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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Marfisa

PIETRO ARETINO

 

 
CANTO TERZO DI MARFISA

DEL DIVINO PIETRO ARETINO,

NUOVAMENTE DAL PROPRIO AUTTOR AGGIUNTO,

CHE NE LE PRIME IMPRESSIONI NON ERA.

1

Invido Amor, ch'ascoso entro ti stai

tra i dolci raggi de le donne belle,

merzé lor opri l'armi e iddio ti fai;

p<sconti, ingrato, or queste pene or quelle,

di te sol gelosia e sdegno dai,

onde il libero arbitrio a l'uom si svelle;

poscia gli uomin del mondo a lor disio,

a lor voto ti fan lor nume e iddio.

2

Perfido e disleal, non prima entrasti

ne i begli occhi d'Angelica ch'in fatto

mille di sua beltà quasi infiammasti,

ch'a l'oro, anzi a la gloria, al sangue han tratto;

poi di un vil fante in preda la donasti,

qual mai fe' pria d'amarla un minim'atto,

e quei, ch'al tempo, a la vita, a l'onore

trasser, gli uscir di speme e grazia fuore.

3

Se ciò non fussi el ver, non si diria

ch'Amor sia disugual ne l'opre suoi

e ch'a l'un gioia, a l'altro gelosia

porga e ch<e> 'l sdegno gli succeda poi.

Già son in Francia, dove ognun disia,

Grandonio e gli altri, onde io ritorno a voi,

Angelica e Medor, bell'alme elette,

l'una in l'altra di fede e d'amor strette.

4

L'un l'altro a braccio in ver Parigi vanno

a le gran feste e di lor grazie poi

a i dolci basci e scherzi escitar fanno

in ciel gli augelli e i chiari lumi suoi.

Ma non lungi tra via lieti si danno

per mezo un picciol prato il qual tra duoi

colli risiede, e di lor escie un rio

che l'erbe bagna in dolce murmurio.

5

Ma donde il mezodí lieto vagheggia

l'un de' dui colli, un vivo fonte sorge;

di lauri e mirti in giro el luogo ombreggia,

ch'a ognun che passa ognor dolce aura porge.

Disse Medor: - Per quel ch'i' senta o veggia,

anima mia, del dí il calor si scorge.

Posianci adunque. - Et Angelica a lui:

- Posianci, amor, dove piú piace a vui. -

6

Qui smonton, qui l'un l'altro corre e gira

dal fonte ove si traggono in un'ora

la sete e 'l caldo, e l'aura ch'ivi spira

gli 'nvita a le dolci ombre a far dimora.

Vengono al sonno e Amor gli guarda e ammira.

Mentre i destrier pascendo ivano allora

per le fresche erbe, ecco Angelica in quella

in sogno di Medor dice e favella:

7

- Se quest', Amor, per cara gioia e speme

m'hai dato e ch'io di par cara gli sia,

piacciati ancor che fino all'ore estreme

mai ne sparta fortuna o buona o ria,

e tutto quel per cui si dubbia e teme

stia da noi lungi, errando in altra via,

e di là 'l cielo in dolci eterne tempre

mi facci col mio ben goder mai sempre.

8

El ben de gli occhi miei, cuor de la mente,

in ei consiste e non piú là si stende. -

Medor si sveglia e le sue lode sente

dir da sua dea e tal gioia ne prende

ch'in sé non cape e bascia dolcemente

i bei coralli e gratie ad Amor rende,

ch'un ben bramato in ciel tra gli alti scanni

goda in sí fresca etade, in sí pochi anni.

9

Ella si sveglia e intanto al cuor gli viene

il sogno e i basci, e 'l dolce drudo abbraccia.

Tra lor s'han quei piacer, quel summo bene

ch'ogni amaro dal cuor disgombra e scaccia.

Qui mostron la ragion per quel ch'adviene

che con sí poco canape s'allaccia

gentil alma, d'amor sospinta e presa,

quando al senso ragion non fa contesa.

10

Poi che lieti al bel giuoco tornar ponno

per cui s'ancide e se rinova ogni alma,

stringe Angelica il suo signor e donno,

e quasi a un bascio el cuor gli beve e l'alma;

tal egli a·llei. Quivi raggrava el sonno

quell'alme che d'amor tengon la palma.

Ma non prima Medor al sonno riede

che di sé e sua donna un caso vede.

11

Vede ch'al bosco uscir spinge natura

dui ermellin, la donna e 'l maschio insieme.

Medor al maschio sé proprio figura;

per la donna la sua ch'el cuor gli preme.

Scherzon tra l'erbe, indi strana aventura

scopre una damma e ognun la fugge e teme.

L'agil fera li giugne e via sol prende

la donna, né di zanne o piè l'offende,

12

ma di spume gli lascia brutto el dosso

ch'el caldo uscir gli fea di bocca allora.

Schiva el maschio la donna a piú non posso

né quella piú gli par ch'era pur ora.

Medor intanto, dal sonno remosso,

raguaglia la sua dea et in un'ora

dubbia del mondo incanto o nuova insidia

e non perder quel ben ch'el ciel gli invidia.

13

Ella, che sí di lei curioso trova

il signor suo, dice ridente e lieta:

- Amor d'ogni stran dubbio vi rimuova

ch'a voi mi toglia il mondo o rio pianeta:

meco ho l'anel ch'in ogni caso giova. -

Tal ch'ella fa el suo ben gioir di pièta.

Qui si raggiungon l'alme et Amor, mentre

vieta al ciel che tra lor l'aer non entre.

14

Ma perché a mezo el dolce alcun non mora

pensando al ben di dui sí fidi amanti,

lor lascio a l'ombra e torno a Parigi ora

tra scene e giuochi e danze e suoni e canti.

Qui i gran mastri del mondo d'ora in ora

concorron tutti e già son tanti e tanti

al palagio real entro e di fuore

ch'el ciel gioisce al giubilo, al favore.

15

Ma in l'ampla e real sala, ove è raccolto

l'imperador coi paladini et altri

da piú luoghi, s'attende e guarda molto

quai sien piú belli o quai piú forti e scaltri.

Di tutti Astolfo al festeggiar piú involto,

di leggiadria si studia ecceder gli altri;

guida la danza e Bradamante invita;

viene al cugin la sposa alta e gradita.

16

Seguiron gli altri e ognun sua diva prese,

ch'ognun qui l'ebbe, ove fer bella danza.

D'una pagana el cuor Rinaldo accese

e la tirò al festeggiar di Franza.

Serpentin v'era e Doralice attese

quivi venuta, che la gran distanza

del tartar morto, già suo sposo, e poscia

di Rodomonte la trasser d'angoscia.

17

Ben l'avea forse qui mandata il padre

con donne e cavallier, piú che mai bella,

s'ancor fra tante pellegrine squadre

trovassi un nuovo sposo al voler d'ella.

Or sue stelle, di nuovo al suo ben ladre,

vorrieno opporsi contro a la donzella.

Ecco già Serpentin l'invita e intanto

a un tempo vien Grandonio all'altro canto.

18

E per ch'a par la danza si facea

e mal onesto era il danzar con dui,

ad amendui la donzella dicea:

- Negar non so la danza a l'un di vui. -

- Primo venn'io - Serpentin rispondea.

- Anzi pur io - dicea Grandonio a lui.

Vengono a l'onte e l'un l'altro sovrasta;

ognun domanda chi la festa guasta.

19

Ma un nuovo raggio ch'in la sala viene

d'alma beltà ch'ingombra ogn'altra vista

pon fine al tutto e ognuno a guardar viene

la bella donna e qui pascier sua vista.

Angelica è costei, ch'a veder viene

per fama la gran festa e 'n prima vista

angelo in gli occhi di ciascuno appare;

col bel Medor che da lei viene appare.

20

Poi che la bella Angelica comparse

tra l'altre belle, ognun chiaro comprese

che restor l'altre di beltà piú scarse,

come ch'il vetro col diamante prese,

ch'un ste' forte al martel, l'altro si sparse

in pezzi, e tal fur l'altre donne arrese

all'angelice grazie ch'in lei sparte

ha sol natura, e lor s'ornar con l'arte.

21

Or che tra i paladin si scorge e vede

l'angelica beltà qui giunta in fatto,

ognun si strugge e d'esser primo chiede

a chi può di danzar con ella un tratto.

Rinaldo è qui e la beltà rivede

ch'odiò piú volte; or si torria di patto

ch'ella un tratto in ver lui lieta guardassi

e in torno a lei s'agira e muove i passi.

22

Ma che piú dir ch'attonito ognun reste

a i vaghi raggi e mai sua vista sazia?

Non pur la man, palpargli sol la veste

Astolfo e Ferraú torrien di grazia;

ma il vecchio Carlo e Marsiglio tra queste

chimere son e Namo è in tal disgrazia:

tal il foco d'amor piú arde a forza

l'arida e secca che la verde scorza.

23

Ma Orlando, che dal ciel reso gli fu

per man d'Astolfo il senno e [d']amor sepolto,

di quanto arse per lei non mai piú

di lei gli calse, anzi libero e sciolto,

da ch'ei l'ha vista, né piú sú né giú

ver lei si move né a guardarla è volto.

Gli altri, che grazie tal dal ciel non hanno,

immoti e fissi in contemplar lei stanno.

24

Medor, ch'in la sua dea chiaro comprende

gli onor ch'el mondo e 'l ciel gli accresce via,

possessor d'un tal ben sí altier si rende

ch'a Giove proprio in ciel non cederia.

Da l'altro gelosia el punge e riprende

e teme ch'el suo ben tolto gli sia;

sendo ei tra lor di stran paese abietto,

e[i] favor ch'a lei fan prende a sospetto.

25

Intese poscia ben Medor ch'inanti

ch'Angelica sua sposa divenisse,

Rinaldo, Orlando e gli altri d'ella amanti

tra lor rival per lei fer guerre e risse;

che Ferraú gli uccise il frate avanti:

per aver lei or qui le luci ha fisse.

Lei sol Medor attende e mai gli leva

gli occhi, per cui non tanto il duol l'aggreva.

26

Pur, come talor s'usa in le gran corti,

teme di qualch'inganno di lontano,

ch'ordito non gli sia da quei piú forti,

e il partirsi e 'l pugnar sia tardo e vano.

I paladini e gli stranier per morti

guardon lei sempre e·lle grazie ch'in mano

gli vanno e i gran favor son tanti e tante

ch'ella la sposa par, non Bradamante.

27

Non meno in tanto amor sprona e martella

l'angelica beltà, ma vie piú assai

scorge in la festa ogni donna e donzella,

che volti han sempre al bel Medor i rai.

Se ben tra le piú belle ella è piú bella,

pensa s'amor Medor movesse mai

d'una nuova beltà ch'in Francia scorga,

o meno o piú di lei, ch'Amor gli porga.

28

Ognuno ha di temer giusta cagione:

Angelica in beltà s'aguaglia appresso

Elena in terra e non ch'in ciel Giunone,

ma quella a chi fu 'l bel pome concesso;

un nuovo Ganimede, un altro Adone

è Medor, ch'arde in lui l'un l'altro sesso,

e il cielo offenderia chi revocassi

l'un da l'altro e tal grazie scompagnassi.

29

Or, ben ch'alcun non abbia a mezo intento

veduto quel ch'a gli occhi piú diletta,

l'imperador fa ch<e> Ruggier contento

chiama Angelica in ballo, ond'ella accetta;

Medor ne viene a Bradamante, attento

ch'altri ha la sua: cosí gioca a vendetta.

Prendon gli altri la lor; or ben fia questa

celebre piú d'ogni altra e real festa.

30

El saggio Namo e Salomon, che stanno

giudici e mastri a la danza felice,

per troncar la querela ch'insieme hanno

Grandonio e Serpentin per Doralice,

fan chiamar ella e la sentenza danno

che con lei balli chi prima ella dice

che l'invitò et al dir suo si stieno.

Ella in tal voci el ver disciolse a pieno:

31

che Serpentin primier da lei ne venne

e l'invitò toccandogli la palma.

Grandonio offeso tra sé se ne tenne

poscia ch'ebbe altri e non egli la palma.

La festa esser ben può bella e sollenne

dove è l'alta bellezza angelica alma;

la sala è poi con mirabil lavoro

d'istorie ornata e drappi e gioie et oro.

32

Or l'alta invida dea, ch'el crin fugace

ha in fronte e sopra noi l'instabil piede

e a sua volubil rota chi gli piace

ruina e 'ssalta or queste or quelle sede,

vien per turbar d'Angelica ogni pace,

anzi ogni gioia ove posar la vede,

ch'altre volte la dea fallace e fiera

venne a turbar l'angelica alma altiera.

33

Dico, se vi ricorda, signor, quando

salvò Ruggier lei da l'orribil mostro

de l'orca e quando Sacripante e Orlando

lor valore al ben d'essa ognun ha mostro,

poi mandò di sue grazie ognuno in bando,

avuto il voler suo, come anch'al nostro

tempo assai donne fan, qual, poi che prendono

da l'uom piacer, discortesia gli rendono.

34

Né piú rio fallo appresso Iddio si trova

di quel per cui Lucifero el ciel perse.

Talor dovria chi piú alto si trova

rimembrar le passate cose adverse.

Vede or l'invida dea che nulla giova

ch'in mille pene Angelica summerse;

or glien'apporta una sí cruda e ria

che forse ultima sua ruina fia.

35

Et invisibil fa che qui compare

Malagigi, ch'allor da patrio regno

viene e volsi alle feste anch'ei trovare.

Vede, ode e tace in tanto e non fa segno

d'alcun rumore. In questo ecco passare

in bel vestir d'abito altiero e degno

Angelica gentil, che lieta mena

la real danza ove la sala è piena.

36

E perché mai s'amar la gatta e 'l cane

e nimici eron Malagigi et ella

e già si fer l'un l'altro ingiurie strane

con lor arti, or di lei tra sé favella:

" Sarien tal feste adunque state vane

se non venia quest'alma ingrata e fella

a far mostra di sé quivi tra molti

ch'ella piú fiate in le menzogne ha involti?

37

Questa, ch'Orlando e già mill'altri in giuoco

s'ha presi sempre e di lor grazie mai

goderno, or la vedo io tornata al luoco

di nuovo a schernir Francia piú che mai,

anzi per suscitar, credo, piú foco,

perch'ella a sparger venne al mondo i guai

quando da l'impia madre el spirto uscío,

che maledetto sia tal sesso rio.

38

Chi fia mai che tra sé non pigli ambascia,

o mondo, o ciel, di questa anima ria?

Venuta è qua col drudo, la bagascia,

e vuol mostrar che marito gli sia

l'adulter suo e a lui guidar si lascia

ove gli aggrada e non può esser via

suo sposo, ch'a mill'altri la puttana

diede prima sua fé fallace e vana.

39

Ben fe' come l'infermo, che di quanti

cibi egli vede, al piú tristo s'apprende;

cosí la ria tra molti ch'ebbe amanti,

mentre d'averla ognun cura et attende,

prese el piú tristo al fin che gli andò innanti.

Di qui vien ch'ogni donna el peggio prende,

non guardando a virtú ma solo al viso

d'un Pulidor, d'un Medor o Narciso.

40

Ma per mostrar che piú vale un sol punto

del mio valor che d'i tui vizii rei,

davanti a tutti ti torrò in un punto,

perché tra i buoni star degna non sei:

cosí vendicherò mill'altri a punto.

Ancor che tanto a Medor far potrei,

lo riserbo a piú dol, vistoti incorrere

in mezo al mal né poterti soccorrere ".

41

Qui di dir tacque e tal come era in tanto

invisibil comparso, similmente

venir fa un spirto e gli dice da canto

ch'in mezo a la gran festa audacemente

prenda la donna. El spirto opera quanto

gl'impone il mastro e fra cotanta gente

prende Angelica e in aer la suspende.

Lei getta i gridi e ognun tal caso attende.

42

Tosto che 'l spirto astuto tra gli artigli

la donna tien, le branche a le man porse

acciò l'anel né in man né in bocca pigli,

col qual già da gli 'ncanti si soccorse.

Vedela ognuno in sí strani perigli

né ponno aitarla e stan le genti in forse,

di lor temendo, a non scorger chi tegna

costei o chi a rapirla al mondo vegna.

43

Lei chiama in van soccorso e in aer sembra

una piú bella vergin ratta in Dio.

Medor lei guarda e nel guardar si smembra,

né può aitarla e duolsi al mondo e a Dio.

Già quasi ognun le belle ascose membra

tra i drappi scierne e ognun supplica a Dio,

né v'è chi veda o scorga o chi comprenda

che la beltà del mondo vilipenda.

44

Chi non mai pensò quel che pur or vede

pensa: " S'or fussi Giove dal ciel sceso

a rapir lei per depor Ganimede? ";

altri ch'incanto sia certo han compreso,

pur quel che mal si scorge mal si crede;

ognun tra mille dubbi ha 'l cuor suspeso.

Fan le donne al ciel gridi in ogni parte

che lor beltà da lor viva si parte.

45

Altri pensa che sia opra o lavoro

d'esperto incantator, ch'in tai vestigi

venga a turbar la festa e gioia loro;

altri proprio pensò su Malagigi

e ch'in forma d'Angelica e Medoro

tratti i dui spirti abbi da i regni stigi.

Lei già non sa chi l'ha fra l'ugnie e geme;

Medor s'affligge, ognun s'ammira e teme.

46

S'imagina qualcun ch'el spirto sia

d'Agrican fiero, ch'a rapir costei

dal centro vien, ch'Orlando morte ria

al tartar diè che pugnò contro a lei,

e viva or la beltà del mondo via

sen porti seco e che i tartarei dei

gli dien quello ch'il mondo mai gli diede

e che allumi or l'oscure infime sede.

47

Altri su l'Argalia discorre avante,

fratel di lei, da Ferraú già ucciso,

ch'a tor vien la sorella al mondo, innante

ch'el mondo per lei resti in sé diviso.

Se a caso fussi estinto Sacripante,

si pensaria sopra esso all'improviso.

Ma ognun sol scorge lei, non altri appresso,

e sol lei guarda ognun, fuor di se stesso.

48

Fa in tanto raccor l'imperator saggio

di Parigi il gran clero, acciò costringa

lo spirto al ver; ma troppo egli è malvagio,

che 'l sentor n'ebbe e in aer par si stringa

e in un momento fuor del gran palagio

dispar con lei, né piú vi è chi l'attinga

di vista, e sol la voce in ciel risuona

e quasi giú paventa ogni persona.

49

Sol Medor escie de la festa fuore

e smarrita lasciò quivi ogni gente.

Ei seguir vuol l'angelico suo amore,

a suo potere, ove la voce sente

(e sí a seguirla men viengli el valore);

se stesso uccider poi miseramente

e dar le voci al ciel, sí ch'el suo bene

senta ch'egli a morir presso gli viene.

50

E mentre ha di morir la mente ingorda,

duolsi quando mai il piede in Francia pose;

poi se stesso riprende e si ricorda

ch'Angelica l'andar già gli propose.

Vari effetti in suo cuor pensa, e discorda

l'uno da l'altro, e tra diverse cose

un spron di gelosia acuto e strano

l'assale, e dice a sé, miser, pian piano:

51

" Ahi, quest'è quella, ahimè, se 'l grido è vero,

che quanto ha di beltà tanto si trova

di fé fallace e cuor falso e leggiero,

e molti ne fer, miseri, la prova,

sí come in Francia anch'in altro sentiero.

Or da che tardi el so, miser, che giova?

Lascia ch'i' resto a sue frode, a suoi incanti

schernito al fin piú che mill'altri amanti.

52

Pur or m'adveggio, misero, a qual fine

in Francia esta crudel tirommi al laccio

con dir ch'avea piú caro amante e alfine

lasciommi: or va con el per l'aer in braccio.

Le rose ad altri, a me reston le spine,

misero, e 'l duol per cui piú mi disfaccio

è ch'in su gli occhi a Carlo e tutta Francia

sparse e restò el mio onor spento in bilancia.

53

M'avessi, o cieco, el ciel concesso, innante

el veder lei, aver inteso aperto

ch'el sir di Montalban con quel d'Anglante

per lei pugnar senza mai premio o merto,

e di Ferraú poscia e Sacripante

e d'Agrican, che misero e deserto

lasciò 'l suo campo e fu da Orlando ucciso

per costei ch'ha 'l mio onor, mio ben conquiso.

54

Se par ch'in lei non sí premer debb'io

d'onor ch'altri piú degno abbi in lei fatto,

se ignobil son, poscia d'onor disio

a gli altri equommi in ogni opra, ogni atto;

se, tratto a onor, sepulsi già il re mio,

da ch'or sposo a costei, miser, son fatto,

ragion è ch'al mio onor riguardi o pensi,

né per altro ragion s'oppone a i sensi.

55

Ecco pur or l'insogno in me rimembro

della fera ch'in man l'ermellin tenne:

s'ella pur non l'uccise o d'alcun membro

la maculò, pur a macchiarla venne.

El maschio che fuggí, s'io ben rasembro,

miser, son io; la donna ella che venne

in man d'altrui su gli occhi al mondo e in tutto

lasciato ha me d'onor privo e destrutto.

56

Né creso avrei chi vita mi diede

col sanar le mortal mie piaghe accerbe,

togliermi a morte e darmi el cuor, la fede,

farsi mia sposa e star tra i fiori e l'erbe,

m'abbi lasciato, ahimè, come ognun vede,

cagion che sempre in amar si riserbe

el fin de i brevi giorni. Ahi, crudo scempio,

danno de l'alma e de gli amanti essempio! "

57

Tal el meschin si lagna e da la mente

sgombra el pensier di cercarla e 'l disio.

Ecco in tanto la voce e 'l grido sente

che chiama ognor - Medor, Medoro mio! -

Scorge Medor sua donna, ma niente

seguirla vuol e in un bosco aspro e rio

entra a schivarla e già l'ha piú in orrore

ch'un lion che giugniessi a trargli el cuore.

58

Sen vola el spirto ove è Medor e posa

la donna in terra e via subito spare,

ma qual fuss'ella tigre venenosa

Medor la fugge. Or non sa lei pensare

la causa e gli va drieto disiosa

e dice: - Ove, il mio ben, mi vuoi lasciare?

Partito è il spirto e qui salva son io;

deh, vien, non mi fuggir, Medoro mio.

59

S'ogni mia gioia in te via si riserva,

perché mi fuggi, ahimè, dove ten vai?

Quella son pur che gli amor tuoi osserva! -

Quivi Medor rivolse indrieto i rai:

- Mai piaccia al ciel, - diss'egli - alma proterva,

cuor disleal, ch'io piú sia tuo già mai,

poi che da me tra mille t'involasti

con nuovo amante e in biasmo mi lasciasti. -

60

Comprende ella tra sé ch'el miser crede

che del caso crudel fussi ella auttrice

e giura a lui per lui, suo ben ch'or vede,

ch'ella è innocente e gli supplica e dice:

- Pur troppo, ahimè, porsi a tua fede fede! -

Disse egli: - Ingrata! - Or la donna infelice,

ch'el suo ben perde a torto, ognor si duole.

Fugge egli intanto e udir piú non la vuole.

61

Ella riman tra i boschi e in voci meste

chiama el suo bene invano e grida - ohimei! -

Qual si schiva un che seco abbi la peste,

tal Medor schiva e fugge ognor costei.

- Queste grazie mi rendi in amor, queste, -

disse ella - a me ch'el fiato ti rendei

col curar le tue piaghe, acciò ch'al fine

tu fussi a i giorni miei sí accerbo fine.

62

Deh, non fuggir, crudel, volgi le piante;

odi, ingrato, el mio duol, ch'avria potenza

fermar el sol, non ch'in terra un amante.

Ahi, lassa, or mi dà el ciel la penitenza

di quanto ingrata al gran signor d'Anglante

e ad altri fui, per goder tua presenza.

Io cresi, ahimè, che se piú bello Iddio

di lor ti fe', fussi piú dolce e pio. -

63

Cosí s'affligge e per correre a morte

cerca se mai nel bosco alcuna fera

fussi a inghiotirla e fa animo forte,

poi ch'ha perso quel ben che sí al cuor gli era.

Medor del bosco uscí, cercando a sorte

se del paese alcun signor qui era

per far prender sua donna, acciò discopra

il ratto d'ella s'è d'altri o sua opra.

64

E ben l'esaudí el ciel piú che non crese:

mentre egli cerca quel ch'ha piú in pensiero,

di corsari una turba in terra scese

(ch'in sul mar posto era il deserto fiero),

qui venne a caso et Angelica prese

e la menaro a lor signor. E in vero

di tal uso dirò la cagion bene.

Quivi è un signor ch'un picciol castel tiene,

65

qual già, per mille ingiurie ch'in lui scorte

a torto ebbe in amor da una donzella,

voltò l'amore in sdegno e fece a sorte

che qual donna è qui presa, o brutta o bella,

se ingrata fu in amor si danna a morte.

Solo una grazia ottien, la quale è ch'ella

elegger può qual morte gli diletta,

in foco, in acqua, al ferro o al laccio stretta.

66

E per sortir il vero in suo concetto

di chi sia ingrata e nol poter negare,

entro a un serpe un spirto tien costretto

ch'el ver discopre e ognun fa sgomentare.

Però i corsari e altri a questo effetto

scorron d'intorno, e se per terra o mare

n'avessin mille, chi prima si trova

ch'ingrata sia, lei prima el morir prova.

67

Or tal come a fortuna piacque, avenne

l'angelica beltà venir cattiva.

Diss'ella, poi ch'al crudo signor venne:

- Piú gioia m'è il morir che restar viva. -

Malagigi, che sí schernirla ottenne,

licenziò il spirto e seco ne gioiva;

scoprissi a Carlo e mostrò, come astuto,

che pur or d'Agrismonte egli è venuto.

68

Poi ch'a lui detto e interrogato fu

se nel caso d'Angelica ha interesso,

se ne fe' nuovo e giurò che non piú

usa sue arti, onde in monte fu messo

el suo dir e di qui pose ognun giú

il duolo e torna a la festa (ch'appresso

seguia la giostra), ancor ch'in quella e in questa

mente d'alcuni Angelica ancor resta.

69

Dico restò l'imagine dipinta

tra quei che piú l'amar, ch'avean piacere;

ancor che non sapean se vera o finta

fussi ella, si pascean d'un bel vedere.

Non so se de le donne alcuna, spinta

tra lor d'invidia, avessi altro parere,

che la beltà di lei in displicenza

pigliassino e in piacer la sua assenza.

70

Or torniamo ad Angelica, a colei

che, giunta dal sdegnoso cavalliero,

schivata da Medor, vive in omei

e morir brama in supplizio aspro e fiero,

condutta in mezzo a i crudi uomini e rei

davante al sir di quel castello altiero

du' per legge ogni donna perir deve,

come di sopra v'ho racconto in breve.

71

Tosto ch'ella comparse al reggio aspetto

del gran signor, di presa cerva in guisa,

li fu l'usanza folle e il rito detto:

s'ingrata fu, sua morte ognun gli advisa.

Come Angelica intende che in effetto

dal corpo li de' l'alma esser divisa,

tanta [la] letizia de la morte prese

che per fede assai lagrime riprese.

72

E disse: - O sacra, o santa legge pia,

fine d'ogni miseria e d'ogni pena,

sia benedetto chi creoti pria

e quel ch'in osservanzia oggi ti mena;

l'estrema grazia tua merzé mi dia

degna a chi escie di mortal catena;

vogli dunch'essaudir mio prego onesto,

ch'altro non chiedo a te che morir presto. -

73

E lieta in vista e in l'anima costante,

lodò quel sir, degno di lode eterna,

poi che, piatoso a l'altrui pene tante,

fea morir chi non muor per doglia interna.

Fella el signor menar dal serpe avante,

né prima avien ch'el serpe ella discerna

che soffiando in dui lingue arruota e assigna

ch'Angelica fu ingrata, empia e maligna.

74

Smarrí 'l cuor la donzella e disse: - S'io

fui d'altri ingrata, et altri a me amando. -

Ver lei s'agroppa el serpe orrido e rio

e di Rinaldo e Sacripante e Orlando

soffia e vuol dir. Lei grida: - Ohimè, ch'io

tra la rabbia e 'l velen vo in morte errando!

Togli el serpe da me, turba impia e atra,

che morir non vogl'io qual Cleopatra. -

75

Levò il serpe il signor per grazia giusta

e fe' un libro venir dove pint'era

ogni generazion di morte ingiusta

per cui la donna uscir d'affanni spera,

poscia ch'ogni aspra e larga piaga e angusta

ch'amor gli fe' non vuol ch'amando pera.

Dalli il libro el signor e dice poi:

- Eleggi or quella morte che tu vuoi. -

76

Ringraziollo la donna e il libro tolse

con quel dolce desir contento e lieto

ch'a legger versi e bei motti si volse

servo d'amor umíle e mansueto,

e quando il primo foglio al libro sciolse

vide il co<l>tello ch'apre el cuor secreto

di bella donna, che per sorte dura

quivi la giunse a la crudel ventura.

77

- S'io credessi col ferro impio e mortale

finir - diss'ella - questa vita afflitta,

per compir co i miei giorni ogni mio male

saria la spada in mezzo al petto fitta;

ma s'Amor ha in me speso ogni suo strale

et hammi a suo piacer l'alma trafitta

e vivo ancor, ferita da tal arme,

che puote il ferro in questo corpo farme? -

78

Po' il libro in l'altra carta rimirando

scorge chi muor d'un pessimo veneno

e dice in bassa voce sospirando:

- Sol di tosco amoroso el corpo ho pieno

né posso ancor gir de la vita in bando

e render la fral terra al vil terreno,

donche troviamo un'altra pena ardita

che mi dia morte e non mi tenga in vita. -

79

Vede el tenace e indisolubil laccio

che stringe altrui la bella e bianca gola

e dice: - D'un piú forte il petto allaccio

alla mia cara libertade sola;

mi lega amor e l'uno e l'altro braccio

d'un nodo ardente e morte non m'invola,

però questo sería picciol tormento

a voler tormi el duolo in cui son drento. -

80

Trova un profondo e periglioso fiume

u' si getta una donna in penne amare.

In l'acque ella morir non si presume

e dice: - Altro martír bramo provare,

però ch'ognor con l'uno e l'altro lume

in terra faccio un tempestoso mare,

faccio un mar né sumergo in l'acque, ond'io

immortal veggio il mortal corpo mio. -

81

Poscia il libro volgendo in altro luoco

mira l'ardente inreparabil fiamma

e disse: - De l'ardor prendo quel gioco

che prende del can pigro agile damma

e son tutt'esca a l'amoroso fuoco

né può cenere farmi e ognor m'infiamma,

sí ch'io non so ciò ch'a morir far deggia,

ma chi lo puote far quel ci proveggia. -

82

Vede el leon ch'altrui devora e strugge

e con doppi sospir piangendo dice:

- Famelico leon nel cuor mi rugge

né sa da me cacciar l'alma infelice. -

Vede la croce e di mirarla fugge,

non per che tema, l'unica fenice,

perirvi su, ma perché tienla amore

sempre in croce amorosa e non si muore.

83

Vede il carcer mortal, perpetuo, oscuro,

du' senza mai cibarsi un corpo ha fine.

Non vuol la donna in l'aspro luoco e duro

locar sue membra belle e pellegrine

perch'il pianto e il dolor cibo sicuro

sarebbe a lei, che otto morti ha vicine,

ha presenti otto morti e tal martíre

che morendo per lor non può morire.

84

Con quel duol piange e con quel duol suspira,

poi che gli è del morir tolta la spene;

con quel s'affligge e si sface e martíra,

che muore a torto in disusate pene.

In terra ha fitto el viso e colma d'ira

dice a colui ch'il crudo regno tiene:

- Signor, abbi tu pièta a i casi mei,

poi ch'in gioco el mio mal prendon li dei.

85

Io mi stimai che la natura in sorte

avessi ancor la spada stabilita

acciò potesse ognun darsi la morte

tuttor che gli increscessi el star in vita,

ma sue leggi son false, inique e torte,

ch'io, nel laccio e nel fuoco ognor nutrita,

morir non posso e in questo corpo serro

leon, carcer, velen, croce, acqua e ferro. -

86

E mentre che la vita in doglia aborre

e del caro morir speme li manca,

co i languidi occhi sopra il libro corre,

volgendo con la man sottile e bianca.

Ecco una eccelsa, al ciel vicina torre

ch'el gran desir d'Angelica rifranca;

la speranza l'adviva arida e morta

e qual pria s'advilí or si conforta.

87

Perché su da la torre al ciel vicina

giuso cade una donna in pianto rio

fassi Angelica lieta e pellegrina,

alza le palme e rende grazie a Dio

e dice: - È ben ragion ch'in tal ruina

precipiti l'altissimo desio,

ch'avendoli el pensier dato la spene

troppo alto el volo sormontando tiene.

88

A dea e non a donna amar conviensi

Medoro, angel divino eletto e chiaro,

ch'el ciel, prodigo a lui de beni immensi,

fa di me grazie, a tutti l'altri avaro.

Pecca el mondo a non darli voti e incensi,

poi che non ebbe mai pegno piú caro,

e io peccai quando, cagion d'amore,

per gli occhi el posi in signoria del cuore. -

89

Poi, rivolta al signor ridente e lieta,

disse: - Fa' pormi in la sublime altezza

e s'il fin desiato alcun mi vieta

donamel tu e il fil vital mi spezza,

che se fai questo el titolo di pièta

ti farà il mondo et io con allegrezza

a l'altra vita andrò, s'il ciel concede,

predicando il tuo nome e la mia fede. -

90

Stupí il signor, stupí il suo fido gregge

d'Angelica, al morir salda colonna,

e chi sa lettre in su la fronte legge

come ella, sazia de la vita, assonna.

Fu il signor per macchiar l'antiqua legge

e lasciar viva l'insolente donna,

non per compassion, ma sol perch'ella

la morte tien piú che la vita bella.

91

Al fin comanda ch'a la torre in alto

l'unica giovanetta allor si meni

e che presto si getti al duro smalto

acciò dal corpo suo l'alma si sfreni;

e cosí fu condotta in ratto salto

dove a la torre i[n] nuvoli e i baleni

nascono in capo e tanto surge in suso

ch'un punto sol par l'uom ch'in terra è giuso.

92

Quando Angelica giunse a l'alta cima

con accorto sembiante ardita disse:

- Questa torre ch'in alto è sí sublima

vorrei che fino al cielo oggi salisse,

per ch'il desir che nacque in la parte ima

e con le penne ad alto a vol si misse

maggior supplizio avesse e maggior danno

e fussi essempio a quei che seguiranno. -

93

E mentre ch'ella forma alte parole

e che del gran desio vendetta brama,

le mani in lacci d'or stringer li vuole

la gente cruda, ch'in sua morte affama.

Di ciò la donna si querela e duole

e dice altiera e non con voce grama:

- Le man non mi legar, turba proterva,

ch'io, de re figlia, non vo' morir serva. -

94

I venti che mandati in terra e in l'onde

aveva in suoi servigi Eolo ratti,

scordatisi d'andar veloci altronde,

contemplaron la donna stupefatti.

Ecco ella vien con sciolte chiome e bionde

giú da la torre e 'l ciel mira in certi atti

e 'l Ciel, da lei commosso, a Giove dice:

- Crudo sei se 'l fin suo brami infelice. -

95

El Ciel si duol per ch'il ferma e volve

tarda il soccorso al suo presente male;

in tanto de aiutarla si risolve

Zefiro e fa d'i gonfi drappi l'ale;

et in questo ogni vento se disolve:

tien Austro il capo, i piedi Orientale,

chi di sé li fa seggio e la sostiene,

altri scherzando entro il bel sen li viene.

96

Zefiro, entro i bei drappi in fuoco acceso,

vorria rapirla e de i contrari teme;

Austro e Oriental, ognuno inteso

a la bellezza, son crucciati insieme,

tal ch'in l'aer el corpo sta sospeso,

or cala, or surge, e 'l Ciel di gaudio geme

per che vede che Dio, mosso a pietade,

non vuol lasciar perir tanta beltade.

97

E cosí cominciar gare amorose

infra i suavi et iracondi venti;

d'Angelica le membra preziose

voglion tutti palpar lieti e contenti.

Stupisce il Ciel mirando queste cose

e stupiscono in terra ancor le genti,

che a bocca aperta e relevate ciglia

guardano in aer l'alta meraviglia.

98

Par Angelica in l'alto strano errore

una colomba graziosa e pura,

pur ora uscita del suo nido fuore

incontra al vento ch'el volar li fura

e confusa nel mezzo al suo furore

la tien ferma e suspesa in l'aria oscura;

talor riprende el vol, ritienlo quando

il vento el fiato suo vien reforzando.

99

Proprio Angelica par bianca colomba

ch'el vento il volo suo rompe e sospende

e tanto in giú la real donna piomba

quanto questo con quel fiato contende;

il clamor suo dolcemente ribomba

e dolcemente querelar s'intende

e sí vicina ormai scesa è costei

ch'ella altri scorge, altri conosce lei.

100

Medoro errando va, dal duol compunto,

per far morir l'immortal sua consorte;

or, stanco, a caso al bel castello è giunto

in quel che giva Angelica a la morte;

gli fu la legge raccontata a punto

e de la donna l'infelice sorte,

onde fermossi in piazza per vedere

colei giú da la torre alta cadere.

101

E quando vide quella donna, quella

ch'egli odia e fugge qual crudel nimica,

seco gioisce e sorride e favella

e dice: " O mia larga fortuna amica,

donche fia ver ch'Angelica empia e fella

punita sia da la pia legge antica!

Ella è essa e nol credo agli occhi miei

e parmi ognor sognar quel ch'io vorrei ".

102

Come Angelica il sguardo in terra porse

vide il bello ingratissimo Medoro;

visto che l'ebbe, dal suo cuore sorse

un grido ardente, armato di martoro;

poi disse cose che sté Giove in forse,

vinto a pietà, d'uscir del sommo coro

e tirarsela seco in l'alta sede,

ma nol fe' per amor di Ganimede.

103

Tenta la donna in l'aria di sbrigarsi

per cader tosto in su la trita sabbia,

ma i venti, a sua cagion accesi et arsi

di gelosia, l'uno in ver l'altro arrabbia;

chi le veste apre e chi i bei crini ha sparsi,

chi la fronte gli bascia e chi le labbia,

chi vuol robarla e chi gli asciuga il pianto,

et ella dice tal parole in tanto:

104

- Invidi venti, a torto aspri nimici

a i miei caldi e giustissimi desiri,

credevomi che voi me fussi amici,

perché sempre ve accrebbi co i sospiri.

Co i gran legni, ch'il mar solcan felici,

mostrar si vuol se vostro fiato spiri,

e non con la mia fral perduta barca,

vo[l]ta di speme e di miseria carca.

105

Ma se per me, ch'in lagrimosi accenti

supplico voi, nulla pietà v'assale,

fatelo per placar l'ombre a le genti

per voi summersi in ogni error navale,

però ch'essendo in me tutti i tormenti,

ogni affanno, ogni doglia et ogni male,

morendo io moràn meco e resta il mondo

privo di passion, lieto e giocondo.

106

E perché merzé vostra il mondo fia

scarco di duol, quel<l>'alme a cui nel mare

feste i corpi lasciar con doglia impía

vi verran vostri falli a perdonare,

quantunque uccisi da vostra follia,

vedendo oggi per voi altri salvare:

obliata l'ingiuria, non mai sazia

ogni alma fia ognor rende<r>vi grazia. -

107

Né giovandogli i preghi, via procaccia

di tosto uscir de l'importuni amanti,

e non possendo, le man bianche caccia

tra i bei crin d'oro in sú e in giú erranti.

Ha Medor in ver lei fissa la faccia,

né vede l'ora ch'ella in terra schianti

dal corpo l'alma e in l'aspettar s'affligge,

or si torce e conquide, or si trafigge.

108

Or l'uno or l'altro piè Medoro muove,

piange per ira e non ritrova luoco,

graffiasi il viso e guarda e non sa dove,

mangia l'ugnie co i denti e spira fuoco

e tanto brama che la moglie prove

l'estremo fin quant'ella avria per gioco

di morir presto e la medesma voglia

ha del suo sposo e viensi men di doglia.

109

Il signor del castel, ch'ad un balcone

stassi a veder miracolo sí strano,

del divin caso ha tal ammirazione

ch'in su mirando aggiugne mano a mano;

son in terra smarrite le persone,

paion marmi da presso e da lontano,

e mentre ognor Angelica dispensa

parole a i venti e di fuggirli pensa.

110

Studia fuggirli e lor tengonla advinta,

ondeggiando per l'aer in nuova gara.

- Ahimè! - dice ella - una d'affanni cinta

non può morir per nulla pena amara?

che pietà, che giustizia è in ciel dipinta?

dunch'è morte a chi vuol morir avara?

Creduto avrei poter in l'aer involta

morir, morta ch'io fussi, un'altra volta.

111

Ma perch<é> m'odia assai morte infedele

fo voto al dio d'i venti, oggi ritrosi,

di darli l'ombra mia piú che fedele

pur ch'egli in terra morta mi riposi.

Deh, rompi al viver mio, Eol, le vele,

deh, richiama i tui servi invidiosi,

che mi vieton l'eterna e somma gioia,

che l'alma vo' donarti, pur ch'io muoia.

112

Per giusto guidardon, se non ritarda

in me la tua pietà, l'alma ti dono

e perch'in fuoco mai perisca et arda

piglia anch'il pianto, e non fia picciol dono;

or il mio prego con dritti occhi guarda

e del carcer mi sciogli ove ora sono;

rompi l'ostinazion de la mia sorte

et uccidimi a onta de la morte. -

113

In questo supplicar d'Angelica alma,

Zefiro, a i drappi sui fido sostegno,

dal superbo Austral con grave salma

cacciato fu, pien d'amoroso sdegno;

il qual sen gí, non con le voglie in calma,

dove Eol tien l'antico seggio e regno,

e dice: - Il mondo ormai, signor, ti sprezza

né teme alcun tua già temuta altezza.

114

I familiari tui, quei ch'han la cura

del salso periglioso empio elemento,

per torre a forza una donzella pura

lasciono ogni naviglio andar contento;

e quel ch'è peggio è che fan pugna <dura>,

ch'ognun, perduto e in la beltade intento,

vol la diva per sé e stassi in guerra

e di te ride il mar come la terra. -

115

Rabbuffò i cigli e l'orride sue chiome

il monarca d'i venti furiando;

gonfiò l'orrende gote e fessi come

suol farsi allor ch'i remi va fi<a>ccando

e comparse in un tratto, e non so come,

dove i soldati sui fan pugna amando;

punigli e poi l'angelica favilla

posò davanti al tempio di Perilla.

116

Vide Medor ir via per l'aer a volo

colei che muor ognor senza morire

e del suo scampo ebbe sí grave duolo

ch'in terra cadde e nol puoté soffrire.

Corse davanti a lui l'orrendo stuolo

ch'aspettava la donna seppelire,

e raccolto il garzon con grato amore,

lo condusseno avanti a lor signore.

117

In sé tornato, espose la cagione

de le sue nuove incomparabil doglie;

contò ch'è figlia del re Galafrone

colei ch'è sparsa et è sua odiata moglie.

Per questo il gran signor Medor propone

successor suo e con amor l'accoglie.

Ma perch'il dir è stato lungo tanto

con grazia vostra poserommi alquanto.

EL FINE DE LI TRE PRIMI CANTI DI MARFISA

DEL DIVINO PIETRO ARETINO

In questa stanza da l'altre appartata

fuor de li tre canti

l'auttor finge Angelica vedersi davanti morti

il padre Galafrone et il marito Medoro

extr. 1

Chi provò mai cosí maligna sorte

ch'in parte aguagli mia fortuna dura?

Quest'è mio genitor, quel mio consorte,

Fui sposa d'un, de l'altro son fattura.

Chi mi duol piú, qual piangerò piú forte?

a chi do io piú degna sepoltura?

chi ha piú in me, <l>o sposo o 'l padre essangue,

s'io tengo il seme d'un, de l'altro il sangue?

estr. 2

Ha Marfisa due briglie in le man dure

e le palpa e le vibra e le rimira;

poi con parole piú che morte oscure,

con quel suo cuor che dove vuole aspira,

disse: - Le forze mie, che sepolture

son de i viventi se l'accende l'ira,

voglion col valor mio fiero, iracondo,

questo fren porre al ciel, quest'altro al mondo. -

extr. 3

- S'egli fusse concesso a l'ombre nostre

turbar le paci dal ciel stabilite

e per tornare a gloriose giostre

tor delle tombe le sue spoglie ardite,

non sol le false ora credenze vostre,

ma quella avrei del mondo anco chiarite,

talché vedriasi se m'occise in vero

l'asta d'Achille o la penna d'Omero. -

extr. 4, vv. 7-8

. . . . . . . . . . . . . . .

e perché nulla manchi al fiero giuoco

su i brandi appar l'ellemento del fuoco. 

Il testo è tratto dal secondo volume dell'Edizione Nazionale delle Opere di Pietro Aretino (PIETRO ARETINO, Poemi cavallereschi, a cura di DANILO ROMEI, Roma, Salerno Editrice, 1995), al quale si rinvia per tutte le indicazioni di carattere ecdotico.

 

 

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Ultimo Aggiornamento: 13/07/05 22:37