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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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SCENA DODICESIMA

GIOVANNI, ENRICO che lo sostiene e DETTI

 

GIOVANNI       (confuso, eccitato, le vesti in disordine, il cappello in testa fuori di posto). Lo spavento, il dolore, la fuga mi ridussero in questo stato. (Poi.) Povero il mio caro fanciullo! (Singhiozza.) E povero io stesso. Sí! Povero Chierici! Due volte dissi ad Umbertino: Tieni ferma la mia mano. E infatti lui vi si afferrò anche troppo saldamente. Io gridai: Molla, molla… Non era dalla parte giusta. Ma lui non mollò finché l'automobile non lo trasse via… per schiacciarlo. (Brivido.) E io mi salvai a malapena perché lui mi teneva e mi traeva verso l'automobile. (Enrico gli leva il cappello e cerca di rimettergli in ordine la giubba.) Ma mi lasci stare! Non vede che sono occupato?

ANNA.               Non può essere vero! Di' la verità! Non è vero.

GIOVANNI       (singhiozzando). Magari non lo fosse ma è vero, è proprio vero. Io lo vidi andare sotto a quelle ruote di ferro. (Brivido.) Mi mancava il fiato, ma pur arrivai a gridare allo chauffeur: Assassino! E lui, invece, indisturbato, se ne andò via mostrandomi la lingua. Sí! Fece anche questo.

GUIDO.              E Lei non lo fece arrestare?

GIOVANNI.      Non seppi gridare abbastanza perché mi mancò il fiato, ma pur chiamai. E credo di aver anche visto nelle vicinanze un vigile che non si mosse però. E allora io vidi che ero circondato solo da nemici e corsi via. Ero anche terrorizzato all'idea che forse mi sarebbe potuto avvenire di vedere la testa sfracellata del povero bambino. (Brivido.)

ANNA.               Ed ora, Guido, di' tu quello che dobbiamo fare.

GUIDO               (rattristato). È certo che il suo corpo esanime sarà stato portato all'ospitale. Io ora vi andrò subito.

ANNA.               No, no, tu non ci lascerai. Noi abbiamo qui bisogno di te. Io poi verrò con te all'ospitale. Voglio vederlo anch'io il mio angioletto.

GIOVANNI       (terrorizzato). Vuoi vederlo?

GUIDO.              Stia tranquillo, zio, lo vedrò prima io e vedrò se la zia potrà vederlo. Adesso purtroppo non c'è tanta premura di vedere il povero morto quanto di assistere la povera viva, Emma. (Sconfortato.) Che colpo, mio Dio! Come lo sopporterà?

GIOVANNI       (commosso). Non son morto io ch'ero là…

GUIDO.              Capisco, capisco. (Perplesso.)

ENRICO.           Volete che vada io ad avvisarla?

GIOVANNI.      Oh, le saremmo tanto grati signor…

ENRICO.           Biggioni.

GIOVANNI.      Biggioni. Emma - poverina - apprenderebbe tutto lontana da noi… (A Guido.) Che te ne pare?

GUIDO               (calorosamente). Sí, signor Biggioni, mi faccia questo piacere. Vada Lei.

ANNA.               È dalla sua sarta.

ENRICO.           In Corso. Lo so, lo so. Conosco la casa benché non ne ricordi il numero.

ANNA.               Neppure io saprei dirne il numero. (Poi.) Quale colpo! Se le mie povere gambe mi reggessero verrei anch'io con Lei. Povera la mia Emma. In pochi mesi cosí perdette il marito e il figliuolo.

ENRICO             (ansioso di partire). Corro e subito dopo, se lo volete, vado anche all'ospitale. Faccio io, tutto.

ANNA.               Stia però attento come parla con Emma. Una parola troppo precipitosa potrebbe ucciderla. (A Guido.) Non ti pare?

GUIDO               (un po' importante). Stia a sentire! Le dica dapprima che il fanciullo fu gravemente ferito. Poi aumenti, aumenti la ferita. Arrivi a dire che gli furono sfracellate le gambe e danneggiato al petto. Arrivato cosí al pericolo di vita è facile il passo alla morte.

GIOVANNI       (mormora). La ruota però io credo gli passò sulla testa. Arrivai a chiudere in tempo gli occhi per non vedere uno spettacolo… (Brivido.)

ANNA                (gridando). Oh, la testina. (Poi.) Ma non deve dirlo ad Emma.

ENRICO.           Si calmi, signora. Si prepari alla rassegnazione. Bisogna che tutti - ad onta del nostro dolore - ci prepariamo a consolare la signora Emma. Io, intanto, Le assicuro che farò quello che posso. (Le bacia la mano e corre via.)

ANNA                (stupita ripete). Quello che posso? Che cosa può quello scimunito?

GUIDO.              È tanto buono quel poverino!

ANNA.               Io non posso, io non voglio veder Emma prima che non si sia calmata. Rita, accompagnami in camera mia. Non voglio esser sola.

GIOVANNI.      Hai paura che Emma ti mangi? Dove non c'è colpa… E non c'è stata colpa. Io avvertii subito il fanciullo del pericolo. Tieni stretta la mia mano, gli dissi…

GUIDO               (sconfortato). Ed egli la tenne troppo stretta.

GIOVANNI.      Sí! Povera, piccola, soffice manina. Mi pare di tenerla ancora nella mia.

ANNA                (a Guido). Tu resti con lo zio finché non viene Emma. (A Giovanni.) Povero Giovanni! Anche tu devi aver sofferto orribilmente. (Bacia Giovanni sulla guancia.)

GIOVANNI       (commovendosi). Puoi immaginare come soffersi. Mentre venivo a casa correndo sempre pensavo: Oh, perché l'automobile non ha ucciso me invece del povero innocente? E se il fanciullo si fosse trovato dalla parte giusta ciò sarebbe avvenuto.

ANNA.               Poverino! So che avresti preferito di trovarti sotto l'automobile piuttosto che qui. Anche Emma, se è ragionevole, ne sarà convinta. Vuoi un bicchiere di vino per rianimarti?

GIOVANNI       (dopo una lieve esitazione). No, no. Il dottor Raulli tanto mi raccomandò di astenermi dall'alcool.

ANNA.               Anche Emma vorrà venire con noi all'ospitale.

GIOVANNI.      Di' a Fortunato di tener pronta l'automobile.

ANNA.               Sta bene. Io mi vestirò a lutto per uscire come il giorno della morte del povero Valentino. (Esce piangendo.) Oh, povero il nostro Umbertino. Non lo vedrò mai piú.

RITA                   (veramente disfatta dal dolore). Sí, povero padroncino. Cosí lieto e fiero e sicuro.

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.59

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