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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Appendice prima
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L'avventura di Maria

ITALO SVEVO

[SECONDO]

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 ATTO PRIMO

Tinello in casa Galli.

 

SCENA PRIMA

ALBERTO che dorme su un'ottomana, GIULIA e GIORGIO

 

GIULIA (a Giorgio che entra). Pst! Piano che dorme.

GIORGIO (le stringe la mano). Te lo avevo detto io che non c'era da impensierirsi. Eccolo là che dorme tranquillamente come se non dubitasse affatto che ha tolto a te il sonno di una notte intera.

GIULIA. Lascialo dormire, poveretto! Lui non ne ha colpa. Ha perduto per distrazione due treni a Firenze. Mi ha telegrafato per avvisarmelo ma il male si è che il suo dispaccio mi è pervenuto soltanto pochi minuti fa.

GIORGIO. Diamine! Due treni ha perduto e i suoi dispacci da Firenze a qui ci mettono ventiquattr'ore? Son cose che non nascono che a lui. Chissà come avrà indirizzato il suo dispaccio! Mostramelo!

GIULIA. L'ho gettato via.

GIORGIO. Come si fa non indirizzare un reclamo all'ufficio telegrafico? Io non tollererei un simile disordine.

GIULIA. Che vuoi che a me importi che ora mettano ordine in quell'ufficio? Chissà quanti anni trascorreranno prima ch'io abbia a ricevere un altro dispaccio.

GIORGIO. Io agirei per la massima.

GIULIA. Mi dispiace che presto dovrò svegliarlo perché arriva Maria Tarelli con suo zio. Già cosí, pur senza conoscerli, non li ama molto. Se incominciano poi col disturbarlo dal sonno, li amerà anche meno, e saranno poco aggradevoli i pochi giorni che Maria passerà con noi perché sincero e franco come egli è non saprà celare la sua antipatia.

GIORGIO. Spero bene che saprà frenarsi e che almeno non dirà loro in faccia che li tiene per istrioni. A momenti mi adiravo tempo fa a sentirlo parlare in tale modo di artisti.

GIULIA. Che vuoi farci? Lui è un buon borghese che ci tiene alla sua vita onesta e limpida e regolare e non ama la gente nomade come sono Maria e suo zio.

GIORGIO (con un po' di disprezzo). Sí! Sí! è degno tuo marito.

GIULIA. Che vuoi farci? Siamo felici cosí! Tu sogni arte e scienza, noi vogliamo calma e felicità. Non si direbbe che siamo fratello e sorella, eh! Del resto ritengo che Maria finirà col conquistarsi anche le simpatie di Alberto! Della tua può essere sicura. Anche troppo, ma bada che io terrò gli occhi molto aperti.

GIORGIO. Per me non temere! Certo è che a parlare con una persona siffatta mi divertirò piú che con la gente solita che mi tocca frequentare qui. Ma insomma si tratta di parlare, non d'altro. Non ho tempo da perdere io e debbo riservarmi ad altre cose.

GIULIA. Capisco! Capisco! Ma Maria è molto bella almeno se attenne quanto prometteva! Troverai in lei una donna all'infuori di certi suoi accenti bruschi, maschili sorprendenti nella sua voce che è adorabile.

 

SCENA SECONDA

AMELIA, PIERO e DETTI

 

AMELIA. C'è fuori un signore che vuol parlare col signor Alberto.

GIULIA. Pst! Va a vedere tu, Giorgio! (Giorgio via.)

PIERO. Mamma! Non ti ha detto niente papà se mi ha portato un regalo dal suo viaggio?

GIULIA. Non lo so, caro! Glielo chiederemo allorché si sarà svegliato. (Vedendo che Alberto si muove.) Pst! S'è destato.

ALBERTO. Meno male che sono a casa mia. Mi pareva d'essere ancora in viaggio. Quanto tempo è che dormo?

GIULIA. Circa due ore. Il sonno, no, non l'hai perduto.

ALBERTO. Hai ragione di farmene un rimprovero. Dopo quindici giorni di assenza doveva bastare la vista della mia cara moglie per tenermi desto. Ma sono precisamente i quindici giorni di fatiche che mi fanno essere cosí. Ho faticato assai. (Stirandosi)

GIULIA. C'è fuori un signore che domanda di te. Amelia avverta Giorgio che Alberto è desto.

ALBERTO. Chi è?

GIULIA. Non lo so. Ho mandato Giorgio a parlargli (si siede accanto a lui e attira a sé Piero.) Piero chiedeva se gli hai portato qualche dono dal tuo viaggio.

ALBERTO (ancora un po' assonnato). Un dono?

GIULIA. Ma sí come sempre.

ALBERTO. Un dono! Me ne sono dimenticato.

GIULIA. Davvero? (Sorpresa e offesa.)

ALBERTO. Avevo l'intenzione di comprargli qualche cosa ma poi ho pensato ch'era meglio di fare tale acquisto qui da noi ove tutto è piú a buon mercato.

PIERO. Allora potrò scegliere io?

ALBERTO. Ma sí! Domani stesso andremo insieme dal chincagliere.

GIULIA. A me sarebbe piaciuto meglio che tu avessi fatto tale acquisto fuori. Sarebbe stata una prova che anche lungi da noi a noi sempre pensi.

ALBERTO (scherzosamente). E di tale prova hai bisogno? Io non ci ho mica pensato che per te il dono a Piero potesse valere quale una prova del mio affetto. Altrimenti, gli avrei portato non uno ma dieci doni.

PIERO. Dieci doni! Peccato che non ci hai pensato.

ALBERTO (ridendo). Bravo Piero! Tu trovi sempre la parola giusta. (Si china a baciarlo e anche Giulia con lui.)

 

SCENA TERZA

CUPPI, GIORGIO e DETTI

 

CUPPI. Se la è cosí, ritornerò.

GIORGIO. No! No! anzi s'accomodi. Dovranno arrivare di qui a poco. (Presentando.) Il signor Cuppi, mia sorella, mio cognato Alberto Galli.

CUPPI (esageratamente cortese). Ho tanto piacere! (Stringe la mano prima a Giulia poi a Alberto.) Li conoscevo di vista da parecchio tempo e sempre desideravo che si fosse presentata l'occasione di fare una conoscenza piú intima… (correggendosi) sí, piú vicina… piú… piú vicina sí. Ora l'occasione s'è presentata perché io attendo i signori Tarelli.

ALBERTO. Ah! cosí? Arrivano oggi? Sono raccomandati a lei?

CUPPI (alquanto confuso). No, no non sono raccomandati a me. (Ridendo.) Ma come? Loro non mi conoscono affatto? Bisognerà dunque che mi presenti da me, sí, che mi spieghi, che mi esplichi. Non sanno che io sono l'amico degli artisti? Se non faccio altro io a questo mondo? Come si fa abitare questa città e non conoscermi? Ora, sí, oso asserire che in questa città di provincia io sono la cosa, la persona piú preziosa per gli artisti. Sono loro servo devoto, li aiuto in tutte le piccolezze di cui possono abbisognare e in compenso non chiedo loro che la loro amicizia. È un'occupazione che rende poco, ma che mi fa passare magnificamente, sí, aggradevolmente la vita. La Ristori diceva di questa città: Di bello non c'è che la cattedrale e Cuppi. L'ho in iscritto, sanno, e l'ho messo in cornice. Sta in una lettera diretta a me da un commendatore, amico intimo della Ristori e che per piacere le faceva da segretario… o quasi… non so cioè se scrivesse per conto della Ristori tutte le sue lettere; fatto sta che a me scrisse per ordine della Ristori una bellissima lettera che ho messo in cornice. La firma non è bene leggibile ma c'è un Comm. che deve significare commendatore: Di bello non c'è che la cattedrale e Cuppi. Mi vedranno ora all'opera come io so diventare utile agli artisti. Peccato che i signori Tarelli trovino qui l'alloggio pronto. Ne avevo uno di bellissimo a loro disposizione, una vera occasione, sí un incontro fortuito, sí, rarissimo.

ALBERTO. Se preferiranno quello non sarò certo io che li costringerò ad occupare questo.

GIULIA (rimproverando). Ma Alberto! (Poi a Cuppi.) Ho promesso a Maria di tenerla con me. Quasi quasi viene qui piuttosto allo scopo di rivedermi che di dare quei due concerti.

CUPPI (ammirandola). Era proprio amica sua intrinseca?

GIULIA. Ma sí; amica di collegio.

CUPPI. Tanto giovine e in poche settimane è divenuta famosa, celebre, conosciutissima. Tutti i giornali ne parlano. Non vedo l'ora di vederla.

 

SCENA QUARTA

AMELIA e DETTI, poi MAINERI, TARELLI e MARIA

 

AMELIA. Sono qui ma in tre.

GIULIA. Falli entrare.

ALBERTO. In tre? Chi è il terzo? Vanno aumentando continuamente.

AMELIA. In tutto una donna e due uomini. Dissi loro di entrare ma essi non ci pensarono punto e rimasero alla porta a chiacchierare.

ALBERTO. Si sa! Sono in casa loro.

CUPPI. Vuole che li vada a chiamare io?

MARIA (entrando seguita da Maineri e Tarelli). Ne parleremo poi. Dov'è Giulia? Come stai? (La bacia affettuosamente.) Uh! che pezzo di donna. Hai il volume che altre volte avevamo noi due insieme. Ti rammenti? Tu la piú buona della scuola, io la peggior scolara. Strano destino che soltanto noi due abbiamo a ritrovarci; di nessun'altra ho udito mai neppure a parlare. Oh! ma sei cambiata, molto cambiata! Sei rimasta una bella persona dalla fisonomia dolce ma non sei piú quella. Perché hai cambiato tanto? Io che speravo di ritrovare in te quella mia antica dolce amica cui mi piaceva tanto di far male per vedere fin dove arrivava la sua indulgenza. Chissà quanto cattiva sei divenuta invecchiando! Perché non siamo mica piú bambine, sai, è bene rammentarcelo.

GIULIA. Tu invece sei sempre la stessa co' tuoi occhi serii e dolci. (Presentando.) Mio marito.

ALBERTO (con lieve sorpresa). Signorina!

MARIA (ridendo dopo un istante di sorpresa). Oho! una vecchia conoscenza.

ALBERTO (rimesso). Infatti, abbiamo fatto un pezzo di viaggio insieme. Da Bologna a Firenze.

MARIA. Ancona, cioè.

TARELLI (intervenendo). Firenze, Firenze.

ALBERTO. Io ad Ancona non ci sono stato questa volta.

MARIA (sorpresa). Ah! cosí?

ALBERTO. L'altr'ieri abbiamo fatto questo viaggio insieme (a Giulia) da Bologna a Firenze.

MARIA (non comprende). L'altr'ieri?

GIULIA. E non avete fatto conoscenza?

MARIA. Non ve n'è stata l'occasione.

ALBERTO. Ha fatto buon viaggio?

MARIA (freddamente). Sí, grazie.

GIORGIO (poco persuaso, a mezzo da sé). Strano! Una è stata con lui ad Ancona; l'altro invece non si rammenta che d'essere stato a Firenze.

GIULIA (presentando). Mio fratello Giorgio, professore al liceo.

GIORGIO. Ho tanto piacere di fare la sua conoscenza. Ne chieda a mia sorella; contavo i giorni che mancavano al suo arrivo qui, perché per me è una vera fortuna che, seppur per breve tempo, la casa di mia sorella acquisti un aspetto piú artistico.

MARIA. Grazie del complimento ma non posso accettarlo. Non rendo mica artistici i luoghi che tocco.

GIULIA (a Maria). Bisogna sapere che lui oltre che professore è anche artista e dotto. Si occupa di storia patria.

MARIA. Anche questo paese ha una storia?

TARELLI (intervenendo). Ma che dici, Maria? Offendi i signori eppoi ti sbagli. Questo paese ha una storia e anzi cospicua. Non è per di qua che sono passati i Romani?

GIORGIO. Precisamente, due volte. Una volta andando a Capua.

TARELLI. So, so, e l'altra volta ritornandone. Maria, ti sei dimenticata di presentarmi.

MARIA. Mio zio Giulio Tarelli.

TARELLI (stringendo la mano a Giulia). Il quale accetta con gratitudine l'ospitalità che tanto gentilmente gli è stata offerta. (Poi ridendo stringe la mano ad Alberto.) Veramente peccato che a Bologna nessuno ci abbia presentati. Avremmo fatto molto piú aggradevolmente il tratto da Bologna a Firenze, perché è quello il tratto che abbiamo fatto insieme.

MAINERI (avanzandosi). Signorina! Io debbo andarmene. (Guardando l'orologio.) Sono legato alle mie lezioni.

MARIA. Incatenato, mi pare, addirittura. Rimanga soltanto un istante ancora che la presenti ai padroni di casa poiché ella dovrà venire qui di spesso per causa mia. Il prof. Maineri che gentilmente s'è offerto di accompagnarmi al piano nei due concerti che ho da dare qui. Ha avuto la gentilezza di venirmi a ricevere alla stazione.

GIULIA. Ci sarei venuta anch'io se mio marito non fosse stato qui ancora molto stanco dal viaggio.

MARIA (abbracciandola). Oho! non avevo mica l'intenzione di farti un rimprovero. Perché ridi?

GIULIA. Perché hai conservato il tuo oho maschile che in collegio tanto ci piaceva.

MARIA. Nota che da allora ho fatto una vita in cui ho emesso piú d'un grido e talvolta anche qualche bestemmia. Oh! piccolezze, sai!

MAINERI. Col suo permesso dunque, io verrò qui domattina.

MARIA. E nuovamente la ringrazio. M'è stato di buono augurio trovare un amico subito al mio ingresso in città.

MAINERI. Non ha nulla da ringraziarmi. Due mesi fa ho assistito a un suo concerto a Milano e m'è nato in cuore il piú vivo desiderio di sedere io una volta al pianoforte e accompagnare quel suo violino ch'è una vera e propria orchestra, parola d'onore. Soddisfo ora il mio desiderio e non merito dunque ringraziamenti. Con permesso. (Si avvia.)

CUPPI (lo ferma alla porta). Dunque è proprio molto brava?

MAINERI. Potrà accertarsene al prossimo concerto. (Via.)

CUPPI. Questi pianisti… (Con sprezzo.)

TARELLI. Scusi signor professore Giorgio. (Subito amichevolmente.) Ella quale professore di belle lettere, se ho udito bene, dovrebbe pur conoscere qualche critico musicale in questa città.

GIORGIO. No… affatto. Vivo a scuola e in casa e con giornalisti non ebbi finora nulla da fare. Per buona fortuna perché è gente che a me non piace.

TARELLI. Peccato! Di solito vengono i critici a cercare di noi ma capisco che qui toccherà a noi di cercare di loro. Le faccio dei resto i miei complimenti che non conosce giornalisti. Anch'io se potessi farei volontieri a meno di essi. Canaglie! Ma però dico peccato per il caso concreto. Non conosce neppure nessuno che pratichi la compagnia di giornalisti? Eh! già! capisco. Non volendo aver da fare con giornalisti è bene tenersi lontano anche da chi li pratica.

CUPPI (lieto). Son qua io, posso servirla io. Critici musicali? Ma io li conosco tutti! Peccato che non ve ne sia che uno. Il Valzini. Vado a chiamarlo.

GIORGIO (ridendo). Ce ne eravamo dimenticati. Il signor Cuppi… amico degli artisti.

CUPPI. La presentazione è completa, non c'è piú nulla da dire sul mio conto. Proprio è stato detto tutto o quasi. Amico degli artisti! Due intere generazioni d'artisti sono o sono state… sí… gli artisti di due intere generazioni sono o sono stati miei amici. Dalla Ristori alla grande riformatrice del teatro moderno, la Mara, tutti, tutte sono state servite da me.

MARIA. Ha nominato soltanto degli artisti drammatici; si dedicherà poi col medesimo zelo anche ai musicisti?

CUPPI. Solo ai violinisti. Ho una passione speciale, io, per il violino, per il re degl'istrumenti, per il principale fra gli istrumenti. I sonatori di piano non amo, non mi piacciono, e neppure al nostro pubblico a quanto ho potuto osservare. Ho già conquistato dei titoli di benemerenza per i violinisti. Il celebre Janson ch'è stato qui due mesi fa, alloggiò, mangiò e suonò sempre col mio aiuto… quando me ne fece richiesta.

TARELLI. Janson è stato qui?

CUPPI. Ma sí! Non lo sapeva?

TARELLI. E che successo ebbe? (Piccola pausa.)

CUPPI. Perché celarlo? Enorme! Molto grande! Per otto giorni la città non si occupò che di lui; il teatro era pieno, zeppo e vi erano rappresentate tutte le classi sociali; o quasi tutte. Janson era un ospite ricercato dalle principali famiglie della città. I poeti gl'indirizzavano versi e i giornalisti articoli… di fondo. Nella provincia vennero organizzate delle gite per venire a udirlo. Partendo egli mi disse che s'era preso ad amare la nostra città in modo che avrebbe voluto essere nostro concittadino naturalmente se non fosse stato svedese.

MARIA. In allora povera me, nevvero?

CUPPI. Oh! no! al contrario! Onorando Janson la città dimostrò quanto essa apprezzava il vero merito nei musicisti e lo saprà onorare molto anche in lei signorina.

TARELLI. Valzini è molto riputato in città?

CUPPI. Moltissimo. È anche scrittore politico ma specialmente critico musicale. Si racconta che gli autori principali come Verdi e Wagnèr (all'italiana), quel tedesco, leggano sempre le sue critiche. È gentile e basterà una mia parola, sí, un mio discorso per farlo venire qui.

TARELLI. Scusi in confidenza. (A mezza voce e con gesto espressivo.) Bisogna ungere?

CUPPI. Ah! no! Da noi non troverà di questa stampa. Una buona parola sta bene e influisce sul critico suo malgrado. Ne viene meglio disposto, piú facile all'entusiasmo e piú difficile ad arrabbiarsi, cioè a dirne male sul foglio. Ma denaro? Valzini è ricco ossia ha tutto il poco denaro di cui abbisogna.

TARELLI. Ho chiesto per la buona regola. Naturalmente che se è ricco e stimato da Wagnèr (imita Cuppi) non si lascerà pagare.

CUPPI. In mezz'ora o poco piú ritorno con Valzini.

TARELLI. La prego di dirgli che io e mia nipote verremo da lui domani s'egli non può venire da noi oggi.

CUPPI. Sta bene! Mi piace! Valzini sarà di certo lusingatissimo dell'ambasciata. Con permesso. (Via poi ritorna.) Scusino; mangiano qui?

ALBERTO. Quale domanda!

CUPPI. Dovevo chiederlo per la buona regola. Lasciarli correre, camminare soli per la città sarebbe stato un delitto.

GIORGIO. Signorina! interverrò anch'io se me lo permette alle prove di domani quantunque non sia molto musicale. Anzi, e con me parecchi scrittori moderni, siamo in genere contrari alla musica. La cosa tuttavia m'interessa…

MARIA (impaziente). Sí, sí, insomma, se vuole, venga.

GIORGIO (dopo un istante di esitazione). Va bene! Accetto l'invito quantunque fatto in forma alquanto brusca. A rivederci. (Via.)

GIULIA. Perché lo tratti cosí? Lui ti parla con una deferenza che tu neppure puoi apprezzare perché non sai come tratta con gli altri.

MARIA (abbracciandola con grande effusione). Oh! se sapessi quanto piú felice mi rende di vedermi trattata bene da te. Tu sei una parte della mia giovinezza e il tuo volto che non esprime altro che bontà mi rammenta soltanto cose aggradevoli. Ma se tu lo desideri io farò dei complimenti anche a tuo fratello quantunque a me le persone antimusicali non piacciano.

GIULIA. Sai pure che non bisogna tener conto di tutto quello che dicono i dotti. Parlano molto perché parlano bene ma non pensano mica sempre quello che dicono.

TARELLI. Lasciamo stare qui queste valigie?

GIULIA. No, le farò trasportare subito nella stanza destinata a lei o in quella di Maria. Amelia! (Chiama.)

TARELLI. Non si scomodi. Le posso portare io, da solo se vuole indicarmi dove.

AMELIA. Comanda, signora?

GIULIA. Aiutaci a trasportare quelle valigie. Le mostro io la via. La sua stanza è in fondo a questo corridoio. (Via.)

TARELLI. Mi dispiace di disturbarla… (Via con Amelia.)

 

SCENA QUINTA

ALBERTO e MARIA

Maria vuol seguire gli altri.

 

ALBERTO. Scusi, signorina Maria. Una sola parola! Non è Maria ch'ella si chiama? Dolce nome! Avrei voluto conoscerlo ieri.

MARIA (ridendo). L'altr'ieri cioè.

ALBERTO. L'altr'ieri o ieri fa lo stesso. È una bugia ma non dovrebbe costarle troppo fatica. Per distrazione ho raccontato a mia moglie che avevo abbandonato Firenze l'altr'ieri. Non potevo quindi smentirmi.

MARIA. Infatti, rammento ch'ella mi aveva detto ch'era stata sua intenzione di lasciare Firenze l'altr'ieri. A sua moglie raccontò quindi l'intenzione.

ALBERTO. Sí! La prima intenzione perché la seconda, debbo confessarlo, era di rimanere a Firenze finché c'era lei e poi di seguirla per otto o dieci giorni, o magari per un mese.

MARIA (divertendosi). Si ricorda dunque anche di questa intenzione? E sua moglie?

ALBERTO. Che c'entra mia moglie? A mia moglie avrei raccontato ch'ero stato trattenuto dagli affari.

MARIA. Povera Giulia! Avrebbe meritato un marito migliore.

ALBERTO. Perché? Chi le dice ch'io sia un cattivo marito? Ne chieda a Giulia e le dirà che migliore non potrei essere: il modello dei mariti!

MARIA (sentitamente). Dunque tanto peggio: tradita e ingannata!

ALBERTO. No! È lei che s'inganna! Né tradita né ingannata. Adesso io la conosco. So chi è; cioè una grande artista e nello stesso tempo una fanciulla onorata. Ma prima…

MARIA (oscurandosi). Prima aveva potuto credere dal mio contegno ch'io non sia una fanciulla onorata?

ALBERTO. Mi scusi e non si adiri. Mi lasci parlare francamente perché altrimenti sarà difficile intenderci.

MARIA (adirata). Non capisco quale bisogno vi sia d'intenderci.

ALBERTO. Vedrà, grandissimo bisogno o meglio e piú francamente, son io quegli che sente tale bisogno. Via! Non sarà tanto buona da rendermi un lieve servigio quale è quello di starmi ad ascoltare? Glielo chiedo quale suo ospite, quale marito di Giulia.

MARIA. Parli dunque. Mi rassegno.

ALBERTO. Non ha bisogno di rassegnarsi a nulla perché mi farebbe un torto credendo ch'io possa avere l'intenzione di offenderla. Incomincerò anzi dal dichiararle che la rispetto tanto che respingerei con indignazione un'idea che potesse essere meno che rispettosa per lei; non la penserei neppure! È soddisfatta? Posso ora parlare senz'altra preoccupazione che di esprimermi precisamente e chiaramente?

MARIA. Parli pure.

ALBERTO. Ecco! Io non ho altro scopo che di provarle che la sua amica Giulia è piú felice di quanto Lei sembra di credere. Per spiegarle il mio contegno mi basterà dirle che anche quando corro dietro ad altre donne, in quel medesimo istante, quando sono tutto intento a raggiungere il mio scopo e che mi trovo in quello stato di esaltazione in cui Ella per mia disgrazia mi vide, anche allora amo mia moglie appassionatamente e le darei in quel medesimo istante il bacio affettuoso di ogni sera.

MARIA. Beata Giulia, dunque!

ALBERTO. Perché, vede, mia moglie e le altre donne, quelle cui corro dietro io, non sono le stesse donne. Che cosa può importare a Giulia di quei fuochi di paglia accesi da altre, di quei desideri che non somigliano nulla all'affetto che porto a lei?

MARIA. Ma che razza di gente ella credeva dunque di aver trovato in me e in mio zio?

ALBERTO. Glielo spiego subito e vedrà che non pronunzierò una sola parola che possa disturbarla, qualcuna tutt'al piú che la farà ridere. Non feci alcuna supposizione sul suo stato; poteva essere quello di una donna ricca o di una grande artista, ella poteva essere la moglie di un banchiere e di un nobile, per me era indifferente. Le donne sono donne e l'esito della mia avventura non dipendeva da queste circostanze. Quello che a bella prima pensai e che mi diede le massime speranze fu ch'ella fosse la moglie di suo zio. (Maria dà in una risata.) Io vedeva in lei una di quelle brave mogli borghesi col marito troppo vecchio e le quali per prudenza non lo tradiscono che quando sono in viaggio. In viaggio… eravamo.

MARIA. Ma come le è venuta l'idea ch'io sia la moglie di mio zio?

ALBERTO. Prima di tutto perché mi auguravo che cosí fosse. Intendiamoci: Non mica le auguravo d'essere la moglie di suo zio; per egoismo desideravo che cosí fosse. I nostri interessi su questo unico punto collidevano. Poi avevo due altre ragioni per ritenerli marito e moglie ed eccole: Il padre ha di solito un contegno differente di quello che aveva suo zio; è meno attento e meno rispettoso. La figlia ha anch'essa di solito un contegno differente da quello che aveva lei: e cioè piú attenta e piú rispettosa. All'artista non pensai e fu il mio solo sbaglio perché (ridendo) se non fosse stata sua nipote e artista, sarebbe stata sua moglie. Parola d'onore!

MARIA. Per un don Giovanni borghese legato dai sacri vincoli del matrimonio non c'è male. Ma mi rimane una curiosità: Tutto il vostro ardore, la vostra esaltazione cadde apprendendo ch'ero nubile? Aveva il timore di contrarre impegni troppo duri?

ALBERTO. No ma temevo di perdere il mio tempo ciò che anche in istato di esaltazione se posso evito.

MARIA (non molto lusingata). Ah! cosí! Assolutamente dunque il suo proposito correndomi dietro era di passare meno peggio qualche giorno e niente piú?

ALBERTO. Si trattava di vedere prima come avrei passato questi giorni. Se ella si fosse contenuta con me molto ma molto bene… cioè, che dico? Male anzi; sí, con me ella avrebbe dovuto contenersi male, molto, molto male, in allora i miei affari si sarebbero trascinati a lungo. Mi sorprende! Giulia mi disse che la sua ambizione era di venire considerata e trattata come un uomo. Sono certo che in questo riguardo ella di me non avrà da lagnarsi.

MARIA. Non mi lagno nemmeno. (Poi.) Ma di un'altra cosa mi lagno. Non capisco ancora quale bisogno ci fosse di raccontarmi tutte queste cose che io non avevo chiesto di conoscere. Mi pare almeno di non averne fatto formale richiesta. Non mica che mi sia dispiaciuto di sentirla parlare; ella parla bene di queste cose e sono molto curiosa di sentirla parlare d'altre, di quelle di cui parla a Giulia. Anzi ne ho ritratto anche un altro piacere. Mi sento ora sicura in casa sua e sono ben certa di non venir piú disturbata da lei.

ALBERTO (guardandola con un sospiro). Certo, certo. La mia simpatia è delle piú rispettose perché ella merita tutto il rispetto.

MARIA. Ad onta di ciò mi resta qualche curiosità di conoscere le ragioni che La indussero ad essere tanto franco con me.

ALBERTO. È presto detto. (Con qualche imbarazzo.) Le ho detto nevvero che anzitutto mi premeva di provarle che la sua amica Giulia è una donna felice? No? Non ne è ancora convinta? Ella mi ama molto, io l'amo a modo mio, ma anche moltissimo. Vi sono quindi tutti gli elementi per una vera felicità, uguale, tranquilla, di tutti i giorni, di tutte le ore. Ora debbo prevenirla che questa felicità scomparirebbe se Giulia sapesse che oltre ad amarla molto, moltissimo, io l'amo anche a modo mio… cioè…

MARIA (ridendo ma con voce un po' stonata). Ma basta! basta! Questo dunque era il nocciolo del frate grigio! Si tratta di non far capire a Giulia che nella noia del viaggio Ella si compiacque di guardare amorevolmente la sua umilissima serva? Ma crede poi ch'io avessi avuto l'intenzione di vantarmene?

ALBERTO. Che idea! Io credetti soltanto ch'ella a tutta la cosa potesse dare tanto poca importanza da parlarne in un istante di buon umore come di un fatto che non concernesse né lei né Giulia. Ora se, come purtroppo è vero che per Lei, io, le mie parole e le mie azioni son cose indifferenti, per Giulia la cosa è ben diversa. Vedrà! La mia casa è delle piú borghesi. Tutto il suo ordinamento è basato sulla cieca fiducia che portiamo l'uno all'altro. La felicità di Giulia è composta anzitutto da una tranquillità d'animo inalterabile. Mi porta un affetto quasi esclusivo cioè diviso fra me e Piero, nostro figlio. Vuole anche bene a Giorgio suo fratello, il professore ch'Ella già conosce, quel pedante; ma il rimanente di questo mondo per essa non esiste. Le sembra quindi naturale ch'io l'ami come ella ama me, esclusivamente. Il primo dubbio potrebbe distruggere questo castello in aria e la mia e la sua felicità. È perciò che Le chiedo formalmente di essere cauta. Avrei potuto risparmiarmi la fatica di farle questa preghiera e affidarmi alla sua naturale discrezione, al suo buon senso; ma la cosa era troppo importante per lasciarla in balia del caso. Glielo assicuro: Basterebbe una sola parola detta scherzosamente per mettere Giulia in diffidenza (ridendo) e capirà che se giungesse al punto di diffidare, poco le costerebbe di procurarsi la certezza assoluta del mio tradimento.

MARIA. Diamine! Con le sue massime, sfido io. Si esporrà continuamente a dei pericoli.

ALBERTO. Mi creda! Meno spesso di quanto sembri. Prima di tutto so essere cauto e poi non basta mica ogni gonnella per accendermi. Occorrono certe figurine da silfidi e insieme da statue antiche; certi occhi brillanti d'amore cioè d'entusiasmo artistico. La luce ch'emana l'arte e l'amore dovrebbe essere simile.

MARIA (ridendo). Adesso ch'è sicuro della mia discrezione pare voglia ricominciare.

ALBERTO. Oh! no! Voglio essere un buon ospite e rispettoso, un buon amico se mi accorda l'onore di tale titolo.

MARIA. Molto compito!

ALBERTO. Compito è poco. Pare proprio che della mia amicizia non ne voglia sapere.

 

SCENA SESTA

CUPPI e DETTI

 

CUPPI (correndo). Valzini è qui! Verrà subito.

ALBERTO e

MARIA. Chi è questo Valzini?

CUPPI. Il critico, il giornalista.

MARIA. Prego, signor Alberto, ne faccia avvisare mio zio.

ALBERTO. Vado io stesso. (Via.)

CUPPI. Io, sa, son corso innanzi, ho preceduto Valzini per avvisarla di certe particolarità, fatti che lo concernono e che è bene ch'ella conosca. Prima di tutto tenga presente che il nonno di Valzini è stato un grande musicista, sí, abbastanza conosciuto; bisogna, per fargli piacere, dirgli ch'Ella lo conosce di fama, di nome. Anche suo padre ha scritto un'opera ch'è stata data una volta a Milano, una sola volta ma a Milano, capisce. Poi bisognerà che io Le indichi i nomi delle romanze, tutte per soprano, sí, per canto, scritte dal nostro Valzini. Eccole: "L'usignolo nel bosco", "Canto del pastore in Asia"…

 

CALA LA TELA

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:17/07/2005 20.29

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