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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Marfisa

PIETRO ARETINO

 

CANTO SECONDO

 1

Quel dolce nodo che n'ordisce Amore

per la cara et amata libertade,

tosto ch'egli entra in signoria del cuore

per cagion alta d'immortal beltade,

mai scioglier non se può, se ben se more,

perché con la medesma potestade

in vita e in morte intorno l'alma avinto

tenace stassi in bel disio dipinto.

2

E ben che bea del sempiterno oblio,

gentil spirito acceso in questa vita,

a cui fu da un bel vago disio

alta donna nel cuor viva scolpita,

scordar non può il suo terreno dio,

perché ne l'aspra et ultima partita

il cuore a la vicina alma s'appressa

e lascia in lei la bella effigie impressa,

3

qual suol smeraldo d'alto pregio e ornato

d'imagin diva ne la calda cera,

ch'avegna ch'ei sia poi guasto o spezzato

pur resta in lei la sua sembianza vera.

Or io torno al gran spirto innamorato,

che lascia i corvi e se rammenta ch'era,

anzi ivi è 'l sacro cener di colei

or viva e bella in grembo a i sommi dei.

4

Egli ha gustato, come già sapete,

de l'umor de la mesta oblivione,

che de far obliviar le triste e liete

rimembranze mortali è la cagione.

Ma 'l privilegio dal ciel dato a Lete

a nesun d'amor servo legge impone,

onde l'ombra desia posarsi in pace

sino al gran dí dove Isabella giace.

5

Staravvi almen, se non sempre, anni cento,

ch'un vago spirto a gli occhi nostri occulto

errando va da ch'el suo corpo spento

senza funereo onor resta insepulto.

Or ei se ferma nel tempio contento,

facendo spesso il bel sepolcro culto,

superbo de le spoglie senza essempio

ch'ei vincitor già consacrò nel tempio.

6

Or egli appar sopra il disconcio ponte

visibilmente e guerrier sembra errante

e chiama or Isabella or Rodomonte

e fa Ecco rispondersi tremante.

In questo scende giú del vicin monte

un cavallier simíle a Sacripante,

e può ben parer lui lungi e da presso,

essendo ei quel che sol[o] sembra se stesso.

7

Sacripante il suon vivo attento ascolta

e li par Rodomonte, onde il piè ferma;

tende gli orecchi a la voce disciolta

e che sia lui l'alto signor conferma

et u' il suon nasce il passo ardito volta,

pur con l'alma, qual suol, d'amor inferma.

Al ponte è giunto e quel sicuro sale;

lo guarda e tace l'ombra empia e immortale.

8

Ma perché fu sempre invid[i]a e ritrosa

donna d'amor che veramente è bella,

canta, Musa gentile et amorosa,

canta, io ten prego, quella donna, quella

che tanto bella fu quanto sdegnosa

e altera qual la piú felice stella,

né degnarebbe il ciel s'al suo cospetto

non s'inchinasse ciascun spirto eletto.

9

Sa ben ogni gentil persona e degna

ch'Angelica io vo' dir, sí bella e altera

che se in lei non spiegasse Amor l'insegna

i suo begli occhi avria per prigion fera.

Ella, che 'l mondo aver per servo sdegna,

con la sua stessa angelica maniera

Medoro aletta e con la rosea bocca

sue dolci labbia dolcemente tocca.

10

Basciollo, e volti a' suoi gli occhi ridenti

ch'han prestato piú volte il lume al sole,

la bocca aperse e spiraro i suo accenti

odor nati<o> di rose e di viole,

e mossi i vaghi e bei robini ardenti,

soave mormorio d'alme parole

sonar fra le sue perle in atto pio:

- Verrete voi, dolce Medoro mio? -

11

- E dove andrem, d'ogni mio ben reina? -

rispose il fortunato. Et ella: - In Francia

ad onorar real festa e divina,

in cui gioco minor sarà la lancia. -

Et ei: - Sia tosto, o nobil pellegrina,

ciò che v'aggrada. - E l'una e l'altra guancia

tinse il vermiglio che far rosa sole

tra 'l fin de l'alba e 'l cominciar del sole.

12

De purpurea onestà tinto, - Per voi -

diss'egli - andrei nel mar quando ha piú ira,

nel foco eterno e con gran gioia poi

sopra il gielo e dovunque il mondo gira.

Amor, che 'l sai, per me giurar lo puoi

(e già de l'indugiar l'alma sospira),

s'io bramo de venir, che sol col riso

me terrete mai sempre in paradiso. -

13

Cosí dicendo, in atto dolce e umíle,

con lasciva onestade e grazia sola

basciò de la sua dea la man sottile,

onde Angelica a sé se stessa invola,

e poi ch'asserenò l'aria gentile,

in mezzo a i labbri l'ultima parola

li bevve con un bascio, u' l'alma corse

acciò del fervor suo non stesse in forse.

14

Quando Angelica il bascio dolce a pieno

gustò con l'alma e destillò con bocca,

nel cuor d'affetto colmo e desir pieno

da un vital morir sentissi tocca.

Fuor del suo bello e bianco e gentil seno

la dolcezza d'amor calda trabocca,

onde in suon che Medor ne l'alma sente

tai parole formò teneramente:

15

- Vita et anima, altero e solo obietto

di mia speme e d'amor, d'e desir miei,

de gioir degno del mio fido petto,

che di tal non goder già mai gli dei. -

Medoro aggiunge e con ridente aspetto

segue Angelica e dice: - Io non sarei

si voi non fosse, et ho meco alto sdegno

non ve potendo dar altro ch'un regno.

16

Ma l'altezza di voi, ch'ogn'altra eccede,

prenda il nobil voler d'e miei fervori,

ch'ove manca il valor, basta la fede,

di cui si pregian men tutti i tesori.

Medor, ch'è nel cuor mio, sasselo e vede

quanti ha da sera e da mattina onori.

L'anima ancor pote giurarli come

reverisco et adoro il suo bel nome. -

17

Medor ne le parole dolci e sante

lo spirto inebbra e scorge nel bel viso

con gioia incomprensibil l'alte e tante

meraviglie che son su in paradiso

e per l'affezzion d'amor tremante

al destr'occhio d'Angelica, in lui fiso,

porse la bella bocca, dolce et alma,

basciando a l'alma sua l'animo e l'alma.

18

Poscia ch'ebber di sguardi e basci grati

gli occhi e i labbri notriti in gioie sole

e gli orecchi attentissimi cibati

de la dolce armonia de le parole,

disse colei a colui ch'ebbe i fati

amici qual la terra il giorno e 'l sole:

- Subito estinto il dí, signor mio, chero

che noi prendiam per Francia il bel sentiero. -

19

Detto ciò, di contesto e terso argento

orna sua belle e delicate membra;

propio d'angelo è suo bel portamento

e non del mondo, del ciel donna sembra.

Comparte il dolce oro il velo e 'l vento,

e cui veder già mai sola rimembra

ninfa seder su i fiori o in selva dea

dica: " Angelica è tal ", non " tal parea ".

20

D'un bel<l'>abito verde, ricco e strano

poscia vestí suo bel caro tesoro,

in cui ritratto avea sua dotta mano

di bei diamanti " Angelica e Medoro ".

Veramente angel sembra in corpo umano

al vestire, a' sembianti, a' capei d'oro,

e un dolce foco di color di rose

le tenere gli ardea guance amorose.

21

Conchiusa con dolcezza alma e gradita,

nel propio dí, come la notte imbruna,

la segretta e [la] crudel fatal partita

ch'avrà contra e le stelle e sole e luna,

Angelica ad armar l'idol suo invita

e l'armò ella, che fu nel mondo una,

con dir: - Voi porterete a casa nostra

gli alti trofei de la famosa giostra. -

22

Col giorno il sol sen gía e 'l denso velo

spiega la notte, onde la coppia bella

porse i begli occhi al bel sereno cielo

e col guardo gli accese ogni sua stella;

poi mosse, ardendo d'amoroso zelo,

sopra degni cavalli et egli et ella.

Vanno soli ambo doi e Amor, ch'è duce,

per camin destro gli scorge e conduce.

23

Ma le bellezze, a l'altrui morte pronte,

per cui sospira il ponente e 'l levante,

m'avean quasi di mente tolto il ponte

ove ascese pur dianzi Sacripante,

ch'odendo e non vedendo Rodomonte

entra nel tempio ch'ei se vede inante.

Pria se disarma e poi a l'erbe elette

le spoglie sue sicuramente dette,

24

però ch'egli era sí dal caldo vinto

di ch'ardeo il cielo, a quel d'amor congiunto,

ch'ei teme non tornare in polve estinto,

non ristorando gli spirti in quel punto.

Il buon corsier nel bel prato dipinto

lascia disciolto, e nel gran tempio giunto,

qual l'opra empito l'ha di meraviglia

lo dimostra co i labbri e con le ciglia.

25

Mentre ch'ei va quel magister guardando

sopra un sasso pietosa assisa vede

alma donna, a cui disse sospirando:

- Sete voi ninfa o dea? - Io son la Fede,

dal secolo malvagio posta in bando -

li rispos'ella e un bianco vel, ch'eccede

la neve e 'l latte, santamente stende

al foco sopra, e 'l foco non l'offende.

26

Inchinossi il re chiaro a quella diva,

a quella a cui si squarcia ognora il fianco

(da lui non già, che sol l'adora e aviva,

né forse un sí buon servo ha veduto anco);

poi a la veste co i pronti occhi arriva,

piena di macchie, et un sol lembo ha bianco,

ma sí lucente ch'el lume gli offese

e la cagion per cortesia le chiese.

27

- L'abito che me vedi era una vesta

del color de le perle, - ella rispose

- in cui già, quasi in specchio, quella e questa

buona età l'opra sue scorgea famose;

or ogni mano, a violarmi presta,

dopo il mentir de le promesse cose

se forbisce a' miei panni e tai colori

son l'alte destre d'e piú gran signori.

28

N'altro rimaso m'è che questo lembo,

semplice, netto, delicato e vago,

il qual lavò nel suo casto e bel grembo

Isabella, di cui sol or m'appago,

et al sol d'e suoi lumi senza nembo

l'asciugai e 'nbiancai, ond'io la imago,

ch'è cener qui, celèbro ognor di lei.

Falle onor, sommo re, s'amante sei. -

29

Fe' reverenzia il re di Circasia

al sacrato e bel vaso e gli occhi affisse

ne la tomba onorata, qual copria

le gelide ossa, e pien d'affetto disse:

- O gloriosa donna, o donna pia,

in cui tutte sue grazie il ciel prescrisse,

quanto è diverso il mio fero destino

da la felice sorte di Zerbino!

30

Sante reliquie, che morendo deste

a l'altre donne di voi chiaro essempio,

ben degno è che di voi memoria reste,

sí sprezzaste del ferro il duro scempio.

Zerbin beato, queste grazie, queste

son sole al mondo, ond'io d'invidia m'empio

poi che te fur le braccia sue per sorte

lett'almo in vita e pio sepolcro in morte.

31

Anzi, invidia non t'ho, gentile amante,

del godere e gioir in terra e 'n cielo

di tua donna bellissima e costante,

che 'l mondo bea ancor col suo bel velo;

io vorrei ben ch'a le mie pene tante

la mia facesse men le fiamme e 'l gelo. -

E mentre egli ha l'alt[r]a parola sciolta

un terribil romor gli l'ebbe tolta.

32

L'alto e forte romor nato improviso

ven da lo spirto solo e innamorato,

sul caval suo visibilmente assiso

e de le sue gloriose arme ornato.

E come il re gli ebbe rivolto il viso,

- Temerario! - gridò - qual empio fato

ti mena or qui a tor l'arme e 'l cavallo

a chi punir te può di maggior fallo? -

33

Ride l'ombra superba e 'l corsier alto

fa girar d'ogni man, lo spinge e tene;

or lo galoppa, or fallo andar di salto,

quando correndo a sciolto freno vene,

ecco tutto l'afferma su lo smalto,

poscia ne l'aria mezz'ora il sostene.

Freme il circasso e fer se gli avicina

e mena con la spada alta ruina.

34

Finge l'alma la fuga e non pon mente

al re ch'a gran furor dietro li move,

dicendo, tutto acceso d'ira ardente:

- Da le man mie non può camparti Giove! -

L'ombra, che 'l minacciante parlar sente,

quasi tema venir seco a le prove,

tremando il caval ferma, onde il re degno

li mena un colpo ch'è sol ira e sdegno.

35

Mena un colpo il buon re u' l'elmo eletto

termina con l'usbergo e foco e maglia

sparge per l'aria e se crede in effetto

la palma conquistar de la battaglia

perché l'elmo saltò sul campo netto,

ma ombra e vento e fumo <et> aere taglia.

Allora l'alma del gigante ingiusto

tenne a cavallo senza capo il busto.

36

Di meraviglia sí, non di paura

empissi il cavallier, gli occhi torcendo;

intanto apparve in sua propia figura

di Sarza il re, con gran voce dicendo:

- Procacciati, signor, nuova armatura,

ch'or questa a la mia dea sacrare intendo. -

E 'n quel che 'l gentil sire ebbe a voltarsi

sparvero l'arme, ond'ei non sa che farsi.

37

Resta qual uom ch'alto miracol vede,

che s'affige pensoso, e dice seco

è e non è, e l'afferma e nol crede,

col vero dubbia e ' aperti occhi è cieco.

Al fin lascia il cavallo e al tempio riede,

al tempio al corpo d'Isabella speco,

e 'n su mirando, tra scudi, elmi e 'nsegne

p[r]ender vede sue arme uniche e degne.

38

Li par sognar esser nel tempio e pargli

veder dormendo e l'insegne e gli scudi,

e mentre stassi confuso a mirargli

sente un che dice: - Con miei colpi crudi

da forti cavallier feci lasciargli,

qui giunti armati e via partiti ignudi. -

Riconosce la voce e gli è molesta

e vegghiando se stesso scuote e desta.

39

Ei non sapea che Rodomonte forte

fosse stato il trionfo di Ruggiero,

né ch'avesse nel campo avuto morte

il guerrier già terror d'ogni guerriero,

che l'avria con parole alte et accorte

chiamato a nome e chiesto al re sí fiero

la verace cagion che 'l tene errando

nel mondo nostro e da l'inferno in bando.

40

Risolve al fin senz'arme girsen via,

ch'aver le sue non può, non avendo ale;

cosí del tempio in gran pensier partia

e disse al cener d'Isabella vale.

Giunto al bel prato, sul caval salia;

trapassa il ponte e d'elmo non li cale;

entra in un bosco e dove il sentier piglia

s'incontra in una nuova meraviglia.

41

Sente una voce, cui ode ogni stella,

creata da un cuor pien d'alti martíri.

Mentre l'ascolta scorge una donzella

che l'aria fiammeggiar fea co i sospiri;

li parve a un tratto la sua donna bella,

e volti gli occhi con vezzosi giri,

languidamente al ciel mesta dicía:

- Merita questo l'innocenzia mia? -

42

Tremò a Sacripante il cuor nel petto

e 'l sangue da sue guancie dileguossi,

tornò di terra il suo vivace aspetto,

morí la voce in quel ch'ella creossi;

parve uom notturno, il qual senza sospetto

ne l'impese reliquie ricontrossi,

che li fugge il color e ven di gelo

e se li torce adosso ciascun pelo.

43

La real donna al verde tronco avea

le treccie d'or lucente avinte in guisa

ch'arte né forza scior non le potea.

Una vecchia la guarda in molte risa,

che la madre d'e secoli parea

sul tempo antiquo adagio e stanca assisa.

Piange la bella donna in pena dura,

ma taccio ora di lei l'empia ventura.

44

Sento omai l'alto suon de l'auree trombe,

veggio l'altere pompe e gli apparati

del gran Parigi e parme che ribombe

il nome in ciel d'alti guerrier pregiati;

veggio uno stuol di candide colombe

in sembianza di donne in gesti amati

spiegare usanze non spiegate altrove,

che, no che un re, onorarebbon Giove.

45

Ruggier, tanto divin quanto eccellente

ne' servigi d'Amore e 'n quei di Marte,

ha ne l'almo, nel cuore e ne la mente

sol la sua donna e a lei l'alma comparte;

ei tocca, vede, gusta, intende e sente

sol co i sensi di lei; resta ella e parte

con le virtú di lui et ambo assembro

un'alma a cui obedisce ogni membro.

46

Venuto è in corte il vecchio duca Amone,

bramoso di veder se il ver risponde

a la fama di quel cui ognor corone

tessano a gara le famose fronde.

Di se stesso esce quando gli occhi pone

nel gran sembiante, dove se confonde

de gli uomini la gloria e l'alterezza,

e piange lieto in ultima vecchiezza.

47

E a Dio volgendo il cuore e le parole

disse: " Signor, benché i miei vizii rei

indegni sien de le tue grazie sole,

per bontà tua, non merto mio, vorrei

del seme suo veder figli o figliuole

e che tu li aggiungesse anco i dí miei,

i dí ch'ho vissi troppo, e s'a te piace

serrar poi fammi i felici occhi in pace. "

48

Ciò ch'Amon nel cuor sente, sente Carlo,

gioisce il conte et è lieto Rinaldo;

quel che ridir non se puote io non parlo,

basta ch'ognun d'alma letizia è caldo.

Con quai tempre arda Amor non so ritrarlo

Bradamante e Ruggier in fervor caldo,

ma dicalo per me chi se riposa

in paradiso tale, e sposo e sposa.

49

Mentre l'altera sposa e 'l sommo sposo

pendenti al collo l'uno a l'altro stansi,

per lo Danese, paladin famoso,

alti apparecchi a l'alte feste fansi.

A i signor peregrin nel gran pomposo

del re palagio commodi agi dansi

e a pena il potria dir penna immortale

come vestite son camere e sale.

50

Ove il cavallo e il fer leon sicuro

a vincer s'hanno, è con arte ordinato

in guisa di teatro un saldo muro,

al commodo d'altrui facile e grato;

per cui brama finir col ferro duro

lite mortale è fatto ampio steccato;

a i tauri, a la giostra e al corso altero

gran luogo ha procacciato il grande Uggiero.

51

Ma un romor che tutt'il mondo scote

l'aria cinge d'orror, conturba l'onde,

e le genti palesi e quelle ignote

fa temere e tremar, qual vento fronde,

un terribil valor che vuole e pote,

non pensato dal stil che se confonde,

per forza il cantar mio volge a' suoi gesti,

acciò l'alto suo nome or manifesti.

52

Desto è in quel clima dove nasce il giorno

et ha ciascuno in sé color di notte

un re ch'el mondo a girar d'ogni intorno

sí alter non vede, e fu men fer Nembrotte.

Ha tanto cuor che tien disnore e scorno

del valor suo se non ha guaste e rotte

l'alte sede celesti e non dà cura

d'esser secondo al Dio de la natura.

53

Stassi in Biserta e 'nvittamente sede

nel real trono, ove 'l desio l'accende

d'el ciel salir, che insignorirsi crede

sin del lume del sol dove piú splende;

e tanto a Giove e a Marte in valor cede

quanto il mare ad un rio che 'l fio li rende.

Fratel fu di Don Chiar, figlio a Gherardo,

ch'un sdegno il diede a un dio vano e bugiardo.

54

Gherardo, padre al buon Don Chiaro invitto,

ch'al tempo d'Agolante uccise Orlando,

fatto nimico a Dio dal duol trafitto,

morío avendo un picciol figlio, e quando

potette gir sopra i suo piedi dritto

giurò, come il vecchio empio andò lasciando,

su l'Arcorano innanzi a Macometto

a la vendetta offrir la fronte e 'l petto.

55

E perch'ei nacque quando in Aspramonte

fe' 'l sangue già piú d'un corrente fiume,

il fero padre nomol<l'>Aspromonte,

nome conforme al suo crudel costume.

Un angelo a par suo fu Rodomonte

e poder piú che Dio solo presume

e hassi vinto il giovin foribondo

la monarchia ch'ebbe Agramante al mondo.

56

Trenta due teste ornate di corone

a la maestà sua tributo danno,

onde un numero immenso di persone

tosto in campo a suo nome arriveranno,

perch'in Francia passar l'alter dispone

(e v'anderà con sua vergogna e danno)

e già nel fiero cuor l'arme prepara

per far del gran fratel vendetta amara.

57

Egli è 'n convito con terribil festa;

cibansi i re con gran timor fra loro.

Mensa non fu già mai simile a questa,

ch'ha tutti i vasi di smeraldo e d'oro;

è di diadema cerchiato ogni testa,

né tanta pompa è ne l'eterno coro,

n'altre vivande gustano i campioni

che cuor di draghi e nervi di leoni.

58

Gl'invitti eroi, trofei d'e gesti conti,

tengan beati sé standogli innante,

ma com'ei torce i feroci occhi e pronti

trema ogni ardito dal capo a le piante.

L'etade sua gli ha cinque lustri conti,

ha forza estrema, è d'animo costante,

tien poca barba e veste orridi panni,

qual ha fatto a' dí nostri il gran Giovanni.

59

Scorciati ha i crin la sua terribil testa,

ha 'l fronte altero, ha minacciante il guardo,

le ciglia oscure e la sembianza mesta,

le guancie piene e 'l parlar crudo e tardo,

picciol vento al cuor suo move tempesta,

ha 'l pensier pari a l'animo gagliardo,

largo promette e osserva realmente

e dove è piú valor piú dar consente.

60

Finito il prandio, a guisa di corona

saliti in piede, i principi famosi

stan d'intorno a colui ch'alt[r]o ragiona

d'imprese degne e d'atti coraggiosi;

parla di guerra e sí quel parlar suona

ne i cuor d'e re, di guerreggiar bramosi,

che ne' medesmi gesti ognun se scaglia

con cui movano il corpo a la battaglia.

61

Di parlare in parlar, di cosa in cosa,

voltarsi a contemplar la loggia altera

che in sé tene opra sí meravigliosa

ch'a prova è l'arte assai del ver piú vera.

Nel primo quadro è la torre famosa

del gran Nembrotte e la vil turba v'era

ch'atende a l'edifizio e ognun s'adopra

perch'a onta di Dio si compia l'opra.

62

Nel secondo è l'istoria d'e giganti,

orridi figli a l'universa Terra:

dico lo stuol d'e crudei frati erranti

che 'l ciel prender tentar con nuova guerra.

Guardano insuso in sí fieri sembianti

che ciascun che gli mira il volto atterra,

però ch'ha 'l solo e pellegrino ingegno

posta un'altra natura nel disegno.

63

Nel spazio ultimo è finto il crudo inferno,

corso da l'uno e l'altro semideo

con lor gloria e disnore e duolo interno

del tristo imperator del centro reo.

Veggonsi vivi dentro al fuoco eterno

quei che con l'arme, e non col suon d'Orfeo,

domar le Furie e portar fieramente

l'anima e 'l corpo a la città dolente.

64

Aspromonte, compresi i chiari essempi

che nel petto gli han posto un altro cuore,

et a i lor fatti impossibili et empi

di piú sdegno arricchissi e piú furore,

e minaccia di far crudeli scempi

d'ogni immortale et infernal signore,

e fa sgombrar de la sala ogni turba,

che d'alte imprese ogni alto cuor disturba.

65

Poscia congrega a general consiglio

trenta duo re ch'al suo cospetto vede.

Lieto gli guarda e con terribil ciglio

gli 'nginocchiati fa levar in piede

e cominciò: - Senza aprezzar periglio,

col valor mio ch'ogni valore eccede,

benché impossibil sia vo' con mie prove

tor l'inferno a Plutone e il cielo a Giove.

66

E quando io penso che 'l mio pensier degno

prima di me pensar le genti accorte,

che viste avemo in natural disegno,

ch'al centro e al ciel ferno serrar le porte,

meco vegno in tanta ira e in tanto sdegno,

se non che di me teme insin la Morte,

m'ucciderei et hommi nel cuor miso

in abisso impor leggi e in paradiso.

67

Andrò là sú, e tolti i fuochi ardenti

di mano a Giove, abbrucciarò sua prole;

vo' dar legge io col cenno a gli elementi,

la luna al giorno et a la notte il sole;

non spiraran, s'io nol comando, i venti;

vo' ch'umane le fere abbian parole;

vo' 'l mar senz'onde e 'l ciel privo di lumi;

torrò per dargli a i monti i piedi a i fiumi.

68

Voglio, essend'io nel ciel, che i cuor divoti

preghin me, di ciascun posto al governo,

e che per tutti i tempî eccelsi e noti

s'adori il mio gran simulacro eterno;

l'ostie, gli 'ncensi, gli inni, i fuochi e i voti

porgansi al nome mio solo e superno;

se non, fulminarò con mortal pondo

la rotonda e gran machina del mondo.

69

Vo' che chi erra al cielo empireo ascenda

e chi non pecca giú nel centro vada,

quel che merta servir che in grado splenda,

cui degno è di salir che in basso cada;

voglio che la Fortuna nel crin prenda

chi aggrada a me, che per virtú di spada

farò ciò ch'io desio per forza d'arme.

E chi può quel ch'io bramo oggi vetarme?

70

Sí che tosto insegnatemi una via

per cui girmen là sú possa almen solo;

bastando l'ali de la fama mia

mi levare' in questo punto a volo,

ma, non potendo tanto e c'è chi sia

esperto del camin de gire al polo,

or ora prenderò col ciel la guerra,

ch'è vil cosa ad un re vincer la terra. -

71

Dorion, gioven re de l'Alganzera,

che de l'andar non esce d'Aspromonte,

di senno voto e pien di forza fera,

cui la natura sua mostra nel fronte,

d'aspro parlare e di persona austera,

che tanto suda al pian quanto nel monte,

né sa chiunque si sia Pluton né Dio

e tene indifferente il buon dal rio,

72

costui, ch'ha gli occhi grossi e 'l guardo losco,

torti i capelli e con duo peli il mento

e di color che pende in rosso fosco,

con un riso villan, tutto contento

disse: - Signor, te solo oggi conosco;

de l'abisso e del ciel morte e spavento,

tu sol sei cielo e abisso e tu sol puoi

a gli uomini et a' dei far ciò che vuoi.

73

Però comanda a ciascun gran signore,

saliti là sú sol per forza d'ale,

ch'aprano il cielo al tuo real valore,

che sei di lor piú vero e piú immortale,

e se s'indugia ad ubidir due ore

ardiamgli il regno suo sommo e fatale,

e vedrem, mossa a fuoco e a fiamma guerra,

chi pote piú: essi in cielo o noi in terra.

74

Piú oltre, re d'e re, penso e favello,

fa' monte sopra monte anche tu porre,

su i monti ogni cittade e ogni castello;

sopr'essi d'uomin poi forma una torre

et alzati a punir cui t'è rubello.

Ma chi meglior consiglio ha da preporre

parli, ch'io taccio, e chi parlar non vuole

a te dia fatti in vece di parole. -

75

Risero i re, ch'avean l'animo e 'l senno

conforme al suo, di sue real chimere,

ch'ad Aspromonte una baldanza denno

che già li par ciò ch'ei brama ottenere,

e per ch'ognun ragionava, col cenno

legò la lingua a le corone fere.

Melegro in questo, re di Caramanta,

con orrido atto in piei se stesso pianta.

76

Gigante era Melegro e la sembianza

ha gigantea e cosí il cuore e 'l volto,

e qual ciascun d'aspra persona avanza,

cosí è piú d'ogn'altro audace e stolto.

- Gran tempo è già - diss'ei - ch'ebbi speranza

salir là sú per veder Marte <'n> volto

e con l'arme provar al vile dio

chi piú degno è del cielo, o egli o io.

77

Ma ora, sommo re, che nel ciel alto

vuoi pur salire, anch'io voglio seguirti

e di là sú giú nel terrestre smalto

gittarem i divin[i] semplici spirti,

bench'è disnor di prender chiaro assalto

co lo stuol de gli dei sú nei calli irti,

ch'edificata s'han l'alta cittade

per pompa, per superbia e per viltade.

78

Pur mi par, s'a te par, che di dragoni

prenda una schiera, di quei fier ch'han l'ali,

due d'aquile e due altre di grifoni

congiunte insieme; poi sopr'essi sali

e me e chi tu vuoi presso ti poni,

per ch'alentato il freno agli animali,

ci portaran sicuri armati in cielo

e quel distruggerem col nostro telo. -

79

Cosí dicendo il fier gigante e forte

quasi ch'ei fosse per levarsi a volo

l'aer fería ne la superba corte,

credendosi assalir gli dei nel polo.

Serion di Fizzan, di quelle accorte

e saggie teste ch'hanno il nome solo,

cui salvarien con purgati consigli

duo mondi da' disagi e da' perigli

80

(costui è taciturno per natura,

ma nel parlar essecutor del vero;

ghigna e non ride, ha grave guardatura,

pallido, inculto e qual Caton severo,

d'animo è bello e brutto di statura,

co i buoni umíl, co i rei superbo e fero,

et appresso al re suo non vuol fortuna

che sul bel del favor gli torni bruna);

81

dico che l'egregio uom la bocca aperse,

sciolse la lingua, non mai indarno sciolta,

e pronti nel gran re gli occhi converse,

poi tutto umíl, con reverenzia molta,

disse: - Vero signor, l'opre alte e terse

che a gli atti sembran de la turba stolta,

interamente in sé non han l'istoria,

ch'aperto splenderien con minor gloria.

82

Ci mancano i divin folgori ardenti

ch'uccisero i giganti, audaci tanto,

e la confusion di quelle genti

che la mole compir dieronsi vanto,

per cui l'alto fattor de gli elementi

lor temerario ardir ridusse in pianto.

Guardati or tu, ch'a mover guerra al cielo

in te stesso converti il proprio telo. -

83

Qui finío e qui tacque di Fizzano

il prencipe onorato, ond'Aspromonte

imbiancò 'l volto e fegli un guardo strano;

né si smarrí sua generosa fronte,

anzi seco col cuor disse in suon piano:

" Io non mi curo di recever onte

per dar fidi consigli al sol re mio,

ma il bene avrei per mal dandogli il rio ".

84

O d'e prencipi stella iniqua e dura,

ch'a lor mal grado ognor gl'infondi in cuore

voglie inumane, sí che la natura

sofferir non ne pote il tristo odore;

e s'alcun c'è ch'aggia a remover cura

lo stran desio di questo e quel signore,

tu schernir e spregiar fai senno e fede,

la grata adulazion ponendo in sede.

85

Adunque che miracol s'un re fiero

qual Aspromonte discopra nel volto

quant'ebbe a sdegno che 'l suo gran pensiero

dal cuor gli fosse dal ver dir distolto?

Ecco move a parlar Salastro, vero

del Garbo sir, tutto in modestia involto.

Oltra i cari al suo re caro è costui

e vede ei sol ciò che segreto è in lui.

86

Sol egli libertà d'amonir have

colui che vuol del ciel per forza il regno,

ma sí dolce, gioconda, saggia e grave

usa maniera, mista in tanto ingegno,

che, raffrenando ognor sue voglie prave,

giudica chi giudizio ha sano e degno

ch'è piú concesso d'Aspromonte e dato

che da la sicurtà d'esso usurpato.

87

La bontà di Salastro ognuno adora

perch'a l'ira del re dispenna i vanni,

né trapassa già mai punto né ora

che non salvi qualcun posto in affanni.

Se non che biasmo sé lodando fora,

direi: tale vivea col gran Giovanni

un ch'amo e tengo in cuor quasi me stesso;

ma sé proprio esaltar non è concesso.

88

Pien di fede e d'amor l'alto uom prudente

disse: - Nobil signor, freno del mondo,

io lodo il tuo real desire ardente,

ch'in terra e 'n ciel non vuol nessun secondo.

Il valor tuo, che in tanto ardir si sente

che nulla tien domar la terra a tondo,

m'aggrada e sí men glorio, poi ch'io servo

un re che 'l paradiso vuol per servo.

89

Ma bisogna pensar pria che se vada

là sú, dove ancor io teco men vegno,

per qual potrem salir spedita strada

e scender giú nel reo tartareo regno;

anzi andrai per saper d'industria rada

or adempiendo questo, or quel disegno,

ciascun clima infiammando con tua gloria;

ma ciò che dèi far pria ponti in memoria.

90

Di popoli pastor, d'e tuoi re dio,

dovrien pur pensar or le virtú tue

ch'Orlando uccise a tradimento rio

Don Chiar, che passò 'l ciel con l'opre sue;

ei ti tolse un fratel che 'l sai com'io

ch'a dar fama a la spada il primo fue,

la cui vendetta con fronte serena

giurasti avendo tu dieci anni a pena.

91

Questo si deve a te, qui la tua forza

move, signor, che giusta impresa fia;

il desio d'ire in ciel tanto ramorza

che l'orgoglio d'Orlando estinto sia;

l'invitta destra tua scioglier ti sforza

dal sacro giuramento, alto re, pria,

che se non la desoblighi non puoi

con essa adoperar ciò che tu vuoi. -

92

Aspri color ne la terribil faccia

il re umíle al re superbo ha sparsi

con il ricordo buon che gli rinfaccia

il voto che lo sprona a vendicarsi,

e divenne qual uom che par se sfaccia

nel sentir suo disnor rimproverarsi,

e per ch'a far risposta ha vana scusa,

smarrito se rimane a bocca chiusa.

93

Ma l'ira ardente qual salío nel volto

il velo de la subita vergogna

con un vampo d'ardir dal viso ha tolto

e appar nel fronte ciò che 'l cuore agogna,

ond'Aspromonte, al buon Salastro volto,

diss': - Altro replicar non me bisogna

se non ch'Orlando è vivo sol per ch'io

ho suggetto sí vil posto in oblio. -

94

- Vil è 'l suggetto e la vendetta degna, -

Salastro in vista dolce gli rispose

- dico al cuor tuo che mirar basso sdegna,

né 'l seggio vuol de le terene cose;

ma gli altri fa tremar l'altera insegna

sotto la qual con opre gloriose

trionfa Orlando e ciascun paladino,

crescendo gloria al figliuol di Pipino.

95

Io mi ramento, e fu, signor mio, quando

Gherardo confessò d'essi la fede,

ch'io vidi Carlo e giovinetto Orlando,

sí come la mia mente ora gli vede;

poscia rividi i paladini stando

lieti a partir le trionfali prede

d'un famoso pagan alto signore,

cui non vo' mentovar per nostro onore.

96

Orlando è di persona grande e grossa,

d'ulivigno color che l'occhio offende;

composto tutto d'aspri nervi e d'ossa,

non mai la testa a nessun lato pende;

ampio è nel petto e un non so che s'addossa

che l'animo e 'l valor d'esso comprende;

brevi ha gli orecchi e largo e corto il collo;

fermato in piè, nessun può dargli crollo.

97

Crespi e lanosi ha i crini, inculti e appresi,

cosí la barba al mento e adosso i peli,

sicuro fronte e gli occhi vivi e accesi,

torvi, traversi, orribili e crudeli,

sempre fissi in un luogo a cigli tesi,

né cosa è sí terribil sotto i cieli

che gli potesse far chiudere a lui,

e però sempre è vincitor d'altrui.

98

Ècci (Dio lo confonda) un Rinaldo empio,

cugin suo, mortal briga e intrico al mondo,

qual temerà di te, di valor tempio

et al cuor d'e gagliard'orribil pondo.

Costui è d'e pagan crudele scempio,

né spirto pria di lui né a lui secondo

abitò corpo mai piú destro e forte,

né men suggetto al terror de la morte.

99

Cingesi con la man du' l'uom se cinge,

ha 'l fronte in rugiadoso ognor sudore,

la barba bionda e 'l volto gli dipinge

foco di sangue ond'ha viril colore,

tien sempre il capo nudo e mai non finge

cosa che pensi il suo terribil cuore

e donarebbe il mondo e l'arderia

se lo movesse o ira o cortesia.

100

Parla in voce alta e nel parlar s'affolta,

con la lingua intermette le parole;

diverso è da Orlando, il qual ascolta

ciascun che parla e mai parlar non vuole.

Gli occhi ha lieti et ardenti e ratto volta

in qua e in là le chiare luci e sole;

l'animo ha ne gli sguardi sempre erranti,

sicuri, generosi e sfavillanti. -

101

Gran senno ed arte usa a parlar Salastro,

perché del gran signor la mente ha in cura:

ove die' porre, ove levar l'impiastro

conosce esperto e dove è 'l mal procura.

Non sa cosí le sorti umane ogni astro

qual ei sa d'Aspromonte la natura,

e però l'unge e punge or ratto or tardo,

volgendo u' vuole il suo pensier gagliardo.

102

Ma non sempre a Salastro concesso era

il poter raffrenar sua sfrenata ira;

tal volta in rabbia vien sí cruda e fera

ch'a pena per timor nel viso il mira:

la mente d'Aspromonte è tanto altera

che seco stesso ancor empio s'adira,

et ha divin giudizio quel che intende,

s'a tacere o parlar con esso prende.

103

Spesso l'ira crudel nel cuor ardente

ebbe il lume al suo onor con biasmo spento

e ne la furia a sé tolto di mente

sfogava lei sopra l'altrui tormento;

ma Salastro, et esperto e paziente,

nel strano andar dove il suo senno ha intento

col parlar saggio e col tacer d'ingegno

spesso temprò suo stemperato sdegno.

104

Tal arte or usa e gli raffredda al cuore

del ciel l'impresa e glielo scalda in terra;

con senno lusinghier tutto il furore

gli volge a far con gli uomini empia guerra

e gli tene il pensier fermo e 'l valore

pur nel vincer ciascun che in ciel si serra

e intanto il move a gir sé vendicando

contra il conte d'Anglante invitto Orlando.

105

Non era in quel consiglio, ove son tante

chiare corone a servir Marte ascritte,

alcun profeta n'alcun mago errante

ch'ardisca disturbar le cose ditte,

perch'Aspromonte la setta arrogante

ch'ha le future sorti a noi preditte

con la fune e col fuoco in modo onora

ch'augurio bono o rio non appar fuora.

106

Or il gran re, de cui se teme e trema,

ruppe il consiglio e 'n piei levossi altero,

dicendo: - Ognun con sua possanza estrema

segua me e Marte fin d'ogni emispero. -

Poi, volti gli occhi, ch'han vista suprema,

in quella parte dove Carlo ha impero,

disse: - Presto al ciel fia tuo duro scempio

del mio alto valor crudele essempio. -

107

E 'n cotal dir comanda a i re che presto

riedano a lui con le lor forze in armi,

ond'è 'l romor per l'universo desto;

già 'vien ch'ognun per gire in Francia s'armi.

Ma lasciam, signor miei, lasciam or questo,

ch'han desio di cantar d'altro i miei carmi,

lasciam in ordin por l'orribil mostra

mentre ognun corre in Parigi a la giostra.

108

Io ho riposte tante cose indietro

ch'or vo' raccorle e pormele dinante:

mira la donna, in dolor crudo e tetro

impesa al tronco, il nobil Sacripante;

con gioia di diamante e non di vetro

sen van con paci graziose e sante

Angelica e Medor, coppia ch'a dito

il ben ne l'amor suo mostra infinito;

109

di Spagna il re, con tutte le corone

serve a la sua, Grandonio et Isoliero,

Bianciardin, Balugante, alte persone,

e Serpentin, ch'ha 'l titol d'esser fiero,

sono in Parigi; e 'n dura passione

Ferraú erra in ogni stran sentiero.

Ma vo' meco pensar s'è degno e onesto

ch'io canti in prima o di quello o di questo.

FINE DE LI DUI PRIMI CANTI

SEGUITA IL TERZO CANTO

 

 

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Ultimo Aggiornamento: 13/07/05 22:45