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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Bruto Primo

Di: Vittorio Alfieri

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ATTO PRIMO

 

 

SCENA PRIMA

 

Bruto, Collatino.

 

COLLATINO

Dove, deh! dove, a forza trarmi, o Bruto,

teco vuoi tu? Rendimi, or via, mel rendi

quel mio pugnal, che dell'amato sangue

gronda pur anco... Entro al mio petto...

BRUTO

 

Ah! pria

questo ferro, omai sacro, ad altri in petto

immergerassi, io 'l giuro. - Agli occhi intanto

di Roma intera, in questo foro, è d'uopo

che intero scoppi e il tuo dolore immenso,

ed il furor mio giusto.

COLLATINO

Ah! no: sottrarmi

ad ogni vista io voglio. Al fero atroce

mio caso, è vano ogni sollievo: il ferro,

quel ferro sol fia del mio pianger fine.

BRUTO

Ampia vendetta, o Collatin, ti fora

sollievo pure: e tu l'avrai; tel giuro. -

O casto sangue d'innocente e forte

Romana donna, alto principio a Roma

oggi sarai.

COLLATINO

Deh! tanto io pur potessi

sperare ancora! universal vendetta

pria di morir...

BRUTO

Sperare? omai certezza

abbine. Il giorno, il sospirato istante

ecco al fin giunge: aver può corpo e vita

oggi al fin l'alto mio disegno antico.

Tu, d'infelice offeso sposo, or farti

puoi cittadin vendicator: tu stesso

benedirai questo innocente sangue:

e, se allor dare il tuo vorrai, fia almeno

non sparso indarno per la patria vera...

Patria, sí; cui creare oggi vuol teco,

o morir teco in tanta impresa Bruto.

COLLATINO

Oh! qual pronunzi sacrosanto nome?

Sol per la patria vera, alla svenata

moglie mia sopravvivere potrei.

BRUTO

Deh! vivi dunque; e in ciò con me ti adopra.

Un Dio m'ispira; ardir mi presta un Dio,

che in cor mi grida: «A Collatino, e a Bruto,

spetta il dar vita e libertade a Roma».

COLLATINO

Degna di Bruto, alta è tua speme: io vile

sarei, se la tradissi. O appien sottratta

la patria nostra dai Tarquinj iniqui,

abbia or da noi vita novella; o noi

(ma vendicati pria) cadiam con essa.

BRUTO

Liberi, o no, noi vendicati e grandi

cadremo omai. Tu ben udito forse

il giuramento orribil mio non hai;

quel ch'io fea nell'estrar dal palpitante

cor di Lucrezia il ferro, che ancor stringo.

Pel gran dolor tu sordo, mal l'udisti

in tua magion; qui rinnovarlo udrai

piú forte ancor, per bocca mia, di tutta

Roma al cospetto, e su l'estinto corpo

della infelice moglie tua. - Giá il foro,

col sol nascente, riempiendo vassi

di cittadini attoniti; giá corso

è per via di Valerio ai molti il grido

della orrenda catastrofe: ben altro

sará nei cor l'effetto, in veder morta

di propria man la giovin bella e casta.

Nel lor furor, quanto nel mio mi affido. -

Ma tu piú ch'uomo oggi esser dei: la vista

ritrar potrai dallo spettacol crudo;

ciò si concede al dolor tuo: ma pure

qui rimanerti dei: la immensa e muta

doglia tua, piú che il mio infiammato dire,

atta a destar compassionevol rabbia

fia nella plebe oppressa...

COLLATINO

Oh Bruto! il Dio

che parla in te, giá il mio dolore in alta

feroce ira cangiò. Gli estremi detti

di Lucrezia magnanima mi vanno

ripercotendo in piú terribil suono

l'orecchio e il core. Esser poss'io men forte

al vendicarla, che all'uccidersi ella?

Nel sangue solo dei Tarquinj infami

lavar poss'io la macchia anco del nome,

cui comune ho con essi.

BRUTO

Ah! nasco io pure

dell'impuro tirannico lor sangue:

ma, il vedrá Roma, ch'io di lei son figlio,

non della suora de' Tarquinj: e quanto

di non romano sangue entro mie vene

trascorre ancor, tutto cangiarlo io giuro,

per la patria versandolo. - Ma, cresce

giá del popolo folla: eccone stuolo

venir ver noi: di favellare è il tempo.

 

SCENA SECONDA

 

Bruto, Collatino, Popolo.

BRUTO

Romani, a me: Romani, assai gran cose

narrar vi deggio; a me venite.

POPOLO

O Bruto,

e fia pur ver, quel che si udí?...

BRUTO

Mirate:

questo è il pugnal, caldo, fumante ancora

dell'innocente sangue di pudica

Romana donna, di sua man svenata.

Ecco il marito suo; piange egli, e tace,

e freme. Ei vive ancor, ma di vendetta

vive soltanto, infin che a brani ei vegga

lacerato da voi quel Sesto infame,

violator, sacrilego, tiranno.

E vivo io pur; ma fino al dí soltanto,

che dei Tarquinj tutti appien disgombra

Roma libera io vegga.

POPOLO

Oh non piú intesa

dolorosa catastrofe!...

BRUTO

Voi tutti,

carchi di pianto e di stupor le ciglia,

su l'infelice sposo immoti io veggo!

Romani, sí miratelo; scolpita

mirate in lui, padri, e fratelli, e sposi,

la infamia vostra. A tal ridotto, ei darsi

morte or non debbe; e invendicato pure

viver non può... Ma intempestivo, e vano,

lo stupor cessi, e il pianto. - In me, Romani,

volgete in me pien di ferocia il guardo:

dagli occhi miei di libertade ardenti

favilla alcuna, che di lei v'infiammi,

forse (o ch'io spero) scintillar farovvi.

Giunio Bruto son io; quei, che gran tempo

stolto credeste, perch'io tal m'infinsi:

e tal m'infinsi, infra i tiranni ognora

servo vivendo, per sottrarre a un tratto

la patria, e me, dai lor feroci artigli.

Il giorno al fin, l'ora assegnata all'alto

disegno mio dai Numi, eccola, è giunta.

Giá di servi (che il foste) uomini farvi,

sta in voi, da questo punto. Io, per me, chieggo

sol di morir per voi; pur ch'io primiero

libero muoja, e cittadino in Roma.

POPOLO

Oh! che udiam noi? Qual maestá, qual forza

hanno i suoi detti!... Oh ciel! ma inermi siamo;

come affrontare i rei tiranni armati?...

BRUTO

Inermi voi? che dite? E che? voi dunque

sí mal voi stessi conoscete? In petto

stava a voi giá l'odio verace e giusto

contro agli empj Tarquinj: or or l'acerbo

ultimo orribil doloroso esemplo

della lor cruda illimitata possa,

tratto verravvi innanzi agli occhi. Al vostro

alto furor fia sprone, e scorta, e capo

oggi il furor di Collatino, e il mio.

Liberi farvi è il pensier vostro; e inermi

voi vi tenete? e riputate armati

i tiranni? qual forza hanno, qual'armi?

Romana forza, armi romane. Or, quale,

qual fia il Roman, che pria morir non voglia,

pria che in Roma o nel campo arme vestirsi

per gli oppressor di Roma? - Al campo è giunto,

tutto asperso del sangue della figlia,

Lucrezio omai, per mio consiglio; in questo

punto istesso giá visto e udito l'hanno

gli assediator d'Ardéa nemica: e al certo,

in vederlo, in udirlo, o l'armi han volte

ne' rei tiranni, o abbandonate almeno

lor empie insegne, a noi difender ratti

volano giá. Voi, cittadini, ad altri

ceder forse l'onor dell'armi prime

contra i tiranni, assentirestel voi?

POPOLO

Oh, di qual giusto alto furor tu infiammi

i nostri petti! - E che temiam, se tutti

vogliam lo stesso?

COLLATINO

Il nobil vostro sdegno,

l'impaziente fremer vostro, a vita

me richiamano appieno. Io, nulla dirvi

posso,... che il pianto... la voce... mi toglie...

Ma, per me parli il mio romano brando;

lo snudo io primo; e la guaína a terra

io ne scaglio per sempre. Ai re nel petto

giuro immergerti, o brando, o a me nel petto.

Primi a seguirmi, o voi, mariti e padri...

Ma, qual spettacol veggio!...[1]

POPOLO

Oh vista atroce!

Della svenata donna, ecco nel foro...

BRUTO

Sí, Romani; affissate, (ove pur forza

sia tanta in voi) nella svenata donna

gli occhi affissate. Il muto egregio corpo,

la generosa orribil piaga, il puro

sacro suo sangue, ah! tutto grida a noi:

«Oggi, o tornarvi in libertade, o morti

cader dovrete. Altro non resta».

POPOLO

Ah! tutti

liberi, sí, sarem noi tutti, o morti.

BRUTO

Bruto udite voi dunque. - In su l'esangue

alta innocente donna, il ferro stesso,

cui trasse ei giá dal morente suo fianco,

innalza or Bruto; e a Roma tutta ei giura

ciò ch'ei giurò giá pria sul moribondo

suo corpo stesso. - Infin che spada io cingo,

finché respiro io l'aure, in Roma il piede

mai non porrá Tarquinjo nullo; io 'l giuro:

né di re mai l'abbominevol nome

null'uom piú avrá, né la possanza. - I Numi

lo inceneriscan qui, s'alto e verace

non è di Bruto il cuore. - Io giuro inoltre,

di far liberi, uguali, e cittadini,

quanti son or gli abitatori in Roma;

io cittadino, e nulla piú: le leggi

sole avran regno, e obbedirolle io primo.

POPOLO

Le leggi, sí; le sole leggi; ad una

voce noi tutti anco il giuriamo. E peggio

ne avvenga a noi, che a Collatin, se siamo

spergiuri mai.

BRUTO

Veri romani accenti

questi son, questi. Al sol concorde e intero

vostro voler, tirannide e tiranni,

tutto cessò. Nulla, per ora, è d'uopo,

che chiuder lor della cittá le porte;

poiché fortuna a noi propizia esclusi

gli ebbe da Roma pria.

POPOLO

Ma intanto, voi

consoli e padri ne sarete a un tempo.

Il senno voi, noi presteremvi il braccio,

il ferro, il core...

BRUTO

Al vostro augusto e sacro

cospetto, noi d'ogni alta causa sempre

deliberar vogliamo: esser non puovvi

nulla di ascoso a un popol re. Ma, è giusto,

che d'ogni cosa a parte entrin pur anco

e il senato, e i patrizj. Al nuovo grido

non son qui accorsi tutti: assai (pur troppo!)

il ferreo scettro ha infuso in lor terrore:

or di bell'opre alla sublime gara

gli appellerete voi. Qui dunque, in breve,

plebe e patrizj aduneremci: e data

fia stabil base a libertá per noi.

 

POPOLO

Il primo dí che vivrem noi, fia questo.

 



[1] Nel fondo della scena si vede il corpo di Lucrezia portato e seguito da una gran moltitudine.


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Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:
13/07/2005 22.37

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