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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Bruto Secondo

Di: Vittorio Alfieri

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ATTO QUINTO

 

La scena è nella curia di Pompeo

 

SCENA PRIMA

 

Bruto, Cassio, Senatori, che si vanno collocando

ai lor luoghi

 

CASSIO

Scarsa esser vuol questa adunanza, parmi;

minor dell'altra assai...

BRUTO

Pur che minore

non sia il cor di chi resta; a noi ciò basta.

CASSIO

Odi tu, Bruto, la inquieta plebe,

come giá di sue grida assorda l'aure?

BRUTO

Varian sue grida ad ogni nuovo evento:

lasciala; anch'essa in questo dí giovarne

forse potrá.

CASSIO

Mai non ti vidi io tanto

securo, e in calma.

BRUTO

Arde il periglio.

CASSIO

Oh Bruto!...

Bruto, a te solo io cedo.

BRUTO

Il gran Pompeo,

che marmoreo qui spira, e ai pochi nostri

par ch'or presieda, omai securo fammi,

quanto il vicin periglio.

CASSIO

Ecco, appressarsi

del tiranno i littori.

BRUTO

E Casca, e Cimbro?...

CASSIO

Feri scelto hanno il primo loco, a forza:

sieguon dappresso Cesare.

BRUTO

Pensasti

ad impedir che l'empio Antonio?...

CASSIO

A bada

fuor del senato il tratterranno a lungo

Fulvio e Macrin; s'anco impedirlo è d'uopo,

con la forza il faranno.

BRUTO

Or, ben sta il tutto.

Pigliam ciascuno il loco nostro. - Addio,

Cassio. Noi qui ci disgiungiam pur schiavi;

liberi, spero, abbraccieremci in breve,

ovver morenti. - Udrai da pria gli estremi

sforzi di un figlio; ma vedrai tu poscia

di un cittadin gli ultimi sforzi.

CASSIO

Oh Bruto!

Ogni acciar pende dal solo tuo cenno.

 

SCENA SECONDA

 

Senatori seduti. Bruto e Cassio ai lor luoghi. Cesare, preceduto dai Littori, che poscia lo lasciano; Casca, Cimbro, e molti altri, lo seguono. Tutti sorgono all'entrar di Cesare, finch'egli seduto non sia.

 

CESARE

Oh! che mai fu? mezzo il senato appena,

benché sia l'assegnata ora trascorsa?...

Ma, tardo io stesso oltre il dover, vi giungo. -

Padri Coscritti, assai mi duol di avervi

indugiati... Ma pur, qual fia cagione,

che di voi sí gran parte ora mi toglie?

 

Silenzio universale.

 

BRUTO

Null'uom risponde? - A tutti noi pur nota

è la cagion richiesta. - Or, non te l'apre,

Cesare, appieno il tacer di noi tutti? -

Ma, udirla vuoi? - Quei che adunar qui vedi,

il terror gli adunò; quei che non vedi,

gli ha dispersi il terrore.

CESARE

A me novelli

non son di Bruto i temerari accenti;

come a te non è nuova la clemenza

generosa di Cesare. - Ma invano;

che ad altercar qui non venn'io...

BRUTO

Né invano

ad offenderti noi. - Mal si avvisaro,

certo, quei padri, che in sí lieto giorno

dal senato spariro: e mal fan quelli,

che in senato or stan muti. - Io, conscio appieno

degli alti sensi che a spiegar si appresta

Cesare a noi, mal rattener di gioja

gl'impeti posso; e disgombrar mi giova

il falso altrui terrore. - Ah! no, non nutre

contro alla patria omai niun reo disegno

Cesare in petto; ah! no: la generosa

clemenza sua, che a Bruto oggi ei rinfaccia,

e che adoprar mai piú non dee per Bruto,

tutta or giá l'ha rivolta egli all'afflitta

Roma tremante. Oggi, vel giuro, un nuovo

maggior trionfo a' suoi trionfi tanti

Cesare aggiunge; ei vincitor ne viene

qui di se stesso, e della invidia altrui.

Vel giuro io, sí, nobili padri; a questo

suo trionfo sublime oggi vi aduna

Cesare: ei vuole ai cittadini suoi

rifarsi pari; e il vuol spontaneo: e quindi,

infra gli uomini tutti al mondo stati,

mai non ebbe, né avrá. Cesare il pari.

CESARE

Troncar potrei. Bruto, il tuo dir...

BRUTO

Né paia

temeraria arroganza a voi la mia;

pretore appena, osare io pure i detti

preoccupar del dittatore. È Bruto

col gran Cesare omai sola una cosa. -

Veggio inarcar dallo stupor le ciglia:

oscuro ai padri è il mio parlar; ma tosto,

d'un motto sol, chiaro il farò. - Son figlio

io di Cesare...

 

Grida universale di stupore.

 

BRUTO

Sí; di lui son nato;

e assai men pregio; poiché Cesare oggi,

di dittator perpetuo ch'egli era,

perpetuo e primo cittadin si è fatto.

 

Grida universale di gioja.

 

CESARE

... Bruto è mio figlio, è ver; l'arcano or dianzi

glie ne svelava io stesso. A me gran forza

fean l'eloquenza, l'impeto, l'ardire,

e un non so che di sovruman, che spira

il suo parlar: nobil, bollente spirto,

vero mio figlio, è Bruto. Io quindi, a farvi,

Romani, il ben che in mio poter per ora

non sta di farvi, assai di me piú degno

lui, dopo me, trascelgo: a lui la intera

mia possanza lasciar, disegno; in esso

fondata io l'ho: Cesare avrete in lui...

BRUTO

Securo io stommi: ah! di ciò mai capace,

non che gli amici, né i nemici stessi

piú acerbi e implacabili di Bruto,

nol credon, no. - Cesare a me sua possa

cede, o Romani: e in ciò vuol dir, che ai preghi

di me suo figlio, il suo poter non giusto

Cesare annulla, e in libertá per sempre

Roma ei ripone.

 

Grida universale di gioja.

 

CESARE

Or basti. Al mio cospetto

tu, come figlio, e come a me minore,

tacerti dei. - Cesare, o Padri, or parla. -

Ir contra i Parti, irrevocabilmente

ho fermo in mio pensiero. All'alba prima,

colle mie fide legioni, io muovo

ver l'Asia: inulta ivi di Crasso l'ombra,

da gran tempo mi appella, e a forza tragge.

Lascio Antonio alla Italia; abbialo Roma

quasi un altro me stesso: alle assegnate

provincie lor tornino e Cassio, e Cimbro,

e Casca: al fianco mio Bruto starassi.

Spenti i nemici avrò di Roma appena,

a darmi in man de' miei nemici io riedo:

e, o dittatore, o cittadino, o nulla,

qual piú vorrá. Roma a sua posta avrammi.

 

Silenzio universale.

 

BRUTO

- Non di Romano al certo, né di padre,

né di Cesare pur, queste che udimmo,

eran parole. I rei comandi questi

fur di assoluto re. - Deh! padre, ancora

m'odi una volta; i pianti ascolta, e i preghi

di un cittadin, di un figlio. Odimi; tutta

meco ti parla, or per mia bocca, Roma.

Mira quel Bruto, cui null'uom mai vide

finor né pianger, né pregar; tu il mira

a' piedi tuoi. Di Bruto esser vuoi padre,

e non l'esser di Roma?

CESARE

Omai preghiere,

che son pubblico oltraggio, udir non voglio.

Sorgi, e taci. - Appellarmi osa tiranno

costui; ma, nol son io: se il fossi, a farmi

sí atroce ingiuria in faccia a Roma, io stesso

riserbato lo avrei? - Quanto in sua mente

il dittator fermava, esser de' tutto.

L'util cosí di Roma impera; e ogni uomo,

che di obbedirmi omai dubita, o niega,

è di Roma nemico; e lei rubello,

traditor empio egli è.

BRUTO

- Come si debbe

da cittadini veri, omai noi tutti

obbediam dunque al dittatore.[1]

CIMBRO

Muori,

tiranno, muori.

CASSIO

E ch'io pur anco il fera.

CESARE

Traditori...

BRUTO

E ch'io sol ferir nol possa?...

ALCUNI SENATORI

Muoia, muoia, il tiranno.

ALTRI SENATORI, fuggendosi

 

Oh vista! Oh giorno!

CESARE[2]

Figlio,... e tu pure?... Io moro...

BRUTO

Oh padre!... Oh Roma!...

CIMBRO

Ma, dei fuggenti al grido, accorre in folla

il popol giá...

CASSIO

Lascia, che il popol venga:

spento è il tiranno. A trucidar si corra

Antonio anch'ei.

 

SCENA TERZA

 

Popolo, Bruto, Cesare, morto.

 

POPOLO

Che fu? quai grida udimmo?

qual sangue è questo? Oh! col pugnale in alto

Bruto immobile sta?

BRUTO

Popol di Marte,

(se ancora il sei) lá, lá rivolgi or gli occhi:

mira chi appiè del gran Pompeo sen giace...

POPOLO

Cesare? oh vista! Ei nel suo sangue immerso?...

Oh rabbia!...

BRUTO

Sí; nel proprio sangue immerso

Cesare giace: ed io, benché non tinto

di sangue in man voi mi vediate il ferro,

io pur cogli altri, io pur, Cesare uccisi...

POPOLO

Ah traditor! tu pur morrai...

BRUTO

Giá volta

sta dell'acciaro al petto mio la punta:

morire io vo': ma, mi ascoltate pria.

POPOLO

Si uccida pria chi Cesare trafisse...

BRUTO

Altro uccisore invan cercate: or tutti

dispersi giá fra l'ondeggiante folla,

i feritor spariro: invan cercate

altro uccisor, che Bruto. Ove feroci

a vendicare il dittator qui tratti

v'abbia il furore, alla vendetta vostra

basti il capo di Bruto. - Ma, se in mente,

se in cor pur anco a voi risuona il nome

di vera e sacra libertade, il petto

a piena gioja aprite: è spento al fine,

è spento lá, di Roma il re.

POPOLO

Che parli?

BRUTO

Di Roma il re, sí, vel confermo, e il giuro:

era ei ben re: tal qui parlava; e tale

mostrossi ei giá ne' Lupercali a voi,

quel dí che aver la ria corona a schivo

fingendo, al crin pur cinger la si fea

ben tre volte da Antonio. A voi non piacque

la tresca infame; e a certa prova ei chiaro

vide, che re mai non saria, che a forza.

Quindi a guerra novella, or, mentre esausta

d'uomini, e d'armi, e di tesoro è Roma,

irne in campo ei volea; certo egli quindi

di re tornarne a mano armata, e farvi

caro costare il mal negato serto.

L'oro, i banchetti, le lusinghe, i giuochi,

per far voi servi, ei profondea: ma indarno

l'empio il tentò; Romani voi, la vostra

libertá non vendete: e ancor per essa

presti a morir tutti vi veggio: e il sono

io, quanto voi. Libera è Roma; in punto

Bruto morrebbe. Or via, svenate dunque

chi libertá, virtú vi rende, e vita;

per vendicare il vostro re, svenate

Bruto voi dunque: eccovi ignudo il petto...

Chi non vuol esser libero, me uccida. -

Ma, chi uccidermi niega, omai seguirmi

debbe, ed a forza terminar la impresa.

POPOLO

Qual dir fia questo? - Un Dio lo inspira...

BRUTO

Ah! veggo

a poco a poco ritornar Romani

i giá servi di Cesare. Or, se Bruto

roman sia anch'egli, udite. - Havvi tra voi

chi pur pensato abbia finora mai

ciò, ch'ora io sto con giuramento espresso

per disvelare a voi? - Vero mio padre

Cesare m'era...

POPOLO

Oh ciel! che mai ci narri?...

BRUTO

Figlio a Cesare nasco; io 'l giuro; ei stesso

ier l'arcano svelavami; ed in pegno

di amor paterno, ei mi volea, (vel giuro)

voleva un dí, quasi tranquillo e pieno

proprio retaggio suo, Roma lasciarmi.

POPOLO

Oh ria baldanza!...

BRUTO

E le sue mire inique

tutte a me quindi ei discoprire ardiva...

POPOLO

Dunque (ah pur troppo!) ei disegnava al fine

vero tiranno appalesarsi...

BRUTO

Io piansi,

pregai, qual figlio; e in un, qual cittadino,

lo scongiurai di abbandonar l'infame

non romano disegno: ah! che non feci,

per cangiarlo da re?... Chiesta per anco

gli ho in don la morte; che da lui piú cara

che il non suo regno m'era: indarno il tutto:

nel tirannico petto ei fermo avea,

o il regnare, o il morire. Il cenno allora

di trucidarlo io dava; io stesso il dava

a pochi e forti: ma in alto frattanto

sospeso stava il tremante mio braccio...

POPOLO

Oh virtú prisca! oh vero Bruto!

BRUTO

È spento

di Roma il re; grazie agli Iddii sen renda...

Ma ucciso ha Bruto il proprio padre;... ei merta

da voi la morte... E viver volli io forse?...

Per brevi istanti, io il deggio ancor; finch'io

con voi mi adopro a far secura appieno

la rinascente comun patria nostra:

di cittadin liberatore, il forte

alto dover, compier, si aspetta a Bruto;

ei vive a ciò: ma lo immolar se stesso,

di propria man su la paterna tomba,

si aspetta all'empio parricida figlio

del gran Cesare poscia.

POPOLO

Oh fero evento!...

Stupor, terror, pietade;... oh! quanti a un tempo

moti proviamo?... Oh vista! in pianto anch'egli,

tra il suo furor, Bruto si stempra?...

BRUTO

- Io piango.

Romani, sí; Cesare estinto io piango.

Sublimi doti, uniche al mondo; un'alma,

cui non fu mai l'egual, Cesare avea:

cor vile ha in petto chi nol piange estinto. -

Ma, chi ardisce bramarlo omai pur vivo,

Roman non è.

POPOLO

Fiamma è il tuo dire, o Bruto...

BRUTO

Fiamma sian l'opre vostre; alta è l'impresa;

degna è di noi: seguitemi; si renda

piena ed eterna or libertade a Roma.

POPOLO

Per Roma, ah! sí, su l'orme tue siam presti

a tutto, sí...

BRUTO

Via dunque, andiam noi ratti

al Campidoglio; andiamo; il seggio è quello

di libertade, sacro: in man lasciarlo

dei traditor vorreste?

POPOLO

Andiam: si tolga

la sacra rocca ai traditori.

BRUTO

A morte,

a morte andiam, o a libertade.[3]

POPOLO

A morte,

con Bruto a morte, o a libertá si vada.

 

[1] Bruto snuda, e brandisce in alto il pugnale; i congiurati si avventano a Cesare coi ferri.

[2] Carco di ferite, strascinandosi fino alla statua di Pompeo, dove, copertosi il volto col manto, egli spira.

[3] Si muove Bruto, brandendo ferocemente la spada; il popolo tutto a furore lo segue


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:
14/07/2005 22.27

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