Canto
primo
(57-84)
57
De
l’aureo albergo
essendo il Sol già
uscito,
lasciò
la visione e il
sonno Gano,
tutto
pien di dolor dove
sentito
toccar
s’avea con la
gelata mano.
Ciò
che vide dormendo
gli è scolpito
già
ne la mente, e non
l’estima vano;
non
false illusion, ma
cose vere
gli
par che gli abbia
Dio fatto vedere.
58
Da
quell’ora il
meschin mai più
riposo
non
ritrovò, non
ritrovò più
pace:
da
l’occulto venen
il cor gli è
roso,
che
notte e giorno
sospirar lo face:
gli
par che liberale e
grazioso
sia
a tutti gli altri,
et a nessun
tenace,
se
non a’ Maganzesi,
il re di Francia;
fuor
che la lor
premiata abbia
ogni lancia.
59
Già
fuor di tende,
fuor de padiglioni
in
Parigi tornata era
la corte,
avendo
Carlo i principi e
baroni
e
tutti i forestier
di miglior sorte
fatto,
con gran proferte
e ricchi doni,
contenti
accompagnar fuor
de le porte;
e
tra’ più arditi
cavallier del
mondo
stava
a goder il suo
stato giocondo.
60
E
come saggio padre
di famiglia
la
sera dopo le
fatiche a mensa
tra
gli operari con
ridenti ciglia
le
giuste parti a
questo e a quel
dispensa;
così,
poi che di Libia e
di Castiglia
spentasi
intorno avea la
face accensa,
rendea
a signori e
cavallieri merto
di
quanto in armi
avean per lui
sofferto.
61
A
chi collane
d’oro, a chi
vasella
dava
d’argento, a chi
gemme di pregio;
cittadi
aveano alcuni,
altri castella:
ordine
alcun non fu, non
fu collegio,
borgo,
villa né tempio né
capella,
che
non sentisse il
beneficio regio:
e
per dieci anni
fe’ tutte le
genti
ch’avean
patito dai tributi
esenti.
62
A
Rinaldo il governo
di Guascogna
diede,
e pension di molti
mila franchi;
tre
castella a Olivier
donò in Borgogna,
che
del suo antiquo
stato erano a’
fianchi;
donò
ad Astolfo in
Picardia Bologna;
non
vi dirò ch’al
suo nipote manchi:
diede
al nipote principe
d’Anglante
Fiandra
in governo, e donò
Bruggia e Guante;
63
e
promesse lo
scettro e la
corona,
poi
che n’avesse il
re Marsiglio
spinto,
del
regno di Navara e
di Aragona,
la
qual impresa allor
era in procinto.
Ebbe
la figlia d’Amon
di Dordona
da
quello del fratel
dono distinto:
le
diè Carlo in
dominio quel che
darle
in
governo solea:
Marsiglia et Arle.
64
In
somma, ogni
guerrier d’alta
virtute,
chi
città, chi
castella ebbe, e
chi ville.
A
Maifisa e a
Ruggier fur
provedute
larghe
provisioni a mille
a mille.
Se
da lo imperator le
grazie avute
tutte
ho a notar, farò
troppe postille:
nessun,
vi dico, o in
commune o in
privato, .
partì
da lui che non
fosse premiato.
65
Né
feudi nominando né
livelli,
fur
senza obligo alcun
liberi i doni;
acciò
il non sciorre i
canoni di quelli
o
non ne tòrre a’
tempi investigioni,
potesse
gli lor figli o
gli fratelli,
gli
eredi far cader di
sue ragioni:
liberi
furo e veri doni,
e degni
d’un
re che degno era
d’imperio e
regni.
66
Or,
sopra gli altri,
quei di
Chiaramonte
nei
real doni avean
tanto vantaggio,
che
sospirar facean dì
e notte il conte
Gan
di Maganza, e
tutto il suo
lignaggio:
come
gli onori d’un
fossero l’onte
de
l’altra parte,
lor pungea il
coraggio;
e
questa invidia
all’odio, e
l’odio
all’ira,
e
l’ira alfine al
tradimento il
tira.
67
E
perché, d’astio
e di veneno
pregno,
potea
nasconder mal il
suo dispetto,
e
non potea non
dimostrar lo
sdegno
che
contra il re per
questo avea
concetto;
e
non men per fornir
alcun disegno
ch’in
parte ordito, in
parte avea nel
petto,
finse
aver voto, e ne
sparse la voce,
d’ire
al Sepolcro e al
monte della Croce:
68
et
era il suo
pensiero ire in
Levante
a
ritrovar il calife
d’Egitto,
col
re de la Soria
poco distante;
e
più sicuro a
bocca che per
scritto
trattar
con essi, che le
terre sante
dove
Dio visse in carne
e fu traffitto,
o
per fraude o per
forza da le mani
fosser
tolte e dal
scettro de’
Cristiani.
69
Indi
andar in Arabia
avea disposto,
e
far scender quei
populi
all’acquisto
d’Africa,
mentre Carlo era
discosto,
e
di gente il paese
mal provisto.
Già
inanzi la partita
avea composto
che
Desiderio al
vicario di Cristo,
Tassillo
a Francia, e a
Scozia e ad
Inghelterra
avesse
il re di Dazia a
romper guerra;
70
e
che Marsilio
armasse in
Catalogna,
e
scendesse in
Provenza e in
Acquamorta,
e
con un altro
esercito in
Guascogna
corresse
a Mont’Alban fin
su la porta;
egli
Maganza, Basilea,
Cologna,
Costanza
et Aquisgrana, che
più importa,
promettea
far ribelle a
Carlo, e in meno
d’un
mese tòrli ogni
città del Reno.
71
Or
fattasi fornir una
galea
di
vettovaglia,
d’armi e di
compagni,
poi
che licenza dal re
tolto avea
uscì
del porto e dei
sicuri stagni.
Restar
a dietro, anzi
fuggir parea
il
lito, et occultar
tutti i vivagni:
indi
l’Alpe a
sinistra apparea
lunge,
ch’Italia
in van da’
Barbari disgiunge;
72
indi
i monti Ligustici,
e riviera
che
con aranzi e
sempre verdi mirti
quasi
avendo perpetua
primavera,
sparge
per l’aria i
bene olenti spirti.
Volendo
il legno in porto
ir una sera
(in
qual a punto io
non saprei ben
dirti),
ebbe
un vento da terra
in modo all’orza
ch’in
mezo il mar lo
fe’ tornar per
forza.
73
Il
vento tra maestro
e tramontana,
con
timor grande e con
maggior periglio,
tra
l’oriente e
mezodì allontana
sei
dì senza
allentarsi unqua
il naviglio.
Fermòssi
al fine ad una
spiaggia strana,
tratto
da forza più che
da consiglio,
dove
un miglio discosto
da l’arena
d’antique
palme era una
selva amena:
74
che
per mezo da
un’acqua era
partita
di
chiaro fiumicel,
fresco e giocondo,
che
l’una e
l’altra proda
avea fiorita
dei
più soavi odor
che siano al
mondo.
Era
di là dal bosco
una salita
d’un
picciol monticel
quasi rotondo,
sì
facile a montar,
che prima il piede
d’aver
salito, che salir
si vede.
75
D’odoriferi
cedri era il bel
colle
con
maestrevole ordine
distinto;
la
cui bell’ombra
al sol sì i raggi
tolle,
ch’al
mezodì dal rezzo
è il calor vinto.
Ricco
d’intagli, e di
soave e molle
getto
di bronzo, e in
parti assai
dipinto,
un
lungo muro in cima
lo circonda,
d’un
alto e signoril
palazzo sponda.
76
Gano,
che di natura era
bramoso
di
cose nuove, e dal
bisogno astretto
(che
già tutto il
biscotto aveano
roso),
de’
suoi compagni
avendo alcuno
eletto,
si
mise a caminar pel
bosco ombroso,
tra
via prendendo
d’ascoltar
diletto
da’
rugiadosi rami
d’arbuscelli
il
piacevol cantar
de’ vaghi
augelli.
77
Tosto
ch’egli dal mar
si pose in via
e
fu scoperto dal
luogo eminente,
diversa
e soavissima
armonia
da
l’alta casa
insino al lito
sente:
non
molto va, che
bella compagnia
truova
di donne, e dietro
alcun sergente
che
palafreni vuoti
avean con loro,
altri
di seta altri
guarniti d’oro;
78
che
con cortesi e
belli inviti fenno
Gano
salir, e chi venìa
con lui.
Con
pochi passi fine
alla via denno
le
donne e i
cavallieri, a dui
a dui.
L’oro
di Creso,
l’artificio e
‘l senno
d’Alberto,
di Bramanti, di
Vitrui,
non
potrebbono far,
con tutto l’agio
di
ducent’anni, un
così bel palagio.
79
E
dai demoni tutto
in una notte
lo
fece far Gloricia
incantatrice,
ch’avea
l’esempio nelle
idee incorrotte
d’un
che Vulcano aver
fatto si dice;
del
qual restaro poi
le mura rotte
quel
dì che Lenno fu
da la radice
svelta,
e gettata con
Cipro e con Delo
dai
figli de la Terra
incontra il cielo.
80
Tenea
Gloricia splendida
e gran corte,
non
men ricca
d’Alcina o di
Morgana;
né
men d’esse era
dotta in ogni
sorte
d’incantamenti
inusitata e
strana;
ma
non, com’esse,
pertinace e forte
ne
l’altrui
ingiurie, anzi
cortese e umana,
né
potea al mondo
aver maggior
diletto
che
onorar questo e
quel nel suo bel
tetto.
81
Sempre
ella tenea gente
alla veletta,
a’
porti et
all’uscita de le
strade,
che
con inviti i
pellegrini alletta
venir
a lei da tutte le
contrade.
Con
gran splendor il
suo palazzo
accetta
poveri
e ricchi e
d’ogni qualitade;
e
il cor de’
viandanti con tai
modi
nel
suo amor lega d’insolubil
nodi.
82
E
come avea di
accarezar usanza
e
di dar a ciascun
debito onore,
fece
accoglienza al
conte di Maganza
Gloricia,
quanto far potea
maggiore;
e
tanto più, che
ben sapea ad
instanza
d’Alcina
esser qui giunto
il traditore:
ben
sapeva ella, ch’avea
Alcina ordito
che
capitasse Gano a
questo lito.
83
Ell’era
stata in India al
gran Consiglio
dove
l’alto
esterminio fu
concluso
d’ogni
guerriero
ubidiente al
figlio
del
re Pipino; e
nessun era
escluso,
eccetto
il Maganzese, il
cui consiglio,
il
cui favor stimar
atto a
quell’uso:
dunque,
a lui le
accoglienze e’
modi grati
che
quivi gli altri
avean, fur
radoppiati.
84
Gloricia
Gano, com’era
commesso
da
chi fatto l’avea
cacciar dai venti,
acciò
quindi ad Alcina
sia rimesso
tra’Sciti
e l’Indi ai suoi
regni opulenti,
fa
la notte pigliar
nel sonno
oppresso,
e
gli compagni
insieme e gli
sergenti.
Così
far quivi agli
altri non si
suole,
ma
dar questo
vantaggio a Gano
vuole.

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