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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

Eclissi

Di: Niccolò Amanio

STANZA I
Luce eterna del ciel, che da quel giorno
Che prima al nostro Adamo ti mostrasti,
Di età poi in età sempre servasti
L’ordine fermo al tuo girare intorno;
Qual nuovo impero a tant’alto soggiorno,
Qual mai più strana forza, o almo Sole,
O intelligenze sole,
Vi ferma il corso, o vi rivolge indietro?
Tu, che pur sei per sì lungo diretro
E della terra e di quest’aer fosco,
Quel che tutto produci e ’l tutto allumi,
D’ogni vita mortale eterno padre,
Qual conceputo ai nosco
Sì fiero sdegno, che gli usati lumi
Nascondi a quest’afflitta orbata madre?
Sotto qual sei ponente oggi sommerso,
Ch’al bel montar del ciel il giorno hai perso?
STANZA II
Smarrita, indica mia, tremante aurora,
Il tuo sol, che sì bel pur dianzi hai visto
Partir da te, or scolorito e tristo
Morir tel vedi innanzi ad ora ad ora.
Sarebbe mai tra’ nostri fiumi ancora
Caduto giù dalle stelle Fetonte,
Che l’onorata fronte
Il sol a tutto ’l mondo oggi nasconde?
Già si ritornan fra l’amate fronde
Gli augei, ond’in sull’alba eran partiti.
Stupido ogni nocchier ferma la nave;
Fermansi in mezzo i suoi campi i bifolchi,
E ’n tutto sbigottiti,
Col viso al ciel, ognun s’arresta, e pave,
Vedendo quasi al cominciar de’ solchi
Mancarsi il giorno, e trema in strano orrore,
Se quest’è notte, oppur se ’l mondo muore.
STANZA III
Tu che ’l bel volto, allor che l’aria imbruna,
I tuoi pallidi raggi in questi chiostri,
Invece del fratel, dal ciel ne mostri,
Regina delle stelle, alma mia luna,
Fra qual vai selva errando, oggi in quest’una
Del perso Apollo tuo sorte sì avversa;
Od in quai monti spersa
Fra armenti Endimion cerchi, e fra i greggi?
O con qual corso dell’eterne leggi
Tra ’l nostro globo e ’l sol l’aurate corna
Spandi, e fai d’esse agli occhi nostri un velo?
Ahi figliuoi di Latona, in altra Tebe,
Altra Niobe torna
A farvi in nube giù scender dal cielo,
Contra più altiero error, più vana plebe;
Fosche alte ombre, aspro sdegno, e ’n strana tempra,
Se quest’in ciel con noi odio s’insempra!
STANZA IV
Ma insemprisi con voi, che dalla rete
De’ primi fondatori in tanto orgoglio
Sete venuti, che là in Campidoglio
Voi stessi in terra dei fatti v’avete;
Voi vi cangiate il ciel, voi vel vendete,
Ponendo vostra sede in aquilone.
Sol, tu n’hai ben ragione,
Se avvolto in nube giù dal ciel discendi:
Prendi pur l’arco irato, Cinzio, prendi!
Questi sono i giganti, e quest’è Flegra;
Qui monte Pelio Pindo alto sostiene!
Ah ruina del ciel, Bariona antico!
La gente mortal egra
Sen va con gli occhi chiusi, e colpe e pene...
Or non più... no... io so ben quel ch’io dico.
Intendami chi può, che m’intend’io.
S’altri nol vuol veder, vedil tu, Iddio!
STANZA V
Tu, che novellamente un simulacro
Di quell’altro Pompeio a quest’inferma
Madre, che non ha più dove star ferma,
Colonna sei in quest’ordin suo sacro,
Odi gridar da lunge afflitto e macro
Lo sposo suo: uscite fuor del tempio,
Voi che vendete! Ahi empio,
Che vendi le colombe, il tempio sgombra!
Odi quest’altra, cui vergogna ingombra
D’esser scoperta; e grida: o miei dolori!
Negra e formosa fui; giunta è la sferza,
perch’io nuda men vo, squallida e fosca!
Spengansi sì alti errori,
Alta colonna mia, innanzi terza;
L’aer, tu ’l vedi, e ’l mondo e ’l ciel infosca,
Ch’un de’ dui, qual si sia, altri ’l distingua,
Temo e forse il maggior lume s’estingua.
STANZA VI
Sacri colli, arce sacro, alte ruine,
Sacrati sassi, e voi vie sacre antiche,
S’aveste, come già, le stelle amiche,
Uopo non v’era di temer tal fine;
Che non arian quell’anime divine,
Che ’n voi nascean così squarciato il manto,
Della donna, che tanto
Con martìr s’inalzò con sì bel sangue:
Di quella donna, cui d’intorno langue
Senza pastura il gregge, e ad altre belve,
Sol, tu nol vuoi veder, han dato in preda,
La bella vigna e le campagne e l’erbe;
Campagne aride, e selve
Di fieri lupi: or chi fia mai ch’il creda?
Fier aspri lupi, che delle superbe
Scellerate crudel false vostre opre
Fuggito è ’l sol, o eterna notte il copre!

 
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Ultimo Aggiornamento:14/07/05 22.14

NOTA AL TESTO

Si riproduce alla lettera Niccolo` Amanio, canzone Eclissi, in Poesie italiane inedite di dugento autori dall’origine della lingua infino al secolo decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, vol. III, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847, pp. 16  8-171.

 Ricavato da:
Banca Dati "Nuovo Rinascimento"
http://www.meri.unifi.it/n-rinasc/pub/
immesso in rete il 28 maggio 1997
 a cura di Francesco Trucchi testo elettronico di Danilo Romei