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De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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La rigenerazione

ITALO SVEVO

Commedia in 3 atti

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PERSONAGGI

 

GIOVANNI CHIERICI

ANNA, sua moglie

EMMA RICCA, loro figlia

UMBERTINO (10 anni), figlio di Emma

GUIDO CALACCI, nipote di Giovanni

ENRICO BIGGIONI

Dottor RAULLI

Signor BONCINI

RITA, cameriera

FORTUNATO, chauffeur

 

 

ATTO PRIMO

 

Stanza da pranzo nella villa di Giovanni Chierici. Grande estate. Una porta di fondo ed una a sinistra dello spettatore. A destra una finestra da cui entra un sole abbacinante. Tavola da pranzo in fondo. Vicino al proscenio tavolino da lavoro.

 

 

SCENA PRIMA

EMMA, vestita tutta di nero, lavora al tavolino su un panno anch'esso nero.

ANNA pur essa vestita di nero guarda dalla finestra. Poi RITA.

 

ANNA                (urla) Rita! Rita! Ma vieni dunque. (Si sporge per veder meglio.) Presto! Presto! Oh, la maledetta bestia! Li ha già tutti in bocca. È finita. (Va velocemente verso la porta di fondo, ma prima di arrivarci s'arresta.) Già non arrivo in tempo. (Ritorna alla finestra.) Povere bestiole! La colpa è mia, tutta mia.

RITA.                  Lei mi chiamava?

ANNA.               È da un'ora che grido e ti chiamo e tu arrivi qui con quell'aria melensa. In giardino a quest'ora c'è la pace. Sono stati divorati tutti.

RITA.                  Divorati? Chi?

ANNA                (quasi piangendo). Gli uccellini. I poveri passeri. Progredivano a vista d'occhio. Crescendo avevano riempito tutto il nido. Pareva che dal nido stesso crescessero le piume. Ed io li vedevo attraverso alla persiana. Li spiavo e non mi vedevano. Erano tanto fiduciosi a me da canto che mi pareva di trovarmi con loro nel nido caldo. Neppure la madre mi vedeva. Facevano silenzio quando noi si alzava la voce.

RITA.                  Chi toccò la persiana? Ella aveva pur detto a tutti di non chiuderla.

ANNA.               Io! Io stessa fui tanto smemorata. E non me la posso prendere con nessuno. Però quella piccola madre ebbe l'istinto sbagliato. Come poté pensarsi di fare il nido fra la persiana e il muro? Fu Giovanni ad ingannarli. Vuole che non si chiudano mai le persiane in questa stanza. Neppure di notte perché già i primi raggi del sole della mattina arrivino a questa stanza in cui egli poi soggiorna. Crede che il sole apporti la forza. Perciò gli uccellini credettero che la persiana fosse parte del muro. Tutto congiurò contro quel nido. Il sole fu troppo forte per me e pensai di approfittare dell'assenza di Giovanni per proteggermi. Corsi e nulla ricordai. Smemorata! Povere bestiole! Il nido si spezzò in due. E c'era la madre. Si fece sentire solo quando volò via. Scioccherella! Stette zitta quando mi sporsi dalla finestra e mi lasciò fare.

RITA                   (guardando dalla finestra). Ecco il gatto che se ne va leccandosi le labbra.

ANNA.               Povera bestia anche lui! È stato fatto cosí! (Pregando.) Dio mio! Uscirono dalle tue mani gli uccellini che per tanto tempo non sanno volare e anche il gatto che li insidia. Si poteva impedire tanta tragedia? Certo no! Altrimenti l'avresti fatto tu che tutto puoi. (Sporgendosi dalla finestra.) È vero, è molto contento.

RITA.                  Chi?

ANNA.               Il gatto. (Con un sospiro.) Beate voi che non amate le bestie. È un mondo scomposto cotesto.

EMMA.               Lo dici a me? (Silenziosamente si mette a piangere.)

ANNA                (imbarazzata). Scusami, ho detto una cosa che non avrei dovuto. (Va ad Emma per accarezzarla.) Perdonami.

EMMA                (interrotta dal pianto). Le bestie son sempre vive. Gli uomini, quando sono morti sono ben morti.

ANNA.               Ma gli uccellini son morti anch'essi.

EMMA.               Ma il gatto vive e ti consoli.

ANNA                (imbarazzata). Si cercano le consolazioni… si trovano. Anche tu dovresti trovarle… per noi e per tuo figlio.

EMMA                (sempre in lacrime). Non posso. Era giovine, forte. Venne il destino… e lo abbatté senza misericordia disonorandolo prima, dandogli l'aspetto di un vecchio.

ANNA.               Poverino! Noi pure quando ci pensiamo gli dedichiamo le nostre lagrime. Anche ieri Giovanni andando a letto mi disse: Guarda, noi andiamo nel nostro caldo letto e lui si trova sotto la fredda terra. Eppoi ambedue cessammo di parlare, tutto il nostro pensiero rivolto al povero defunto.

EMMA.               Io non ho bisogno di aspettare il momento di coricarmi per pensare a lui. Ci penso tutto il giorno quando brilla il sole e anche quando è fosco ma c'è l'aria e il movimento e sento che contro ogni giustizia a me è concessa la libertà di movermi che a lui è tolta.

ANNA.               Sii giusta figliuola mia. Che ragione ci sarebbe per noi di pensarci il giorno intero con te? Non equivarrebbe ciò a uno sforzo per aumentare il tuo dolore?

EMMA                (ironica). Dunque non ci pensate solo per risparmiare me?

ANNA.               Certo, non vogliamo aumentare il tuo dolore.

EMMA                (violenta). Non può essere aumentato, tanto è grande. La verità è che tu hai le pazienze, i passeri, il gatto. Papà ha le sue eterne cure, la sua dieta, dorme due volte al giorno. Non avete tempo voialtri né per me né per Valentino.

ANNA                (le manca il fiato dall'indignazione). Ma tu devi concederci di fare la nostra vita. Papà, poi, alla sua età deve saper tutelare la sua. Vorresti che muoia anche lui?

EMMA                (sempre piangendo). Io vorrei non morisse nessuno. Io anche intendo che le cose sieno cosí. È bene che papà tuteli la sua vita. Magari Valentino avrebbe saputo tutelare meglio la sua.

ANNA.               Non sarebbe servito a nulla. Anche Guido disse…

EMMA.               Che cosa vuoi ne sappia Guido?

ANNA.               Ha fatto i suoi studii. Eppoi anche il dottor Raulli.

EMMA.               Quando uno muore il dottore dice che doveva morire. Dice anzi che la vera prova che doveva morire è data dalla sua morte. Ma dove sta scritto che Valentino tanto giovine doveva morire? Morí, sí, morí. Quest’è vero ed è un'infamia.

RITA.                  Povera signora! È stata una grande disgrazia. Quand’io venni in casa era un bel giovinotto e subito dopo si fece brutto, brutto che non si poteva guardare.

EMMA                (gridando). No, brutto non fu mai.

RITA.                  Non dico brutto, ma bruttino, malato, meno bello.

ANNA.               Brutto… veramente brutto non fu mai.

EMMA.               Anzi la decadenza fisica lo fece apparire quale un angelo colpito al cuore. L'espressione di mitezza che la sua faccia aveva avuto sempre era aumentata dai segni della sua malattia.

RITA.                  Volevo dire proprio cosí io, signorina. Non so spiegarmi tanto bene.

EMMA.               Perciò dovresti stare attenta alla tua lingua. (Si leva e lascia cadere il pezzo di stoffa a cui lavorava; Rita accorre ad alzarlo ed essa dice seccamente.) Grazie. (Ad Anna.) Io lascio questo lavoro. Avevo pensato potesse distrarmi. M'addolora di piú, perché al mio dolore tenta di sottrarmi.

ANNA.               Perché la stoffa è nera.

EMMA.               Perché non è nera abbastanza. No! Neppure il lavoro m'è concesso o permesso. Anche questa stoffa consegnerò alla sarta. Andrò da lei prima di colazione. Vado a vestirmi. (Esce dalla porta a sinistra.)

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.22

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