fancyhome3.gif (5051 bytes) blushrosetit.gif (31930 bytes) fancyemail.gif (5017 bytes)

De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

fancybarT.gif (5506 bytes)

Con la penna d'oro

ITALO SVEVO

Quattro atti

fancybul.gif (2744 bytes)     fancybulsm.gif (614 bytes)    fancybul.gif (2744 bytes)    fancybulsm.gif (614 bytes)    fancybul.gif (2744 bytes)

fancybarB.gif (5659 bytes)

fancyback.gif (5562 byte)

fancynext.gif (5542 byte)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

 

SCENA SESTA

ALICE e TELVI

 

TELVI.                  Sí! Non c'è da esitare. (Poi ad Alice che gli accenna di sedere.) Io non ho da dirle nulla da parte della signora Alberta. Iersera essa disse che anelava a far la pace con Lei. Io feci come se non avessi sentito. Ma io pensai che questa pace non si farebbe.

ALICE                  (sorridendo). Come lo può sapere lei? Alberta Le raccontò tutto?

TELVI.                  Non mi disse proprio nulla. Son io che mi feci quest'idea. La vidi tanto dolce e fiera, terribilmente fiera che pensai che non era possibile di sottometterla. Io penso che Lei sia cosí. Lo penso dacché La vidi. Ed io La vidi la prima volta quand'ero ancora con mia moglie. Poi quando mia moglie fuggí, io non pensai altro che Lei e La pensai generosa e fiera. (Timidamente.) Sí! Io non pensai altro che Lei. Ho detto tutto. (Quasi contento.)

ALICE                  (stupita ed imbarazzata). Tutto? Non comprendo.

TELVI.                  Ecco! Io da un mese cammino su e giú per questa via. Guardo quella finestra… credo sia quella. Il sole manda talvolta dei raggi che non so come fanno credere a quella finestra la figura che si sogna. Io mi stropiccio gli occhi… ma non serve. Capirà che per un uomo serio come me non è mica una posizione molto gradevole quella di sentinella davanti ad una finestra E allora ricordai che veramente io potevo osare tutto perché nulla avevo da perdere, nulla, proprio nulla. Il ridicolo? Per una quantità di gente io sono già ridicolo.

ALICE                  (protesta). Oh!

TELVI.                  Grazie. Eppure Lei conobbe mia moglie.

ALICE.                 La conobbi benissimo. M'era simpaticissima. Io la consideravo quale una moglie modello…

TELVI.                  Anch'io. Questo non so perdonarle. A mezzodí mi stampò un bacio su questa guancia, proprio qui, mi brucia ancora, e alle cinque o alle cinque e pochi minuti fuggí. Poi disse ch'era impossibile di vivere con me. Lo disse anche a Lei?

ALICE.                 Eh, no. Altrimenti certo non avrei potuto considerarla quale un modello di moglie.

TELVI.                  È vero, è vero. Lei non sa dire una bugia. È questo che mi conquistò. Ma non parliamo piú di mia moglie.

ALICE.                 Senta, signor Telvi. Io credo d'intendere quello che mi vuole dire.

TELVI                   (piuttosto lieto). Grazie al cielo, lei lo ha inteso e non occorre io Le dica altro. Soltanto Le domanderei una cosa.

ALICE.                 Io vorrei dirle che mi sento onoratissima…

TELVI.                  Scusi se L'interrompo. È proprio questo che volevo domandarle. Non vorrei una pronta risposta. Anzi non vorrei una risposta… se non ha da essere quale la voglio io. Per Lei dovrebbe essere semplice di compiacermi. Fare come se io non avessi detto niente. Non è semplice? Ed invece io ho detto tutto. Cosí, solo cosí, io sarò capace di non passare ogni giorno per tante volte per via Battisti. Adesso questa finestra l'ho vista dall'altra parte… È vuota… per il momento.

ALICE                  (sorridendo). Ma perché avrei da tacere? Io avrei da dirle anche tante cose buone. Io ho ogni simpatia per lei. Io so il dolore che Le è stato dato e vi partecipo con tutta l'anima mia.

TELVI.                  E allora Le posso dare una buona nuova. Le farà piacere se Lei ha detto la verità. Io non soffro mica piú. Ossia io soffro per altre cose. Devo a Lei di non soffrire piú e devo a Lei di soffrire di nuovo. Faccia come se non avessi detto nulla… sia tanto buona. Cosí io ho detto tutto e nulla di male è avvenuto. (Sorridendo.) Siamo pratici noi uomini d'affari? È proprio per i miei affari ch'io faccio questo. Nell'ultimo tempo non sapevo attendervi piú. Prima causa mia moglie eppoi causa chi me la fece dimenticare. Ma adesso sarò piú tranquillo. Ho fatto tutto quello che dovevo fare. Pensarci ancora sarebbe da ragazzo. Il mio è un amore da uomo adulto. Penso a me stesso, ma penso anche e soprattutto all'altra. Vorrei avesse tutto. Ogni comodità, ogni piacere. Se avesse dei figli io li adotterei.

ALICE                  (imbarazzata). Non so come ringraziarla…

TELVI.                  Da ringraziare non c'è proprio nulla. Neppure da rimproverare. (Guardandola ansioso.) Nevvero? Io faccio quello che debbo e non può esserci rimprovero. Ora vediamo l'altra parte. Io voglio parlare per l'altra parte. C'è qualcuno che mi conosce che dice ch'io sono un uomo molto noioso. L'ha detto anche a Lei? (Alice assente.) Grazie per la sincerità. È vero io sono un po' noioso. Se vedo del disordine in casa non so tacere. È una cosa che si può intendere e scusare da un uomo d'affari. Nei miei affari io non abbandono nulla al caso. Prevedo quanto si può prevedere ed esigo ordine. Ma questa mia qualità finisce a vantaggio di chi mi sopporta… parlo di quella ch'è scappata, solo cosí è possibile che quando essa volle un gioiello o delle toilettes costose le ebbe sempre. È vero che poi talvolta m'arrabbiai se essa smarrí tali gioielli o se lasciava abbandonate al suolo le toilettes che tanto avevano costato. (Arrabbiato.) Al suolo e magari sotto ad una sedia. (Poi.) Io sono un uomo noioso. E ora appena so come ebbi torto. Chissà se saprei essere altrimenti? È troppo rischioso di provare, nevvero? Io proverei ma non posso mica consigliare gli altri di provare. Ognuno ha la sua vita e deve poter disporne liberamente. (Dopo una pausa.) Poi io sono noioso anche a tavola. Il medico m'ordinò di astenermi dalla carne perché altrimenti ci sarebbe la possibilità di un colpo. In una casa come la mia sarebbe stato facile di accontentarmi. Ebbene, no! E sa perché? Perché talvolta quando ho finito di mangiare quella roba insipida cui sono condannato, finisco col mangiare anche l'altra roba. che c'è sulla tavola. E allora essa disse che non c'era ragione di seccarsi per preparare la mia dieta speciale. Io m'arrabbiai. È tutt'altra cosa se mi capita il colpo per mia elezione che se mi viene per opera di chi dovrebbe starmi accanto a tutelare la mia salute. Ella dirà che un colpo è un colpo e che non c'è differenza fra un colpo e l'altro. Ma io non sono di tale avviso. Probabilmente anche qui sono ingiusto e un seccatore. In questo momento mi pare impossibile di poter seccare il prossimo per una cosa simile, ma poi viene il momento che potrebbe sembrare meno impossibile. Vede come cerco d'essere sincero? Io faccio del mio meglio per non ingannare il prossimo. È vero che negli affari faccio altrimenti e che di tutta la mia vita solo gli affari vanno bene. Non farei meglio di trattare tutta la vita come se fosse un affare?

ALICE                  (sempre imbarazzata). A me la sincerità piace. Ma…

TELVI.                  So che la sincerità le piace, ne sono sicuro. Mi lasci dirle ancora una cosa… quella questione del divorzio. Non è mica insolubile. Bisogna cambiare di nazionalità e bisogna rinunziare alla religione. La religione non costa molto. Invece, come stanno le cose, la rinunzia alla nazionalità sarà costosa. Io ci perderò molti denari e una gran parte della mia posizione. Non fa niente. Se bisogna farlo bisogna rassegnarsi. Non posso mica domandare di sposarmi senza matrimonio. Ciò può fare qualcuno che si aspetta amore, passione. Un uomo piú bello di me e meno seccante.

ALICE                  (dolcemente). Non dica di queste cose, signor Telvi. Io non le ammetto. Non ammetto che Lei sia seccante e che vi sia alcuna ragione per mancarle di rispetto o di riguardo. Non posso in alcun modo… Ma Ella mi domanda di non dirle nulla che somigli ad una risposta. Perché dirle qualche cosa? Può essere ch'Ella abbia avuto ragione di parlare come ha fatto. (Telvi ascolta ansioso.) Se ciò Le dà un po' di pace (L'ansietà di Telvi cede.) Io vorrei vederla piú lieto. Disgraziatamente non posso far nulla per aiutarla.

TELVI.                  E potrei rivederla, non spesso ma di tempo in tempo?

ALICE                  (dopo un'esitazione). Ben volentieri La rivedrò presso amici comuni.

TELVI.                  Ho paura che di amici comuni non ne abbiamo piú.

ALICE.                 È vero. Ma chissà? Alberta accenna a ricredersi. Per il momento essa s'ostina a pensare che sarebbe il mio obbligo di fare il primo passo. Ma potrebbe cambiare. Io confido ch'essa si ravvedrà e intenderà quello che ora non intende.

TELVI.                  Perciò io dovrei abituarmi di nuovo a frequentare la casa di Carlo?

ALICE                  (ridendo). Aveva cessato di farlo?

TELVI.                  Sí, a dire il vero. Non per proposito, sa. Io non uso arrogarmi dei diritti che non ho e perciò non potevo mica prendere le sue parti. Ma Carlo mi seccava. Non pareva neppure ricordarsi che in casa sua c'era stata una disputa alquanto vivace fra due donne sue congiunte. Sta bene tenere per la propria moglie che… altrimenti scappa (ridendo) ma non cosí.

ALICE.                 Mi biasimò?

TELVI.                  No, no. Non mi disse nulla. Non una parola. Per lui la cosa non è avvenuta.

ALICE.                 È sempre trasognato e non capisce niente. Io ho ecceduto un po'. Che gliene pare?

TELVI.                  Non sono di questo parere.

ALICE.                 Eh! via! Io ho ecceduto. Ma che importa? Io mi compiaccio di quell'eccesso, io ne vivo. È una grande soddisfazione: Dire proprio quello che si pensa. Un eccesso significa un atto di cui ci si pente, non quello il cui ricordo dà tanto piacere.

TELVI                   (mormora). Anch'io vivo di quell'eccesso.

ALICE                  (si ferma sorridendo). Avevamo stabilito che io non risponda a simili frasi e voglio tacere. Senta, signor Telvi. La sua visita m'onorò moltissimo. Sono anche onorata di certe sue espressioni, anche di quelle cui io non ho da rispondere. Poi mi fece piacere che anche nel mio litigio con Alberta, Ella ha inteso da quale parte sia la ragione. Ciò Le fa onore. Ciò è da gentiluomo e gliene sono molto riconoscente. Molti altri che sanno piú di Lei non hanno capito un tanto. Carlo per esempio. Ma adesso io devo uscire. Ho da fare una visita eppoi non voglio essere in casa quando viene Alberta.

TELVI.                  La signora Alberta? Qui?

ALICE.                 Sí, viene a trovare la zia. Non credo sia ancora arrivato il momento di ritrovarmi con lei. Io sono tuttavia dispostissima di dirle le stesse parole che le dissi un mese fa. E ho paura che neppure lei abbia cambiato qualche cosa nel suo modo di pensare. È meglio dunque ch'io me ne vada.

TELVI.                  Io ho da dirle due parole ancora eppoi la lascio libera. Quando noi in affari non riusciamo a combinare un affare ci separiamo dicendoci: Ad altra volta. Qui non è il caso di dire cosí. Ma abbiamo proprio da dire a mai piú? È quasi sciocco di dire a mai piú. Chi può dire come le cose finiscono? Eppoi finiscono le cose? Non c'è sempre la speranza?

ALICE.                 Talvolta non c'è. Davvero io so di molti casi in cui non c'è. Ella m'aveva domandato di non rispondere.

TELVI.                  E infatti non ha risposto. Se ha detto qualche cosa io non ho sentito. E se avesse detto qualche cosa io non ci crederei e, a costo di spiacerle, direi sempre che la speranza c'è.

ALICE                  (porgendogli la mano). E lo dica. Sarà di buon augurio anche per me.

TELVI                   (un po' alterato). Se fosse solo per lei non la direi. (Poi rassegnandosi.) Sí la direi anche per Lei, per Lei sola. (Le bacia la mano ed esce.)

 

SCENA SETTIMA

ALICE poi CLELIA e TERESINA

 

ALICE                  (dalla porta di fondo). Clelia! Può riportare di qua la zia. (Si mette il cappello dinanzi ad uno specchio.)

TERESINA          (trascinata in scena da Clelia, urla). Ma perché, perché? Io stavo tanto bene di là.

ALICE.                 Ma io non intendevo questo. Se la zia preferiva di restare di là, ne era padronissima. Suvvia! Riportatela di là.

TERESINA          (urlando a Clelia che già la trascina). Ma no! No! Adesso che sono qui lasciatemi qui.

ALICE.                 Clelia! Non sentite?

CLELIA                (confusa). Scusi, signora, non avevo sentito.

ALICE.                 Scusi, zia, se talvolta noi che Le stiamo d'intorno non intendiamo presto abbastanza quello ch'Ella domanda. Giacché Lei ha da stare in questa casa io intendo assolutamente che Lei sia libera di moversi stando dove piú Le pare e piace. Io La pregai di andare di là solo perché quel signore mi pregò di poter parlarmi a quattr'occhi. Se le dispiacqui (con un po' di sforzo) mi scusi.

TERESINA.         Mi domandi scusa? Di che? Mi mandasti di là perché volevi parlare con quel signore due parole non destinate a tutti? Che male c'è? Non sei forse la padrona in casa tua?

ALICE.                 Io non sono, io non voglio essere la padrona qui, quando c'è Lei, la sorella di mia madre. (Esita come se prima di uscire volesse abbracciare la zia.) Intanto che parlavo con altri io continuavo a pensare a Lei. Pare che proprio mi sia stata detta una bugia. Io sono ben contenta di sentire che Lei si trova bene accanto a me. Scusi se sono stata rude.

TERESINA          (inquieta). Ma non sei mai stata rude con me, te l'assicuro. Io non me ne sono accorta.

ALICE.                 Addio, zia. (A Clelia.) E Lei badi d'intendere meglio quello che la zia domanda.

TERESINA.         Ma è anzi molto attenta. Te l'ho detto poco fa che sono tanto contenta di lei.

ALICE                  (la guarda sorpresa, poi). Sí, zia. Lei è contenta di tutto e di tutti.

TERESINA.         Me ne fai rimprovero?

ALICE.                 No, zia. Io comincio a intendere tante cose. Addio, zia. Non vorrei ritardare troppo. Uscirò dall'altra parte. (Esce dal fondo.)

 

 

SCENA OTTAVA

CLELIA e TERESINA

 

CLELIA.               Si capisce che parlate di me in modo che se non mi mandano via è loro bontà.

TERESINA.         Non hai sentito anche tu che si lamentano che io sono troppo contenta di tutti? Questo poi io non arrivo ad intendere. Sono malcontenti perché sono contenta. Essa comincia a intendere tante cose. (Spaventata.) Mi vuole male.

CLELIA                (rabbonendola). Ma perché volete vi voglia male? Essa ha fretta. Vuole evitare la signora Alberta che avrebbe dovuto essere già qui perché sono le tre sonate. Oppure vuole raggiungere quel signore grasso dal passo lento e pesante che partí di qua tanto prima di lei. Chissà? Pare sia disposta di tradire il pittore ancora prima d'essere sua amante. Davvero mi dispiace. Per lui e anche per lei.

TERESINA.         Che cosa vai dicendo? Come osi parlare di amanti? (Poi) E come sai che non lo sono ancora?

CLELIA.               È evidente. Se fossero amanti non fingerebbero di dipingere.

TERESINA.         Ma tu te ne intendi d'amore? Se non sei sposata?

CLELIA.               Me ne intendo infatti pochissimo. Dedicai a quello studio solo le mie ore libere e voi sapete che non ne ho tante.

TERESINA.         Prima avevi libere tutte le 24 ore.

CLELIA.               Mai! Mai! Ero al servizio di mia madre ed è in famiglia propria che si lavora molto.

TERESINA.         Sí, questo è vero.

CLELIA.               Ed anche con voi sono come in famiglia propria.

TERESINA.         Con me hai ben poco da fare.

CLELIA.               Chi dà denaro crede di dare molto e chi dà da fare crede di dare poco. Io vorrei mettere un contatore su questa carrozzella per vedere quante miglia al giorno debbo farle fare.

TERESINA.         Talvolta io vorrei tu lasciassi la carrozzella piú ferma. Ma hai già avuto un amante tu cosí giovine?

CLELIA.               Io? (Stupita della domanda.) Mai. E voi?

TERESINA.         Io? Mai, proprio mai.

CLELIA.               Eh! via! L'avete probabilmente dimenticato. Ricordatevene, ve ne prego. L'amante è un uomo. Cammina, talvolta s'arrampica e grida e parla e talvolta, anzi molto spesso, tace.

TERESINA          (studio il proprio ricordo). Mai, proprio mai. Vedi, come destino siamo circa uguali.

CLELIA.               Eh! Sí! Si direbbe. (Ridendo, poi.) Ma io sono piú giovine di voi e potrei ancora riparare a tanta… trascuranza.

TERESINA.         Guarda a quello che fai. Presto l'onore di una ragazza è perduto.

CLELIA.               Eppure vedete che talvolta anche vivendo lungamente non lo si perde.

TERESINA.         Quello è il vanto. Per una lunga vita sempre pura…

CLELIA.               E a che serve?

TERESINA.         Servire? L'onore non ha da servire. Oppure… Sí! Serve intanto a biasimare quelli che non lo hanno piú.

 

 

fancybarT.gif (5506 bytes)

fancybul.gif (2744 bytes)

fancybulsm.gif (614 bytes)        fancybulsm.gif (614 bytes)         fancybulsm.gif (614 bytes)

fancyhome3.gif (5051 bytes)

fancyback.gif (5562 byte)

fancynext.gif (5542 byte)

fancyemail.gif (5017 bytes)

Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 22.36

fancylogo.gif (5205 bytes)
fancybul.gif (2744 bytes)
Top