Canto
terzo
(1-28)
1
D’ogni
desir che tolga
nostra mente
dal
dritto corso et a
traverso mande,
non
credo che si trovi
il più possente
né
il più commun di
quel de l’esser
grande:
brama
ognun d’esser
primo, e molta
gente
aver
dietro e da lato,
a cui commande;
né
mai gli par che
tanto gli altri
avanzi,
che
non disegni ancor
salir più inanzi.
2
Se
questa voglia in
buona mente cade
(ch’in
buona mente ha
forza anco il
desire),
l’uom
studia che virtù
gli apra le
strade,
che
sia guida e
compagna al suo
salire:
ma
se cade in ria
mente (ché son
rade
che
dir buone possiam
senza mentire),
indi
aspettar calunnie,
insidie e morte,
et
ogni mal si può
di piggior sorte.
3
Gano,
non gli bastando
che maggiore
non
avea alcuno in
corte, eccetto
Carlo,
era
tanto insolente,
che minore
lui
vorria ancora, e
avea disio di
farlo;
et
or che
sopranatural
favore
si
sentia da colei
che potea darlo,
oltra
il desir avea
speme e disegno
fra
pochi giorni
d’occupargli il
regno.
4
E
pur che fosse il
suo desir
successo,
non
saria dal fellon,
senza rispetto
che
tra gli primi suoi
baroni messo
Carlo
l’avea di luogo
infimo e abietto,
stato
ferro né tòsco
pretermesso,
né
scelerato alcun
fatto né detto;
e
mille al giorno,
non che un
tradimento,
ordito
avria per
conseguir suo
intento.
5
Carlo
tutto il successo
de la guerra
narrò
senza sospetto al
Maganzese,
e
gli mostrò ch’avria
in poter la terra
prima
ch’a mezo ancor
fosse quel mese.
Questo
nel petto il
traditor non
serra,
ma
tosto a Cardoran
lo fa palese;
e
per un suo gli
manda a dar
consiglio
come
possa schifar
tanto periglio.
6
Da
quella volpe il re
boeme instrutto,
mandò
un araldo in campo
l’altro giorno,
che
così disse a
Carlo, essendo
tutto
corso
ad udir il populo
d’intorno:
Il
mio signor, da la
tua fama indutto,
o
imperador d’ogni
virtute adorno,
per
crudeltà non
pensa né avarizia
ch’abbi
raccolto qui tanta
milizia;
7
né
che tu metta il
fin di tua
vittoria
in
averli la vita o
il stato tolto,
ma
solo in aver
vinto; ché tal
gloria
più
che sua morte o
che ‘l suo aver
val molto
acciò
che il nome tuo ne
la memoria
del
mondo viva e mai
non sia sepolto:
ché
contra ogni ragion
saresti degno,
come
tu sei, se fessi
altro disegno.
8
Ma
tu non guardi
fosse che
l’effetto
tutto
contrario appar a
quel che brami:
tu
brami d’esser
glorioso detto,
e
con l’effetto
tuttavia
t’infami.
Che
tu sia entrato nel
nostro distretto
con
cento mille
armati, gloria
chiami;
ma
quanto ella sia
grande estimar déi,
che
noi siamo a fatica
un contra sei.
9
Milziade
e Temistocle
converse
a
parlar in suo onor
tutte le genti,
perché
con pochi armati,
questi erse,
quel
vinse Dario, in
terra e in mar
possenti.
Vincer
pochi con molti,
mai tenerse
non
sentisti fra
l’opere
eccellenti.
S’in
te è valor, pon
giù il vantaggio,
e poi
vien
alla prova, e
vincine, se puoi.
10
Da
sol a sol la pugna
t’offerisce,
da
dieci a dieci, o
voi da cento a
cento,
il
mio signor; e
accresce e
minuisce,
secondo
che accettar tu
sei contento:
con
patto che se Dio
lui favorisce,
sì
che tu resti vinto
o preso o spento,
che
tu gli abbi a
rifar e danni e
spese,
e
tornar col tuo
campo in tuo
paese;
11
né
chi la Francia e
chi l’Imperio
regge
fino
a cento anni lo
guerreggi mai:
ma
se tu vinci lui,
torrà ogni legge
ch’imporre
a senno tuo tu gli
vorrai.
Il
buon pastor pon
l’anima pel
gregge:
essendo
tu quel re di che
fama hai,
la
tua persona o di
pochi altri
arrisca,
acciò
così gran popul
non perisca.
12
Così
disse lo araldo, né
risposta
lo
imperador gli
diede allora
alcuna;
ma
da la moltitudine
si scosta
e
i consiglieri suoi
seco raguna,
ché
lor sentenzie
sopra la proposta
de
l’araldo udir
vuol ad una ad
una.
Il
primo fu Turpin
che consigliasse
che
l’invito del
Barbaro
accettasse,
13
non
già da sol a sol,
ma in compagnia
di
quattro o sei
de’ suoi
guerrier più
forti;
dei
quali egli esser
uno si offeria.
Così
Namo et Uggier par
che conforti;
e
che fra dieci dì
la pugna sia,
o
quanto può che
‘l termine più
scorti:
perché,
successo che lor
sia ben questo,
possano
volger poi
l’animo al
resto.
14
Era
in quei cavallier
tanta arroganza
pei
fortunati antichi
lor successi,
che
tutti in quella
impresa, con
baldanza
di
restar vincitor,
si sarian messi.
Poi
disse il suo parer
quel di Maganza,
che
la pugna accettar
pur si dovessi;
ma
non però venir a
farla inante
che
Rinaldo ci fosse o
quel d’Anglante;
15
che
ci fosse Olivier
con ambi i figli,
Ruggier
et alcun altro dei
famosi:
ché
quando senza
questi ella si
pigli,
fòran
di Carlo i casi
perigliosi.
Tenete
voi sì privi di
consigli
gli
inimici, dicea
che
fosser osi
di
domandar a par a
par battaglia,
se
non han gente
ch’al contrasto
vaglia?
16
Se
non ci
intervenisse la
corona
di
Francia, non avrei
tanti riguardi;
benché,
né senza ancor,
di scelta buona
si
de’ mancar in tòrre
i più gagliardi:
ma
dovendo venirci il
re in persona,
come
a bastanza potremo
esser tardi
a
darli, con
consiglio ben
maturo,
compagnia
con la qual sia più
sicuro?
17
Io
non vi contradico
che valenti
cavallier
qui non sian come
coloro
che
nominati v’ho
per eccellenti;
ma
non sappiàn così
le prove loro.
Questo
luogo non è da
esperimenti
di
chi sia, al
paragon, di rame o
d’oro:
vogliàn
di quei che cento
volte esperti,
de
la virtute lor
n’han fatti
certi.
18
E
seguitò
mostrando, con
ragioni
di
più efficacia
ch’io non so
ridire,
che
non doveano senza
i dui campioni,
lumi
di Francia, a tal
pruova venire;
e
la sua vinse
l’altre
opinioni,
che
la pugna si avesse
a diferire
fin
che venisse a così
gran bisogna
l’uno
d’Italia e
l’altro di
Guascogna.
19
Queste
parole et altre
dicea Gano
per
carità non già
del suo signore;
ma
di vietar che non
gli andasse in
mano
quella
città studiava il
traditore,
e
tanto prolungar,
che Cardorano
l’aiuto
avesse che
attendea di fuore:
in
somma, il suo
parer parve
perfetto,
e
fu per lo miglior
di tutto eletto.
20
Che
dieci guerrier
fossero, si prese
conclusion,
pur come Gano
volse;
e
da’ dieci di
maggio al fin del
mese
di
giugno un lungo
termine si tolse.
In
questo mezo si
levar le offese,
e
quello assedio
tanto si
disciolse,
che
Praga potea aver
di molte cose
che
fossino alla vita
bisognose.
21
Nuove
intanto venian de
l’apparecchio
che
l’Ungaro facea
d’armata grossa;
ma
sempre Gano a
Carlo era
all’orecchio,
che
dicea: Non
temer che faccia
mossa.
Io
lessi già in un
libro molto
vecchio,
né
l’auttor par che
sovvenir mi possa,
ch’Alcina
a Gano un’erba
al partir diede,
che
chi ne mangia fa
ch’ognun gli
crede.
22
Quella
mostrò nel monte
Sina Dio
a
Moise suo, sì che
con essa poi
il
popul duro fece
umile e pio,
e
ubidiente alli
precetti suoi.
Poi
la mostrò il
demonio a Macon
rio,
a
perdizion degli
Afri e degli Eoi:
la
tenea in bocca
predicando, e
valse
ritrar
chi udiva alle sue
leggi false.
23
Gano,
avendo già in
ordine l’orsoio,
di
sì gran tela
apparecchiò la
trama;
e
quel demon che
d’uno in altro
coio
si
sa mutar, a sé da
l’anel chiama.
Vertunno,
disse
di
disir mi moio
di
fornir quel che da
me Alcina brama;
e
pensando la via,
veggio esser forza
che
d’alcun ch’io
dirò tu pigli
scorza.
24
E
le parole seguitò,
mostrando
che
tramutar s’avea
prima in Terigi:
Terigi
che scudiero era
d’Orlando,
venuto
da fanciul ai
suo’ servigi;
e
dopo in altre
facce, e seminando
dovea
gir sempre
scandali e litigi.
Presa
che di Terigi ebbe
la forma,
di
quanto avesse a
far tolse la
norma.
25
Di
sua mano le
lettere si scrisse
credenzial,
come dettolli Gano;
che,
con stupor
vedendole, poi
disse
Orlando,
e Carlo, ch’eran
di sua mano.
Postole
il sigil sopra,
dipartisse
Vertunno,
e col signor di
Mont’Albano,
ch’era
a campo a Morlante,
ritrovosse
prima
che giunto al fin
quel giorno fosse.
26
Presso
a Morlante avea
Rinaldo, e sotto
il
vicin monte, avuto
aspra battaglia;
et
in essa lo
esercito avea
rotto
de
li nimici, e morto
e messo a taglia.
Unuldo
ne la terra era
ridotto,
e
Rinaldo gli avea
fatto serraglia,
pien
di speranza, in
uno assalto o dui,
d’aver
in suo poter la
terra e lui.
27
Veduto
il viso et il
parlar udito,
che
di Terigi avean
chiara sembianza,
Rinaldo
fa carezze in
infinito
al
messaggier del
conte di Maganza:
che
sia d’Orlando, e
quello avea
sentito
per
fama, gli dimanda
con instanza;
come
abbia a piè de
l’Alpi, et indi
appresso
Vercelli,
in fuga il
Longobardo messo.
28
Come
presente alle
battaglie stato
fosse
il demonio, gli
facea risposta;
e
la lettera
intanto, che
portato
di
credenza gli avea,
gli ebbe in man
posta.
Quel
l’apre e legge;
e lui per man
pigliato,
da
chi lo possa udir
seco discosta.
Vertunno,
prima ch’altro
incominciasse,
di
petto un’altra
lettera si trasse.

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