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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Il ladro in casa

ITALO SVEVO

Scene della vita borghese

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ATTO SECONDO

 

 

SCENA SESTA

CARLO, FORTUNATA e DETTI. EMILIA passa la scena

 

CARLA.                    Che bella sorpresa! Mi fate proprio un vero piacere!

FORTUNATA. Siamo passati per di qua e abbiamo vedute illuminate le vostre finestre. Sono io che ho consigliato Carlo di salire.

IGNAZIO.                 Ben fatto! La ringrazio. Ma si accomodi!

CARLO.                    Siamo venuti soltanto per un momento…

FORTUNATA          (a Carla che le vuol levare il cappello). No, no, non ne vale la pena. Dopo costa mezz'ora di fatica a fare questo nodo.

CARLA.                    Ma che furia!

FORTUNATA. C'è Ottavio che non va a letto finché non siamo di ritorno.

IGNAZIO                  (vedendo Carlo che sbadiglia). Tu hai sonno già a quest'ora?

CARLO.                    Non sonno. Sbadiglio per male di nervi. Si lavora tutto il santo giorno che non c'è meraviglia se alla sera si è un po' stanchi.

IGNAZIO.                 Ma almeno quando si è lavorato tutto il giorno, alla sera si mette la mano in tasca e… dlin dlin… si sente che è piú pesante.

CARLO.                    Guai se non si avesse almeno questa consolazione.

FORTUNATA. E voialtri andate tardi a letto?

IGNAZIO.                 Oh, beh! Ceniamo presto e andiamo a letto col boccone in gola, quantunque si sia occupati fino a sera. È una gran schiavitú questa vita. Se tornassi a nascere farei lo spaccalegna, non il negoziante.

CARLO.                    È vero, è una schiavitú questa vita.

IGNAZIO.                 E poi le rabbie che si prendono! Si presenta un affare che renderebbe molto. Occorrono, per esempio, diecimila franchi in contanti e non ci sono.

CARLO.                    Simili affari, però, si presentano raramente.

IGNAZIO.                 E le rare volte che si presentano non si può approfittare.

CARLO.                    A quanto pare tu ne hai qualcuno per le mani.

IGNAZIO.                 Precisamente oggi. Conosci il vecchio Zulino? Quello che fallí l'anno scorso?

CARLO.                    Quel vecchio che fu tanto furbo da farsi trovare con la pistola in mano per far credere che voleva uccidersi?

IGNAZIO.                 Appunto. La settimana scorsa gli morí la moglie e lo lasciò erede di molti gioielli. Non è perfettamente appurato se lei li abbia regalati a lui. Certo è che adesso appartengono legalmente a lui, e ch'egli li vende. Ne potrebbe ricavare ventimila franchi. Da me non ne otterrà piú di quindicimila. Capirai che l'utile non sarebbe piccolo ma… (Dopo una pausa.) A meno che non li abbia tu questi diecimila franchi.

FORTUNATA. Ah, talvolta gliene mancano per coprire perfino le sue accettazioni.

IGNAZIO.                 Eh, via queste cose si raccontano alle donne acciocché facciano economia.

CARLA.                    Carlo no, ma tu fai alle volte cosí. Se sapeste quale paura mi fece prendere poco fa! Adesso capisco. Era, dunque, per questo che ti occorrevano i diecimila franchi! Tanto meglio! Tanto meglio!

IGNAZIO.                 Eh, sí era appunto perciò che ne avevo bisogno.

CARLO.                    E che cosa ti ha raccontato?

IGNAZIO.                 Nulla. Le cantavo la solita canzone della miseria.

CARLA.                    Figuratevi che raccontava a me e allo zio Marco…

IGNAZIO.                 … che, insomma, gli affari vanno male, e che se non miglioreranno, dovrò ritirarmi dal commercio realizzando il mio avere, e vivere senza lavorare piuttosto che lavorare e perdere. (Carla rimane sorpresa.)

CARLO.                    Io diecimila franchi disponibili per qualche mese… li troverei…

FORTUNATA. Gli affari si sa come principiano, non come finiscono.

IGNAZIO                  (riscaldandosi un poco). Ma io so come finiscono. Se faccio l’affare, sono certo di avere cinquemila in tasca di piú, già per il valore reale della merce, senza calcolare gli utili della vendita. Insomma sono tanto certo di ciò che mi obbligo con mia firma di pagarti da qui a sei mesi, non soltanto i diecimila franchi, ma anche duemila di utili.

CARLO                     (a Fortunata). Che te ne pare?

FORTUNATA. Io lascio che tu faccia come vuoi. Io al tuo posto non rischierei… (Carlo riflette.)

IGNAZIO.                 Questo suo consiglio mi offende un poco, ma non posso dir nulla, perché lei ha il diritto di darlo.

FORTUNATA. Carlo, mi pare che sia ora di andarsene. (Carlo si alza un poco perplesso.)

IGNAZIO.                 Peccato che causa la crisi commerciale che attraversiamo ci sia scarsezza di cassa sulla piazza, altrimenti troverei questo denaro con tutta facilità.

FORTUNATA          (a Carla). Che ne dici tu?

CARLA.                    Non so, non me ne intendo. (Con voce esitante, procurando di sorridere.)

CARLO.                    Insomma, ascolta. Domani mattina vieni da me che ne riparleremo. Ad ogni modo dovresti firmare la cambiale di cui parlasti.

IGNAZIO.                 Te l'ho offerto io!

CARLO.                    Vorrei vedere la merce.

IGNAZIO.                 Naturalmente.

CARLO.                    Arrivederci.

IGNAZIO.                 Buona notte. (Stringendo la mano a Fortunata.) Sono piú di otto giorni che non vedo Ottavio. Come sta? Mi pare che giorni or sono si è chiuso l'anno scolastico. Avrà riportato un certificato stupendo.

FORTUNATA. È il primo della classe.

IGNAZIO.                 Beato lui che riesce a studiare il latino! Io ho tentato. Ma… già non è mia colpa. Dipende dalla maggiore o minore svegliatezza d'ingegno. Io ne ho tanta da poter fare… il gioielliere. Gli porti i miei saluti.

FORTUNATA. Grazie, non mancherò. Addio, Carla. (Le due donne si baciano.) Buona sera, signor Ignazio.

CARLO                     (sempre pensieroso, stringe la mano a Carla che lo guarda con compassione). Addio. (Stringe la mano ad Ignazio.)

IGNAZIO.                 Arrivederci domani!… Emilia! Lume!

 

SCENA SETTIMA

IGNAZIO e CARLA

 

CARLA                     (con voce commossa). Oh, è molto male ciò che tu fai!

IGNAZIO.                 Perché?

CARLA.                    Perché tu sai che non potrai restituire quell'importo.

IGNAZIO.                 Chissà! Come lo puoi sapere?

CARLA.                    Poco fa lo dicevi tu stesso allo zio. Oh, Ignazio! Non prendere quei denari da Carlo!

IGNAZIO.                 Sei pazza?

CARLA.                    Carlo è povero. Non ti rammenti con che fatica riuscí a darti la mia dote?

IGNAZIO.                 Ma adesso pare che gli affari gli vadano meglio.

CARLA.                    Sí, ma la perdita di diecimila franchi lo rovinerebbe.

IGNAZIO.                 Insomma io non posso farne a meno. Del resto è mia intenzione di restituirglieli anche con l'utile promesso. Non hai da temere nulla per il tuo Carlo. E la cena?

CARLA.                    La porterà subito.

IGNAZIO.                 Ti dà molto pensiero questo prestito?

CARLA                     (commossa). Oh, Sí. Molto.

IGNAZIO                  (l'attira sulle ginocchia). Oh, la mia povera Carla! Mi fa piacere. Davvero! Si vede che hai buon cuore. Ascolta, però. Tu sei giovane. Hai illusioni. Io vedo il mondo da un lato un poco piú pratico. Dimmi sinceramente: Sei certa che se avessi detto a Carlo con la solita franchezza: Ho bisogno di diecimila franchi, altrimenti non posso soddisfare ai miei impegni, credi tu che me li avrebbe dati? Allora si sarebbe ricordato che siamo parenti e che se a te vanno male le cose, a me non vanno bene? Ohibò! “Non possumus” avrebbe risposto. Non avrebbe detto cosí?

CARLA.                    Sí, ma…

IGNAZIO.                 Che ma… che ma d'Egitto! Non me li avrebbe dati! Per ottenere diecimila bisognava promettergliene dodicimila. Anima di fango! Non avrebbe arrischiato diecimila per salvare la sorella dalla fame, ma li arrischia per aumentarli.

CARLA                     (sempre commossa). Sí, sí è vero, ma è doloroso…

IGNAZIO.                 Se ci sono affetti veri, disinteressati a questo mondo vi sono fra marito e moglie. Vivono insieme, dividono il pane di farina o di segala, se c'è, e se non c'è non mangiano. Altri parenti all'infuori di me non hai o non dovresti avere. Mi pare che c'è nel codice. Ti rammenti? Il sindaco ci ha letto quei famosi paragrafi.

CARLA.                    Povero Carlo! A me ha fatto molto del bene.

IGNAZIO.                 Ti prometto che se Carlo avesse a trovarsi a mal partito, ed io fossi nel caso di aiutarlo, lo aiuterei. È anche con questo fermo proposito che accetto senza esitazione il suo aiuto. Oggi lui, domani io. E adesso la cena, perché sono sfinito.

CARLA                     (alzandosi). Emilia!

EMILIA                     (piange). La cena è pronta. Posso portare?

IGNAZIO                  (piano a Carla). Guarda, come piange!

CARLA                     (guarda un istante Emilia, poi Ignazio che, indifferente, volge lo sguardo altrove). Allora, puoi rimanere. (Emilia le bacia la mano.)

IGNAZIO.                 Brava Carla! Nella donna la bontà è per il morale quello che la bianchezza della pelle è per il fisico.

 

CALA LA TELA

 

 

 

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.46

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