando noi dentro e di fore, 
per Norimberg e Monaco sentia 
gittar sospiri e menar gran dolore: 30 
per ch’io mi volsi a la mia compagnia 
e dissi: “Ciò non è senza cagione”. 
Ed ello: “Tu, che l’intendi, ne spia”. 
Ond’io, udita la sua intenzione, 
cosí mi trassi accortamente presso, 35 
dov’era gente con poco sermone. 
* * * 
Isa passati, prendemmo la strada 
in vèr Messena, ch’è un buon paese 
e propio ch’assai v’han metalli e biada. 
Da Messena cittá il nome prese; 40 
l’Albia la bagna, che l’adorna assai: 
la gente v’è buona, bella e cortese. 
Veduti quelli, in Sansogna passai 
e tanto questa contrada mi piacque, 
che niuna di lá miglior trovai. 45 
De’ Greci questa gente udio che nacque; 
Atrodan, l’Albia, Solan e Visera 
con Linia vi passai e piú altre acque. 
Lá vidi pietre di questa maniera: 
c’hanno l’odore sí soave e buono, 50 
quanto fan le viole in primavera. 
Genti fortissime e fiere vi sono: 
e ciò provaro al tempo de’ buon Otti, 
i quai tra gli altri imperador ragiono. 
Le cittá, le castella e i lor ridotti 55 
cercato, mossi in vèr Franconia i passi, 
per que’ piú dritti e sicuri condotti. 
Bello è il paese e pien di gente fassi; 
Maganza è quivi, dove par che ’l Reno 
e ’l fiume Meno da lato le passi. 
Noi trovammo Toringia per quel seno, 
che vuol dir gente come torre dura: 
duri sono ai nemici e senza freno. 
Forte è la terra e l’aire sana e pura, 
chiusa da monti e di metalli piena, 65 
con ricchi armenti e con bella pianura. 
A Vestfalia ora la via ci mena: 
questa provincia è forte per li monti 
e ’l Reno e la Visera la ’ncatena. 
Piú altri fiumi vi sono con be’ ponti, 70 
sí come Lipia, Rura, e sonvi ancora 
per li lor boschi dilettevol fonti. 
Molto è la gente, che quivi dimora, 
accorta in arme e i cavalier si destri, 
ch’assai per loro il paese s’onora. 75 
Gran copia v’hanno d’animai campestri, 
forti cittadi e nobili castelli 
e frutti assai dimestichi e silvestri. 
Cosí cercando lungo il Ren per quelli 
paesi, a Trieves fui e fui in Cologna, 80 
dove sono i tre magi in ricchi avelli. 
Orsola v’è, che con quanto bisogna 
di fede a Cristo, con le vergin sue 
sostenne morte e non temeo rampogna. 
La terra è ricca e sí ben posta fue, 85 
che de l’altre, che sono a essa intorno, 
donna mi parve, e qui non dico piue. 
Pur tra’ German, come il Ren drizza il corno 
in verso il mar, trovammo piú contadi, 
li quai trapasso, ché a essi non torno. 90 
Io vidi molti fiumi senza guadi 
e’n fra gli altri piú nobile è la Mosa, 
che bagna di Brabanza le contradi. 
Questa è gente fiera e bellicosa 
contro a’ nemici e in fra lor si vede 95 
benigna assai, pacifica e pietosa. 
Per quel cammin, che piú dritto procede, 
passammo in Lottoringia e questa gente 
l’ultima de’ German quasi si crede. 
Da Lottario re, che anticamente 100 
ne fu signore, il paese si noma: 
di lá si dice e ’l nome me ’l consente. 
Li maggior fiumi, che ’l paese doma, 
è Mosa con Mosella e que’ passai; 105 
poi fui a Mes, ch’è di lá una Roma. 
E quivi alquanto con Solin posai. 

CAPITOLO XV 
Posati alquanto, prendemmo la via 
pur lungo il Ren, dove trovammo Olanda, 
ch’è terra ferma e par ch’isola sia: 
però che ’l mar la gira e inghirlanda 
dico da le due parti e cosí il Reno 5 
la chiude e serra ancor da l’altra banda. 
Molto è il paese ubertoso e pieno 
di belli armenti, di stagni e di laghi 
e da lavoro, in parte, buon terreno. 
Gli abitator son pacifici e vaghi 10 
viver del loro e non rubare altrui; 
ma, a qual li sforza o ’nganna, mostran draghi. 
In fra l’altre cittá, a le qua’ fui, 
Utrech mi piacque, ma stettivi poco, 
come piacque a Solin, ch’era con lui. 15 
“Vienne, mi disse, e troviamo altro loco”. 
Indi mi trasse in un altro paese 
sopra il mar lungo e per larghezza poco. 
E, poi che l’occhio mio chiaro comprese 
la gente grande e l’abitato loro, 20 
nuovo pensier ne la mente s’accese. 
E dissi a la mia guida: “Son costoro 
i Frisoni, ai quai Cesare, bis vinti, 
l’abito diede col qual fan dimoro?” 
Rispuose: “Sí e pognam che sian cinti 
e tonduti e vestiti a questo modo, 
fieri ne l’armi sono e poco infinti. 
L’abito c’hanno se ’l tengono a lodo, 
quando contro a colui che vinse il tutto 
provâr due volte d’uscir del suo nodo. 30 
Gente non so, che dentro al lor ridutto 
piú amin libertá, che costor fanno, 
che per lei son disposti ad ogni lutto”. 
“Ben lo mostrâr, diss’io, e fu gran danno, 
contra il conte d’Analdo lor signore: 35 
poco è passato piú del decimo anno”. 
Cosí parlando noi, dentro e di fore 
cercammo quel paese, e, poi che noto 
mi fu a l’occhio e dipinto nel core, 
vidi che di bituminoso loto 40 
e di sterco di buoi si facean foco, 
perché di legna per tutto v’è vôto. 
Vidi gli abitator di questo loco 
come aman castitade e i loro figli 
guardano in fin che ’l tempo par loro poco. 45 
E dicon, quando con lor ne pispigli, 
ch’aver dèn l’uno e l’altro etá matura, 
se denno ingenerar chi li somigli”. 
“Qui non è cosa piú da poner cura; 
passiamo altrove, dissi a la mia scorta; 50 
fuggiam costor, ché ’l veder m’è paura”. 
Ed ello a me: “Qui due strade ci porta: 
l’una, per mare, passa in Inghilterra; 
l’altra, a sinistra, in vèr la Francia è torta. 
Qual farem noi?” “Qual piú ti piace afferra”, 55 
rispuosi; ond’el si volse verso Fiandra, 
che l’oceano in vèr ponente serra. 
Donne gentil, con voce di calandra, 
lá vidi e gran pasture e ricchi armenti 
e pecore infinite andare a mandra. 60 
E nobili cittadi e ricche genti 
vi sono, quant’io sappia in altra parte; 
onesti, belli, accorti e intendenti. 
Poi sopra tutti gli altri sanno l’arte 
che Pallas prima portò in Egitto; 65 
aspri ne l’armi e molto dati a Marte. 
Di boschi è forte quel paese afflitto: 
e però la piú parte foco fanno 
come di sopra de’ Frisoni ho ditto. 
L’Escalt e Lis, due gran fiumi, v’hanno 70 
e piú terre ch’adornan la contrada: 
Bruggia, Guanto e Doagio, ov’è ’l buon panno. 
Di qui ci mena in Picardia la strada, 
che giá Gallia Belgica fu detta; 
da Piten castro par che ’l nome scada. 75 
Dolce è il paese quanto a l’uom diletta 
e l’aire temperata, chiara e sana, 
la terra buona a ciò che vi si getta. 
Morico, Belva, Normaco e Ambiana 
vidi cittá e, tra i fiumi, piú degno 80 
l’Ana trovai, che per Fiandra si spiana. 
Passati per Bologna, dietro tegno 
a la mia guida ed entro in Normandia, 
lo qual paese ricco e buon disegno. 
Qui son bei porti, armenti e prateria, 85 
la terra di gran frutto e l’aire sana 
e per tutto abitata par che sia. 
Un fiume v’è, che lo chiaman Sequana, 
che bagna la cittá di Rotomagno, 
dove si truova d’ogni cosa strana. 90 
Qui non mi pare da darne piú lagno. 
“Troviam la Francia, mi disse Solino, 
ché quanto piú, dovendo andar, rimagno, 
e piú m’è grave e noioso il cammino”. 

CAPITOLO XVI 
“O piú che padre, o buon consiglio mio, 
l’andare è buon, diss’io; ma, se tu il sai, 
fa che contenti, andando, il mio disio. 
Questa gente normanna, onde tu vai, 
dimmi chi fu e come venne quici 5 
ed in qual tempo, secondo che l’hai”. 
Ed ello a me: “La gente, che tu dici, 
come volan li storni a schiera a schiera, 
mosson di Sizia e di quelle pendici. 
Per l’oceano e per la sua rivera, 10 
come tu sai che i pirati fanno, 
quanto potean trovar tutto lor era. 
Poi, dopo lungo tempo e grave affanno, 
passarono in Norvegia e ancora quivi 
similemente fecero gran danno. 15 
Pur cosí discendendo per que’ rivi, 
rubando la Bretagna e Germania, 
tutti si fenno, per l’acquisto, divi 
e, giunti ove or si dice Normandia, 
e presa la cittá di Rotomagno, 20 
quivi fermaron la lor signoria. 
Rollo era il signor tra loro piú magno, 
pieno di gran vertute e di valore, 
largo e cortese a ogni suo compagno. 
Carlo, in quel tempo, era imperadore, 25 
il Semplice, che udita la novella, 
credo per fuggir briga e farsi onore, 
la figliuola, che nome avea Ghisella, 
fatta amistá e compagnia con lui, 
li diede a sposa, ch’era onesta e bella. 30 
Apresso ancora confermò costui 
signor di questo gran comprendimento 
ed el si fe’ cristian con tutti i sui 
e ne gli anni di Cristo novecento 
e dodici piú prese il battesmo, 35 
di che ciascun, di qua, ne fu contento. 
Ruberto conte il tenne a cristianesmo 
e del suo nome lo nomò Ruberto, 
secondo che ciò piacque a lui medesmo. 
Due figliuoli ebbe sí fatti, per certo, 40 
che, se ’l mondo n’avesse ora di quelli, 
non sarebbe de’ buon, com’è, diserto. 
Larghi, pro’ funno, fortissimi e belli: 
Guglielmo Lunga-spada, il primo, reda, 
come sai che di qua fanno i fratelli; 45 
Riccardo, l’altro, il suo figliuol correda 
Tancredi e ’n Puglia andaro e lá fen guerra, 
acquistando cittá, castella e preda. 
In Francia poi passâr, s’alcun non erra; 
a posta del re fen guerra in Borgogna, 50 
dove molta acquistâr ricchezza e terra. 
A ciò che senza chiosa si dispogna, 
se deggio sodisfare a quel che chiedi, 
qui lungo un poco parlar mi bisogna. 
Morto Riccardo, rimase Tancredi 55 
con dodici figliuoi, che ciascun fue 
forte e fiero quanto un leon vedi. 
E senza dubbio ben credo che tue 
ti segneresti per gran maraviglia, 
se udissi di ciascun l’opere sue. 60 
Anfredo fu di quelli e costui piglia 
guerra con Leon papa e ’l mal che fe’ 
de la sua gente ancor se ne pispiglia. 
Ben so che per altrui chiaro ne se’ 
di Ruberto Guiscardo, come prese 65 
Puglia e Cicilia e tennela per sé. 
De’ dodici fu l’uno e di lui scese 
Baiamondo e Rugger, che senza fallo 
assai ben poi governaro il paese. 
Morti costoro in poco d’intervallo, 
due Baiamondi fun, che l’un seguio 
apresso l’altro a guardar questo stallo. 
Rugger fu poi, che con gran disio 
incoronar si fe’ re di Cicilia, 
ch’assai si vide a’ suoi libero e pio. 75 
Similmente ciascun fe’ gran familia 
de’ dodici e per lor prodezza e senno 
qual conte fu e qual gran terra pilia. 
Ma nota qui che niente t’impenno 
de’ successor del buon Guglielmo primo, 80 
perché altrove udirai di quel che fenno”. 
“Quanto m’hai detto, rispuosi io, istimo 
e veggio ben, ché a punto hai risposto 
a la dimanda mia in fino a imo. 
Ma dimmi questo nome onde fu posto 85 
a questi che chiamati son Normanni, 
ch’io non l’intendo, se non m’è disposto”. 
* * * * * * 
CAPITOLO XVII 
Pur seguitando la mia cara scorta 
e ragionando, il nostro cammino 
di Normandia in Francia ci porta. 
Tra l’oceano e ’l giogo d’Apennino, 
tra Rodan, Reno e Pireno si serra 5 
la Francia tutta e cosí la confino. 
E poi che noi entrammo in quella terra, 
in vèr Parigi fu la nostra strada, 
che Nantes bagna e che la Senna afferra. 
Io vedea arsa e guasta la contrada, 10 
le larghe strade venute sentieri, 
i campi senza frutto e senza biada. 
E mentre che di ciò stava in pensieri, 
noi vedemmo un da traverso venire 
in abito e con segno di corrieri. 15 
“Dieus vous salf”, fu il primo suo dire. 
“E tu soies, fiz ie, le bien venus”, 
vago di dimandare e lui d’udire. 
Apresso disse: “En quel part alez vus”? 
“A Paris”, respondi. “E ie encore”. 20 
E ici se taist, qu’il ne dist plus. 
Cosí andammo presso che due ore; 
ma poi che ’l tempo mi parve e fu a vis, 
presi a parlare senza piú dimore. 
“Di moi, biau frere, ie voi cest païs, 25 
qui tant estre soloit biaus e noble, 
degasté tout, en feu e flame mis. 
Comant fu ce? où est l’argent e l. moble 
au roi de France, qui tant en solt avoir?
Car nus savoit conter ne dir le noble”. 30
“Amis – fist il – quant que tu dis est voir, 
car en toute crestiente n’estoit rois, 
qui tant eüst grant richece e pöoir. 
Com ales est d’ici iusque a un mois 
dir ne l· sauroie; mes de tant bien t’afi: 35 
chaucuns s’en fet le signe de la crois. 
Degasté l’ont e maumenes ensi 
par son valor Adoart d’Engleterre, 
cil de Gales e li bon quens de Arbi”. 
E ie: “Por quoi encomença la guerre?” 40 
“Por quoi?”, fist il; “car por son eritage 
demandoit Paris e toute la terre. 
Dont nostre rois le tint a grant outrage 
e por tel chose fu començé l’estrif, 
qui France a gasté e trestout son barnage. 45 
Asez en sont por le mont de chetif, 
homes e femes, jovenciaus enfans, 
e plusors mors, qui encor seroient vif. 
Bien a la guerre duré vint e sis ans 
tant fiere e fort entre ces rois ensemble, 
quant iames fu entre Cartage e Romans. 
De sous Cales chascuns sa gens asemble, 
iluec morust Jeans li rois ardis, 
cil d’Alençon e plus barons ensemble. 
Le nostre rois s’en fuï desconfis; 55 
apres s’en vint Adoart e Bretons 
trestout ardant iusque pres a Paris. 
Une autre fois semont ses barons 
li rois de France e fist son garnimens; 
por soi vengier trestout mist a bandons. 60 
Que vous diroie? moult amasse grant gens 
fort e ardie; mes tel fu son pechie, 
car vencus fu e il pris ensemens. 
Por voir te di que cil de Gales mie 
n’avoit gens a mon roi desconfire, 65 
si prope dieus ne li fust en aïe. 
Or t’ai conté en brief nostre martire: 
encor te di que ie ai pëor de pis, 
si dieus par temps ne tramest son mire”. 
“Bien ai oï trestout ce que tu dis; 70 
mes fai moi sage si li rois Adoart 
en ses victoires a grant terre conquis”. 
“Oïl, fist il; partout sont li liepart; 
en Gascogne flors de lis ni est remes, 
en Normandie, neïs entre Picart. 75 
Por grans assiege li fu rendus Cales. 
Que te diroie sus la mer de Bretagne, 
quant qui tenoit mon roi s’en est ales?” 
“Amis, fiz ie, a la roial ensagne 
messager sembles; di moi lau tu vais, 80 
si dir se puet e s’ici non remagne”. 
“Voir est, fist il, que messager me fais 
a la postoile de part le roi de France, 
por quoi en brief ce croi oïr porais”. 
A la parole qui tant outre s’avance, 85 
pensai en moi e dis entre mes dens: 
cestui a dou roi e de pes esperance. 
“Or me di, frere: i morust grant gens 
en ces batailles?”. “Quatre vint milier, 
respondi cil, e plus si com ie pens”. 90 
“Di moi: a fils qui le puisse vengier 
li rois?” “Oïl, Charles le daufin, 
respont apres, uns ieune bachelier”. 
Ensi parlant, nous guië nostre chemin 
droit a Paris, lau mon cuer avoie; 95 
e l· messager, a tout le chief enclin, 
prist congié e se mist a la voie. 

CAPITOLO XVIII 
Soli rimasi, la mia guida e io 
passammo dentro a la nobil cittade, 
dove piú dí soddisfeci al disio. 
Cercato e visto ogni sua dignitade, 
dico per certo che quante ne sono 5 
in Europia vince di bontade. 
Qui le scienze con lor dolce sono 
per tutto, le divine e le morali, 
la notte e ’l dí udir cantar si pono. 
Qui sono i bei costumi e naturali 10 
quanto ad Atenes mai, quando fu donna 
di filosofi e d’arti liberali. 
Questa dir puossi sostegno e colonna 
di ciascun che va lá e vuol far bene 
e, ne’ bisogni suoi, verace alonna. 15 
Cosí ricchezza e quanto si convene 
a la vita de l’uomo lá si trova 
e con viva giustizia si mantene. 
Veduto quivi ogni cosa nova, 
“Buono è d’altro pensar, mi disse, omai, 20 
Solin, ché ’l dimorar piú qui non giova”. 
E io a lui: “Ben di’; ma, se tu vai, 
non perder tempo, ma de’ re di Francia 
mi di’ il principio e la fine, se ’l sai”. 
Ed ello, andando: “Volgi in qua la guancia 25 
e ’l mio breve parlar, sí come il dico, 
dentro a la mente tua pensa e bilancia. 
Tu dèi sapere che in quel tempo antico 
ch’arsa fu Troia e che al mondo i Troiani 
per tutto germogliâr come ’l panico, 30 
due si partiro d’alto cuor sovrani, 
nipoti del re Priamo, e con gran gente 
piú paesi cercâr diversi e strani. 
Turco fu l’uno, pel quale al presente 
Turchia è detta e sí com’io il confesso 35 
per molti autori questo si consente. 
Francio, o vuo’ dir Priamo, l’altro apresso 
al fin d’Europa, sopra il quarto seno, 
Sicambria fece, poi che lá fu messo. 
Apresso in Germania, di sopra il Reno, 40 
Franconia nominò un gran paese: 
ben lo vedesti di ricchezza pieno. 
E tanto l’ali sue aperse e stese, 
che ’n fino qui a Parigi, ove siam ora, 
Francia per lui nominar s’intese. 45 
Bene è alcun che vuol dir che Franchi ancora 
fosson nomati da Valentiniano, 
pe’ gran servigi che li fenno allora. 
Di questo Francio o Priamo, che ti spiano, 
discese Marcomir, del qual poi nacque 50 
Ferramonte, a cui il suo rimase in mano. 
Apresso, Meroveo a’ suoi sí piacque, 
che fun contenti di chiamarlo re: 
e cosí il nome del ducato tacque. 
Del nome suo Meroveo si fe’ 55 
nova prosapia, ch’apresso seguio 
per aver lunga fama dopo sé. 
Childerico fu poi, del quale udio 
che fe’ Basino di Basina tristo, 
che Clodoveo apresso parturio. 60 
Or questo Clodoveo, nato d’acquisto, 
fu ’l primo re, che prendesse battesimo, 
di Francia, per l’amor di Gesú Cristo. 
E secondo ch’i’ udio, e ’n fra me esimo, 
cinquanta volte diece o alcun piue 65 
correano gli anni allor del cristianesimo. 
Per quattro suoi figliuoi partito fue 
il regno poi; ma questo lascio stare, 
ché troppo andrebbe il mio parlare in sue. 
Al tempo d’Eraclio imperador mi pare 70 
che Clotario di Francia tenea il regno, 
dove il primo Pipin venne a montare. 
Da nove re apresso ti disegno 
che funno in fine a Ilderico, il quale 
l’ultimo fu: e questo parve degno. 75 
Pipin Breve fu quel che prima sale, 
sí come udisti dir lá, dov’io era, 
a quell’antica che piangea il suo male. 
Venuto men lo stoppino e la cera 
e spento il lume de la prima schiatta, 80 
i Caroli montâr dove quella era. 
O mondana speranza sciocca e matta, 
ch’ognor ne’ beni temporal ti fidi, 
guarda come si gira e si baratta! 
I Merovinghi, che fun di gran gridi, 85 
qui venner meno e i Caroli montaro 
dov’eran questi e tennero i lor nidi. 
Vero è che con piú fama e con piú chiaro 
nome fu la seconda che la prima, 
imperò che lo ’mperio governaro. 90 
E se di tal prosapia scrivi in rima, 
dir puoi com’essa uscí di Germania 
e che del troian sangue si dilima. 
Anchise, Arnolfo e Pipin fun che pria 
vennero in Francia e qui, per lor sapere, 
preson del maggiordomo la balia. 
E puoi ancora, se cerchi, vedere 
come Pipino Magno e Grimoaldo 
dirieto a’ primi fun di gran podere. 
Ansoigio, che fu sicuro e baldo, 100 
e Pipin Grosso seguitâr costoro, 
tenendo ognor l’ufficio fermo e saldo. 
Grimoaldo secondo apresso loro 
tenne il governo e poi il fratello, 
che piú d’alcun de’ primi qui onoro. 105 
Ben so che ’l sai: dico Carlo Martello, 
del quale Paide fu la genitrice, 
fortissimo del corpo, grande e bello. 
Di costui nacque, per quel che si dice, 
Pipin Breve, che ingenerò da poi 110 
Carlo Magno, che fu tanto felice, 
che mai cristian miglior non fu tra noi”. 


CAPITOLO XIX 
Pur sempre andando, mi disse Solino: 
“Ben so che sai sí come Ilderico 
perdeo il regno e tolselo Pipino; 
e però lascio, ché qui non tel dico; 
ma io ti conterò, ché nol sai forsi, 5 
come Dio rende dattaro per fico. 
Giá n’eran sei de’ Caroli trascorsi, 
quando Ruberto venne maggiordomo 
con far tra quelli de’ giochi degli orsi. 
Morto Ruberto, il figliuol, ch’Ugo nomo, 10 
tenne l’ufficio e a Lodovico Balbo 
fe’ di gran mali, ma non dico como; 
dopo questo Ugo, il figliuol crudo e scialbo, 
nomato Ugo Ciapetta, ch’al suo padre 
donato avrebbe a ciascun male il calbo. 15 
Con le parole lusinghiere e ladre 
trasse a sé alcuno di quelli del regno 
e con promesse assai false e bugiadre; 
e tanto fece a ’nganno e con ingegno, 
che sopra Carlo, ch’era suo signore, 20 
trattò la morte, onde non era degno. 
O potenza di Dio, o Sommo Amore, 
che fai, u’ miri, ov’è la tua giustizia? 
Ché la terra non s’apre a tal dolore? 
Costui di notte, ove sicuro ospizia, 25 
prese lo suo signor con due suoi figli, 
li quai fe’ poi morire a gran tristizia. 
Cosí il tiranno, dopo piú consigli, 
si ridusse a le man la signoria 
e l’arme sua lassò e prese i gigli. 30 
E, poi ch’ebbe del tutto la balia, 
non pur si tenne al primo mal, ma quanti 
trovò di quelli uccise e sperse via. 
Morto costui, che fece mal cotanti, 
rimase il regno al suo figliuol Ruberto, 35 
pietoso a Dio e divoto a’ suoi santi. 
E, secondo ch’udio, dico per certo 
ch’ei fu sottile e di scienza pieno 
e ne’ fatti del mondo assai esperto. 
E poi che in tutto, al mondo, venne meno, 40 
Arrigo seguí poi, che ’l regno tenne 
e ben guidar lo seppe col suo freno. 
Apresso di costui signor ne venne 
Filippo primo, di cui ancor si disse 
ch’assai il regno ben li si convenne. 45 
Lodovico, il figliuol, dopo lui visse, 
lo qual, vivendo, il suo figliuol fe’ re, 
perché guidasse il regno, s’ei morisse. 
Oh quanto è folle qualunque pon fé 
ne le cose del mondo e che si crede 
che vadan come va il pensier fra sé! 
Il padre, che sperava e avea fede 
che rimanesse dopo lui il figliuolo, 
morto cader se ’l vide giú tra’ piede. 
E odi come e se questo fu duolo: 55 
ché, cavalcando, un porco l’attraversa, 
onde cadde e morio in un punto solo. 
Dopo tanta sventura e sí diversa, 
morio il padre e Ludovico il sesto 
reda rimase e nel regno conversa. 60 
E secondo ch’ancor m’è manifesto, 
Filippo terzo tenne dopo lui 
l’onor con vita cortese e onesto. 
Un altro Ludovico di costui 
nacque, che ’l regno governò apresso: 65 
sí forte fu, che ne fe’ dire altrui. 
Ma nota quel ch’a dir ti vegno adesso: 
costui lasciò quel Ludovico reda, 
che ’n catalogo tra’ Santi fu messo. 
Costui ebbe un fratel, che si correda 70 
del regno di Cicilia: io dico Carlo, 
che fe’ di Curradino ingiusta sceda. 
Ora, di questa schiatta, ch’io ti parlo, 
Filippo quarto apresso seguio, 
che ’l regno tenne e ben seppe guardarlo. 75 
Filippo pestifer nomare udio 
lo quinto apresso e, s’io non sono errato, 
superbo fu, malizioso e rio. 
Micidi fece assai lo scelerato 
e sua fattura fu che Bonifazio 80 
papa fu preso e poi incarcerato. 
Trenta anni tenne il regno e questo spazio; 
né in tutto quel tempo di mal fare, 
secondo il dire altrui, si vide sazio. 
Al fine, essendo in un bosco a cacciare 85 
e trovandosi a solo a sol col porco, 
morto il caval, li convenne smontare; 
e quella fiera, acerba piú d’un orco, 
li corse addosso e con la lunga sanna 
lo gittò morto a traverso del sorco. 90 
Ludovico il figliuol, cui il tosco danna, 
tenne la signoria da diece mesi: 
e ciò fu degno, s’alcun non m’inganna. 
Filippo sesto, secondo ch’io intesi, 
dopo costui il paese governa; 95 
ma poco funno i suoi fatti palesi. 
E perché il ver per te chiaro si cerna, 
morto Filippo, Carlo apresso fue, 
che da cinque anni nel reame verna. 
Costui si fu fratel degli altri due 100 
e figliuol di Filippo acerbo e crudo: 
e qui finîr tutte le rede sue. 
Venuti meno quei di questo scudo, 
Filippo di Valos seguí da poi 
e Giovanni il figliuol, del qual conchiudo 105 
che con gran guerra tiene il regno ancoi”. 

CAPITOLO XX 
Da Parigi partiti, com’io dico, 
ragionando m’andava la mia scorta 
or del tempo moderno, or de l’antico. 
E sí come persona tutta accorta, 
prese lo suo cammino in vèr Campagna, 5 
per quella via che li parea men corta. 
Marno fiume la contrada bagna; 
bello il paese e la gente v’è buona, 
cortese altrui e volentier guadagna. 
Noi fummo a Rems, del quale si ragiona 10 
c’ha questa dignitá: che ciascun re 
di Francia quivi prende la corona. 
Solin si volse, andando, e fermò il piè, 
dicendo: “Vienne piú al par con meco, 
ché l’udir men t’annoi e ’l dire a me”. 
E poi ch’io fui, come volse, seco, 
“Una gente son, disse, i Galli e i Franchi 
e galla è tanto a dir qual latte in greco. 
E perché son piú qui, ch’altrove, bianchi 
uomini e donne, per certo ti svelo 20 
dal bianco latte il nome par che branchi. 
Per le grandi Alpi e coperte di gelo, 
ch’al caldo sole temperanza dànno, 
che non gli accende, e col rigor del cielo, 
i corpi loro piú candidi stanno 25 
che in altra parte; e son robusti e duri, 
grandi e forti, e in arme onor si fanno. 
Ma perché truovi i vocaboli oscuri 
d’Orosio e di piú molti in questa parte, 
vo’ che ne noti alcun de’ me’ maturi. 30 
In Francia piú province sono sparte: 
l’una Gallia Belgica s’intende, 
che da Belgo cittá lo nome parte: 
la Fiandra tutta e Picardia comprende; 
l’altra Gallia Senonese si scrive, 35 
che qui in Campagna e ’n Borgogna discende. 
La Ludonese Gallia per le rive 
d’Alverna passa e per le sue radice, 
ben ch’ora cotal nome poco vive. 
Per le Alpi d’Italia e sue pendice 40 
anticamente Gallia Transalpina 
e Cisalpina truovi che si dice: 
però che quando venne la ruina 
in Italia di Brenno, del lor nome 
nominâr Gallia Liguria e Flamina. 45 
Piú ne son molte, che ’l dove né ’l come 
qui notar non ti voglio, perché troppo, 
a tanto dir, potrei gravar le some”. 
E io a lui: “Disciolto m’hai sí il groppo 
’n questa parte, che con gli occhi del core 50 
diritto veggio ov’io mirava zoppo”. 
Cosí andando e ragionando, fore 
uscimmo di Campagna a passo a passo 
per quel cammin che ne parea migliore. 
Noi fummo in molte parti, che qui lasso 55 
a ricordar, però che lá non vidi 
novitá degna da fermarvi il passo. 
“O luce mia, poi che per questi nidi, 
diss’io, da notar cosa non dicerno, 
fa che per altri luoghi tu mi guidi”. 60 
Per che mi trasse allora in Alverno: 
e ciò per amor d’Ugo assai m’aggrada, 
ch’andò per messo di Carlo in Inferno. 
Silvestra e montuosa è la contrada 
e abondevol di bestiame assai 65 
e in molte parti di vino e di biada. 
La piú nobil cittá, ch’io vi trovai, 
Monclaro la si noma nel paese; 
la gente é buona per tutto onde vai. 
Apresso questo, la sua strada prese 70 
per diversi sentier la scorta mia 
e in Andegavia, andando, si discese. 
Qui si confina con Equitania, 
qui trovai Andegavia, una cittade 
che ’l nome a la contrada par che dia. 75 
Quivi è la gente bella e con bontade; 
buono è il paese e, in parte, molto acquoso, 
abondevol di vino in piú contrade. 
Cosí, cercando senza alcun riposo, 
aggirammo la Francia or su or giue, 80 
per sentir ciò che v’era piú nascoso. 
Vidi in Peitieu la tomba di que’ due 
che s’amâr tanto, che si può dir certo 
che l’una Tisbe, l’altro Piram fue. 
Dolce mi fu il loro amor coverto, 
quando lo ’ntesi, e l’andare e ’l venire 
del cagnuol, ch’era tanto accorto e sperto. 
Ma poi che i sospir venni a udire 
del gran lamento e la pietosa morte 
che ciascun fece, qui non saprei dire 90 
quanto mi dolse de’ due amanti forte. 

CAPITOLO XXI 
Ben puoi veder, lettor, se miri e palpi, 
come per la Fiandra e Picardia 
e per Parigi vegno a le nostre Alpi. 
Noi trovammo Borgogna, in questa via, 
che da’ borghi, che gli Ostrogotti fenno, 5 
Borgogna par che nominata sia. 
E piú novelle udio, che non impenno, 
del valor di Gerardo e di don Chiaro 
e d’Ulivieri la prodezza e ’l senno. 
Questa contrada è forte e fummi caro 10 
di visitare il beato Antonio 
dove, presso a Vienna, fa riparo. 
Molto è il luogo divoto e idonio 
e ’l Santo riverito; e questo è giusto, 
perché, vivendo, giá vinse il demonio. 15 
Acerbo, fiero si truova e robusto 
a chi ’l dispregia e benigno e pietoso 
a qual con fede il prega e con buon gusto. 
Partiti da quel Santo grazioso, 
passai la Sona con la scorta mia; 20 
poi mi trassi in Savoia senza riposo. 
Savoia in lingua nostra salva via 
vuol dire, però che salva la strada 
de l’Alpi, tra la Francia e Lombardia. 
Sicura, forte e buona è la contrada 25 
e la gente piacevole e cortese 
e franca con la lancia e con la spada. 
La guida mia la via diritta prese 
in verso Ciamberieri e poi passai 
* la e piú fiumi del paese. 30 
Nel Delfinato, dopo questo, entrai. 
Questa contrada è molto cara e bella 
e copiosa d’ogni bene assai. 
Ricche cittá e nobili castella 
si trovan sopra il lago di Losanna, 35 
che fa salmoni onde assai sí novella. 
Tra lor cosí per cattivo si danna 
il misero Giovanni lor Delfino, 
che rifiutò l’onor di tanta manna, 
com’è in Inferno papa Celestino, 40 
con dir: “Tal era che ingenerar potea 
signor, ch’a noi sarebbe caro e fino”. 
* La ancor giá passato aveae ’l Rodano, dov’esce fuor del lago, 
e di Provenza lo cammin prendea. 45 
Rodano cerca il bel paese e vago 
tra Gallia e Nerbona e nel mar sale 
sí ruinoso e fier, che pare un drago. 
Noi trovammo un romeo, andando, il quale 
io salutai ne la nostra favella 50 
ed el rispuose a me in provenzale. 
“Amic, fis ieu, sabetz de ren novella?” 
“Oc, respon el, ara la guerra es fort 
ab lo rei d’Aragon e de Castella. 
La terra ont arsa e degasté lo port: 55 
lo papa, o sos legatz, no y vale ren, 
car nus entr’ euz y puet trobar acort”. 
“Frere, fis ieu, aquest crei veramen; 
mais tal se pens gazaingnar e jauzir 
que nau vencer porá son paubre sen”. 60 
“Ancara oï, quant fui a Vignon, dir 
que l’ rei de Fransa a iuré lo passatge, 
mais pauc lui segront a mon albir. 
Lo reis de Cipre, qu’ es mout pros e satge, 
dedins Vignon a demoré plus jors, 65 
per orde metre e fin a cest vïatge. 
Aquest que monte? car le nostre pastors, 
l’emperador, ni aucun cardenal 
per l’amor Dieu a ce profer son cors”. 
“Amic, fis ieu, monter porá gran mal, 70 
si paubremen se vuelha desveillier 
le chien qui dorm dedins son paubr’ estal”. 
E lo romeus: “Ar laissam lo pensier 
a cels de Fransa e de Cipre, car crei 
que ben a temps s’en sabront conseillier”. 75 
Poi disse: “A dieu siatz”; e mosse i piei. 
E Solin li rispuose: “Va con Dio, 
ché ben sai dir quel che tu vuoi e dèi”. 
Cosí andando, la mia guida e io 
passammo Narbo, che parte Narbona 80 
da l’Italia, secondo ch’io udio. 
Gallia bracata per qualche persona 
questa contrada ancor si noma e scrive 
e Provenza anche, in parte, vi si sona. 
Buone cittá e porti per le rive 85 
de la marina sono e ricchi fiumi; 
accortamente e bello vi si vive. 
Lo paese, la gente e lor costumi 
a Italia somiglia e per antico 
di Roma amici i truovo in piú volumi. 90 
In fra l’altre cittá, Marsilia dico 
di quel paese ch’è di maggior loda 
e con gente piú fiera al suo nimico. 
Nizza, Tolon, Fiezur per quella proda 
passai con la mia guida e fui ad Arli, 95 
che de l’antico onor par ch’ancor goda. 
Lá vidi tanti avelli, ch’a guardarli 
un miracol mi parve, e la cagione 
a pena v’è chi ’l vero ben ne parli. 
Noi fummo sopra ’l Rodano a Lione 100 
e veduto Narbona e Monpuslieri; 
poi ci traemmo in verso Vignone, 
però che quivi molto avea il pensieri. 

CAPITOLO XXII 
“Qual vuol esser Cristian perfetto a Dio, 
disse Solin, per veder belli essempli 
venga a Vignon, dove siam tu e io, 
e l’occhio al principale prima templi, 
poi a’ suoi frati digradando miri, 5 
come ciascun col ciel par che contempli. 
Qui vanno a piè con preghi e con sospiri, 
qui povertá si brama e porta in palma, 
qui con digiun s’affliggono i disiri; 
qui castitá, che santifica l’alma, 10 
qui caritade, qui speranza e fede, 
umilitá e veritá s’incalma. 
Qui tanto amor nel prossimo si vede, 
che ciascun quanto può piú si distrugge 
per farli quel che li bisogna e chiede. 15 
Ogni mondan diletto qui si fugge, 
e gola e simonia e vanagloria 
e gli altri vizi tutti s’hanno in ugge”. 
Cosí mi disse, andando, la mia gloria. 
E io a lui: “Questo è sommo bene, 20 
s’egli han la vita di Cristo in memoria: 
ché, quando miro come si convene, 
vedo veracemente che per altro 
in questo mondo l’uomo a star non vene, 
che sol per acquistar, con questo, l’altro; 25 
e in acquistarlo non ci so piú modo 
che tener dietro a Lui divoto e scaltro. 
Ma qui di quel che di’ niente ci odo: 
non so se parli al modo di Ribi, 
che per antifrasis si sciolga il nodo”. 30 
Ed ello a me: “Se tu vai e stai ibi 
dov’elli vanno e sono a concistoro, 
e gli occhi tuoi del loro pasto cibi, 
vedrai la santitá che regna in loro 
e del sesto Chimento udirai come 35 
ispese largamente il gran tesoro. 
Assai ci sono, a’ quali io non fo nome, 
che s’avessen da spender com’ebbe ello, 
che darebbon non men d’un sí bel pome”. 
Qui si taceo e io allor favello: 40 
“Ora t’intendo e credo ciò che dici, 
mirando ai modi di questo e di quello”. 
Ed elli ancor: “Figliuolo, ascolta quici 
e ciò ch’io dico, quanto puoi, rubrica, 
ché quel dir frutta c’ha vive radici. 45 
Ben so ch’a molti il mio parlar nemica; 
ma s’alcun ti si duol, rispondi: – Nota: 
non faccia l’uom, se non vuol che si dica –”. 
Veduta la milizia sacerdota, 
cui piange Roma per la sua follia 50 
e de la terra ogni parte rimota, 
di lá partimmo e prendemmo la via 
per cercar la Guascogna e la Turona, 
le quai province son d’Equitania. 
Tra Piren monte e ’l fiume di Garona 55 
e tra ’l mare oceano si racchiude 
la contrada ch’attien tutta a Guascona. 
Silvestri, montuose, fredde e nude 
in molte parti vidi le sue rive, 
e in altre assai di belle ville e drude. 60 
La gente vi trovai, che quivi vive, 
bella del corpo, aldace e feroce, 
come Isidoro, Plinio e Erodoto scrive. 
Per la copia del vino, ond’è gran voce, 
vengono i mercatanti in quella parte, 65 
che poi il portan fuor de la sua foce. 
Questa provincia truovo in molte carte 
che da Vachea Vascona si dice 
e con Tolosa ancor confina in parte. 
E cosí ricercando le sue lice, 70 
vi trovammo Bordella sopra il mare, 
dove Garona perde ogni radice. 
Di lá partimmo, apresso, per trovare 
Turonia, ch’è un bel paese e grande; 
la terra ha buona e salubrima l’a’re. 75 
Per lo paese un gran fiume si spande: 
Ligio si noma e questo si vede 
pien di navilio, spesso, da le bande. 
Una cittá ne la contrada siede: 
Turona è detta, ch’è tanto vetusta, 80 
che prima a la provincia il nome diede. 
La gente grande v’è, forte e robusta, 
in opera benigna piú che in vista 
e coi vicini temperata e giusta. 
Tutta l’Equitania si chiude e lista 85 
tra la Narbona e ’l paese di Spagna 
e tra ’l mare oceano si regista. 
“A ciò, disse Solin, che non rimagna 
terra di qua, che non ti sia scoperta, 
è buon cercar per la minor Bretagna”. 90 
Io fui in Gaunes, dove ancor s’accerta 
la morte di Dorins e la donzella 
che i levrier lassò al re de la Deserta. 
E fui ancora dove si novella 
che, combattendo, Artú Frolle conquise, 95 
acquistando i due regni e le castella. 
Poi vidi l’isoletta dove uccise 
Tristano l’Amoroldo e dove ancora 
Elias di Sansogna a morte mise. 
In Tintoil udii contare allora 
d’un’ellera, che de l’avello uscia 
lá dove ’l corpo di Tristan dimora, 
la quale abbarbicata se ne gia 
per la volta del coro, ove trovava 
quello nel quale Isotta par che sia. 105 
Per le giunture del coperchio entrava 
e dentro l’ossa tutte raccogliea 
e come viva fosse l’abbracciava: 
e ciò di novo trovato parea. 

CAPITOLO XXIII 
Ora si passa ne la gran Bretagna, 
a cui Bruto troiano il nome diede, 
quando in contro a’ giganti la guadagna. 
Albione prima nominar si crede; 
Anglia, apresso, da una donzella, 5 
ch’Angla si disse, il nome procede. 
Tanto è l’isola grande, ricca e bella, 
che vince l’altre che in Europa sono, 
come fa il sole ciascun’altra stella. 
Di molti e grandi ovili largo dono 10 
la natura v’ha fatto e piú ancora 
che sicuri da lupi star vi pono. 
De la gagata pietra ancor s’onora: 
di che Solino la natura propia 
quivi mi disse e come s’incolora. 15 
Perle vi sono ancora in larga copia; 
le genti vi son bianche e con bei volti, 
sí come neri e sozzi in Etiopia. 
Chiare fontane e caldi bagni molti 
trovammo nel paese e gran pianure 20 
e diversi animali in boschi sciolti. 
Frutte diverse e larghe pasture, 
belle castella e ricche cittadi 
adorne di palagi e d’alte mure, 
nobili fiumi e grandi, senza guadi, 25 
carne, biada, e pesce assai si trova; 
giustizia è forte per quelle contradi. 
Non la vidi, ma tanto mi fu nova 
cosa a udire, e poi sí vi s’avera, 
che di notarla, com l’udio, mi giova: 30 
che fra piú altre un’isoletta v’era, 
dove con coda la gente vi nasce 
corta, quale ha un cervo o simil fera. 
Vero è che, prima ch’escan de le fasce 
propie, le madri, senza alcun dimoro, 35 
passano altrove e fuggon quelle ambasce. 
Non vi diei fè, ma fama è tra costoro 
ch’arbor vi sono di tal maraviglia, 
che fanno uccelli: e questo è il frutto loro. 
Quaranta volte ottanta il giro piglia 40 
quindici volte cinque, senza fallo: 
e ’l giro suo è de le nostre miglia. 
Quivi si truova di ciascun metallo; 
quivi divota a Dio vidi la gente, 
forti, costanti e schifi a ciascun fallo. 45 
Maraviglia non pare, a chi pon mente, 
se prodezza, larghezza e leggiadria 
vi fun, come si dice, anticamente. 
Tamelide, Norgales, Organia, 
Listenois, Norbellanda e Strangorre 50 
volsi veder con la mia compagnia. 
Noi fummo a Londres e vidi la torre 
dove Genevra il suo onor difese, 
e ’l fiume di Tamis, che presso corre. 
E vidi il bel castel, cha forza prese 55 
con li tre scudi il franco Lancialotto 
l’anno secondo ch’a prodezza intese. 
Vidi guasto e disfatto Camelotto 
e fui lá dove l’una e l’altra nacque 
quella di Corbenic e di Scalotto. 60 
Vidi il castello dove Erec giacque 
con la sua Nida e ’l petron di Merlino, 
che per amor d’altrui veder mi piacque. 
Vidi la landa e la fonte del pino, 
lá dove il cavaliere al nero scudo 65 
con pianto e riso guardava il cammino: 
io dico quando il nano acerbo e crudo, 
dinanzi a gli occhi di messer Galvano, 
battendo il menò via con grande studo. 
Vidi la valle che acquistò Tristano, 70 
quando ’l gigante uccise a lo schermire, 
traendo di pregion qual v’era strano. 
E vidi i campi, ove fu il gran martire 
in Salibier, quando rimase il mondo 
vôto d’onor, di piacere e d’ardire. 75 
Cosí cercando quell’isola a tondo, 
vidi e udio contar piú cose e piue 
leggiadre e belle a dir, che qui nascondo. 
Io mi volsi a Solino e dissi: “Tue, 
se ti rammenti bene, a dir lasciasti 80 
del buon Guglielmo e de le rede sue”. 
Ed ello a me: “Figliuol, ben ricordasti, 
ché ’l tempo è ora; e cosí dèi far sempre: 
coglier lo frutto a tempo, ché nol guasti: 
ché ’l fare e ’l dire hanno punti e tempre 85 
che, chi prender li sa, fan così frutto, 
come ’l seme che buona terra assempre”. 
Cosí quivi rispuose al mio costrutto. 
Apresso incominciò per questa guisa, 
per disbramare il mio disio del tutto, 90 
come ’l seguente capitol divisa. 

CAPITOLO XXIV 
“A ciò che ’l mio parlar piú ti diletti, 
farò la tema mia maggiore un poco, 
venendo digradando a quel che aspetti. 
Cosí, com’hai udito, con gran foco 
ne l’arsion di Troia, e prima ancora, 
possedeano i giganti questo loco. 
Bruto, nel tempo a punto ch’io dico ora, 
con piú Troiani in quest’isola venne, 
che cacciò quelli e per signor dimora. 
La sua prosapia lungamente tenne 
lo regno poi, ma troppo avrei a dire 
s’io dovessi contar ciò che n’avenne. 
E però tu che leggi, s’hai desire 
di ciò sapere, guarda l’alta storia 
di Bruto, perché quivi il puoi udire. 
Lungamente regnaro in molta gloria; 
alfin ne fun signor que’ di Sansogna, 
secondo che per molti n’è memoria. 
Qui non ti conto il danno e la vergogna 
che l’isola in quel tempo sofferse, 
però ch’ad altro intender mi bisogna. 
Ma tanto ti vo’ dir: che strutte e sperse 
vi fun le genti e il regno partito 
in molte parti, in genti diverse. 
E Alis, ne gli anni ch’io ti addito, 
in Cantuaria prese a far suo regno: 
bel fu del corpo, cortese e ardito. 
Apresso di costui, Celin disegno, 
poi Edelberto, largo e temperato, 
cortese, franco e di nobile ingegno. 
In questo tempo, Agustin fu mandato 
qui per Ambruogio a predicar la fede, 
per le cui man costui fu battizato. 
Propio ne gli anni che ’l mio dir procede, 
quel di Scozia, d’Irlanda e Nordanibri, 35 
convertîr tutti e l’isola si crede. 
Ma perché molto son confusi i libri 
di tanti re, quanti v’erano allora, 
convien che da tal tema mi dilibri. 
Eran dal dí, che la Rosa s’infiora 40 
de la Luce del ciel, da quattrocento 
anni passati e piú sessanta ancora, 
quando Uter Pendragon con l’argomento 
del profeta Merlino signor fu 
di tutta l’isola a suo piacimento. 45 
Seguitò poi il suo figliuolo Artú, 
lo qual fu franco, largo e temperato 
quanto alcun altro nel suo tempo o piú. 
Tanto da’ suoi fu temuto e amato, 
che lungamente dopo la sua morte, 50 
che dovesse tornare fu aspettato. 
Senza reda rimase la sua corte; 
ma non che ’l regno fosse senza re, 
ché assai ve n’era d’una e d’altra sorte. 
D’un’altra schiatta ancor gran fama è, 55 
la qual fu prima e poi che Ludovico 
lo ’mperio e Francia tenesse per sé. 
Amondo fu di questi ch’io ti dico 
ed Edelfredo tenne il regno apresso, 
che del quinto Leon si fece amico. 60 
Filosofia amò quanto se stesso; 
Boezio spuose e fece alcun volume; 
buon fu per pace e fiero in arme adesso. 
Forte, clemente e con bel costume 
Adoardo seguio e, dopo lui, 65 
Atelstano, che fece a Scozia lume. 
Amondo fu di dietro da costui; 
apresso Edredo e di poi Eduino, 
che tolto li fu il regno per altrui. 
Segue un altro Adoardo, il cui destino 70 
tal fu che la noverca sua con fraude 
morir lo fece e tolsegli il domino. 
Ma non creda colui, che regna e gaude 
per uccidere altrui, che Dio nol paghe 
con simili percosse o con piú caude. 75 
Non dico piú; ma per le mortai piaghe, 
ch’Etelredo li fe’, lo regno prese: 
di che le genti funno triste e smaghe. 
Morto costui, il dominio discese 
al terzo Adoardo, nel quale si pensa 80 
che spirito profetico s’accese. 
Costui, istando realmente a mensa, 
dov’eran molti d’una e d’altra guisa, 
tenea la mente a imaginar sospensa. 
E ne lo imaginar si mosse a risa; 85 
poi, dimandato perch’ello ridea, 
a’ suoi secreti la cagion divisa: 
– Risi, però che in su quel punto vedeain Celio monte i sette dormienti, 
che’n sul sinistro ciascun si volgea –. 90 
Cercato poi del ver, funno contenti. 
Piú cose fece e disse, ch’a ridire 
a Dio son belle e divote a le genti. 
Dopo costui, che santo si può dire, 
rimase Araldo a governar lo regno; 95 
ma poco il tenne, come potrai udire, 
se pon l’orecchie a quel ch’a dir ti vegno”. 

CAPITOLO XXV 
“Come udit’hai, due figliuoli ebbe Rollo: 
Guglielmo Lunga-spada e poi Riccardo, 
del qual tu sai, com’io, sino al merollo. 
Ardito e destro quanto un leopardo 
e bel del corpo Guglielmo diviso, 5 
sollicito, che al far mai non fu tardo. 
Di gran battaglie fece; al fine ucciso 
fu dal conte di Fiandra e nel suo loco 
Riccardo suo figliuol da’ suoi fu miso. 
Dopo costui, infiammato del foco 
de lo Spirito Santo, seguí il figlio, 
che giusto visse e ben tra ’l troppo e ’l poco. 
Al padre in forma e nome l’assomiglio. 
Apresso di costui, rimase reda 
Ruberto, franco e di alto consiglio. 15 
Seguita ora ch’a dir ti proceda 
come Guglielmo, nato di Ruberto, 
del regno d’Inghilterra si correda. 
Forte e grande si vide per certo, 
largo, cortese e grazioso a Dio, 20 
maestro in guerra e di consiglio esperto. 
Di Normandia con gran gente partio 
in contro Araldo e, lui ucciso, prese 
lo regno tutto e tenne a suo disio. 
Qui cambiò signoria questo paese 25 
e sappi ch’ogni re, che poi son stati, 
che da costui il suo principio prese. 
E perché meno al tempo ch’era guati, 
dico dal dí che nacque il nostro Amore 
da mille settanta anni eran passati. 30 
Vivendo Arrigo quarto imperadore, 
piú battaglie e piú fece costui 
e di tutte acquistò pro e onore. 
Guglielmo Ruffo seguio dopo lui, 
grande e forte e bello de le membra, 35 
superbo, avaro e micidial d’altrui. 
Al padre molto del corpo rassembra; 
ma di costumi li fu piú contraro 
ch’al foco l’acqua, quando sono insembra. 
Tanto ben ebbe, che in arme fu chiaro; 40 
molte battaglie fece a solo a solo, 
che tutte al suo onor si terminaro. 
Ma se fu reo, al fin n’ebbe gran duolo: 
ché, sendo al bosco e seguitando un cervo 
ed avendo smarrito ogni suo stuolo, 45 
ferito a ’nganno fu da un suo servo 
d’una saetta e quivi cadde in terra 
la carne fredda e incordato ogni nervo. 
Arrigo primo apresso il regno afferra; 
suo fratel fu, ma il padre somiglia 50 
ch’a Dio fu buono e giusto in pace e in guerra. 
Stefano poi apresso il regno piglia 
con molta guerra; tanto di lui dico 
che franco fu e ben se ne pispiglia. 
Seguio dietro da lui un altro Arrico, 55 
lo qual, dopo la guerra in Francia fatta, 
passò il mare col primo Federico. 
Fu poi Riccardo; apresso la baratta 
grave del mar, fu preso ne la Magna, 
tornando dal Sepolcro a la sua schiatta. 60 
Costui fu morto; ma sí se ne lagna 
Giovanni suo fratel, che la vendetta 
ne fece tal, ch’ancor par che sen piagna. 
In far bei doni e in guerra si diletta 
questo Giovanni, poi che fu signore, 65 
ora cacciando e or fuggendo in fretta. 
Bello del corpo e misero del core 
Arrigo suo figliuolo venne apresso, 
del qual parlare a me pare un dolore. 
Tanto ben ne puo’ dire, e io ’l confesso, 70 
che di lui nacque il buono Adoardo, 
del cui valore al mondo è fama adesso. 
Costui è quel che non ebbe riguardo 
de gli assassin del Veglio e che li prese 
e che pagò il buffon, se fu bugiardo. 75 
Costui è quel che oltra mare offese 
Melechdaer piú volte e che acquista 
per la fede cristiana gran paese. 
Come un gigante fu del corpo e in vista, 
grande e fiero e d’animo sí forte, 80 
che per avversitá mai non s’attrista. 
Gran tempo regna e, dopo la sua morte, 
prese il quinto Adoardo la corona, 
che con l’avolo suo fu d’una sorte: 
dico, per quello ch’ancor si ragiona, 85 
che fu cattivo e di vile intelletto 
né mai consiglio volse da persona. 
Odi gran cuor: che di coprire un tetto 
di paglia, intendi, si diceva mastro 
e qui talor ponea il suo diletto. 90 
A ’nganno prese il conte di Lancastro: 
quel che ne fece qui ti lascio a dire; 
ma in fin non li lasciò villa né castro. 
Cosí di grado in grado puoi udire 
che giunto sono ad Adoardo sesto, 95 
che ora vive largo e pien d’ardire. 
Dico per tutto ’l giro è manifesto 
ch’egli è il miglior cristian, ch’uom sappia al mondo. 
Ora t’ho detto, come m’hai richiesto, 
la schiatta di Guglielmo in fine al fondo”. 100 


CAPITOLO XXVI 
Tanto mi dilettava il ragionare 
accorto e bello de la scorta mia, 
ch’andando in fretta non mi parea andare. 
Noi trovammo un fiume per la via, 
sopra il qual prese campo il re Artú 5 
con la sua grande e ricca compagnia: 
io dico quando aspra battaglia fu 
da Ariohan a quel di Leonois: 
credo che ’l sai, però non dico piú. 
Poi trovammo la fonte in Sorelois, 10 
dove fu l’altra non meno aspra e grave 
tra Danain e Guron le Cortois. 
Noi andavamo per terra e per mare 
cosí fuggendo li diletti e l’ozia, 
com li cerca colui ch’è pigro e grave. 15 
Al fin, per aver copia de la Scozia, 
passammo lá e fu breve il cammino, 
però che l’una presso a l’altra è sozia. 
Molto è il paese alpestro e pellegrino 
e la gente v’è ruvida e salvatica, 20 
aspera e fiera a ogni suo vicino: 
vero è ch’egli han mutato vezzo e pratica 
per bontá d’Adoardo, ch’è or vivo, 
che gli ha frustati piú su che la natica. 
La gente, de la qual or qui ti scrivo, 25 
e carne e pesce e latte han per vivanda: 
e di questo è il paese molto divo. 
Similemente passammo in Irlanda 
la qual fra noi è degna di fama 
per le nobili sarge che ci manda. 30 
Ibernia ora qui ci aspetta e chiama 
e, benché ’l navicar lá sia con rischio, 
la ragion fu qui vinta da la brama. 
Diversi venti con mugghi e con fischio 
soffiavan per quel mare, andando a piaggia, 35 
lo qual di scogli e di gran sassi è mischio. 
Questa gente, benché mostri selvaggia 
e, per li monti, la contrada acerba, 
non di meno ella è dolce a chi l’assaggia. 
Quivi son gran pasture e piene d’erba 40 
e la terra sí buona, che Cerera 
niente a l’arte sua mostrar si serba. 
Quivi par sempre, come in primavera, 
un’aire temperata che gli appaghi, 
con chiare fonti e con belle rivera. 45 
Quivi vid’io di piú natura laghi 
e un fra gli altri che sí mi contenta, 
ch’ancor diletto n’han gli occhi miei vaghi. 
Dico, se un legno vi ficchi, doventa 
in breve ferro quanto ne sta in terra 
e pietra ciò che l’acqua bagna e tenta. 
La parte sopra, che sol l’aire serra, 
da la natura sua non cambia verso, 
ma tal qual vi si mette se ne afferra. 
Un altro ve ne vidi assai diverso: 55 
che, qual vi pon di cornio una verghetta, 
frassin diventa quella ed e converso. 
Ancora vi trovammo un’isoletta, 
lá dove l’uomo mai morir non puote, 
ma, quando in transir sta, fuor se ne getta. 60 
E sonvi ancora caverne rimote 
dove niun corpo si corrompe mai, 
sí temperata l’aire vi percote. 
Carne e frutti diversi vi trovai, 
c’hanno per cibo, e il latte per poto, 65 
del quale senza fallo n’hanno assai. 
Cosí cercando il paese rimoto 
e dimandando, ci fu dato indizio 
d’un monister molto santo e divoto. 
Lá ci traemmo e lá fu il nostro ospizio. 70 
Poi que’ buon frati al pozzo ci menaro, 
lo qual dá fama al beato Patrizio. 
Quivi mi disse il mio consiglio caro: 
“Che farem noi? Vuo’ tu passar qua dentro, 
che d’ogni novitá cerchi esser chiaro?” 75 
“Senza il consiglio, rispuos’io, non ci entro 
di questi frati, ché troppo m’è scuro 
pensar cercar lo ’nferno in fino al centro”. 
E l’un rispuose a me: “Se netto e puro, 
costante e pien di fede non ti senti, 80 
se v’entri, del tornar non t’assicuro”. 
E io: “Se puoi, fa che mi contenti: 
fama di molti per lo mondo vola, 
che son tornati da questi tormenti”. 
Ed ello: “Di Patrizio e di Nicola 85 
è manifesto, senza dubbio alcuno, 
che scesono e tornâr per questa gola. 
De gli altri ti so dir che di cento uno, 
che porti di ciò fama, qui non passa: 
e io per certo non ne so niuno”. 90 
“Solin, diss’io, questo pensier lassa 
e non volere il tuo Signor tentare; 
tristo sarò s’alcun qui mi trapassa; 
basti a noi quel di sopra cercare”. 
“Tu dici ben”, diss’ello. E qui da’ frati 95 
preso commiato, li lasciammo stare. 
Cosí passammo monti, ville e prati 
e trovammo le genti, che vi stanno, 
piú ch’ad altro lavoro al cacciar dati. 
Perle, gagate e assai metalli v’hanno 100 
e sassagos, la cui natura è propia 
che, poste al sole, l’arco del ciel fanno. 
L’isola, per lunghezza, vi si copia 
di cento venti miglia e ’l nome ad essa 
quel d’Ibero oceano li s’appropia. 105 
Un’isoletta in questo mare è messa: 
Tanatos, ch’è nemica de’ serpenti; 
poi son l’Ebude assai lungi da essa. 
Propio alcun non voglion queste genti; 
usano latte, pesce e hanno re 110 
ch’a legge i tien con pover vestimenti. 
De le isole Arcade diece n’è 
abitate e qui fui con Solino; 
passammo poi a Tile, ch’al fin è 
dico del mondo, per questo cammino. 115 

CAPITOLO XXVII 
Ora ci chiama la terra di Spagna 
e noi lá ci volgiamo, a ciò che nulla 
notabil cosa a dir di qua rimagna. 
Per la marina salvatica e brulla 
in fino a essa fu la nostra via, 
col vento che di lá piú dritto frulla. 
Questa contrada è di gran signoria: 
sei province vi son tai, che ciascuna 
par che per sé un buon reame sia. 
L’aire, la terra, il sole e la luna 
trovai a questa gente sí benigna, 
ch’al viver lor non manca cosa alcuna. 
Di ricchi armenti gran copia v’alligna, 
d’oro, d’argento e di tutti i metalli; 
biada, frutti hanno assai, ulivi e vigna. 
Nobili fiumi corron per le valli: 
Bitis, Minius, Hiberus e Caro; 
ricche cittadi e piacevoli stalli. 
E poi che del paese fui ben chiaro, 
gli uomini vidi ne l’arme sí destri, 
arditi e franchi, ch’assai mi fu caro. 
Similmente del mare son maestri: 
ciascun come un padron vi si conduce; 
in cacce fieri, sicuri e silvestri. 
La gemma ceraunio ancora vi luce, 
di piropo colore, e Solin disse 
come la sua vertú mostra e produce. 
Noi fummo dove anticamente fisse 
Ercules le colonne, per un segno 
ch’alcun d’andar piú innanzi non ardisse. 
Non lungi qui Ulissipon disegno, 
ch’edificò Ulisse, per mostrare 
ch’egli era stato al fin di questo regno. 
Ancora l’ombra di Tingi vi pare, 
che fabbricò Anteo e dove il drago 35 
puose a la guardia del bosco nel mare. 
Di trovar novitá io era vago 
e Solin mi mostrava or quella or questa, 
cercando a suo poder di farmi appago. 
Noi fummo dove fu la gran tempesta 40 
di Medusa e tra loro si ragiona 
sí come Perseo le tagliò la testa. 
Da Ispalo fiume la Spagna a dir sona; 
vero è ch’Esperia e Iberia si scrive 
anticamente per altra persona. 45 
Confina da levante con le rive 
di Nerbona e Pireno sí la serra 
da quella parte che ’l Gallico vive; 
da l’altre due il mar gira la terra. 
E qui trovai piú re, onde ’l paese 50 
o per l’uno o per l’altro spesso ha guerra. 
Pier d’Aragona Maiolica prese 
ed uccise il cugin che n’era re 
e ’l suo figliuolo per piú tempo offese. 
Qui Giovanna di Puglia assai ben fe’, 55 
che ’l trasse di pregione e di tristizia 
con darli il regno e per sua sposa sé. 
Per visitare il Santo di Galizia, 
Sighera, Toro e Coria passai: 
questi son fiumi c’hanno acqua a dovizia. 60 
Veduta l’Azizera, assai lodai 
Alfonso di Castella che lá vinse, 
perché era forte e di soccorso assai. 
Solin di sotto a Lusitan si strinse 
a parlar meco, cosí come quello 65 
ch’a ogni mio piacer mai non s’infinse. 
“Mare, terra e cielo, mi diss’ello, 
Ataboro distingue in questa parte: 
l’occhio tel mostri, s’oscuro favello. 
In questo mare son piú isole sparte, 70 
tra le qua’ prima vedi le Casseride 
con saturnin metallo e non di Marte. 
Poi son le Fortunate, ove si peride 
ispesse volte qualunque vi pratica, 
dico per tempo secco o vuoi per veride. 75 
Qui trovai gente, che copron le natica 
di foglie di dattali che tessono insieme 
e d’una pelle e d’altra salvatica. 
Ancora in queste parti così streme 
Colubraria truovi, Ebuso miri, 80 
che di serpente alcuno mai non teme. 
E cosí puoi veder, se tu disiri, 
le Baleare per queste contrade, 
se gli occhi in vèr levante, andando, giri. 
Ma vienne, sí vedrem quelle di Gade”. 85 
E mossesi come uom che non s’infinge; 
e io apresso lui per quelle strade. 
La Spagna Portogallo serra e cinge, 
Castella con Granata, al dí d’ancoi, 
Aragona e Maiolica costringe. 90 
Apresso tutto questo, disse: “Poi 
che hai veduto Europa a passo a passo 
quanto veder ne ponno gli occhi tuoi, 
qui è solo da pensar trovare il passo 
e forte nave che di lá ci porti”. 95 
E io: “A te, che ’l sai, il cerco lasso”. 
E cosí, ricercando per quei porti, 
salimmo sopra un legno ed ello e io, 
nuovo e grande, e marinari accorti. 
E, giunti su, ci accomandammo a Dio. 100 


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Ultimo Aggiornamento:
14/07/2005 23.36