Canto
quarto
(1-24)
1
Donne
mie care, il torto
che mi fate
bene
è il maggior che
voi mai feste
altrui:
che
di me vi dolete et
accusate
che
nei miei versi io
dica mal di vui,
che
sopra tutti gli
altri v’ho
lodate,
come
quel che son
vostro e sempre
fui:
io
v’ho offeso,
ignorante, in un
sol loco;
vi
lodo in tanti a
studio, e mi val
poco.
2
Questo
non dico a tutte,
ché ne sono
di
quelle ancor
c’hanno il
giudicio dritto,
che
s’appigliano al
più che ci è di
buono,
e
non a quel che per
cianciare è
scritto;
dàn
facilmente a un
leve error
perdono,
né
fan mortal un veni
al delitto.
Pur,
s’una m’odia,
ancor che m’amin
cento,
non
mi par di restar
però contento:
3
ché,
com’io tutte
riverisco et amo,
e
fo di voi, quanto
si può far,
stima,
così
né che pur una
m’odii bramo,
sia
d’alta sorte o
mediocre o
d’ima.
Voi
pur mi date il
torto, et io mel
chiamo;
concedo
che v’ha offese
la mia rima:
ma
per una ch’in
biasmo vostro
s’oda,
son
per farne udir
mille in gloria e
loda.
4
Occasion
non mi verrà di
dire
in
vostro onor, che
preterir mai
lassi;
e
mi sforzerò ancor
farla venire,
acciò
il mondo empia e
fin nel ciel
trapassi;
e
così spero vincer
le vostr’ire,
se
non sarete più
dure che sassi:
pur,
se sarete anco
ostinate poi,
la
colpa non più in
me serà, ma in
voi.
5
Io
non lasciai per
amor vostro troppo
Gano
allegrar di
Bradamante presa,
ché
venir da Valenza
di galoppo
feci
il signor d’Anglante
in sua difesa;
et
or costui che
credea sciorre il
groppo
di
Gano, e far alle
guerriere offesa,
a
vostro onor udite
anco in che guisa,
con
tutti i suoi,
trattar fo da
Marfisa.
6
Marfisa
parve al stringer
de la spada
una
Furia che uscisse
de lo inferno;
gli
usberghi e gli
elmi, ovunque il
colpo cada,
più
fragil son che le
cannucce il verno;
o
che giù al petto
o almen che a’
denti vada,
o
che faccia del
busto il capo
esterno,
o
che sparga
cervella, o che
triti ossa,
convien
che uccida sempre
ogni percossa.
7
Dui
ne partì fra la
cintura e
l’anche:
restar
le gambe in sella
e cadde il busto;
da
la cima del capo
un divise anche
fin
su l’arcion,
ch’andò in dui
pezzi giusto;
tre
ferì su le spalle
o destre o manche;
e
tre volte uscì il
colpo acre e
robusto
sotto
la poppa dal
contrario lato:
dieci
passò da l’uno
all’altro lato.
8
Lungo
saria voler tutti
gli colpi
de
la spada crudel,
dritti e riversi,
quanti
ne sveni, quanti
snervi e spolpi,
quanti
ne tronchi e fenda
porre in versi.
Chi
fia che Lupo di
viltade incolpi,
e
gli altri in fuga
appresso a lui
conversi,
poi
che dal brando che
gli uccide e
strugge
difender
non si può se non
chi fugge?
9
Creduto
avea la figlia di
Beatrice
d’esser
venuta a far quivi
battaglia,
e
si ritrova giunta
spettatrice
di
quanto in armi la
cognata vaglia:
ché
non è alcun del
numero infelice
ch’a
lei s’accosti
pur, non che l’assaglia:
che
fan pur troppo,
senza altri
assalire,
se
puon, volgendo il
dosso, indi
fuggire.
10
D’ogni
salute or
disperato Gano,
di
corvi, d’avoltor
ben si vede ésca;
ché,
poi che questo
aiuto è stato
vano,
altro
non sa veder che
gli riesca.
Lo
trasser le cognate
a Mont’Albano,
che
più che morte par
che gli rincresca;
e
fin ch’altro di
lui s’abbia a
disporre,
lo
fan calar nel piè
giù d’una
torre.
11
Ruggiero
intanto al suo
viaggio intento,
ch’ancor
nulla sapea di
questo caso,
carcando
or l’orza et or
la poggia al
vento,
facea
le prore andar
volte
all’occaso.
Ogni
lito di Francia più
di cento
miglia
lontano a dietro
era rimaso.
Tutta
la Spagna, che non
sa a ch’effetto
l’armata
il suo mar solchi,
è in gran
sospetto.
12
La
città nominata da
l’antico
Barchino
Annon, tumultuar
si vede;
Taracona
e Valenza, e il
lito aprico
a
cui l’Alano e il
Gotto il nome
diede;
Cartagenia,
Almeria, con ogni
vico,
de’
bellicosi Vandali
già sede;
Malica,
Saravigna, fin là
dove
la
strada al mar
diede il figliuol
di Giove.
13
Avea
Ruggier lasciato
poche miglia
Tariffa
a dietro, e da la
destra sponda
vede
le Cade, e più
lontan Siviglia,
e
ne le poppe avea
l’aura seconda;
quando
a un tratto di
man, con
maraviglia,
un’isoletta
uscir vide de
l’onda:
isola
pare, et era una
balena
che
fuor dal mar
scopria tutta la
schena.
14
L’apparir
del gran mostro,
che ben diece
passi
del mar con tutto
il dosso usciva,
correr
all’armi i
naviganti fece,
et
a molti bramar
d’essere a riva.
Saette
e sassi e foco
acceso in pece
da
tutto il stuolo in
gran rumor veniva
di
timpani e di
trombe, e tanti
gridi,
che
facea il ciel, non
che sonare i lidi.
15
Poco
lor giova ir
l’acqua e l’aer
vano
di
percosse e di
strepiti ferendo:
che
non si fa per
questo più
lontano,
né
più si fa vicino
il pesce orrendo;
quanto
un sasso gittar si
può con mano,
quel
vien l’armata
tuttavia seguendo:
sempre
le appar col
smisurato fianco
ora
dal destro lato,
ora dal manco.
16
Andar
tre giorni et
altre tante notti,
quanto
il corso dal
stretto al Tago
dura,
che
sempre di restar
sommersi e rotti
dal
vivo e mobil
scoglio ebbon
paura:
gli
assalse il quarto
dì, che già
condotti
eran
sopra Lisbona,
un’altra cura:
ché
scoperson
l’armata di
Ricardo
che
contra lor venia
dal mar Picardo.
17
Insieme
si conobbero
l’armate,
tosto
che l’una ebbe
de l’altra
vista:
Ruggier
si crede ch’ambe
sian mandate
perché
lor meno il
Lusitan resista;
e
non che, per
zizanie seminate
da
Gano, l’una
l’altra abbia a
far trista:
non
sa il meschin che
colui sia venuto
per
ruinarlo, e non
per darli aiuto.
18
Fa
sugli arbori tutti
e in ogni gabbia
e
le bandiere
stendere e i
pennoni,
dare
ai tamburi, e
gonfiar guance e
labbia
a
trombe, a corni, a
pifari, a bussoni:
come
allegrezza et
amicizia s’abbia
quivi
a mostrar, fa
tutti i segni
buoni;
gittar
fa in acqua i
palischermi, e
gente
a
salutarlo manda
umanamente.
19
Ma
quel di Normandia,
ch’assai diverso
dal
buon Ruggier ha in
ogni parte il
core,
al
suo vantaggio
intento, non fa
verso
lui
segno alcun di
gaudio né
d’amore;
ma,
con disir di
romperlo e
sommerso
quivi
lasciar, ne vien
senza rumore;
e
scostandosi in
mar, l’aura
seconda
si
tolle in poppa,
ove Ruggier l’ha
in sponda.
20
Poi
che vide Ruggiero
assenzo al mèle,
armi
a’ saluti, odio
all’amore
opporse;
e
che, ma tardi, del
voler crudele
del
capitan di
Normandia
s’accorse;
né
più poter montar
sopra le vele
di
lui, né per
fuggir di mezo tòrse,
si
volse e diede a’
suoi duri
conforti,
ch’invendicati
almen non fosser
morti.
21
L’armata
de’ Normandi
urta e fracassa
ciò
che tra via,
cacciando Borea,
intoppa;
e
prore e sponde al
mare aperte lassa,
da
non le serrar poi
chiovi né stoppa:
ch’ogni
sua nave al mezo,
ove è più bassa,
vince
dei Provenzal la
maggior poppa.
Ruggier,
col disvantaggio
che ciascuna
nave
ha minor, ne
sostien sei
contr’una.
22
Il
naviglio maggior
d’ogni normando,
che
nel castel da
poppa avea
Ricardo,
per
l’alto un pezzo
era venuto
orzando:
come
su l’ali il
pellegrin
gagliardo,
che
mentre va per
l’aria
volteggiando,
non
leva mai da la
riviera il
sguardo;
e
vista alzar la
preda ch’egli
attende,
come
folgor dal ciel
ratto giù scende.
23
Così
Ricardo, poi che
in mar si tenne
alquanto
largo, e vedut’ebbe
il legno
con
che venia Ruggier,
tutte l’antenne
fece
carcar fino
all’estremo
segno;
e,
sì come era sopra
vento, venne
ad
investire, e riuscì
il disegno:
ché
tutto a un tempo
fur l’àncore
gravi
d’alto
gittate ad
attaccar le navi;
24
e
correndo alle
gomone in aita
più
d’una mano, i
legni gionti furo.
Da
pal di ferro
intanto e da
infinita
copia
di dardi era
nissun sicuro:
che
da le gagge ne
cadea, con trita
calzina
e solfo acceso, un
nembo scuro:
né
quei di sotto a
ritrovar si vanno
con
minor crudeltà,
con minor danno.

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