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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Un marito

ITALO SVEVO

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ATTO PRIMO

 

SCENA OTTAVA

AUGUSTO, poi ARIANNA e DETTI

 

AUGUSTO          (va a Federico e gli parla a bassa voce).

FEDERICO.        Venga pure! (Seccato e rassegnato, Augusto esce.) A proposito! È la madre di Clara! Un'altra che mi considera un assassino, ma almeno quella me lo dice in faccia.

REALI                  (con slancio). Ma Federico, hai bisogno tu ch'io ti dica quanto ti stimi e ti ami? Io ti rimprovero il tuo presente e non il tuo passato. È solo una divergenza di opinioni fra noi e dovremmo perciò odiarci?

FEDERICO         (lo guarda negli occhi, poi gli stringe la mano). Ti credo! Grazie!

ARIANNA.         Ho chiesto di parlare all'avvocato Arcetri.

FEDERICO.        Ed io sono qui ad ascoltarla. Mio cognato Alfredo Reali può forse assistere al nostro colloquio?

ARIANNA.         No!

REALI                  (che la guarda attentamente). Tuttavia io vorrei rimanere qui.

ARIANNA.         Vi fu raccontato dell'attentato che commisi su vostro cognato? Oh! rassicuratevi! Sono inerme del tutto! Visitatemi! (Alza le braccia.)

FEDERICO.        Te ne prego, Alfredo, lasciaci soli. Non temere di nulla. Quell'attentato di cui essa parla fu una cosa veramente inoffensiva.

ARIANNA.         Inoffensiva perché non riuscí. A me importa che il vostro signor cognato sappia ch'io ho fatto quanto ho potuto per danneggiarvi.

FEDERICO.        Sta bene! Sia come volete! Ma tuttavia resto con voi solo. Addio Alfredo! (Lo accompagna alla porta poi ritorna al suo tavolo.) Eccomi a voi! Accomodatevi!

ARIANNA.         Non occorre! Sarò breve! (Solleva la propria veletta, Federico ha un gesto di sorpresa.) Mi trovate mutata molto? Vi sorprende di trovarmi in tale stato? Ho lasciato da pochi giorni il letto ove stetti quasi un anno.

FEDERICO         (con premura). Ammalata?

ARIANNA.         Sí! Il medico che mi avevano chiamato mi trovava ammalata ma mi diceva sempre che per vivere avrei dovuto alzarmi e girare per la città o andarmene in campagna. Ma io non sapevo che fare né in città né in campagna e restavo in letto spossata esaminandomi se forse riposando tanto mi sarebbe venuta la forza per tentare infine qualche cosa di piú efficace contro di voi. Invece morivo! Avevo sempre intorno al mio letto il fantasma della mia Clara e a voi pensavo poco. Ora l'affievolirsi del mio odio per voi significava certo l'affievolirsi della mia vita stessa. Voi con la mia morte guadagnavate poco o niente perché io nulla ho potuto contro di voi. Ho tentato di ammazzarvi, di deturparvi e voi sapete come il mio braccio fu debole, e come ebbi bisogno della vostra misericordia! Quanto male mi fece quella misericordia! Ho pensato di colpirvi nelle sostanze, di togliervi fino all'ultimo centesimo della dote di Clara. Eravate povero quando l'avete sposata; volevo che tornaste povero. E dovetti accorgermi che restavate ricco anche se vi toglievo gli averi della poveretta. Che cosa potevo fare di piú? A forza di perseguitarvi divenni ricca io stessa, ricca, ah! ah! ricca! (Con una risata da pazza.) Che cosa potevo fare di piú? Anziché fare del male a voi, feci del bene a me! Ah! Ah! E non potevo fare altro! Vi stimano, vi amano, vi proteggono! V'hanno assolto! Mi posi in quel letto e vi stetti come vi dissi per attendere e anche per nascondermi. Sapete voi che cosa evitavo con la massima gelosia? La luce del giorno! Ne arrossivo! E sapete perché? (Con grande violenza.)

FEDERICO.        Io non so attribuirvi alcun delitto meno che il vostro odio per me. Vi fu un tempo in cui parve che tale odio s'attenuasse. Ve ne ricordate? Un giorno, in carcere, piangeste con me!

ARIANNA.         Me lo ricorda! Me lo ricorda! È perciò, è perciò ch'io evito la luce del giorno! Mai, mai non s'attenuò il mio odio pel vostro misfatto! Voi non avete capito niente, voi mentite! Io mai vi approvai! La stupefazione che in me si produsse all'apprendere il vostro misfatto mi lasciò per molto tempo istupidita! Mi doleva e non sapevo neppure dove. È vero! è vero! Al primo istante ho potuto soffrire oltre che per la perdita di Clara anche per aver perduto voi! E nella mia disperazione quando pregavo Dio vi facesse assolvere, non immaginavo, non pensavo che Clara sarebbe rinata ma veramente qualche cosa di simile. Era stupido, talmente, che non arrivo piú a capirmi, ma era cosí! Tutto un periodo di sogno fu quello e per uscirne ci volle tanto tempo! Mi pareva impossibile che la morte di Clara fosse eterna! Sognavo - che so io? - che assolto voi avreste potuto assolvere a vostra volta Clara e ridarle la vita. Era fatto cosí il mio stupido cuore allora! Nessun ragionamento valeva a convincermi che, morta Clara, dovesse nello stesso tempo morire il mio affetto materno per voi. Io credo che il sentimento piú forte ch'io provassi allora fosse la compassione per voi! Oh! povero il mio figliuolo! pensavo credendo di conoscervi. Perché non è morto nello stesso tempo? Lo assolvano pure ma come potrà egli vivere? Vi credevo martoriato dai rimorsi! (Federico, alza le spalle.) Oh! non protestare! Oramai so che non avete rimorsi! Ma potevo crederlo! Anch'io posso ricordarvi le lagrime che spargeste in carcere! Ve le ricordate? Eravate ai miei piedi torcendovi nella polvere gridando che non piangevate il vostro proprio destino, la prigionia, forse l'ergastolo, ma quello di Clara e del vostro amore. Mi baciaste la gonna e i piedi… Ve ne ricordate?

FEDERICO         (vivamente commosso). Io piangevo la moglie fedele che avevo perduto prima, molto tempo prima della sua morte. Volete che la piangiamo insieme ancora?

ARIANNA          (alzando le mani al cielo). Oh! Oh! turpe proposta!

FEDERICO         (domando la propria commozione, dopo breve pausa). Se non erro siete venuta per comunicarmi qualche cosa di nuovo?

ARIANNA.         Sí! Lasciate però che vi dica ancora una cosa che potrà sembrarvi nuova. Voi commetteste non uno ma due misfatti. Avete uccisa Clara e tentaste di convincere me, sua madre, ch'essa aveva meritata la morte. Piangere Clara insieme a me? Cominciate dal dichiarare che oramai capite d'averla uccisa in un accesso di pazzia e allora sarà possibile piangere insieme la vostra follia. Ma ciò non avverrà! Vi sposaste! Passate le vie salutando sereno e superbo come se accordaste un onore! Voi non provate rimorsi.

FEDERICO.        No! Non ne provo e attendo con qualche impazienza di sapere quello che avete a dirmi.

ARIANNA.         Avete ancora le lettere di Clara? Quelle che dicevate dirette al suo amante?

FEDERICO         (spazientito ma pur rispettoso). Comprenderete signora Arianna che le vostre parole su tale argomento m'arrecano una sofferenza grande. Ve ne prego, perciò, non pensate ad una mancanza di rispetto, se vi domando di cessare da questo colloquio. Ditemi in brevi parole quello che vi condusse qui e io, se lo potrò, vi compiacerò. Domandate! Domandate!

ARIANNA.         Io non vi domando altro fuori che mi lasciate gustare un po' la mia vendetta.

FEDERICO         (incredulo). La vostra vendetta?

ARIANNA.         Vi meraviglia? Anch'io ne sono stupita. È la mano di Dio questa, di Dio in cui voi non credete e che vi colpisce e mi libera. (Gravemente.) State a sentire, Federico, come fui levata dal letto ove volevo morire. L'unica mia amica, la vecchia French che voi ricorderete venne da me e mi disse con voce pacata: La signora Arcetri tradisce suo marito. Io che di solito stavo a sentire e anche quello meno che fosse possibile per poter seguire i miei pensieri tanto dolorosi e cari, mi destai interamente e gridai: Anche voi credete quello che l'assassino divulgò? Pensavo a mia figlia, io. E allora appresi che la vostra seconda moglie faceva quello che voi avevate sospettato della prima. Vi tradiva!

FEDERICO         (incredulo). Davvero? E lo scopo di questa vostra visita era di darmi tale nuova?

ARIANNA.         Sí! Ma anche di consegnarvi le prove di quanto dico. Eccovele! (Gli consegna due lettere.) Sono soltanto due ma, se avete pazienza, potrò procurarvene delle altre. (Trionfante.) Perciò vi domandavo se avevate conservate le lettere che dicevate di Clara acché possiate confrontarle con queste.

FEDERICO         (che legge febbrilmente quelle lettere). Da chi le avete avute?

ARIANNA.         Che cosa può importare a voi di sapere da chi le abbia avute? Sono sue?

FEDERICO         (balbettando). Credo! Mi pare! (Scoppiando.) Ma sí! Sono sue! Sono di Bice! Oh! incredibile! (Ritorna nel dubbio.) Perché? Perché? Tutto si ripete dunque?

ARIANNA.         Non tutto! Nelle lettere di Clara vi irritava tanto di trovare ch'essa vi compiangeva; qui non troverete nulla di simile.

FEDERICO         (riprende le lettere e si rimette a leggerle). Una chiacchiera stupida! E poi? (Legge.)

ARIANNA.         Non vi bastano?

FEDERICO         (cessa di leggerle, guarda le lettere, guarda Arianna). Io non so! (Con voce roca, poi con certa solennità s'erge.) Questo so che la vostra denunzia mi sconvolse in modo ch'io non sono ora al caso di giudicare. Andatevene e lasciatemi qui queste lettere. Le leggerò attentamente. (Rimettendosi con grande sforzo ancora meglio.) Andatevene! Io… vi ringrazio d'aver vegliato sul mio onore.

ARIANNA.         Mi ringraziate? Non voglio i vostri ringraziamenti perché io venni qui per farvi del male.

FEDERICO.        E invece mi faceste del bene! Andatevene!

ARIANNA          (s'avvia, poi s'arresta e ritorna a lui). Io ricordo che in carcere prima di scoppiare in pianto fosti anche cosí freddo e duro ed è perciò che io so quante lagrime s'ascondano in quegli occhi! Eri là stecchito per non piegarti e improvvisamente t'abbattesti a terra! (Federico la guarda con uno sguardo supplichevole.) E cosí mi guardasti anche allora perché volevi ch'io ti accordassi pietà senza che tu me la domandassi. Ed io te l'accordai; ricordi? (Federico s'abbatte su una sedia e singhiozza dapprima lottando col dolore poi abbandonandosi tutto.) Proprio cosí! (Senza sorpresa va a lui e gli pone la mano sul capo.) E come è importante il tuo pianto per me! Divenisti il mio figliuolo cosí piangendo. Ricordi? Clara era ammalata e noi due passammo insieme al suo letto otto giorni trascorrendo ad ogni ora dalla disperazione alla speranza. Quando essa guarí a te dalla gioia venne la febbre come a un debole fanciullo. Ed io ti curai, io ch'ero tanto forte. E nella febbre piangevi Clara morta e singhiozzavi cosí, proprio cosí. Ed io oltre alle medicine che i medici ti prescrivevano, te ne diedi una suggeritami dal mio cuore di madre. Ti passavo questa stessa mano su questi stessi capelli e allora i tuoi singhiozzi s'attenuavano e l'affanno della febbre ti dava tregua. Cosí! proprio cosí! E non era la febbre che ti faceva piangere; era l'amore ch'era stato minacciato tanto duramente che piangeva in te.

FEDERICO.        Ma siete convinta ch'essa mi ha tradito e ch'io non lo meritavo?

ARIANNA          (gravemente). Sí! figliuolo mio! Essa ci ha traditi ed io non glielo avrei perdonato mai piú se tu non l'avessi uccisa. Sai! Noi madri non diamo punizioni eterne come vorreste voi mariti! Io le avrei detto: Hai fatto male e devi vivere per farti perdonare, ma vivere, vivere, non irreparabilmente morire. Invece tu la uccidesti e allora io non seppi piú se ti amavo o odiavo e oggi ancora non lo so. Ed ogni parola di conforto che ti dico ora diverrà per me un rimorso, eterno. Ma come fare? Io, madre, t'apportai un castigo irreparabile e me ne sanguina il cuore. (Dopo una pausa portandosi le mani alla testa.) Dio mio! La forza che mi sostenne fin qui mi abbandona. Vorrei essere nel mio letto. (Cade svenuta.)

FEDERICO         (spaventato). Mamma! Mamma! Augusto! Soccorso!

 

CALA LA TELA

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.23

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