ATTO QUINTO
La scena è nella curia di Pompeo
SCENA PRIMA
Bruto, Cassio, Senatori, che si vanno collocando
ai lor luoghi
CASSIO |
Scarsa esser vuol questa adunanza, parmi;
minor dell'altra assai... |
BRUTO |
Pur che minore
non sia il cor di chi resta; a noi ciò
basta. |
CASSIO |
Odi tu, Bruto, la inquieta plebe,
come giá di sue grida assorda l'aure? |
BRUTO |
Varian sue grida ad ogni nuovo evento:
lasciala; anch'essa in questo dí
giovarne
forse potrá. |
CASSIO |
Mai non ti vidi
io tanto
securo, e in calma. |
BRUTO |
Arde il
periglio. |
CASSIO |
Oh Bruto!...
Bruto, a te solo io cedo. |
BRUTO |
Il gran Pompeo,
che marmoreo qui spira, e ai pochi nostri
par ch'or presieda, omai securo fammi,
quanto il vicin periglio. |
CASSIO |
Ecco,
appressarsi
del tiranno i littori. |
BRUTO |
E Casca, e
Cimbro?... |
CASSIO |
Feri scelto hanno il primo loco, a forza:
sieguon dappresso Cesare. |
BRUTO |
Pensasti
ad impedir che l'empio Antonio?... |
CASSIO |
A bada
fuor del senato il tratterranno a lungo
Fulvio e Macrin; s'anco impedirlo è
d'uopo,
con la forza il faranno. |
BRUTO |
Or, ben sta il
tutto.
Pigliam ciascuno il loco nostro. - Addio,
Cassio. Noi qui ci disgiungiam pur
schiavi;
liberi, spero, abbraccieremci in breve,
ovver morenti. - Udrai da pria gli
estremi
sforzi di un figlio; ma vedrai tu poscia
di un cittadin gli ultimi sforzi. |
CASSIO |
Oh Bruto!
Ogni acciar pende dal solo tuo cenno. |
SCENA SECONDA
Senatori seduti. Bruto e Cassio ai lor luoghi. Cesare, preceduto dai
Littori, che poscia lo lasciano; Casca, Cimbro, e molti altri, lo seguono. Tutti sorgono
all'entrar di Cesare, finch'egli seduto non sia.
CESARE |
Oh! che mai fu? mezzo il senato appena,
benché sia l'assegnata ora trascorsa?...
Ma, tardo io stesso oltre il dover, vi
giungo. -
Padri Coscritti, assai mi duol di avervi
indugiati... Ma pur, qual fia cagione,
che di voi sí gran parte ora mi toglie? |
Silenzio universale.
BRUTO |
Null'uom risponde? - A tutti noi pur nota
è la cagion richiesta. - Or, non te
l'apre,
Cesare, appieno il tacer di noi tutti? -
Ma, udirla vuoi? - Quei che adunar qui
vedi,
il terror gli adunò; quei che non vedi,
gli ha dispersi il terrore. |
CESARE |
A me novelli
non son di Bruto i temerari accenti;
come a te non è nuova la clemenza
generosa di Cesare. - Ma invano;
che ad altercar qui non venn'io... |
BRUTO |
Né invano
ad offenderti noi. - Mal si avvisaro,
certo, quei padri, che in sí lieto
giorno
dal senato spariro: e mal fan quelli,
che in senato or stan muti. - Io, conscio
appieno
degli alti sensi che a spiegar si
appresta
Cesare a noi, mal rattener di gioja
gl'impeti posso; e disgombrar mi giova
il falso altrui terrore. - Ah! no, non
nutre
contro alla patria omai niun reo disegno
Cesare in petto; ah! no: la generosa
clemenza sua, che a Bruto oggi ei
rinfaccia,
e che adoprar mai piú non dee per Bruto,
tutta or giá l'ha rivolta egli
all'afflitta
Roma tremante. Oggi, vel giuro, un nuovo
maggior trionfo a' suoi trionfi tanti
Cesare aggiunge; ei vincitor ne viene
qui di se stesso, e della invidia altrui.
Vel giuro io, sí, nobili padri; a questo
suo trionfo sublime oggi vi aduna
Cesare: ei vuole ai cittadini suoi
rifarsi pari; e il vuol spontaneo: e
quindi,
infra gli uomini tutti al mondo stati,
mai non ebbe, né avrá. Cesare il pari. |
CESARE |
Troncar potrei. Bruto, il tuo dir... |
BRUTO |
Né paia
temeraria arroganza a voi la mia;
pretore appena, osare io pure i detti
preoccupar del dittatore. È Bruto
col gran Cesare omai sola una cosa. -
Veggio inarcar dallo stupor le ciglia:
oscuro ai padri è il mio parlar; ma
tosto,
d'un motto sol, chiaro il farò. - Son
figlio
io di Cesare... |
Grida universale di stupore.
BRUTO |
Sí; di lui son
nato;
e assai men pregio; poiché Cesare oggi,
di dittator perpetuo ch'egli era,
perpetuo e primo cittadin si è fatto. |
Grida universale di gioja.
CESARE |
... Bruto è mio figlio, è ver; l'arcano or
dianzi
glie ne svelava io stesso. A me gran
forza
fean l'eloquenza, l'impeto, l'ardire,
e un non so che di sovruman, che spira
il suo parlar: nobil, bollente spirto,
vero mio figlio, è Bruto. Io quindi, a
farvi,
Romani, il ben che in mio poter per ora
non sta di farvi, assai di me piú degno
lui, dopo me, trascelgo: a lui la intera
mia possanza lasciar, disegno; in esso
fondata io l'ho: Cesare avrete in lui... |
BRUTO |
Securo io stommi: ah! di ciò mai capace,
non che gli amici, né i nemici stessi
piú acerbi e implacabili di Bruto,
nol credon, no. - Cesare a me sua possa
cede, o Romani: e in ciò vuol dir, che
ai preghi
di me suo figlio, il suo poter non giusto
Cesare annulla, e in libertá per sempre
Roma ei ripone. |
Grida universale di gioja.
CESARE |
Or basti. Al mio
cospetto
tu, come figlio, e come a me minore,
tacerti dei. - Cesare, o Padri, or parla.
-
Ir contra i Parti, irrevocabilmente
ho fermo in mio pensiero. All'alba prima,
colle mie fide legioni, io muovo
ver l'Asia: inulta ivi di Crasso l'ombra,
da gran tempo mi appella, e a forza
tragge.
Lascio Antonio alla Italia; abbialo Roma
quasi un altro me stesso: alle assegnate
provincie lor tornino e Cassio, e Cimbro,
e Casca: al fianco mio Bruto starassi.
Spenti i nemici avrò di Roma appena,
a darmi in man de' miei nemici io riedo:
e, o dittatore, o cittadino, o nulla,
qual piú vorrá. Roma a sua posta
avrammi. |
Silenzio universale.
BRUTO |
- Non di Romano al certo, né di padre,
né di Cesare pur, queste che udimmo,
eran parole. I rei comandi questi
fur di assoluto re. - Deh! padre, ancora
m'odi una volta; i pianti ascolta, e i
preghi
di un cittadin, di un figlio. Odimi;
tutta
meco ti parla, or per mia bocca, Roma.
Mira quel Bruto, cui null'uom mai vide
finor né pianger, né pregar; tu il mira
a' piedi tuoi. Di Bruto esser vuoi padre,
e non l'esser di Roma? |
CESARE |
Omai preghiere,
che son pubblico oltraggio, udir non
voglio.
Sorgi, e taci. - Appellarmi osa tiranno
costui; ma, nol son io: se il fossi, a
farmi
sí atroce ingiuria in faccia a Roma, io
stesso
riserbato lo avrei? - Quanto in sua mente
il dittator fermava, esser de' tutto.
L'util cosí di Roma impera; e ogni uomo,
che di obbedirmi omai dubita, o niega,
è di Roma nemico; e lei rubello,
traditor empio egli è. |
BRUTO |
- Come si debbe
da cittadini veri, omai noi tutti
obbediam dunque al dittatore.[1] |
CIMBRO |
Muori,
tiranno, muori. |
CASSIO |
E ch'io pur anco
il fera. |
CESARE |
Traditori... |
BRUTO |
E ch'io sol
ferir nol possa?... |
ALCUNI SENATORI |
Muoia, muoia, il tiranno. |
ALTRI SENATORI, fuggendosi |
Oh vista! Oh
giorno! |
CESARE[2] |
Figlio,... e tu pure?... Io moro... |
BRUTO |
Oh padre!... Oh
Roma!... |
CIMBRO |
Ma, dei fuggenti al grido, accorre in folla
il popol giá... |
CASSIO |
Lascia, che il
popol venga:
spento è il tiranno. A trucidar si corra
Antonio anch'ei. |
SCENA TERZA
Popolo, Bruto, Cesare, morto.
POPOLO |
Che fu? quai
grida udimmo?
qual sangue è questo? Oh! col pugnale in
alto
Bruto immobile sta? |
BRUTO |
Popol di Marte,
(se ancora il sei) lá, lá rivolgi or
gli occhi:
mira chi appiè del gran Pompeo sen
giace... |
POPOLO |
Cesare? oh vista! Ei nel suo sangue
immerso?...
Oh rabbia!... |
BRUTO |
Sí; nel proprio
sangue immerso
Cesare giace: ed io, benché non tinto
di sangue in man voi mi vediate il ferro,
io pur cogli altri, io pur, Cesare
uccisi... |
POPOLO |
Ah traditor! tu pur morrai... |
BRUTO |
Giá volta
sta dell'acciaro al petto mio la punta:
morire io vo': ma, mi ascoltate pria. |
POPOLO |
Si uccida pria chi Cesare trafisse... |
BRUTO |
Altro uccisore invan cercate: or tutti
dispersi giá fra l'ondeggiante folla,
i feritor spariro: invan cercate
altro uccisor, che Bruto. Ove feroci
a vendicare il dittator qui tratti
v'abbia il furore, alla vendetta vostra
basti il capo di Bruto. - Ma, se in
mente,
se in cor pur anco a voi risuona il nome
di vera e sacra libertade, il petto
a piena gioja aprite: è spento al fine,
è spento lá, di Roma il re. |
POPOLO |
Che parli? |
BRUTO |
Di Roma il re, sí, vel confermo, e il
giuro:
era ei ben re: tal qui parlava; e tale
mostrossi ei giá ne' Lupercali a voi,
quel dí che aver la ria corona a schivo
fingendo, al crin pur cinger la si fea
ben tre volte da Antonio. A voi non
piacque
la tresca infame; e a certa prova ei
chiaro
vide, che re mai non saria, che a forza.
Quindi a guerra novella, or, mentre
esausta
d'uomini, e d'armi, e di tesoro è Roma,
irne in campo ei volea; certo egli quindi
di re tornarne a mano armata, e farvi
caro costare il mal negato serto.
L'oro, i banchetti, le lusinghe, i
giuochi,
per far voi servi, ei profondea: ma
indarno
l'empio il tentò; Romani voi, la vostra
libertá non vendete: e ancor per essa
presti a morir tutti vi veggio: e il sono
io, quanto voi. Libera è Roma; in punto
Bruto morrebbe. Or via, svenate dunque
chi libertá, virtú vi rende, e vita;
per vendicare il vostro re, svenate
Bruto voi dunque: eccovi ignudo il
petto...
Chi non vuol esser libero, me uccida. -
Ma, chi uccidermi niega, omai seguirmi
debbe, ed a forza terminar la impresa. |
POPOLO |
Qual dir fia questo? - Un Dio lo inspira... |
BRUTO |
Ah! veggo
a poco a poco ritornar Romani
i giá servi di Cesare. Or, se Bruto
roman sia anch'egli, udite. - Havvi tra
voi
chi pur pensato abbia finora mai
ciò, ch'ora io sto con giuramento
espresso
per disvelare a voi? - Vero mio padre
Cesare m'era... |
POPOLO |
Oh ciel! che mai
ci narri?... |
BRUTO |
Figlio a Cesare nasco; io 'l giuro; ei
stesso
ier l'arcano svelavami; ed in pegno
di amor paterno, ei mi volea, (vel giuro)
voleva un dí, quasi tranquillo e pieno
proprio retaggio suo, Roma lasciarmi. |
POPOLO |
Oh ria baldanza!... |
BRUTO |
E le sue mire
inique
tutte a me quindi ei discoprire ardiva... |
POPOLO |
Dunque (ah pur troppo!) ei disegnava al fine
vero tiranno appalesarsi... |
BRUTO |
Io piansi,
pregai, qual figlio; e in un, qual
cittadino,
lo scongiurai di abbandonar l'infame
non romano disegno: ah! che non feci,
per cangiarlo da re?... Chiesta per anco
gli ho in don la morte; che da lui piú
cara
che il non suo regno m'era: indarno il
tutto:
nel tirannico petto ei fermo avea,
o il regnare, o il morire. Il cenno
allora
di trucidarlo io dava; io stesso il dava
a pochi e forti: ma in alto frattanto
sospeso stava il tremante mio braccio... |
POPOLO |
Oh virtú prisca! oh vero Bruto! |
BRUTO |
È spento
di Roma il re; grazie agli Iddii sen
renda...
Ma ucciso ha Bruto il proprio padre;...
ei merta
da voi la morte... E viver volli io
forse?...
Per brevi istanti, io il deggio ancor;
finch'io
con voi mi adopro a far secura appieno
la rinascente comun patria nostra:
di cittadin liberatore, il forte
alto dover, compier, si aspetta a Bruto;
ei vive a ciò: ma lo immolar se stesso,
di propria man su la paterna tomba,
si aspetta all'empio parricida figlio
del gran Cesare poscia. |
POPOLO |
Oh fero
evento!...
Stupor, terror, pietade;... oh! quanti a
un tempo
moti proviamo?... Oh vista! in pianto
anch'egli,
tra il suo furor, Bruto si stempra?... |
BRUTO |
- Io piango.
Romani, sí; Cesare estinto io piango.
Sublimi doti, uniche al mondo; un'alma,
cui non fu mai l'egual, Cesare avea:
cor vile ha in petto chi nol piange
estinto. -
Ma, chi ardisce bramarlo omai pur vivo,
Roman non è. |
POPOLO |
Fiamma è il tuo
dire, o Bruto... |
BRUTO |
Fiamma sian l'opre vostre; alta è
l'impresa;
degna è di noi: seguitemi; si renda
piena ed eterna or libertade a Roma. |
POPOLO |
Per Roma, ah! sí, su l'orme tue siam presti
a tutto, sí... |
BRUTO |
Via dunque,
andiam noi ratti
al Campidoglio; andiamo; il seggio è
quello
di libertade, sacro: in man lasciarlo
dei traditor vorreste? |
POPOLO |
Andiam: si tolga
la sacra rocca ai traditori. |
BRUTO |
A morte,
a morte andiam, o a libertade.[3] |
POPOLO |
A morte,
con Bruto a morte, o a libertá si vada. |
|