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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Un marito

ITALO SVEVO

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ATTO SECONDO

 

 

SCENA OTTAVA

FEDERICO e AUGUSTO

 

FEDERICO         (vuole seguirla con impeto). Mi deride!

AUGUSTO          (timidamente). Signor padrone!

FEDERICO         (furibondo). Ah! Osi arrestarmi ancora! Per la seconda volta! E le facevi dei cenni per avvertirla del pericolo che correva! Credi che non me ne sia avvisto?

AUGUSTO.         Ma crede Lei, signor Federico, che la signora stessa non s'avvedeva del pericolo che correva?

FEDERICO         (forsennato). Tu menti! Tu menti! Via di qua! Lasciami passare! (Lo atterra.)

AUGUSTO          (piangendo). Signor padrone, signor padrone.

FEDERICO         (che sta per andare oltre, si ravvede; esita ancora un istante e va ad Augusto). T'ho fatto male?

AUGUSTO          (si capisce che esagera ad arte il male). Sí! sí! molto male. La mia vecchia gamba!

FEDERICO.        Oh! t'ho fatto male; perdonami! (Lo aiuta a rizzarsi.)

AUGUSTO          (barcollante). Nulla, nulla, signor padrone.

FEDERICO         (gli pulisce le vesti; s'avvede che sta male in piedi e lo accompagna ad una sedia). Come ti senti?

AUGUSTO.         Non è nulla, signor Federico. Non sarei caduto se non avessi questa mia gamba reumatizzata. Che sia rotta? Io non sento dolori ma il male è che la gamba era sempre alquanto insensibile.

FEDERICO         (spaventato). Rotta? Oh! prova di alzarti, te ne prego!

AUGUSTO          (con sforzo s'alza in piedi). Oh! non è nulla. Non c'è nulla di rotto. La carcassa è intera. (Siede di nuovo.)

FEDERICO.        E allora perché rimani seduto? Hai preso spavento? (Vede il fiasco d'acqua e corre a versarne un bicchiere che offre ad Augusto.) Prendi!

AUGUSTO.         Ma non ne ho bisogno, signor Federico. Se le fa piacere, però… (Beve.) Non ho preso paura! Io già sapevo che Lei non m'avrebbe fatto del male.

FEDERICO.        Io non ne ero tanto sicuro. Hai fatto male, tu, di metterti fra la mia ira e quella donna. Capisci che se in luogo di te ci fosse stata lei, là, a terra, l'avrei uccisa. Prova ancora di alzarti, te ne prego!

AUGUSTO.         Mi lasci perché io sto benissimo! Ma come? È dunque proprio vero che Lei è tanto adirato con la signora Bice? Ma Lei, signor Federico, non ha capito niente di tutto quello che ho capito io, di tutto quello che m'è saltato agli occhi, ai miei poveri occhi a mezzo ciechi? Quale fortuna ch'Ella m'abbia permesso di restare là ad ascoltare! Non s'avvede che tutto ciò non è altro che una commedia montata per agitarla?

FEDERICO         (fosco). Sarebbe un'infamia!

AUGUSTO          (giocondamente). Infamia? Tutt'altro! È l'amore, è la vecchia storia dell'amore che si crede negletto e che tenta di rifarsi suscitando gelosie.

FEDERICO         (c.s.) E perché credi ciò?

AUGUSTO.         Ma via! Ancora non se ne accorge? Cerchi di ricordare le parole dette dalla signora Bice! A me che stavo a sentire e che non so niente dei fatti loro appariva infatti che fra loro due ci fosse un colpevole. Ma questi, in fede mia, non era la signora Bice.

FEDERICO         (c.s.) Dunque il colpevole sarei io? Ma di che?

AUGUSTO          (sempre bonario). Oh! non Le saprei dire un tanto. Per l'innocenza della signora Bice io garantisco; per la Sua, no! (Commosso.) La nostra buona padrona, la signora Bice! È la prima volta ch'io l'amo tanto. Adesso, signor Federico, la chiami di nuovo, le dichiari ch'essa ha torto di dubitare del Suo amore e poi vedremo. Ma io me ne vado, sa! Vedo dinanzi ai miei occhi la scena che immancabilmente va a succedere fra loro due e non vorrei rappresentarvi la parte di pubblicità.

FEDERICO         (distratto). In quanto a me puoi rimanere!

AUGUSTO          (lo guarda lungamente). E se a quest'ora io dovessi riconoscere che la signora Bice ha ragione?

FEDERICO         (amaramente). Ragione di deridermi in tale modo?

AUGUSTO.         Ragione di credersi poco amata e anche ragione di ricorrere a tutte le arti che il suo ingegno le suggerisce per attirare la Sua attenzione. Oh! la brava, l'ammirabile signora! Non ha visto che pur di riuscire a scuoterla si sarebbe fatta uccidere?

FEDERICO.        Io temo che tu ti fidi troppo del tuo spirito d'osservazione!

AUGUSTO.         Oh! signor Federico! Son cose tanto evidenti che ci vuole aver l'occhio offuscato dalla passione per non vederle.

FEDERICO         (senz'ironia, quasi con curiosità). Perciò tu trovi che io sono un marito felicissimo?

AUGUSTO.         Oh! come può avvenire che tocchi a me, un povero vecchio, che l'amore ricorda solo perché gli altri di tempo in tempo gliene parlano, di spiegarle certe cose?

FEDERICO         (dopo un istante di riflessione). Sta bene! Parlerò con Bice, ma non oggi. Voglio prima calmarmi e lasciare che anch'essa si calmi. Anzi giacché è sicuro, come tu hai capito benissimo, ch'essa è innocente, pregherò mio cognato d'assistere alle nostre spiegazioni. Ci comprenderemo meglio in sua presenza.

AUGUSTO.         Povera la signora Bice! Faccia Lei come vuole! In tutti i casi io qui sono superfluo! Spero che Lei troverà parole per spiegare alla signora la mia presenza qui! Già, io, la prima volta che m'imbatterò nella signora Bice le bacerò umilmente la mano. Essa intenderà quanto rispetto e quanta ammirazione io le porti. Buona sera signor Federico. (Via.)

 

 

SCENA NONA

FEDERICO solo, poi BICE

 

FEDERICO         (s'è assiso al tavolo; come per immergersi meglio in un pensiero ha poggiato i gomiti sul tavolo e la testa fra le mani. Lentamente la testa scivola finché la fronte va a toccare il tavolo. Dopo una pausa, egli s'alza con un gemito d'orrore). Oh! Oh! (Corre alla porta di destra e chiama) Bice! Bice! te ne prego! Vieni! te ne prego!

 

BICE                     (ha gli occhi rossi di pianto ma l'attitudine ferma). Che vuoi? Sei poi solo?

FEDERICO.        Te ne prego! Avrei da parlarti, da parlarti calmamente e di cose che pur possono avere qualche valore per te. Perdonami se ho fatto assistere Augusto al nostro colloquio! Sai! Io mi conosco troppo pronto e violento e ritenevo di aver bisogno della presenza di qualcuno che mi freni. Credimelo! È stato bene, molto bene per ambedue ch'egli si sia trovato presente al nostro colloquio.

BICE.                    Io non m'accorgo del vantaggio avutone.

FEDERICO.        Oh! smetti, te ne prego, quest'amarezza che m'affanna. Come l'ho meritata io? Ho dubitato di te ed ho avuto torto. Ecco le tue lettere! Te le restituisco. Io le ho già dimenticate. Non ti domando neppure a chi fossero dirette.

BICE                     (le pone sul tavolo). Lasciamole lí! Si capisce che non hanno importanza né per me né per te.

FEDERICO         (ha un movimento d'ira; padroneggiatosi parla con dolcezza). Vieni qua Bice; cerchiamo d'intenderci, te ne prego! Voglio guardarti nei tuoi occhi, nei tuoi begli occhi. Forse mi diranno essi qualche cosa giacché tu non vuoi dirmi nulla. Senti! Ricordi che cosa io ti dicevo dei tuoi occhi quando eravamo fidanzati? (Bice annuisce.) Ebbene! Che cosa ti dicevo di essi?

BICE.                    Dicevi ch'erano tanto vivi che, guardandoli, si dimenticava la morte. Ed io, innocente, consideravo ciò quale un'espressione d'amore.

FEDERICO.        Perciò li amavo! Oh! tanto li amavo! Erano la vita! Dovevano cancellare la morte della mia vita.

BICE.                    E poi perché non li amasti piú?

FEDERICO.        Io non lo sapevo fino ad oggi. Oggi lo so! Era la colpa che vi passava.

BICE.                    Non la colpa; forse il desiderio, il bisogno della colpa.

FEDERICO.        Ed è la stessa cosa. La minaccia della colpa. Una minaccia orrenda! E allora quegli occhi ch'erano la vita, divennero la morte, la morte data da me. E mi guardano già adesso quando hanno ancora tutta la loro luce, rimproverando, pieni di lagrime, pieni delle ultime lagrime. (Bice si rasciuga gli occhi.) Sí! Non è mica vero che si possa uccidere e dimenticare. Io ho ucciso e dovetti farlo e - te l'ho già detto - lo farei di nuovo. Ma poi tutta la vita si muta e diventa seria e fosca. Il colpo di coltello che diedi a Clara colpí me pure. Non avevo ancora raggiunto col mio coltello il suo cuore e già compresi che ferivo pur me. E tu devi comprendere come sia stato difficile per un uomo come me, reso mite, dolce, indulgente dalla scienza, di fare una cosa simile. Ci volle un'energia che ancora adesso, dopo tanti anni, me ne sento spossato. E almeno ella si fosse difesa! Come avrei amato che mi avesse ficcato le unghie negli occhi! Ma no! Essa pose la piccola mano bianca sugli occhi per schermirsi, per non vedermi e mi lasciò fare. (S'incanta per un istante in quella visione.)

BICE                     (esterrefatta). Oh! comprendo! ora comprendo.

FEDERICO         (risvegliandosi). Tu comprendi? Cosa comprendi tu? Il male che m'hai fatto oggi? Io non ci pensavo da lungo tempo perché io lavoro, lavoro, lavoro e non c'è tempo per immaginazioni e sogni. Quello ch'è passato dorme lontano. Ma poi (adirandosi) non bisognava rimettermi nella stessa posizione, farmi rifare una parte di quella tragedia. Ero agl'inizii, ma mi vedevo già arrivato all'ultimo atto e oltre a difendermi, a spiegare a tutti e a me stesso la mia azione. Io mi sento ora come se avessi ucciso Clara pochi minuti or sono. Un momento fa, abbandonatomi a quel tavolo ai miei sogni, mi ritrovai che uccidevo senza riposo. E quando guardo te, istintivamente il mio occhio cerca sul tuo corpo il punto ove dovrei colpire per farti soffrire meno.

BICE                     (c.s.). Oh! tu hai rimorsi!

FEDERICO         (con falsa energia). Rimorso, no! Avendo fatto quello che bisognava fare, non c'è rimorso! Ma mai piú non devi mettermi a simile prova! Mai piú! Senti! Io voglio che tu comprenda come il mio interesse e il tuo esigano che tu accetti la posizione quale è: Io non ti amo e tu non ami me! Ma la tua fedeltà deve essere assoluta, tale da non ammettere dubbio! Guai se fosse altrimenti, guai a te e a me. Tu avrai tutto nella vita, tutto, fuorché l'amore. Ed io ti darò sempre di piú, sempre di piú. Io lavoro già molto ma lavorerò il doppio. Ma viviamo in modo da essere meno infelici insieme. Senti Bice! Tu non hai alcuna idea della nostra ricchezza. In questi ultimi anni io guadagnai delle somme imponenti. Non te lo dissi perché… non v'era scopo. Con Clara impoverivo ogni anno di piú. Si viveva allegramente mangiando il capitale. Io non lavoravo affatto; studiavo. Studiavo! (S'incanta come se cercasse di ricordare.) Studiavo di togliere con dei bei ragionamenti il carattere d'odiosità che pesa sul delinquente. Quando trovai poi il delinquente in casa mia con la faccia scomposta dall'irrisione e dalla menzogna, lo uccisi. Lo studio non era piú possibile e divenni un bravissimo fariseo che in ogni affare vede il proprio vantaggio. Sono molto accorto, sai. Se domani vuoi conoscere lo stato della tua fortuna vieni nel mio studio; è tutto tuo, io te ne farò donazione. Che cosa ne farei io? È anzi un favore che mi rendi obbligandomi di lavorare ancora, sempre. Almeno avrò uno scopo. (Insistente.)

BICE.                    Ma io non ne avrò!

FEDERICO         (furente). E allora bada a te! Io non indagherò, io non spierò, io agirò subito, subito come devo. Perché avrei da agonizzare cosí? T'ucciderò, sai, t'ucciderò! (L'afferra per le braccia.) Giammai ti sei trovata tanto vicina alla morte! Taci! Taci! Se non è per protestare la tua innocenza, taci! (Lunga pausa dopo la quale egli, affranto, cade seduto.)

BICE                     (toccandosi le braccia). M'hai fatto male!

FEDERICO         (coprendosi la faccia). Vidi negli occhi tuoi la sofferenza. Vai, Bice, vai! meglio che proviamo ambedue di calmarci! (Dolcemente.) Io sono stato brutale ma non avrei potuto fare altrimenti. Sono il piú forte… ma sei tu che hai picchiato piú sodo. Ne ho il corpo rotto. Hai spiato, hai indovinato dove sia la piaga e là sulla ferita aperta spingi e picchi e mordi. Io invece ho tentato in tutti i modi di ferirti ma è difficile! Ti dici innocente! Perciò io non posso ucciderti e farti male altrimenti è impossibile. Mentre io sono in mano di tutti. Stimo io! Il mio passato è tanto complicato e tanto doloroso! Basta toccarlo… E pensare che io, unendomi a te, pensava di elevare fra me e il mio passato una barriera! Sei tu che mi vi ripiombi interamente cancellando con un soffio tutta, tutta l'opera riparatrice del tempo! Pareva quasi che tu amassi in me prima di tutto il mio delitto e ora me lo ricordi soltanto per farmi soffrire.

BICE                     (dolcemente). Si! Io amavo te interamente e in te era compreso il tuo delitto. Io sposai l'eroe! Sapevo che in te v'era una coscienza delicata come quella di una donna e tanto piú ammiravo che avevi saputo soffocarla per vendicare virilmente il tuo onore offeso. Io sapevo da mio fratello che ti conobbe fin dalla prima infanzia che tu non avresti saputo far del male ad un insetto. Eppure sapesti uccidere la donna che amavi! Ma ora! Hai dubbi, pentimenti, rimorsi…

FEDERICO.        Oh! parla, parla ancora cosí, te ne scongiuro!

BICE.                    Eppoi chi può dubitare del tuo diritto di uccidere Clara? Come ha potuto tradirti? Nessuna donna commise mai un delitto maggiore! L'amavi tanto che l'ami oggi ancora!

FEDERICO         (senza energia). No! No! Non l'amo!

BICE.                    E perché sarei io tanto infelice?

FEDERICO         (la guarda meravigliato). Ma tu dunque, tu, tu sei innocente fino in fondo all'anima?

BICE.                    Sí, finora.

FEDERICO.        Se lo sei finora, lo sarai sempre. Perché credi che io non possa amarti? Vuoi che ti provi il contrario? (L’attira a sé.) Sei tanto bella! Perché non dovrei amarti?

BICE                     (un istante dubbiosa, poi s'abbandona). Ma l'hai dimenticata?

FEDERICO         (fingendo un ardore che non sente). Chi? Io non ricordo altri che te se lo vuoi!

BICE                     (appoggiandosi i lui). Se lo voglio! E me lo domandi!

FEDERICO         (baciandola). Cara! Cara! Vedrai! Io ritornerò con doppia lena al mio lavoro.

BICE.                    Io non voglio il tuo lavoro. Ritorna ai tuoi studii. Che bisogno abbiamo noi d'arricchirci?

FEDERICO.        Io farò quello che tu vorrai. Ma sei innocente? Giuralo!

BICE.                    Io non lo giuro, lo dico. (In un bacio.)

FEDERICO.        Provamelo!

BICE.                    Non ne ho il mezzo. Ma non ti bastano le mie parole? Non ti basta quanto avresti già dovuto intendere? Non vedi che non posso averti tradito?

FEDERICO.        Eppure hai scritto queste lettere! Io le lessi, sai! Forse non ho saputo intenderle come avrei dovuto, forse da esse stesse risulta chiara la tua innocenza. Tu che le hai scritte rammenti qualche frase dalla quale tale innocenza risulti chiara? Pensaci Bice!

BICE.                    Ma perché desideri ciò?

FEDERICO         (dopo un istante d'incertezza). Sai! Io, in fondo, oltre che marito sono sempre un po' avvocato e mi piacciono i documenti. La mia convinzione è fatta, incrollabile. Tu mi ami, nevvero? Perciò si dovrebbero gittar via tutte le carte scritte e prestar fede ai documenti vivi. Ma tu non saprai guardarmi sempre come poco fa quando ti baciai. Io allora ruminerò, ruminerò come faccio sempre e mi riapparirà dinanzi agli occhi la tua colpa come mi fu presentata oggi. In quei frangenti sarebbe una bella cosa di poter levare dalla tasca una carta, ficcarci gli occhi dentro e tranquillarsi subito, subito. M'intendi?

BICE                     (che l'ha osservato intensamente, gelida). Io t'intendo meglio di quanto tu non possa credere. Non è per te che domandi tale documento; è per convincere altri. Tu non abbisogni di ciò; confessalo.

FEDERICO         (confuso). Non dico mica d'abbisognarne subito, ma in futuro, chissà?

BICE.                    Senti, se fosse per te, per conquistare il tuo amore io mi farei a pezzi per darti il documento che domandi. Ma per altri? Forse si trova in quelle lettere stesse ma io non mi degno di cercarlo, certo l'ho nel mio armadio ma non faccio un passo per andar a prenderlo! Vuoi ora comprarmi fingendo amore come poco fa lo tentavi offrendomi denaro.

FEDERICO.        Ma Bice!

BICE.                    Io non ho colpe; te lo dichiaro; a te, se me lo domandassi per te e non per gli altri, ne darei anche la prova. Ma cosí no! (Commossa.) Mi sono avvilita abbastanza! Basta cosí! Tu puoi fare quello che vuoi, ora. Per parte mia ho esauriti tutti i miei mezzi. E questo posso dirti ancora, Federico: Tu, con me, non hai agito da gentiluomo. Addio!

FEDERICO.        Te ne prego, Bice, resta! Vediamo d'intenderci!

BICE                     (fermandosi esitante). Non possiamo intenderci piú!

FEDERICO.        Te ne prego! (Poi, a voce bassissima.) In nome del tuo amore! Del tuo, non del mio. Guarda come parlo sincero e esatto. Te ne prego! (Scongiura.) Siedi, là, lontano da me. Io ti rispetterò! Vedrai che non avrai a pentirti d'avermi ascoltato! (Siede sul sofà ove dà in smanie.) Sono vile! Sono vile! (Piangendo.)

BICE                     (piena di compassione). Federico!

FEDERICO.        Sí! Io ho voluto comperarti! Prima col denaro e poi offrendoti un amore che non sento. Amore! Io, amare! (Ridendo sinistramente.) Ora voglio essere sincero con te, come lo si è con una madre, con una sorella! Io ho bisogno che tu mi sia sorella, madre, tutto, tutto, fuori che amante. Io non ti amo! Ma che! Io non amo! Io non so piú amare, né te, né altri! Odio le donne che mi fecero tanto del male! Perché vorresti essere gelosa? Di chi? Io non ho piú amore, non posso perciò offrirtelo. Vuoi farmi del male perché sono ammalato? Tu mi ami! Te ne ho strappata la confessione in modo vigliacco. Me ne dolgo, me ne pento, ma non dimentico perché io ho bisogno del tuo amore. Ho sempre udito dire che nell'amore delle donne c'è del materno. Dimmi! Esamina la tua coscienza! C’è in te qualche cosa che si muova dinanzi al mio dolore? Qualche cosa che non domandi altro che la mia felicità o almeno la mia vita? In questo solo caso potrò ancora vivere; altrimenti m'uccido subito, subito, dinanzi ai tuoi occhi, perché tu sola puoi salvarmi.

BICE                     (spaventata corre a lui e lo abbraccia). Io voglio salvarti.

FEDERICO         (dolcemente respingendola). Grazie! Non cosí però! Poni la tua fresca mano sulla mia fronte scottante e non abbracciarmi. Tutta la sincerità di parola e di gesto sia fra di noi. Salvami e non domandarmi niente in compenso. Io ti dirò tutta la mia bassezza, tutta la mia infelicità e tu mi salverai tutelando la mia dignità alla quale portai tanti sacrifici. Per tutti voglio essere un uomo, un uomo dal busto eretto, dallo sguardo fiero. Per te, solo per te, uno straccio d'uomo abietto, animato solo dal tuo volere, dal tuo consiglio. La responsabilità della mia vita è troppo grave. Eppoi io ho smarrito il senso comune che fa distinguere il bene dal male. Io non so piú niente. Dirigimi tu!

BICE                     (commossa). Voglio! Voglio! Farò tutto quello che mi domanderai.

FEDERICO.        Non ne dubitavo! Grazie! Siedi qui. (Ella siede sul sofà; egli si inginocchia a lei dinanzi e cela la faccia nel suo grembo.) Non ti guarderò nella faccia giovanile! Ascoltami bene! Sai chi mi ha consegnate quelle lettere? La madre di Clara! Mi disse: Voi avete uccisa mia figlia perché vi tradiva. Uccidete ora questa la quale vi tradisce anch'essa. Che cosa dovrei fare ora?

BICE.                    Un uomo come te, potrebbe, non credendoci, non curarsi di convincere del suo errore quella vecchia donna.

FEDERICO.        Aspetta! Tu ancora non sai tutto. Quella non è una vecchia donna! Quella è per me la persona piú importante di questo mondo. Incominciò ad esserlo al processo. Tutti credevano ch'io attendessi con ansia il giudizio dei giudici impostimi dalla società. Invece, per me, nella vasta sala esisteva una sola persona importante: La madre di Clara. Quando essa non c'era il processo m'agitava tanto poco che mi pareva d'assistervi in qualità d'avvocato difensore di un altro accusato. Essa v'era quale testimonio e invece, per me, fungeva da giudice. Parlai per difendermi e cercai solo le ragioni che avrebbero potuto convincere la madre di Clara, mia madre. Perciò convinsi tutti meno lei, la madre di Clara la quale, quando i giudici m'assolsero, mi gettò un'occhiata terribile con la quale mi condannava. Poi compresi che sarebbe stato vano ogni sforzo per rabbonirla eppure non seppi difendermi dal farlo ogni qualvolta me se ne presentò l'occasione. Io sentivo il suo odio campato in aria pronto a cadermi sulla testa a schiacciarmi. E se sapessi quale odio! Non addolcito, reso piú terribile da uno strano amore materno perdurante nel suo vecchio cuore ad onta di tutto. Forse se quella donna morisse, io potrei rasserenarmi, ma cosí, come posso? Ora quelle tue lettere note a quella donna, sono nelle sue mani una cosa terribile. Lo intendi anche tu, Bice? (Bice esita.) Per comprendermi, Bice, fa il massimo sforzo della persona intelligente. Cerca di sentire come sento io. Figurati di vivere nelle mie azioni e nella mia debolezza. Lo so! Sono ammalato ma sono cosí! M'intendi ora? Te ne supplico! Intendimi!

BICE                     (dolcissimamente e accarezzandogli i capelli). Piuttosto che intenderti, una madre tenterebbe di curarti.

FEDERICO.        Ma io le direi: Madre mia, non si può. Io sono, io stesso sono la malattia. Guarirò morendo. Anch'io, da solo, cercai la salute, ma non venne. Oh! come lottai per poter vedere quella donna con gli occhi coi quali possono vederla tutti! Non vi riuscii! Per me essa è gigantesca, il mio giudice. Intendi ora?

BICE                     (esitante). Capisco!

FEDERICO.        E non debbo io ora spiegare a questa donna il fatto che io non ti ho uccisa? Io, il giustiziere di Clara! (Dopo una pausa.) Perciò, intendi, perciò mi occorre un documento che provi la tua innocenza. È proprio per gli altri che io voglio tale documento. Anzi non per gli altri, per essa.

BICE.                    Ed io questo documento troverò. Se non ci fosse in queste lettere una parola che provasse quello che cerchi, potremo fabbricarci la prova scritta occorrente.

FEDERICO         (stupito ma quasi convinto). Un falso? E sapremo farlo?

BICE.                    No! Non un falso! Scriverò all'individuo da cui queste lettere provengono una lettera con la quale gli accorderò un appuntamento ed esigerò una pronta risposta. Questa risposta conterrà sicuramente quanto cerchiamo! Sorpresa… anzi stupefazione!

FEDERICO         (riflettendo). Come prova basterebbe già. Chissà se avremo fortuna e se il tuo… quel signore userà proprio la parola che ci occorre?

BICE.                    Ma io farò quello che tu vorrai.

FEDERICO.        Cerca, te ne prego, guarda nei tuoi scrigni.

BICE.                    Dovrei avere qui l'ultima sua lettera. (Trae dalla tasca una lettera.) Eccola! È di ieri! A quanto ricordo dovrebb’essere chiara abbastanza! Se tu avessi guardato intorno a te di questi documenti ne avresti trovati parecchi. Li spargevo per la casa. Erano destinati a scuoterti, a commoverti. Allora non sapevo ancora d'essere destinata a divenire tua sorella, tua madre.

FEDERICO.        Oh! non lagnartene! Dalla mia infanzia in poi non ho voluto tanto bene a nessuno come ne voglio ora a te. (Prende la lettera.) Permetti? (Legge.) Signora Bice! M permette di venire da Lei nel pomeriggio? Avrei qualche cosa d'importante a dirle. Si tratta di trovare un modo di tranquillare quell'oca di mia moglie che comincia a dimostrarsi gelosa. Ella sa come, pur troppo, una volta di piú in sua vita, mia moglie abbia torto. Quando sarò un po' indennizzato di tante pene? Ora e sempre Suo Paolo Mansi.

BICE.                    Non occorre dire che per indennizzarlo io lo congedai.

FEDERICO         (che non l'ascolta). Ed è di ieri. Grazie, Bice. Mi pare d'essere sollevato. Ecco un documento che nessuno può trarre dubbio. Che cosa potrebbero obiettare? Che le altre lettere sieno indirizzate ad altri?

BICE                     (offesa). Oh! Federico!

FEDERICO         (non l'ascolta). Grazie! (S'avvia.)

BICE.                    Dove vai?

FEDERICO.        Vado da lei, da Arianna.

BICE.                    Non da Paolo! La mia confidenza non dev'essere punita con uno scandalo.

FEDERICO.        Da chi? Ah! (Sovvenendosi.) No! No! (S'avvia.)

BICE.                    E non ti turberà coi suoi rimproveri?

FEDERICO.        No! Tutto quello ch'ella potrà dirmi, non potrà agitarmi piú di quanto lo sono. Io ho ucciso sua figlia, ma io voglio, io posso piangerla con lei. (Piangendo.) La pregherò di lasciarmi piangere con lei. Tutto s'attenuerà nella nostra comune grande infelicità. Ambisco lagrime, lagrime, sole lagrime. Mi salveranno. (Via.)

BICE                     (siede, cela la faccia fra le mani e singhiozza con violenza).

 

CALA LA TELA

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.19

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