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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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SCENA QUATTORDICESIMA

GIOVANNI e RITA

 

GIOVANNI       (ritorna alla sua poltrona). Un uomo gentile ha la voce minacciosa. Cosí, per natura. Dice delle cose gentili che spaventano. Io non lo sposerei.

RITA                   (continuando il suo lavoro). Pur troppo anche la signora Emma pensa cosí. (Gridando.)

GIOVANNI       (lieto). Come sento bene. Parola per parola. S'aprono anche le orecchie. (Pausa.) E tu credi sarebbe bene ch'Emma lo sposasse?

RITA                   (sempre a voce discretamente alta). Chi non lo crederebbe? Un uomo distinto, ricco e che le vuol bene.

GIOVANNI.      Un uomo distinto? Dio sa che aspetto deve avere quand'è arrabbiato se quando vuol bene ha l'aspetto da furibondo.

RITA.                  Ma io credo sia arrabbiato.

GIOVANNI.      Perché? Con chi? E perché non lo dice.

RITA.                  Prima di tutto vuol farsi voler bene da Lei e non gli riesce.

GIOVANNI.      Perché non me lo dice. Se me lo dicesse io gli direi volentieri che gli voglio bene.

RITA.                  Il signor Guido gli vuol bene oramai e anche la signora Anna. Non gli manca di conquistare che Lei e la signora Emma.

GIOVANNI.      Gli manca il piú, insomma. Che moderi la sua voce. Poi lo vedrò volentieri se non si farà vedere troppo. (Pausa, Rita lavora.) Come si chiamava tua madre? Paula, Pauletta?

RITA.                  No, no! Giovanna.

GIOVANNI.      Anna? (Stupito.)

RITA.                  Giovanna.

GIOVANNI       (piú quieto). Ah, Giovanna! Ma quasi Anna! Pare voluto. Cerco Paula e mi dànno Anna. Ma tu sei Rita, proprio Rita?

RITA.                  Eh, sí.

GIOVANNI.      E perché non vuoi darmi un bacio? Che fa a te?

RITA.                  Non si deve, signor padrone. Io sono la fidanzata di Fortunato.

GIOVANNI.      E che fa questo? Non ti voglio mica sposare. Io vorrei darti solo un bacio. Vorrei provare che effetto mi fa. Ammettiamo che io fossi moribondo, che tu fossi al mio letto e venisse il dottore e ti dicesse: Per salvarlo dovete dargli un bacio. Che faresti tu? Se vuoi un po' di bene a me e ad Anna e a mia figlia che faresti?

RITA.                  Ma non è il caso, signor padrone. Lei non è moribondo e se lo fosse i dottori prescriverebbero tutt'altre cose che sono molto piú care, roba di farmacia.

GIOVANNI.      Io per un bacio pagherei molto di piú. Ti farei fare subito in quella casetta una camera di piú, quella che ancora ti occorre e di cui Fortunato tanto mi parlò. E pensa che ho già pagato al dottor Giannottini per una roba da niente fior di quattrini. (Pausa durante la quale Rita, imbarazzata, lavora piú forte alla maniglia.) In complesso io apparisco tuttavia vecchio, ma, ti assicuro, io ero un bel ragazzo e, se quello che spero s'avvera, sarò di nuovo non piú un ragazzo, ma un uomo forte, eretto, sicuro. Ma per raggiungere questo sarebbe oggi necessario che tu mi dia un bacio.

RITA.                  Ma io dovrei domandare il permesso a Fortunato.

GIOVANNI.      Un bacio col permesso? Mai piú! Non è un bacio cotesto. Io devo rubare, conquistare il bacio. Proprio come si fa in amore. Guarda. Io ci ho pensato lungamente a questo bacio. Vorrei rubarlo, proprio rubarlo come fanno i giovini. Tu siedi su quella poltrona, ti adagi e dormi o fingi di dormire. Io ti vengo appresso e ti do un bacio.

RITA.                  Sulla bocca?

GIOVANNI.      Non occorre, non occorre ancora. Ti bacerò sulla guancia.

RITA.                  E la stanza, la stanza nuova nella mia casetta sarà fatta?

GIOVANNI.      Darò l'ordine subito oggi acché compiano il lavoro prima che l'estate finisca.

RITA.                  Padrone! Non si potrebbe fare tutto questo senza il bacio? Voi che siete tanto buono!

GIOVANNI.      Te ne prego, non parliamo piú del contratto e della camera perché allora addio bacio. Parliamo solo del bacio. Tu siedi su quella poltrona. Vai, vai, te ne prego.

RITA                   (s'avvia alla poltrona alquanto riluttante e tenendo in mano la flanella con la quale aveva lavorato, siede sulla poltrona, chiude gli occhi e si protegge la bocca con la flanella).

GIOVANNI       (si guarda d'attorno). Mi pare benissimo tutto. (S'accosta in punta di piedi molto malsicuro a Rita e vede la flanella.) Via quella pezzuola. Quella è destinata alle maniglie. (Rita la lascia cadere a terra e mette la mano sulla bocca.) Piú naturale, te ne prego. Sdraiati come se tu fossi in un letto. Cosí! Scusa se adesso aspetto un poco per pensarci. Come si può rubare un bacio se si dovette prima prepararlo, confezionarlo. (Siede su una sedia, si copre gli occhi e pensa per qualche istante, poi s'avanza verso Rita e si china a darle un bacio sulla guancia). Oh, Pauletta!

RITA                   (lo guarda stupefatta). Lei dice?

GIOVANNI       (brusco). Stai zitta, tu. (Pensa lungamente.) Mi piacque, mi piacque molto.

RITA                   (timidamente). Posso ritornare al mio lavoro?

GIOVANNI       (brusco). Vuoi stare zitta? (Pausa ancora.) Certo se tu m'avessi amato sarebbe andato meglio.

RITA.                  Ma io sono la fidanzata di Fortunato.

GIOVANNI       (brusco). Che c'entra questo?

RITA.                  Se c'entra! (Ritorna al lavoro.)

GIOVANNI.      Lascia stare quel lavoro lí. Il bacio te l'ho già dato. Non ti domando piú niente. Non puoi restare con me?

RITA.                  Ma se viene la signora Anna? Che dirà?

GIOVANNI       (con aria d'importanza). Puoi ben immaginare che io ho preparato tutto. Anna non ritornerà che di qui a due ore.

RITA.                  Se me l'aveste detto prima avrei lavorato meno.

GIOVANNI       (siede al tavolo). Siedi, siedi qui a me da canto.

RITA.                  A patto siate buono.

GIOVANNI.      Non c'è scopo di non essere buono. Io sarò buono… sarò buono… finché tu non mi dirai di essere altrimenti.

RITA.                  Come dite?

GIOVANNI.      Lascia ch'io dica quello che voglio. Non interrompermi, non correggermi.

RITA.                  Sta bene, padrone.

GIOVANNI.      E non dirmi padrone. Non posso sentire quella parola. La dirai, la dirai ma soltanto in presenza di Anna. Per oggi dovresti dirmi: Mio… Dimmi semplicemente Giovanni.

RITA.                  Non potrei signor padrone.

GIOVANNI.      E almeno non dirmi padrone. Mi fa proprio male… come una seconda operazione… alla rovescia. Cosí si va in dietro, anzi avanti, alla rovina e alla vecchiaia. Capisci?

RITA.                  Io non capisco, pa… Io non capisco. Dovrebbe essere tanto bello di essere il padrone.

GIOVANNI.      E che vuoi farci? Lo sono stato per tanti anni, per troppi anni e ne sono stufo. (Carezzevole.) Io vorrei per oggi poter dire che tu sei la padrona. Posso dirlo? E accostarti come un paggio che aggredisce la sua contessa. Mi piacerebbe tanto.

RITA.                  Come si può pensare una cosa simile?

GIOVANNI.      Tu non lo sai, ma si può pensare tutto a questo mondo. Basta volere e si può credere che il polo nord sia andato al polo sud. Poi resta tutto come prima ma si è pensata una cosa straordinaria e perciò si diventa forti e i veri padroni di se stessi e del mondo. Intendi?

RITA.                  No.

GIOVANNI.      Ciò non importa perché io non ti parlo perché tu intenda. Io sto costruendo il mio mondo quest'è l'importante. (Poi dopo una pausa.) Guarda, là, sotto il buffet c'è una bottiglia di Marsala appena aperta. Apportamela con un bicchiere.

RITA                   (eseguendo). Ecco, padrone.

GIOVANNI       (versando). E sia cosí giacché non sai dire altrimenti. Forse mi piace anche di essere detto padrone di una bella donna come sei tu. La sottomissione di una donna è una cosa dolce. Essendo il tuo padrone si può supporre che io possa fare di te tutto quello che voglio.

RITA                   (spaventata). Oh, oh!

GIOVANNI       (spazientito). Ho detto supporre! Perché m'interrompi? Lascia che io mi mova come voglio. Che fa a te? (Poi.) Ecco, bevi.

RITA.                  Io bere?

GIOVANNI.      Fammi questo piacere. Che ti fa? Una volta si cominciava sempre col far bere le donne.

RITA.                  Ma cosí sola? E Lei?

GIOVANNI.      A me il dottore ha proibito il vino.

RITA.                  Ma io… cosí… in Sua presenza non bevo.

GIOVANNI.      E allora dà un bicchiere anche a me. Già il dottor Raulli non sa che io non sono piú suo cliente.

RITA.                  Eccolo. (Eseguisce, Giovanni versa.)

GIOVANNI.      Beviamo insieme. Uno, due, tre. Su. (Vuotano il bicchiere.) È buono. A me fa grande piacere di bere insieme a te. Prima di tutto si fa qualche cosa veramente insieme. Eppoi anche a me piace che quelli che dipendono da me abbiano le loro ore di svago.

RITA.                  Questo sí ch'è molto ben detto. Nevvero?

GIOVANNI.      Oh, come sto bene. Si capisce dal mio benessere che l'operazione è pienamente riuscita. È la prova decisiva. Quel vecchio maiale, quello che vuole domani andare a passeggio con me… Come si chiama?

RITA.                  Io non lo so.

GIOVANNI.      Il nome non ha importanza. Quel vecchio maiale diceva che una volta fatta l'operazione era importante di vedere come ci si comportava con le donne. Tante volte i vecchi maiali hanno ragione. Nella mia lunga vita io l'ho osservato. Il vecchio casto invece è piú vecchio dei vecchio maiale. Con te io sto splendidamente bene. (Stirandosi.) Gli ebrei diedero una donna al re Davide. Il quale non la volle e per questo perí miseramente. Io non sono tanto bestia. Bevi. (Le versa.)

RITA.                  Se beve con me.

GIOVANNI       (versando anche nel proprio bicchiere). Perché no? Già il dottor Raulli con me non c'entra piú. (Bevono, poi.) Ma io vorrei renderti contenta e felice. Avevi cominciato ad approvarmi e saresti mia grande amica se ti facessi tante camere. Se tu avessi un desiderio, dimmelo te ne prego. Io darei la mia vita perché su quella faccina ci sia la gioia, la vera espressione della giovinezza. La giovinezza non mi basta mai.

RITA.                  Ma finché la casa è diretta dalla signora Anna non c'è nulla da fare per me. Essa vuole l'ordine.

GIOVANNI       (inquieto e guardandosi d'attorno). Ma perché dici cosí? Anna è una buonissima donna, buona con le persone e buona persino con le bestie.

RITA.                  Specialmente con le bestie.

GIOVANNI       (ridendo di cuore). Questa mi piace: Specialmente con le bestie… con le bestie innocenti. Ma è buonissima anche con me.

RITA.                  Questo è facile. Il marito è il marito. Anche a me dice di voler bene. Cento volte al giorno mi dice: Cara Rita, fai questo, fai quello… e finisce che a forza di essere accarezzata alla sera le gambe non mi reggono.

GIOVANNI.      Ma un certo ordine in casa dev'esserci. Che cosa farei io se non trovassi le mie cose al loro posto, quando alla sera mi corico e alla mattina mi levo?

RITA.                  Per quelle poche cose, il bicchiere di latte, i vestiti e cosí via poco ci vorrebbe.

GIOVANNI.      E pensa che il latte io non lo prenderò piú. L'ho deciso or ora. Questo fa meglio. (Beve.) Maledetto quel dottor Raulli. Dev'essere vero quello che dice Guido: Quando si sa troppo di una cosa non se ne capisce piú una maledetta. Guarda quello che a quello studentucolo di mio nipote riuscí di fare per me. Eppure, in verità, io credo non sappia molto.

RITA                   (commossa). È molto bravo quel signor Guido.

GIOVANNI.      Molto, molto bravo. E dimmi: Volendo farti piacere e d'altronde tenere in ordine questa casa, che cosa si dovrebbe fare?

RITA.                  Siamo in tre che serviamo e visto che vorremmo lavorare la metà di quello che si lavora ora, bisognerebbe prenderne altre tre. E ancora una che tenesse in ordine le nostre stanze perché avendo da lavorare per gli altri non sappiamo lavorare per noi. È tutto sudicio in quelle stanze.

GIOVANNI       (imbarazzatissimo intanto beve, poi). E bisognerebbe dar da mangiare a tutte queste donne?

RITA.                  Eh, già. Forse nella cucina si potrebbe fare una piccola differenza fra noi e loro.

GIOVANNI.      Davvero credo non si possa fare tanto. Pensa che costerebbe piú che l'operazione… all'ora, dico. Ne farò il conto. Aspetta. (Prende dalla tasca il libriccino e la matita eppoi inforca gli occhiali. Indi si pente e rimette tutto a posto.) Ma lasciamo stare. Non ho tempo ora di far conti. Eppoi che c'entrano ora qui la cuoca e la serva? Non mi pare ch'è questo il momento di proclamare uno sciopero generale. Parliamo di te. Non si potrebbe - quando io diverrò giovine sul serio e saprò saltare e sottopormi a degli sforzi - organizzare le cose in modo ch'io stesso t'aiuti nel tuo lavoro? Senza che Anna se ne avveda? Non costerebbe nulla e per me sarebbe un grande svago.

RITA                   (ridendo). Sarebbe un bel lavoro cotesto.

GIOVANNI.      Ridi perché non sai. Ma i dotti sono meglio informati di te. Io troverò il modo di farti parlare una volta col dottor Giannottini. L'operazione è d'esito sicuro. Soltanto che quel vecchio maiale… come si chiama?, ha detto che l'esito deve vedersi dal contegno con le donne. Perciò occorrono le donne! Devi intendere: Non si tratta piú di un vizio, di una cosa abbominevole e abbominata, ma di una giusta, legittima… santa difesa della propria salute e della propria giovinezza. Io altrimenti non accetterei di dedicarmivi perché io sono e sono stato sempre un uomo casto. In quanto a te, se collabori… (Versa del vino nel proprio e nel bicchiere di Rita e beve.) Come dicevo? Ah, sí! Se collabori a tale opera igienica ne avrai sicuramente il premio. Lo avrai da me, dapprima, che farò per te quante camere vorrai e poi anche lassú. Certo anche lassú! Mi pare che tutte le religioni prescrivano di onorare, aiutare e proteggere i vecchi. E si è vecchi anche quando si è ringiovaniti… voglio dire che si ha tuttavia il diritto a rispetto e protezione… sí, perché gli anni che si hanno, quelli restano tuttavia al loro posto. Non si possono cancellare.

RITA.                  Aiutare? E che cosa ne dirà Fortunato?

GIOVANNI       (malsicuro e seccato). Fortunato? A lui certamente è difficile di spiegare tante cose. Eppoi anche se comprendesse… non si lascerebbe convincere. Oh, io ricordo tutto. I maschi pensano all'onore. Sono egoisti. Neppure per aiutarmi in una cosa tanto importante, in questa semplice cura egli s'accontenterebbe. (Imperioso.) Io direi di non dire nulla a Fortunato. Che diritto ha lui di saperne qualche cosa? Non sono io il padrone suo e il padrone tuo?

RITA                   (maliziosa). Io trovo che tutti dovrebbero essere avvisati. Anche la padrona, la signora Anna.

GIOVANNI       (pensieroso). Anna? Eh, già! (Poi.) Ma io penso che se è una buona moglie ne sarebbe contentissima. (Poi.) Ma pur credo sia meglio di non dirgliene nulla. Aspetta che ci pensi. (Beve.) Mi pare che il marsala chiarisca le idee. Aspetta. (Poi.) Lui, lei! Dio mio quali complicazioni per fare una cura. (Poi.) Sai, non pensiamoci piú. Io non dico nulla ad Anna e tu non dici nulla a Fortunato. Cosí siamo pari e patta.

RITA                   (ridendo di cuore anch'essa presa un poco dal vino). Bravo, bravo il vecchietto. Come sa regolare tutto.

GIOVANNI       (seccato). Vecchietto? Già, vecchietto è già piú giovane di vecchione. Ma non dirmi cosí. Mi dispiace, mi turba, m'impedisce. (Poi.) Si capisce che in quindici giorni l'operazione non poté ancora avere tutto il suo effetto. Io vorrei solo vedere se ci sono avviato. Senti! Vorresti sedere sulle mie ginocchia?

RITA.                  No, no! (Infastidita.)

GIOVANNI.      Mi piace che tu non subito abbia accettato. Te ne prego, siedi sulle mie ginocchia. Guarda! Non ti toccherò, non ti bacerò. Ma accetta di sedere sulle mie ginocchia. Guarda come ti prego. È il tuo padrone che prega.

RITA.                  Ebbene! Se vi fa tanto piacere. Visto che l'operazione non ebbe finora successo, si può.

GIOVANNI.      Non dire cosí, te ne prego. M'impedisci. Siedi, siedi, adagiati. E adesso dovrei vedere la vita farsi bella, grande, lucente. (Dopo un'esitazione.) Ahi! Ahi! Mi fai male. Alzati, te ne prego. Mi muore la gamba.

RITA                   (si leva ridendo). Ma io non volevo. Foste voi a volerlo. (E mentre Giovanni si frega la gambe.) State meglio?

GIOVANNI.      Sí, sí! Devi aver poggiato su una vena. (Si alza e cammina zoppicando.) Va meglio, va meglio. S'era addormentata la gamba. Adesso sento come un'inondazione di formicole. Curioso.

RITA                   (versa il vino nei bicchieri, allegrissima). Padrone un bicchiere vi farà bene. Amore e vino.

GIOVANNI       (bevendo pensieroso). Ecco il vino. Ma l'amore? Aspetta. Siederemo su questo sofà. Qua! Io porrò il mio braccio intorno alla tua vita. Come se fosse un serpe, un vero serpe. Il serpe di Eva. Bella quella storia del serpe. Cosí! L'amore dev'essere comodo. (Pian pianino poggia la testa sulla spalla di Rita.) Sai cantare?

RITA.                  Perché?

GIOVANNI.      Per cantare.

RITA.                  Dovrei cantare qui nel tinello della signora?

GIOVANNI.      Se te lo permetto io. Non sono anche il padrone, io?

RITA.                  Ebbene, volete che vi canti Valencia? (A mezza voce canta "Valencia".)

GIOVANNI.      Aspetta, aspetta. Non conosci qualche altra canzoncina piú espressiva, piú sentimentale? Che cosa può importare a me di quella città Valencia?

RITA.                  Che canzone volete? Io le so tutte. Un Charleston?

GIOVANNI.      Aspetta, aspetta che pensi. (Beve, poi.) Conosci quella canzone (canta) Sempre sol Morettina tu mi lasci, sempre sol, senz'amor. Io purtroppo non so cantare, non lo seppi mai per quanto mi piacesse. Ma ricordo che una volta mi trovavo con Pauletta… una certa Pauletta… che si moveva come te… ma del resto non ti somigliava… era piú docile di te… curioso… quand'ero giovine le donne erano piú docili… e anche piú belle. Devi sapere che questa canzone era cantata da tutti. Non cantavo io e non cantava Pauletta. Ma quando eravamo insieme echeggiava dalla strada e dal piano di sotto e dal piano di su. La conosci tu questa canzonetta? È la vera canzonetta dell'amore.

RITA.                  Mai sentita.

GIOVANNI       (che da qualche istante lotta col sonno). Anche in questo sei differente da Pauletta che non la cantava, ma la sapeva. Anna zufola talvolta, ma senza dolcezza e ciò è male. È meglio allora di non sapere la canzone. Tanto meglio!

RITA.                  Ed io non la so.

GIOVANNI. Brava, brava. Per cantare quella canzone bisogna sentire. Ascolta che te la spieghi. Se Morettina mi lascia io sono solo anche in mezzo a milioni di miei simili. Intendi tutto il grande senso delle poche parole? E sono senz'amore… finché non ne trovo un'altra. Come sono stanco! Mai non fui tanto stanco. Dev'essere dal pensare all'amore, dal fare… Stanchezza benefica. Come la stanchezza dopo la battaglia e anche prima della battaglia… non durante la battaglia. Cosí, accanto a te. Il sonno… che dolcezza! (S'addormenta.)

RITA                   (se ne accorge, si svincola dolcemente da lui e gli fa posare la testa sul dorso del sofà).

GIOVANNI       (mormora). Vieni, Pauletta. (Poi russa.)

RITA                   (in piedi si stira). Che vecchio asfissiante! (Si mette a riposare sulla poltrona, zufolando "Valencia". La canzone le muore poi sulle labbra perché s'addormenta anche lei.)

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.30

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