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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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SCENA SETTIMA

EMMA e DETTI

 

EMMA                (è vestita a lutto pronta per uscire con abbondanza di veli. Saluta leggermente Guido ed Enrico). Papà e Umbertino non sono ancora rientrati?

ANNA.               Non ancora.

EMMA.               Mi dà un po' di pensiero. Da qualche tempo papà è tanto distratto e assorto che temo che su queste nostre terribili strade possa toccare a lui o al bambino qualche sventura.

ANNA                (imbarazzata). Vorresti interdire al nonno quella passeggiata di ogni giorno in compagnia del nipotino, quella passeggiata ch'egli dice tanto importante per lui perché se ne sente ringiovanito?

EMMA                (subito spazientita). Io non dico questo. Ma d'altronde se queste passeggiate implicassero un pericolo per il fanciullo non si potrebbe permetterle. Bisognerà che io vi prenda parte per tutelare Umbertino. So che la mia triste compagnia toglierebbe qualunque gaiezza a quelle passeggiate e d'altronde l'ora mi è incomoda…

ENRICO.           Non potrei sostituirla io, signora? Anch'io uso di camminare al sole prima della colazione e mi sarebbe un piacere grande di passare il mio tempo con quel caro ragazzo e anche col suo nonno che io amo e venero.

EMMA.               Non vorrei disturbarla.

ENRICO.           Non è un disturbo. Glielo domando quale un favore.

EMMA.               Non sta in me di accordarglielo. Parli con papà. Io non dubito che sarà molto lieto di avere la Sua compagnia.

ENRICO.           E non potrebbe dirgli che a quell'età non si deve star soli con un fanciullo sulle nostre vie e che Lei esige ch'io li accompagni?

ANNA.               Non ci mancherebbe altro!

EMMA.               Sente? Sarebbe una bella offesa per il mio povero papa. Dovrò invece fingere ogni giorno di essere presa dal desiderio di uscire proprio a quell'ora e di approfittare della sua compagnia per fare quattro passi. Forse allora mi sopporterà e neppure con grande piacere perché egli è superbo che il fanciullo sia affidato a lui solo e a lui solo possa dirigere la parola. Quand'è con altri si capisce che Umbertino per quanto ami il nonno si diriga con maggior piacere a chi piú facilmente lo intende.

ENRICO.           E non potrei trovarmi io qui come per caso e esclamare al momento giusto: Non mi fareste il piacere di condurmi con voi? Umbertino non mi vuole male se anche non mi ama troppo.

EMMA                (esitante e seccata). Mi pare difficile.

ENRICO             (avvilito). Se non si può allora passeggerò solo come è il mio destino dacché ho perduto il mio povero amico Valentino.

EMMA.               Mio marito non usciva quasi mai con Lei.

ENRICO.           Prima di sposarsi ogni giorno.

EMMA.               Cosí che Lei perdette l'amico quando egli si sposò?

ENRICO.           Tutt'altro anzi. Quando lo rividi tanto felice a Lei da canto e mi fu permesso di passare qualche serata nella Loro intimità io ritrovai il mio antico amico intero anzi aumentato perché io volli bene a lui alla sua casa… sí… alla sua casa. Me lo creda, la sua morte fu per me una grande perdita. Quelle serate in casa sua erano motto importanti nella mia vita solitaria.

EMMA.               È che la casa andò distrutta con lui. Non c'è piú.

ENRICO.           Lo so, lo so. Non me ne lagno mica. Non vorrei farlo accanto a Lei che perdette tanto, che perdette tutto o quasi. Quell'uomo bravo buono e bello! M'è di conforto di pensare a lui e vengo spesso qui per ricordarlo meglio. Ne ho parlato finora con la signora Anna e fu un vero conforto.

ANNA.               Quest’è vero. Parla sempre del povero Valentino.

EMMA                (molto riservata). Grazie. (Poi.) Io allora, vado, mamma. Non so perché ma mi sento un poco inquieta. Quel babbo mi pare da qualche giorno addirittura trasognato. La settimana scorsa si lasciò portar via l'orologio e non se ne accorse che quando giunse a casa.

GUIDO.              Ciò non prova molto. I ladri a Trieste sono tanto evoluti che sarebbero capaci di strappare dal collo la testa piú accorta senza che il proprietario se ne accorga. Non lo fanno solo perché non saprebbero che farsene di una testa di piú. Ognuno crede che la propria basti alla bisogna.

EMMA.               Ma fu dopo il furto che il contegno del babbo non mi piacque. Mamma comperò per lui subito un altro orologio, ma egli voleva quello, proprio quello che gli era stato rubato, il ricordo di suo suocero e pareva ci tenesse addirittura rancore perché non eravamo capaci di procurarglielo.

ANNA.               Io fui invece commossa dalla venerazione per il povero babbo mio, che il suo dolore rivelava.

EMMA                (spazientita). Non era dolore soltanto; era ira, era rancore per noi che pur non avevamo alcuna colpa. Pareva che avessimo noi incaricato il ladro del furto. Ciò dimostrava in lui un'intelligenza diminuita.

GUIDO.              Eh, già. I vecchi son vecchi e rappresentano un danno per la famiglia. È quello che dico io.

EMMA.               Io non dico questo, povero babbo. Io dico solo che siamo imprudenti di affidargli il fanciullo.

ANNA.               Io, invece, trovo che lui aveva ragione di averla con noi. Piccola, piccola, ma qualche ragione ce l'aveva. Io avevo comperato un orologio buono, solido, ma che non somigliava affatto a quello ch'egli aveva smarrito, il ricordo del suo suocero. Riparai all'errore e comperai un orologio che all'altro somigliava. Ora Giovanni s'è rifatto gentile e buono com'è stato sempre ed anzi crede di aver ritrovato proprio l'orologio che gli fu rubato.

EMMA.               Ciò che proverebbe proprio la verità di quello che dico io.

ANNA.               Non capisco.

EMMA                (spazientita). Non c'è scopo di discutere una cosa simile. (Poi.) Mamma. Io vado. Sarò di ritorno fra una mezz'ora. (Saluta leggermente gli altri ed esce dalla porta di fondo.)

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.44

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