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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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SCENA QUARTA

ENRICO e DETTI

 

ENRICO.           Signora, scusi se oso ancora presentarmi a Lei ma prima di rinunziare a vederla altro, vorrei darle qualche spiegazione…

EMMA                (mitemente). S'accomodi signor Enrico. Sieda! Sono subito con Lei. (A Fortunato.) Allora siamo d'accordo. Io parlo con papà e La chiamo subito. Papà ha da uscire ma lo indurrò, ad attenderla.

FORTUNATO. Sta bene signora. (Esce.)

ENRICO.           Signora, io vorrei una parola di spiegazione. Ieri, per avermi trovato in quella posizione a questa porta Ella mi disse delle parole che profondamente mi ferirono.

EMMA                (confusa). Mi dispiace di averle detto quelle parole. Poi ho saputo ch'Ella si trovava a quel posto per attendere Umbertino.

ENRICO             (guardandola confuso e sorpreso). Grazie signora. M'è dolce ch'Ella mi rivolga una parola piú dolce ora che non avremo da rivederci piú. Ma io vorrei dividermi da Lei con piena chiarezza e sincerità. Io quella parola dolce, la prima ch'ebbi da Lei dopo ch'è morto il povero Valentino, io non la merito. Perché è vero ch'io aspettavo Umbertino ma è anche vero che avevo l'incarico di rimanere a quella porta e sorvegliare che nessuno turbasse il vecchio signore intanto che faceva l'esperienza dei risultati dell'operazione.

EMMA                (abbattuta). Oh, oh!

ENRICO.           Ha visto che neppure il suo cocchiere non mi saluta? Ha ragione. Un giorno, per compiacere il signor Guido, lo allontanai dalla cucina per pregarlo di darmi delle spiegazioni sul funzionamento della sua automobile. Intanto Guido aveva mano libera in cucina.

EMMA.               Ma questo è turpe.

ENRICO.           Questo non lo so perché io non potevo vedere la macchina e la cucina allo stesso tempo. Poi non m'importava d'altro che di conquistarmi l'amicizia del signor Guido. Le spiegazioni dovevano durare un quarto d'ora ed infatti durarono precisamente un quarto d'ora. Pensi la mia noia di farmi spiegare per lungo e per largo delle cose ch'io tanto meglio di lui conoscevo. Passato il quarto d'ora Fortunato voleva continuare le sue spiegazioni ma io lo interruppi rudemente. Forse fui troppo brusco e perciò egli s'accorse di qualche cosa, anzi… di tutto. Da allora non posso passare da quella parte del giardino perché immancabilmente mi piovono addosso proiettili di tutte le qualità: casseruole, pentole ancora calde e molto grosse. Fortunato si scusa ma ridendo forte.

EMMA.               E Lei? Lei non reagisce in nessun modo.

ENRICO.           Io non posso reagire. Come lo potrei quando è il mio compito d'essere simpatico a tutti? Come sarei simpatico a tutti se reagissi a tante insolenze. Per tranquillarmi penso qualche cosa.

EMMA.               Pensa?

ENRICO.           Oramai posso anche dirle quello che pensavo. Pensavo: Aspetta tu che mi perseguiti: Quando avrò sposata la signora Emma ti procurerò il premio che meriti. Adesso a Lei può importare poco di me e perciò è Lei che permette io sia qui trattato come un servo come una persona di poco o di nessun conto. Anzi mi pare ch'io sia qui trattato da tutti nel modo di cui Ella diede l'esempio. Ma se fossi riuscito di prendere il posto del povero Valentino, anche a Lei sarebbe importato di vedermi trattare altrimenti. Nevvero?

EMMA.               Non so. Io mai finora pensai ch'Ella potesse divenire il mio marito…

ENRICO.           Lo so.

EMMA.               Ma anche coloro che non ho da sposare non amo di vederli subalterni, servitori, inferiori. A me piacciono le persone sicure di sé e del proprio rango. Il povero Valentino era compiacente a tutti ma guai se qualcuno lo toccava nel vivo.

ENRICO.           Io l'ho visto belare per avere l'aiuto del suo infermiere.

EMMA.               Ma a tutti Lei sa sottomettersi meno al povero Valentino che non Le domandò nulla?

ENRICO.           È vero! Sbagliai! Sbaglio sempre io dacché… Oh, Lei sa da quale momento.

EMMA.               Io lo so. E questo non so perdonarle. Lei sbaglia in tutto dacché è morto il povero Valentino. Non sarebbe meglio ch'egli fosse ancora vivo?

ENRICO             (esita un istante). Certo, certo. Ed una cosa io posso assicurarle. Io giammai pensai alla morte del povero Valentino finché egli non morí. Lo giuro! Poi…

EMMA.               Non dica quello che avvenne poi. Non continui a fare degli errori. Io ricorderò sempre la Sua dichiarazione ch'Ella mai pensò alla morte di Valentino prima ch'egli morisse.

ENRICO.           E glielo confermo. Poi era difficile non pensarci.

EMMA.               Neppur questo occorreva dirlo. Ed ora senta ancora: Io intendo che le persone che mi vogliono bene si comportino dignitosamente, non facciano dei servizi che le abbassano. Voglio piú naturalezza ed anche piú dignità. Tutto il resto è sbagliato. Se Le dissero che per conquistarmi bisognava comportarsi altrimenti, sbagliarono o Le mentirono. M'intende?

ENRICO.           Una sola cosa io intendo: Che per la prima volta Ella di me si occupa. Adesso almeno vengo istruito da chi meglio può istruirmi. (Tenta di afferrarle una mano.) E l'istruzione potrebbe essere piú efficace ancora…

EMMA.               Lasci stare quello che non Le viene offerto.

ENRICO             (calorosamente). Io intendo, io intendo e certamente m'accomoderò a quello ch'Ella domanda. Scusi se per seguirla meglio mando a mente le sue istruzioni. Dunque: Del povero Valentino non bisogna piú parlare.

EMMA                (con sdegno). Già cosí ne parla troppo.

ENRICO.           Ma per l'ultima volta: Addio, povero Valentino, per me non esisti piú. In secondo luogo non debbo fare il servitore a nessuno. (Sospiro di sollievo.) Finalmente. Quello era un peso impossibile. Posso dire al signor Guido ch'io ritengo ch'egli è una canaglia?

EMMA.               Questo mi pare un'esagerazione.

ENRICO.           È vero. Mi pare che le esagerazioni sieno il mio destino dacché è morto il povero Valentino.

EMMA.               Di nuovo…

ENRICO.           Oh, mi lasci il tempo di rifarmi naturale. Io al signor Guido dirò che come suo futuro cugino ho il diritto di dargli qualche istruzione e mi permetterò di dargliela subito.

EMMA.               Intanto escludo che Lei parli ora di questa futura parentela con chicchessia.

ENRICO.           Anche questo è importante di sapere. Con Lei, in privato, però…

EMMA.               No, no, neppure. (Si commove profondamente e singhiozza). Ella a forza di bestialità m'ha obbligata di deviare del tutto dai miei propositi.

ENRICO             (commosso). Non pianga, non so vederla piangere. Aspetterò rispettoso l'anniversario della morte di… Col signor Giovanni mi sarà facile di comportarmi correttamente. Diamine! Lui sbaglia per troppa giovinezza e capirà subito. Deve abituarsi a fare all'amore un po' piú celatamente. Gli dirò: Fa pure, padre mio. Ma con discrezione.

EMMA.               Certo ne hanno fatto un mostro in natura. Lui che era l'onore della nostra famiglia.

ENRICO.           Vedrà, vedrà. Contribuirò a rieducarlo.

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.36

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