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Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Il ladro in casa

ITALO SVEVO

Scene della vita borghese

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 ATTO PRIMO

 

SCENA SESTA

ELENA e DETTI

 

ELENA.                     Dove vai, adesso?

EMILIO.                    Giú nel mio stanzino.

ELENA.                     Va pure.

EMILIO                     (piano ad Elena, imperativo). Dopo vieni nel mio studio. Ho da parlarti.

ELENA                      (fingendo indifferenza). Va bene.

EMILIO.                    A rivederci. (Via.)

ELENA                      (a Carlo). La prego, senta. Prima il suo figliuolo mi ha detto qualche insolenza e mi sono lasciata trascinare. Mi scusi, la prego, e dica a sua moglie ch'è stato un momento di dimenticanza che non avrei dovuto avere. Lo ha raccontato a mio marito?

 

SCENA SETTIMA

FORTUNATA e DETTI

 

ELENA.                     Buon giorno, signora.

FORTUNATA. Signora, perdoni la libertà, ma non permetto che altri tocchino i miei figliuoli…

ELENA.                     Ne parlavo appunto al signor Carlo.

FORTUNATA. Se io voglio castigarlo son padrona; lei sa che non ha questo diritto e non so come spiegarmi il fatto che lo abbia dimenticato…

ELENA.                     Le chiedo scusa. Mi sono lasciata trascinare e le chiedo scusa. Se vuole vendicarsi, bastoni me!…

FORTUNATA          (rabbonita). Sa, signora, Ottavio è un ragazzo cosí debole che fino a un anno fa lo credevamo malaticcio. Ora è un po' rimesso, ma gli usiamo ogni cura. È per questo… (Si stringono la mano.)

CARLO.                    Non credevo che finisse tanto presto. (Si sente il campanello. A Fortunata.) Va a chiamare Carla!

ELENA.                     Permetta che vada io! È nella sua stanza, nevvero?

FORTUNATA. Sissignora. Chissà se sono loro! (Elena via. Fortunata e Carlo vanno alla porta.)

 

SCENA OTTAVA

MARCO, IGNAZIO LONELLI e DETTI

 

CARLO.                    Si accomodino, signori!

IGNAZIO                  (ridendo). Hi, hi! Piuttosto, non si scomodino loro! La signora, poi!… (Entrano. Carlo porge delle sedie; Ignazio guarda attorno.)

CARLO.                    Carla verrà subito. (Presentando.) Mia moglie Fortunata, il signor Marco Lonelli, il signor Ignazio lo conosci già… (Tutti s'inchinano.)

MARCO                    (non avendo inteso, in atto di domanda). La signora?

IGNAZIO                  (gridando). La signora Fortunata. Mio zio è un po' duro. (Mostrando l'orecchio.)

MARCO.                   Avevo inteso, però, un nome piú lungo…

IGNAZIO.                 Hi, hi… Erano i nostri nomi… Il signore ci presentava…

CARLO.                    Una bella giornata, oggi.

IGNAZIO.                 Sí, però un po' caldo…

FORTUNATA. Strano! Invece io ho un po' freddo…

IGNAZIO.                 Ognuno sente diversamente. (Gridando.) Mio zio poi ha sempre freddo.

MARCO.                   Ohibò! Anzi, ho sempre caldo. Qui per esempio fa molto caldo. Questa stanza è posta a mezzodí?

CARLO.                    No, signore. (Poi piú forte.) No, signore.

 

SCENA NONA

CARLA, ELENA e DETTI

 

CARLO                     (andando loro incontro). Oh, finalmente! (Presentando.) Mia sorella Carla, la signora Elena Morfi. Il signor Marco Lonelli (Complimenti.)

CARLA                     (a Ignazio) Perché grida tanto Carlo?

IGNAZIO.                 Lo zio è un poco sordo.

CARLA.                    Poveretto!

MARCO                    (andando da Ignazio). Quale delle due è la tua sposa?

IGNAZIO.                 Hi, hi! (Fa un piccolo segno verso Carla.)

MARCO.                   Signorina, finora io ho fatto da padre ad Ignazio. Spero che d'ora innanzi, anziché uno avrò due figliuoli.

CARLA                     (imbarazzata). Grazie! (Lunga pausa.)

ELENA                      (tossendo). Una bella giornata quest'oggi.

IGNAZIO.                 Hi, hi, hi! Tanto è vero che anche il signor Carlo lo aveva osservato.

CARLO.                    Oggi, signori, mi favoriranno a pranzo e dopo firmeremo il contratto.

IGNAZIO.                 Senza chiedere il permesso a mio zio, accetto per me e per lui. Hi, hi, hi! Zio, il signor Carlo c'invita a pranzo…

MARCO                    (inchinandosi). La ringrazio, molto. Ma ho già un precedente impegno.

IGNAZIO.                 Ma è che appena dopopranzo firmeremo il contratto.

MARCO.                   Lo so. Allora ritorneremo dopopranzo.

CARLO.                    Mi dispiace di non averli avvertiti prima. Lei, almeno, rimarrà.

IGNAZIO                  (accettando). Mille grazie.

ELENA                      (ridendo). Badi che qui al venerdí si mangia di magro.

IGNAZIO.                 Hi, hi, hi! Cosa fa? Mangerò di magro. (Guardando Carla.) Già mi è indifferente, perché ho paura che non mangerò nulla.

CARLO.                    Non è mica causa mia che mangiamo di magro il venerdí. È un'abitudine importata in famiglia da mia moglie. Io non credo affatto.

FORTUNATA. Come, causa mia? A me non importerebbe affatto. Son tutte fiabe.

IGNAZIO.                 Allora causa sua, signorina.

CARLA                     (ridendo). Ha!

IGNAZIO.                 Ma di chi allora? Hi, hi, hi!

CARLO.                    È l'abitudine. Mio padre, poveretto, mangiava di magro il venerdí. Io mi sono abituato da bambino. Dopo, quasi per pregiudizio, ho mantenuto l'uso.

IGNAZIO.                 Dunque, lei crede.

CARLO.                    Ah, niente affatto.

IGNAZIO.                 Allora lei non crede, ma mangia di magro, il venerdí. In casa di mio zio si mangia di magro, perché cosí vuole la cuoca.

TUTTI.                      La cuoca?!

MARCO.                   La cuoca?

IGNAZIO.                 Dicevo che lei, zio, ha un magnifico cavallo.

MARCO.                   Ah, sí. Bellissimo! Mi è costato un occhio della testa.

CARLO.                    Ma perché il signor zio non usa una tromba?

IGNAZIO                  (gridando). Il signor Carlo domanda, perché lei non usa una tromba.

MARCO                    (violento). Neanche per idea! Sarebbe bello veder penzolare dall'orecchio quel coso lungo!

IGNAZIO.                 Nemmeno la sua cuoca ha potuto ancora convincerlo di portarla. Hi, hi, hi! (Nessuno ride. Imbarazzo generale per alcuni secondi. Egli se ne accorge.) Mica che ci sia da pensar male! Solamente scommetto che da qui ad un mese mio zio porterà la tromba. Hi, hi!

CARLO                     (traendo in disparte Ignazio). Potremmo noi parlare un poco seriamente a quattr'occhi? Vuole?

IGNAZIO.                 Ha da dirmi qualcosa, signor cognato… futuro?

CARLO.                    Sí, con mio dispiacere.

IGNAZIO.                 Del matrimonio?

CARLO.                    Mah!… Circa.

IGNAZIO.                 Allora, parli con mio zio.

CARLO.                    Credendo di poterlo fare, finora non mi rivolsi a lei. Ma ora mi pare che sia difficile… (Imbarazzato guarda Marco.)

MARCO.                   Comandi?

FORTUNATA          (gridando). Vuol vedere la nostra casa?

MARCO                    (alzandosi). Sí, signora.

CARLO.                    Dopo puoi rimanere coi signori qui, nella stanzetta qui accanto.

FORTUNATA. Io la precedo. (Via con Marco.)

ELENA.                     E loro, signori, non vengono?

CARLO.                    Verremo subito.

IGNAZIO                  (piano a Carla conducendola alla porta). Procurerò di sbrigarmi al piú presto da questa seccatura. Seccatura… non mica, perché ho da stare con suo fratello, ma perché starei piú volentieri con lei. (Carla via.)

ELENA                      (a Carlo). È stato sprecato poco spirito in questo primo incontro. Non ha ragione di offendersi, per questa osservazione, perché c'ero anch'io.

CARLO.                    Da questa riunione attendevamo non spirito, ma felicità.

ELENA.                     Ben venga la felicità, ma che non sia una felicità troppo noiosa. (Via.)

CARLO.                    Pettegola!

 

SCENA DECIMA

IGNAZIO e CARLO

 

IGNAZIO.                 Gridando un poco si poteva però parlare anche con lo zio.

CARLO.                    Vado soggetto a mali di gola.

IGNAZIO.                 Peccato che siano morti tutti gli altri miei zii. Ne avevo tre da parte materna. Adesso, carissimo cognato, ché credo poterti già chiamare cosí, ti faccio una proposta: Diamoci del tu. Si può parlare meglio ed è piú affettuoso. (Gli offre la mano.)

CARLO                     (stringendogliela). Grazie, era anche mio desiderio.

IGNAZIO.                 E veniamo al fatto che di là ci aspettano.

CARLO.                    Si tratta di una piccola questioncella d'interesse.

IGNAZIO                  (con una smorfia). S'è piccola, non fa nulla.

CARLO.                    Oh, piccolissima! Almeno credo. Come forse saprai ho da dare in dote a mia sorella ventimila franchi.

IGNAZIO                  (s'inchina).

CARLO.                    Di questi ventimila franchi, diecimila ci devono venir pagati sopra una polizza di assicurazione fatta dal nostro povero padre. Gli altri diecimila li ho io, e, finora, come ne ho diritto, fino al dí dopo il matrimonio di Carla, li ho adoperati nel mio commercio di legnami. Dei miei affari non mi ho da lagnare; mantengo benino la mia famiglia, non le faccio mancar nulla e posso portar alta la testa, perché non feci giammai cattiva figura.

IGNAZIO.                 Lo so. Ognuno lo sa.

CARLO.                    Io posso pagare i diecimila franchi. Quando vuoi, magari subito. Ma vediamo un poco. A che cosa ti servirebbero? Tu hai la bottega ben avviata, a quanto mi hai detto tu stesso, e capitali sufficienti. Hai anche un ramo in cui piú del necessario non occorre, poiché non hai da fare contratti come me, che talvolta ascendono a somme che eguagliano tutto il mio avere, né da fidare. Ho da farti una proposta. Lasciali a me quei fondi, e io ti pagherò un interesse del sei per cento all'anno. Dimmi un chiaro sí o no, senza titubanze. Mi pare che nemmeno tu non ne ricaveresti tanto. Vuoi? A me non importa tanto, perché capirai che per diecimila franchi non mi rovino. Faccio la proposta per vostro bene, perché cosí investite un capitale in modo sicuro e conveniente.

IGNAZIO.                 Se non te ne importa tanto, non ho allora nessun ritegno di confessartelo. Anche a me quei diecimila franchi starebbero bene.

CARLO.                    E perché farne?

IGNAZIO.                 Eh, lo sai tu pure che ti è toccato metter su casa tua propria. Sono cose che costano.

CARLO.                    Ma i diecimila franchi…

IGNAZIO                  (con segno di sprezzo). Pf!…

CARLO                     (turbato). Ne aggiungerò quattromila.

IGNAZIO.                 No, perché? Dammeli tutti.

CARLO                     (piú sostenuto). Bene, come vuole. Ho solamente da aggiungere una cosa. Il matrimonio non si farà che da qui a sei mesi.

IGNAZIO.                 Non avevamo già stabilito che doveva aver luogo fra un mese?

CARLO.                    Ora lo dilazioniamo.

IGNAZIO.                 Ma io desidererei di sposarmi fra un mese, e anche Carla.

CARLO.                    Lei sa che sono il tutore di Carla. Ho almeno il diritto di fissare l'epoca del matrimonio.

IGNAZIO.                 Ma perché, perché?

CARLO.                    Carla è giovanissima e può attendere.

IGNAZIO.                 Sei mesi non contano mica tanto nella vita di una ragazza.

CARLO.                    Allora le dirò semplicemente e francamente il perché di questo mio desiderio. Io le ho detto che il mio negozio va bene, ed è vero, ma prima di sei mesi io non posso pagare i diecimila franchi.

IGNAZIO.                 E non può farseli prestare? Un uomo come lei troverà sempre credito per diecimila franchi.

CARLO.                    Non è facile come a lei sembra, e poi… non so perché lei avrebbe ad essere tanto dispiacente per una dilazione di sei mesi.

IGNAZIO.                 Oh, è noioso. Molto piú noioso di quello che crede. Mi permette di parlare un momento con Carla?

CARLO.                    Sí. Però a Carla devo dire prima io qualche cosa. Oh, appena un minuto! (Via con Ignazio. Dopo un istante ritorna con Carla.)

 

 

 

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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:13/07/2005 23.46

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