Canto
quarto
(49-72)
49
Poi,
con la rete in
collo e il lume in
mano,
la
via a Ruggier per
strani groppi
scorse:
al
salir et al
scendere la mano
ai
stretti passi anco
talor gli porse.
Tratto
ch’un miglio o
più l’ebbe
lontano,
con
gli altri dui
compagni al fin
trovorse
in
più capace luogo,
ove all’esempio
d’una
moschea, fatto era
un picciol tempio.
50
Chiaro
vi si vedea come
di giorno,
per
le spesse lucerne
ch’eran poste
in
mezzo e per gli
canti e d’ogn’intorno,
fatte
di nicchi di
marine croste:
a
dar lor l’oglio
traboccava il
corno,
ché
non è quivi cosa
che men coste,
pei
molti capidogli
che divora
e
vivi ingoia il
mostro ad ora ad
ora.
51
Una
stanza alla chiesa
era vicina,
di
più famiglia che
la lor capace,
dove
su bene asciutta
alga marina
nei
canti alcun
commodo letto
giace.
Tengono
in mezo il fuoco
la cucina:
che
fatto avea
l’artefice
sagace,
che
per lungo condutto
di fuor esce
il
fumo, ai luoghi
onde sospira il
pesce.
52
Tosto
che pon Ruggier là
dentro il piede,
vi
riconosce Astolfo
paladino,
che
mal contento in un
dei letti siede,
tra
sé piangendo il
suo fero destino.
Lo
corre ad
abbracciar, come
lo vede:
gli
leva Astolfo
incontro il viso
chino:
e
come lui Ruggier
esser conosce,
rinuova
i pianti, e fa
maggior
l’angosce.
53
Poi
che piangendo
all’abbracciar
più d’una
e
di due volte
ritornati furo,
l’un
l’altro dimandò
da qual fortuna
fosson
dannati in quel
gran ventre
oscuro.
Ruggier
narrò quel
ch’io v’ho già
de l’una
e
l’altra armata
detto, il caso
oscuro,
e
di Ricardo senza
fin si dolse;
Astolfo
poi così la
lingua sciolse:
54
Dal mio peccato (che accusar non voglio
la
mia fortuna)
questo mal mi
avviene.
Tu
di Ricardo, io sol
di me mi doglio:
tu
pati a torto, io
con ragion le
pene.
Ma,
per aprirti
chiaramente il
foglio
sì
che l’istoria
mia si vegga bene,
tu
déi saper che non
son molti mesi
ch’andai
di Francia a
riveder mie’
Inglesi.
55
Quivi,
per chiari e
replicati avisi
essendo
più che certo de
la guerra
che
‘l re di
Danismarca e i
Dazii e i Frisi
apparecchiato
avean contra
Inghilterra;
ove
il bisogno era
maggior mi misi,
per
lor vietar il
dismontar in
terra,
dentro
un castel che fu
per guardia sito
di
quella parte ov’è
men forte il lito:
56
ché
da quel canto il
re mio padre Otton
temea
che fosse
l’isola
assalita.
Signor
di quel castell’era
un barone
ch’avea
la moglie di beltà
infinita;
la
qual tosto ch’io
vidi, ogni
ragione,
ogni
onestà da me fece
partita;
e
tutto il mio
voler, tutto il
mio core
diedi
in poter del
scelerato amore.
57
E
senza aver all’onor
mio riguardo
che
quivi ero signor,
egli vassallo
(ché
contra un debol,
quanto è più
gagliardo
chi
le forze usa,
tanto è maggior
fallo),
poi
che dei prieghi
ire il rimedio
tardo
e
vidi lei più dura
che metallo,
all’insidie
aguzzar prima
l’ingegno,
et
indi alla
violenzia ebbi il
disegno.
58
E
perché, come i
modi miei non
molto
erano
onesti, così
ancor né ascosi,
fui
dal marito in tal
sospetto tolto,
che
in lei guardar
passò tutti i
gelosi.
Per
questo non pensar
che ‘l desir
stolto
in
me s’allenti o
che giamai riposi;
et
uso atti e parole
in sua presenza
da
far romper a
Giobbe la pacienza.
59
E
perché aveva pur
quivi rispetto
d’usar
le forze alla
scoperta seco,
dov’era
tanto populo, in
conspetto
de’
principi e baron
che v’eran meco;
pur
pensai di
sforzarlo, ma
l’effetto
coprire,
e lui far in
vederlo cieco;
e
mezzo a questo un
cavalier trovai,
il
qual molt’era
suo, ma mio più
assai.
60
A’
preghi miei,
costui gli fe’
vedere
com’era
mal accorto e poco
saggio
a
tener dov’io
fossi la mogliere,
che
sol studiava in
procacciargli
oltraggio;
e
saria più
laudabile parere,
tosto
che m’accadesse
a far viaggio
da
un loco a un
altro, com’era
mia usanza,
di
salvar quella in
più sicura
stanza.
61
Còrre
il tempo potea la
prima volta
che,
per non ritornar
la sera, andassi:
che
spesso aveva in
uso andar in volta
per
riparar, per
riveder i passi.
Gualtier
(che così avea
nome) l’ascolta,
né
vuol ch’indarno
il buon consiglio
passi:
pensa
mandarla in
Scozia, ove di
quella
il
padre era signor
di più castella.
62
Quindi
segretamente
alcune some
de
le sue miglior
cose in Scozia
invia.
Io
do la voce d’ir
a Londra; e, come
mi
par il tempo, un dì
mi metto in via;
et
ei con Cinzia sua
(che così ha
nome),
senza
sospetto di trovar
tra via
cosa
ch’all’andar
suo fosse molesta,
del
castello esce, et
entra in la
foresta.
63
Con
donne e con
famigli disarmati
la
via più dritta
inverso Scozia
prese:
non
molto andò, che
cadde negli aguati,
ne
l’insidie che i
miei li avean già
tese.
Avev’io
alcuni miei fedel
mandati,
che
co’ visi coperti
in strano arnese
gli
furo adosso, e
tolser la
consorte,
e
a lui di grazia fu
campar da morte.
64
Quella
portano in fretta
entro una torre,
fuor
de la gente, in
loco assai rimoto;
donde
a me senza indugio
un messo corre,
il
qual mi fa tutto
il successo noto.
Io
già avea detto di
volermi tòrre
de
l’isola; e la
causa di tal moto
era,
ch’udiva esser
Rinaldo a Carlo
fatto
nemico, et io
volea aiutarlo.
65
Alli
amici fo motto; e,
come io voglia
passar
quel giorno,
inverso il mar mi
movo;
poi
mi nascondo, et
armi muto e
spoglia,
e
piglio a’ miei
servigi un scudier
novo;
e
per le selve ove
meno ir si soglia,
verso
la torre ascosa
via ritrovo;
e
dove è più
solinga e strana
et erma,
incontro
una donzella che
mi ferma,
66
e
dice: “Astolfo,
giovaràtti
poco”
che
mi chiamò per
nome “andar di
piatto;
che
ben sarai trovato,
e a tempo e a loco
ti
punirà quello a
chi ingiuria hai
fatto.”
Così
dice; e ne va poi
come foco
che
si vede pel ciel
discorrer ratto:
la
vuo’ seguir; ma
sì corre, anzi
vola,
che
replicar non posso
una parola.
67
E
se n’andò quel
dì medesimo anco
a
ritrovar Gualtiero
afflitto e mesto,
che
per dolor si
battea il petto e
‘l fianco,
e
gli fe’ tutto il
caso manifesto:
non
già ch’alcun me
lo dicessi, e
manco
che
con gli occhi i’l
vedessi, io dico
questo;
ma,
così, discorrendo
con la mente,
veggo
che non puote
esser altramente.
68
Conietturando,
similmente, seppi
esser
costei d’Alcina
messaggera;
che
dal dì ch’io mi
sciolsi dai suoi
ceppi,
sempre
venuta insidiando
m’era.
Come
ho detto, costei
Gualtier pei
greppi
pianger
trovò di sua
fortuna fiera;
né
chi offeso l’avea
gli mostra solo,
ma
il modo ancor di
vendicar suo
duolo.
69
E
lo pon, come suol
porre alla posta
il
mastro de la
caccia i spiedi e
i cani;
e
tanto fa, ch’un
mio corrier,
ch’in posta
mandav’a
Antona, gli fa
andar in mani.
Io
scrivea a un mio,
ch’ivi tenea a
mia posta
un
legno per portarmi
agli Aquitani,
il
giorno ch’io
volea che fosse a
punto
in
certa spiaggia per
levarmi giunto.
70
Né
in Antona volea né
in altro porto,
per
non lasciar
conoscermi,
imbarcarmi:
del
segno ancora io lo
faceva accorto
col
qual volea dal
lito a lui
mostrarmi,
acciò
stando sul mar
tuttavia sorto
mandasse
il palischermo
indi a levarmi;
et,
all’incontro, il
segno che dovessi
far
egli a me in la
lettera gli
espressi.
71
Ben
fu Gualtier de la
ventura lieto,
che
sì gli apria la
strada alla
vendetta.
Fe’
che tornar non poté
il messo, e,
cheto,
dov’era
un suo fratel se
n’andò in
fretta,
e
lo pregò che gli
armasse in segreto
un
legno di fedele
gente eletta.
Avuto
il legno, il buon
Gualtiero corse
al
capo di Lusarte, e
quivi sorse.
72
Vicino
a questo mar sedea
la rocca,
dove
aspettava in parte
assai selvaggia,
sì
ch’apparir veggo
lontan la cocca
col
segno da me dato
in su la gaggia:
io,
d’altra parte,
quel ch’a me far
tocca
gli
mostro da la torre
e da la spiaggia.
Manda
Gualtier lo
schiffo, e me
raccoglie,
et
un scudier c’ho
meco, e la sua
moglie.

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