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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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SCENA QUINTA

RITA e DETTI

 

RITA.                  La signora saluta il signor Biggioni e si scusa di non poter riceverlo. Ha da scrivere una lettera eppoi dovrà subito uscire. (Esce dalla porta di fondo.)

ENRICO.           Anche ieri ha scritto una lettera. Ne scrive una al giorno. Io volevo salutarla e darle anche le lettere di suo marito ch'essa m'aveva domandato. Gliele regalavo volentieri. Se non le vuole, tanto peggio. Guardi son tutte qui quelle che ricevetti dal povero Valentino nel corso della sua vita.

ANNA                (stendendo la mano). Se vuole gliele darò io.

ENRICO             (è in procinto di consegnare le lettere eppoi si pente). Meglio gliele consegni io stesso. Ho da spiegarle qualche cosa. Questa è la sola lettera che mi scrisse dacché s'era sposato. Sí! meglio gliele consegni io. (Siede.) Fa molto caldo.

ANNA.               S'accomodi.

ENRICO             (con risoluzione improvvisa). Signora! Le ha mai detto la signora Emma ch'io vorrei sposarla?

ANNA                (stupita). Mai! Quella Emma! Mi parla continuamente di tante cose sgradevoli e di questo non mi disse mai verbo. E che cosa disse Emma di tale Sua proposta? (Curiosa e felice.)

ENRICO.           Non la sentí. Ossia dacché la sentí da altri fa in modo di non sentirmi di non vedermi. Per lei io non esisto piú. (Con tristezza.) Io so ch'essa sa della mia proposta solo per questo suo contegno. Non ebbi altre sue spiegazioni.

ANNA.               Peccato! Vuole che gliene parli io? Vuole cioè che mi prepari a parlargliene di qui a qualche tempo quando il suo dolore si sarà un po' attenuato?

ENRICO             (grato). Grazie, signora. (Poi, disperato.) Solo non capisco proprio questo, come io possa aspettare senza far nulla. Questo è il difficile. Se mi si proponesse di correre dietro al povero Valentino per tentare di raggiungerlo mi rassegnerei piú facilmente. Ma non fare nulla! Sperare e disperare! Riconosco di aver cominciato un po' troppo presto. Quando morí il povero Valentino eravamo tutti disperati… io poi… un mio amico della prima giovinezza, quasi un fratello. E per consolare Umbertino che vedendo piangere tutti piangeva disperatamente anche lui, lo presi in braccio e gli dissi: Calmati, perché se hai perduto un padre ne hai qui pronto un altro.

ANNA.               Cosí subito, subito, quando il povero Valentino giaceva ancora sul suo letto mortuario?

ENRICO             (correggendo). No! No! Si era ritornati dal funerale. Tutto era già finito.

ANNA.               Tuttavia mi pare un po' presto.

ENRICO.           Magari avessi aspettato fino ad ora ed ora non mi toccasse di aspettare piú oltre. Quattro mesi! Sembrano tanto brevi ora. Io però non avevo incaricato Umbertino di parlare e speravo anche non m'avrebbe inteso. Invece è tanto vivo quel fanciullo lí! Bisognerà pensare sul serio di regolarlo ed educarlo. Ogni volta che mi vede mi dice: Mamma non ne vuol sapere di te.

ANNA.               Le da del tu?

ENRICO.           Di questo non ha colpa lui perché l'ho voluto io. Anzi è l'unica intimità che ottenni in quella famiglia. Ed anche di questa il fanciullo approfitta per mandarmi meglio a quel paese.

ANNA                (pensierosa). Che peccato ch'Ella non si sia confidato prima in me. Avrei saputo dirigerla tanto meglio!

ENRICO.           Oh, l'avessi saputo! (Baciandole la mano.) Tanto volentieri mi sarei confidato in Lei, mamma.

ANNA                (sorridendo). Adagio, adagio! (Poi.) Che il mio intervento non arrivi troppo tardo? Io conosco Emma. Buona, buona, ma ostinata come una porta di ferro arrugginita. Non si passa se non si sa.

ENRICO.           Ma Lei sa, signora. Per tutti c'è rimedio meno per il povero Valentino che giace irrigidito laggiú a Sant'Anna. Io dissi ad Umbertino solo che m'offrivo di diventare suo padre… è però vero che la signora Emma può aver inteso per quale via io volessi arrivare a tale paternità. Si potrebbe anche asserire che Umbertino, povero innocente, m'abbia frainteso e che soltanto ora, dopo quattro mesi interi io sia arrivato all'idea di sposare la signora Emma. Che gliene pare?

ANNA.               Dato il suo stato neppure questo ad Emma sembrerebbe il momento di gradire la Sua corte.

ENRICO.           Ma almeno la mia precipitazione le sembrerà meno grande. E a Lei posso dirlo che veramente non mi si può assolutamente rimproverare una precipitazione. Son passati dieci anni dacché il povero Valentino mi presentò la sua fidanzata. Io, vedendola, non pensai nulla di male, glielo giuro. Pensai: Guarda, guarda, un altro che osa di sposarsi. Un grande coraggio: io avevo allora 28 anni e non ci avevo mai pensato ad avere un coraggio simile. Lavoravo intensamente, ogni giorno e vivevo nella gioia di veder progredire ogni giorno il mio commercio. Certo ci sono state delle donne nella mia vita ma sempre per istanti. Alla larga, era il mio motto per esse. Quelle donne di cui l'occupazione principale è di fare delle spese. Valentino invece aveva osato. Io studiai il suo amore, lo studiai troppo. M'accorsi che anche la signora Emma aveva il bisogno di fare delle spese e… non m'importò.

ANNA.               Ma lei dice delle cose impossibili. Lei dunque si sarebbe innamorato di Emma subito quando divenne la moglie di Valentino?

ENRICO.           Se Lei ha da aiutarmi, deve pur sapere tutto. Non subito, non subito, ma prima che si sposasse. Dapprima io credetti mio dovere d'impedire a Valentino il matrimonio. Non vedi com'è vana e leggera quella donna? Ti rovinerà. E quando m'accorsi ch'egli stava per sposare la donna che io avevo prescelto che insomma era la vera moglie mia, ebbi facile il compito di continuar a parlare come avevo parlato sino ad allora. Non sarebbe stato meglio di non aver da aspettare la morte di Valentino? Non vedi gli dicevo com'essa s'adorna, dalla testa ricciuta ai piedi, cioè ai piedini? Una vanerella che ti rovinerà. Poi venne il matrimonio con me testimonio. Ed è vero che quando essi si misero a fare quel figliuolo io ero già innamorato. E son dieci anni!

ANNA.               Ma io ora intendo l'atteggiamento di Emma.

ENRICO.           Io, affatto. Perché io sono sicuro ch'essa mai seppe nulla dei miei sentimenti. Tenni al fonte battesimale Umbertino e non lo lasciai cadere per terra. Essa non era civetta, ed io poi volevo sposarla, non mica sedurla. Perciò in quella casa fui sempre l'amico di Valentino e null'altro. Avrebbe dovuto però finire questa mia tortura quando Valentino elesse di morire.

ANNA.               Elesse? Poverino!

ENRICO.           Sí, poverino! Io sono dispostissimo di piangere con Lei quel mio povero grande amico. Ma è morto, ora. Non c'è rimedio che valga per lui. (Poi.) Io gli volli bene, molto bene. Naturalmente che quando in seguito alla malattia fece quella faccia rincagnata, gli occhi cisposi, la mandibola cascante come quella di un ebete, pensai subito: Come saprà sopportarlo la signora Emma? Lo sopportò. Ciò aumentò la mia ammirazione per lei e anche la mia rabbia e non impedí ch'egli mi facesse schifo.

ANNA.               Attento di non parlare cosí con Emma.

ENRICO.           Non occorre dirmelo. Un giorno per consolarla le dissi che per lui era meglio d'essere morto ed essere liberata cosí da quelle bave che gli piovevano dalla bocca. Risultò ch'essa non le aveva mai viste. Non c'erano state. Io volevo chiamare dei testimoni, ma essa si mise a piangere cosí che io giunsi fino ad ammettere di aver visto male. Essa ora pensa ch'io non sia un vero amico del povero Valentino. Ed è vero. Un amico morto non è piú un amico. Se ben ricordo ci fu una sola eccezione a tale regola. Si ricorda Lei di quei due amici abbandonati per settimane su una zattera in balia delle onde sull'Atlantico? Per fortuna uno di essi morí e l'altro se lo mangiò salvando la propria pelle. Quella è un'amicizia che può durare oltre la tomba se di tomba si può parlare.

ANNA                (rabbrividendo). Non mi dica di coteste cose. Io che non posso sentir dire che si possono mangiare gli uccelletti.

ENRICO             (stupito). Perché non si possono?

ANNA.               Lasciamo stare. Ella non m'intenderebbe. Restiamo all'argomento nostro. Dalla morte di Valentino sono trascorsi solo quattro mesi e presso tutte le persone civili il lutto deve durare almeno un anno.

ENRICO.           Si può sposarsi anche in lutto. Per la cerimonia che mi renderebbe congiunto del povero Valentino lo indosserei anch'io.

ANNA.               Vuole lasciarsi guidare da me? Può fidarsi perché è proprio vero che noi andiamo d'accordo in tutti i nostri desiderii. Non nel modo di esprimerci, questo poi no. Io ho amato quel mio povero figliuolo, Valentino, e voglio onorarne sempre la memoria. È certo però che non sono d'accordo neppure con la mia figliuola e che vorrei ch'essa sapesse adattarsi a quello ch'è irreparabile. Con quel suo grande dolore essa certo danneggia il ricordo del povero morto. Ecco che io che tanto l'amavo sono seccata di sentirmelo ricordare continuamente.

ENRICO.           È quello che dico anch'io. Non dico altro. I morti che putono non appartengono nelle case fatte per i vivi.

ANNA.               Ma non occorre neppur parlare cosí. Non si dice mai dei nostri poveri morti che puzzino.

ENRICO.           Non è mica colpa loro. È un destino e toccherà domani a me come toccò ieri a loro.

ANNA                (spazientita). Ma Lei che cosa vuole? Ama di dire certe cose o ottenere certe altre? Dio mio! Arriva ad inquietare me e si meraviglia di aver destato il ribrezzo di Emma? Vuole ascoltarmi? Vuole seguire il mio consiglio?

ENRICO.           Ma io non domando di meglio.

ANNA.               Intanto abolisca le parole. Non ce n'è di bisogno… per ora. Non nomini mai Valentino. Faccia come se non fosse esistito mai.

ENRICO.           Questo posso fare molto facilmente. Non esiste piú questo è certo.

ANNA.               Non lo nomini. A Lei basta di nominarlo per rivelare come lo odii.

ENRICO.           Questo poi non è vero. Lei mi ha frainteso, del tutto frainteso. Io fui il suo fedele amico.

ANNA                (con ribrezzo). Non dica neppure cosí e neppure quand'è solo con me perché io non so starla a sentire. (Enrico è stupito ed essa continua.) Lasci parlare me. Se Lei crede di ottenere il consenso di Emma prima che trascorra l'anno di lutto, sbaglia. Se lo cavi dalla testa.

ENRICO             (abbattuto). E questi hanno da essere i consigli di chi si dice mia amica, mia alleata. Che bisogno ho io dei Suoi consigli se questi non hanno da giovarmi ad altro che a indurmi a rassegnarmi al malanno che mi tocca?

ANNA                (stupita). Dico che bisogna aspettare solo altri otto mesi.

ENRICO.           Sarebbero pochi se non fossi esausto dall'averne aspettati già 128. Perché ho da aspettarne ora altri otto?

ANNA.               E di chi è la colpa?

ENRICO.           Io dico… (Con voce forte).

ANNA                (veemente). Taccia, taccia. Se Lei arriva a dirmi che la colpa è di Valentino che avrebbe dovuto morire prima, allora si rivolga ad altri per aiuto perché io non voglio piú parlare con Lei.

ENRICO.           Io non volevo dire questo. Sarebbe stata una constatazione del fatto senz'alcun malanimo da parte mia. Evidentemente il povero Valentino non ha alcuna colpa né di essere morto né di non essere morto prima.

ANNA.               Ma non lo dica, non lo dica cosí.

ENRICO.           Ma io non volevo dir nulla. Io volevo solo dirle ch'io m'innamorai a 28 anni, che ora ne ho 38 e varii mesi e che se aspetto il tempo che Lei dice io ne avrò 40. Ricordi anche che fra' giovini si asserisce che occorre un solo anno quando si giunse ai 40 per arrivare ai 60. Non arriverà troppo tardi il compimento del mio desiderio? E se il mio amore nel frattempo morisse, che me ne farei io quaggiú?

ANNA.               Rassegnarsi… Morí anche il povero Valentino…

ENRICO.           Vede che ne parla anche Lei per riderne?

ANNA                (protesta altamente). No! No! Lo giuro. Io ridere dei mio povero defunto figliuolo? Oh, ma Lei è una persona con la quale non si deve parlare. Cerca di ferire. Lei non vuole altro. Lei vuol fare del male. Io non merito questo. Nello stesso momento in cui tentavo di darle un aiuto…

ENRICO             (un po' spaventato). Sia sicura signora che io mai Le attribuii l'intenzione di ridere del povero Valentino. Feci male ma io credetti Ella volesse ridere della morte in genere. Sarebbe questa una cosa ch'io so Ella neppure farebbe. Insomma sbagliai… Mi perdoni.

ANNA.               Io non risi della morte. Ridere io della cosa piú orrenda che ci sia e che perciò è sacra? Dissi soltanto che se il Suo amore morirà sarà una morte di piú. Una disgrazia che tocca ad esseri piú reali di quello ch'è il Suo amore, una disgrazia che piomba sulla terra ogni giorno, tante tante volte ogni giorno.

ENRICO.           Ho avuto torto. Mi perdoni. Io - anche qui forse ho torto - rido talvolta della morte perché mi pare che a questo mondo ci sieno delle disgrazie piú forti. Lei che ha tanta compassione per i morti, ne abbia anche per me che so invidiare ai morti la loro quiete. Mi perdoni!

ANNA.               Ebbene, Le perdono. Ma ora m'ascolti: Che Lei voglia o no, non c'è altra via per Lei ora che di un grande riserbo. Tenti di far dimenticare le parole dette in un istante di leggerezza.

ENRICO             (amaramente). Di leggerezza? Quello era l'istante che poteva essere il piú importante della mia vita. Pensi che se in quell'istante il figlio del povero Valentino mi avesse accettato quale padre e la moglie sua quale marito, quello sarebbe stato l'istante in cui tutti avrebbero offerto il massimo omaggio alla memoria del povero, compianto defunto.

ANNA                (seccata). Ma lo lasci in pace e lasci che io finisca. Il riserbo non ha da equivalere ad una rinunzia. Venga di tempo in tempo in questa casa senza mai dire quale scopo ve la conduca. Venga a trovare i congiunti del Suo povero amico ma senza mai nominarlo visto che Lei non sa nominarlo come dovrebbe. E cerchi di diventare amico di tutti. Faccia qualche sforzo. Emma - per quanto non sembri - è attaccatissima a me e a mio marito. Quando saremo morti è certo che ci piangerà - poverina - come ora piange il marito. La mia amicizia Gliela dono per quanto Ella non la meriti. In quanto a mio marito è facile conquistarne l'amicizia.

ENRICO.           Facile? È invece impossibile. Se dacché vengo qui non faccio altro che fargli la corte. Di me non si accorse. Non sa neppure dire il mio nome. Passo il mio tempo a suggerirglielo.

ANNA.               Questa è un'avventura come gli tocca talvolta coi nomi con le cifre e anche coi luoghi. Sbagliò la prima volta chiamandola Baglioni. Fu corretto e da allora quando ha da dire Biggioni esita. Ma quale importanza può avere ciò?

ENRICO.           A me sembra ne abbia. Perché quando il vecchio signore esita finisce coll'avercela con me. Si fa furibondo. E ieri, per designarmi disse: Quel coso lí. Ciò non è molto gentile.

ANNA.               E che importanza può aver questo? Ella non ha mica da sposare mio marito.

ENRICO.           Ma Lei dice che per sposarmi ho bisogno del suo appoggio ed io Le racconto che tale appoggio non avrò giammai. È come col piccolo Umbertino che non accetta neppure i giocattoli che gli porto. Insomma la famiglia Sua per me si compendia in Emma che non mi vuole nel suo capo che non mi vede e in Umbertino che non solo mi vede ma m'indovina. Sto fresco io. E non ho da invidiare Valentino che di tutte sí meste cose si liberò?

ANNA.               Ma mio marito non è mica imbecillito.

ENRICO             (stupito). Eh, no! (Poi.) Non è affatto imbecillito. Può immaginare ch'io dica una cosa simile? Solo mi è difficile di conquistarmi la sua amicizia. Se già tentai. Lui lavorò fino a dieci anni or sono in tessuti ed io per conoscere l'articolo di cui dovevo parlare per destare la sua attenzione, feci un affare in tessuti, per vedere l'articolo, per saperne dire. Perdetti una quantità di denari.

ANNA                (dottrinale). È un articolo molto difficile. Bisogna conoscerlo.

ENRICO.           Ora lo conosco anch'io abbastanza per evitarlo. Tutto contento corro da lui. Avrebbe anche lui potuto dirmi quello che disse lei, darmi della bestia e vantarsi della sua abilità, lui che coi tessuti fece tanti denari. Si sarebbe divenuti amici. Poter dare dell'imbecille a qualcuno lo rende molto caro. Ma niente affatto. M'indusse a suggerirgli il mio nome che cercò di mandare a memoria. Poi mi raccontò ch'egli non aveva addosso un solo pezzo di vestiario che non fosse di lana e che cosí si sentiva bene. Abbandonai il mio affare per unirmi a lui e gli dissi che lo ringraziavo del suo consiglio e che lo avrei imitato. Parve seccato! Parve proprio rimpiangesse di avermi dato un consiglio che avrebbe potuto allungare la mia vita.

ANNA.               Ma mio marito è buono, intimamente buono e Lei non lo ha inteso. Certo! Settantaquattro anni sono molti. Non può mica essere vivace come Umbertino.

ENRICO.           Se lo fosse io non ci guadagnerei molto.

ANNA.               Ma Lei parla della nostra famiglia come se fosse composta di mostricciattoli. Abbandoni il Suo progetto e non tenti di unirsi a noi.

ENRICO.           Sto dunque per perdere l'unica amica che potevo conquistarmi?

ANNA.               No, se Lei sta un po' piú attento alla Sua lingua che taglia e abbrucia. Io ho il piú vivo desiderio di aiutarla, di guidarla. Non desidero altro. Ma non posso star a sentire certe cose. Me lo creda! A 74 anni neppure Lei sarà piú accorto di mio marito. Già adesso non vede esattamente le cose.

ENRICO.           Volevo solo dirle che quegli otto mesi…

ANNA.               Ho capito, ho capito, son troppo lunghi.

ENRICO.           No, no, son troppo corti per arrivar a conquistare l'amicizia del vecchio signore. Son molto, molto lunghi, ma non bastano.

ANNA.               E allora lasci stare.

ENRICO.           Se dipendesse da me. Doveva darmi questo consiglio dieci anni or sono. Adesso m'arriva come a quel disgraziato che si gettò dal quarto piano e nel suo volo, giunto al secondo, si sente gridare: Fermati, non vedi che fra poco ti sfracellerai? O di uno che ha già comperato dei tessuti, o di un altro come il povero Valentino che ha già pigliata la malattia…

ANNA.               Vedrà che anche gli otto mesi passeranno presto e che tuttavia basteranno. Se mio marito vuole bene a tutti. Anche a quel suo nipote ch'è molto interessante ma che gli costa tanti denari. A proposito. Io direi che Lei cerchi l'amicizia di tutti, anche di Guido.

ENRICO.           Quello lí è almeno facile. Già mi dimostra della simpatia. Fingo ad ogni tratto di sentirmi male e gli domando dei consigli.

ANNA.               Ma non bisogna fidarsi. È appena studente in medicina.

ENRICO.           Non abbia paura. Arrivò a prescrivere qualche cosa al povero Valentino?

ANNA.               No, no. Ha pochi mesi d'Università. È già qualche cosa per Lei di avere la mia amicizia e quella di Guido. Guido poi potrà servirla magnificamente. È furbo, ricco di risorse. E soprattutto abbia pazienza. Non tema di divenire troppo vecchio per il matrimonio. Guardi me e mio marito. Questi ultimi nostri anni sarebbero stati i piú felici della nostra vita se non ci fosse stata la disgrazia di questa nostra bambina cioè del suo marito. Lui attende alle sue cure ed io l'aiuto in tutte quelle pratiche. Perciò mi è molto attaccato. È vero che amerebbe io non m'occupassi tanto delle mie bestie. È una piccola nube ma senza importanza perché egli finisce col lasciarmi fare quello che voglio. E si va avanti quieti uno accanto all'altro come fummo posti 40 anni or sono allo stesso posto.

ENRICO.           Ma passarono per tutt'altre avventure… furono messi insieme per tutt'altro scopo. Io dovrò invece di qui a otto mesi mettermi accanto a mia moglie, subito per farmi curare da lei se lo vorrà, e assisterla nelle sue cure per le bestie.

ANNA.               Eh, via. Sono pochi anni soltanto ch'io mi dedico tanto alle bestie. Dacché mia figlia si sposò.

ENRICO.           Voi vecchi siete piú solidi di noi giovini. Sembra tutt'un'altra razza. Io m'aspetto la vecchiaia a ogni settimana che passa. Ho 40 anni…

ANNA.               Dieci minuti fa erano 38.

ENRICO.           E siano 38. Ma mi viene imposto, per sposarmi, non di fare la corte a mia moglie, ma intanto a tutte le persone che la circondano, padre, madre, figlio, cugino…

ANNA.               La madre è già conquistata.

ENRICO.           Grazie! E spero per sempre. Noi due abbiamo tanti punti di contatto. Anche le bestie. Io le amo tutte, meno i gatti che non posso soffrire.

ANNA.               Povera bestia! La creatura piú calunniata di questo mondo. Cercherò di convertirla anche su questo punto.

ENRICO.           Gliene sarò tanto riconoscente. (Dopo una pausa.) E quando ritorna il signor Giovanni perché io possa cominciare a fargli la corte?

ANNA                (ridendo). Sarà qui fra poco. Ma non si mova come se andasse all'assalto. Può spaventarlo. Con Giovanni bisogna usare un po' di riguardo. Lui è alquanto lento.

ENRICO.           Lo so, lo so. Ma però se con lui non procedo con un po' di vigore non si accorgerà neppure di me. Io penso intanto di attaccare su quella parete un affisso col mio nome in lettere cubitali. Quando esita faccio un solo gesto e continuo il discorso.

ANNA.               Cessi di deridere mio marito. Non è lui che non intende Lei; è Lei che non intende lui. Lui è piú fine di Lei. Lei crede di poterlo deridere senza che lui se ne accorga. Invece a quest'ora egli ha inteso la Sua antipatia e la ricambia di cuore. Oh! mio marito è stato sempre considerato e anche temuto quale una persona accorta. Se Lei si fosse tratto l'insegnamento che avrebbe dovuto da quel magnifico risultato ch'Ella ottenne con quel Suo affare nei tessuti adesso starebbe meglio con mio marito. Ricordando quello ch'egli fu in quel commercio avrebbe dovuto ammirarlo. Questo egli avrebbe sentito e le vostre relazioni sarebbero state diverse.

ENRICO.           Io non credo di avergli mai mancato di rispetto. Non può aver indovinato niente.

ANNA.               Ella non lo conosce. Parla poco, si esprime con qualche impaccio ma intende e anche indovina tutto. Oh, se indovina tutto.

ENRICO.           Avrebbe allora anche indovinato il mio desiderio di volergli bene e di conquistarmi la sua benevolenza.

 

ANNA.             Questo era quello ch'Ella voleva fargli credere, ma egli vede le cose fino in fondo. Lo so io come le indovina.

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.30

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