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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Alessandro Manzoni

IL CONTE DI CARMAGNOLA

TRAGEDIA

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ATTO QUINTO

 

 

 

SCENA I

 

Notte. Sala del Consiglio dei Dieci illuminata.

 

Il DOGE, i DIECI, e il CONTE seduti.

 

 

 

IL DOGE

(al Conte)

 

A questi patti offre la pace il Duca;

su ciò chiede il Consiglio il parer vostro.

IL CONTE

 

Signori, un altro io ve ne diedi; e molto

promisi allor: vi piacque. Io attenni in parte

quel che promesso avea: ma lunge ancora 5

dalle parole è il fatto; ed or non voglio

farle obbliar però: sul labbro mio

imprevidente militar baldanza

non le mettea. Di novo avviso or chiesto,

altro non posso che ridirvi il primo. 10

Se intera e calda e risoluta guerra

far disponete, ah! siete a tempo: è questa

la miglior scelta ancora. Ei vi abbandona

Bergamo e Brescia; e non son vostre? L’armi

le han fatte vostre: ei non può tanto offrirvi 15

quanto sperar di torgli v’è concesso.

Ma, da un guerrier che vi giurò sua fede

voi non volete altro che il ver, se il modo

mutar di questa guerra a voi non piace,

accettate gli accordi.

IL DOGE

 

Il parlar vostro 20

accenna assai, ma poco spiega: un chiaro

parer vi si domanda.

IL CONTE

 

Uditel dunque.

Scegliete un duce, e confidate in lui:

tutto ei possa tentar; nulla si tenti

senza di lui: largo poter gli date; 25

stretto conto ei ne renda. Io non vi chiedo

ch’io sia l’eletto: dico sol che molto

sperar non lice da chi tal non sia.

MARINO

 

Non l’eravate voi quando i prigioni

sciolti voleste, e il furo? Eppur la guerra 30

più risoluta non si fea per questo,

né certa più. Duce e signor nel campo,

forse concesso non l’avreste.

IL CONTE

 

Avrei

fatto di più: sotto alle mie bandiere

venian quei prodi; e di Filippo il soglio 35

voto or sarebbe, o sederiavi un altro.

IL DOGE

 

Vasti disegni avete.

IL CONTE

 

E l’adempirli

sta in voi: se ancor nol son, n’è cagion sola

che la man che il dovea sciolta non era.

MARINO

 

A noi si disse altra cagion: che il Duca 40

vi commosse a pietà, che l’odio atroce

che già portaste al signor vostro antico,

sovra i presenti il rovesciaste intero.

IL CONTE

 

Questo vi fu riferto? Ella è sventura

di chi regge gli Stati udir con pace 45

l’impudente menzogna, i turpi sogni

d’un vil di cui non degneria privato

le parole ascoltar.

MARINO

 

Sventura è vostra

che a tal riferto il vostro oprar s’accordi,

che il rio linguaggio lo confermi, e il vinca. 50

IL CONTE

 

Il vostro grado io riverisco in voi,

e questi generosi in mezzo a cui

v’ha posto il caso: e mi conforta almeno

che il non mertato onor di che lor piacque

cingere il loro capitan, lo stesso 55

udirvi io qui, mostra ch’essi han di lui

altro pensiero.

IL DOGE

 

Uno è il pensier di tutti.

IL CONTE

 

E qual?

IL DOGE

 

L’udiste.

IL CONTE

 

È del Consiglio il voto

quello che udii?

IL DOGE

 

Sì: il crederete al Doge.

IL CONTE

 

Questo dubbio di me?...

IL DOGE

 

Già da gran tempo 60

non è più dubbio.

IL CONTE

 

E m’invitaste a questo?

E taceste finor?

IL DOGE

 

Sì, per punirvi

del tradimento, e non vi dar pretesti

per consumarlo.

IL CONTE

 

Io traditor! Comincio

a comprendervi alfin: pur troppo altrui 65

creder non volli. Io traditor! Ma questo

titolo infame infimo a me non giunge:

ei non è mio; chi l’ha mertato il tenga.

Ditemi stolto: il soffrirò, che il merto:

tale è il mio posto qui; ma con null’altro 70

lo cambierei, ch’egli è il più degno ancora.

Io guardo, io torno col pensier sul tempo

che fui vostro soldato: ella è una via

sparsa di fior. Segnate il giorno in cui

vi parvi un traditor! Ditemi un giorno 75

che di grazie e di lodi e di promesse

colmo non sia! Che più? Qui siedo; e quando

io venni a questo che alto onor parea,

quando più forte nel mio cor parlava

fiducia, amor, riconoscenza, e zelo... 80

Fiducia no: pensa a fidarsi forse

quei che invitato tra gli amici arriva?

Io veniva all’inganno! Ebben, ci caddi;

ella è così. Ma via; poiché gettato

è il finto volto del sorriso ormai, 85

sia lode al ciel; siamo in un campo almeno

che anch’io conosco. A voi parlare or tocca;

e difendermi a me: dite, quai sono

i tradimenti miei?

IL DOGE

 

Gli udrete or ora

dal Collegio segreto.

IL CONTE

Io lo ricuso. 90

Ciò che feci per voi, tutto lo feci

alla luce del sol; renderne conto

tra insidiose tenebre non voglio.

Giudice del guerrier, solo è il guerriero.

Voglio scolparmi a chi m’intenda; voglio 95

che il mondo ascolti le difese, e veda...

IL DOGE

 

Passato è il tempo di voler.

IL CONTE

 

Qui dunque

mi si fa forza? Le mie guardie!

 

(alzando la voce, si move per uscire)

 

IL DOGE

 

Sono

lunge di qui. Soldati!

 

(entrano genti armate)

 

Eccovi ormai

le vostre guardie.

IL CONTE

 

Io son tradito!

IL DOGE

 

Un saggio 100

pensier fu dunque il rimandarle: a torto

non si pensò che, in suo tramar sorpreso,

farsi ribelle un traditor potria.

IL CONTE

 

Anche un ribelle, sì: come v’aggrada

ormai potete favellar.

IL DOGE

 

Sia tratto 105

al Collegio segreto.

IL CONTE

 

Un breve istante

udite in pria. Voi risolveste, il vedo,

la morte mia; ma risolvete insieme

la vostra infamia eterna. Oltre l’antico

confin l’insegna del Leon si spiega 110

su quelle torri, ove all’Europa è noto

ch’io la piantai. Qui tacerassi, è vero;

ma intorno a voi, dove non giunge il muto

terror del vostro impero, ivi librato,

ivi in note indelebili fia scritto 115

il benefizio e la mercé. Pensate

ai vostri annali, all’avvenir. Tra poco

il dì verrà che d’un guerriero ancora

uopo vi sia: chi vorrà farsi il vostro?

Voi provocate la milizia. Or sono 120

in vostra forza, è ver; ma vi sovvenga

ch’io non ci nacqui, che tra gente io nacqui

belligera, concorde: usa gran tempo

a guardar come sua questa qualunque

gloria d’un suo concittadin, non fia 125

che straniera all’oltraggio ella si tenga.

Qui c’è un inganno: a ciò vi trasse un qualche

vostro nemico e mio: voi non credete

ch’io vi tradissi. È tempo ancora.

IL DOGE

 

È tardi.

Quando il delitto meditaste, e baldo 130

affrontavate chi dovea punirlo,

tempo era allor d’antiveggenza.

IL CONTE

 

Indegno!

Tu mi rendi a me stesso. Tu credesti

ch’io chiedessi pietà, ch’io ti pregassi:

tu forse osasti di pensar che un prode 135

pe’ giorni suoi tremava. Ah! tu vedrai

come si mor. Va; quando l’ultim’ora

ti coglierà sul vil tuo letto, incontro

non le starai con quella fronte al certo,

che a questa infame, a cui mi traggi, io reco. 140

 

(parte il Conte tra i Soldati)

 

 

 

SCENA II

 

 

Casa del Conte.

 

ANTONIETTA, e MATILDE

 

 

MATILDE

 

Ecco l’aurora; e il padre ancor non giunge.

ANTONIETTA

 

Ah! tu nol sai per prova: i lieti eventi

tardi, aspettati giungono, e non sempre.

Presta soltanto è la sventura, o figlia:

intraveduta appena, ella c’è sopra. 145

Ma la notte passò: l’ore penose

del desio più non son: tra pochi istanti

quella del gaudio sonerà. Non puote

ei più tardar; da questo indugio io prendo

un fausto augurio: il consultar sì lungo 150

tratto non han, che per fermar la pace.

Ei sarà nostro, e per gran tempo.

MATILDE

 

O madre,

anch’io lo spero. Assai di notti in pianto,

e di giorni in sospetto abbiam passati.

È tempo ormai che, ad ogni istante, ad ogni 155

novella, ad ogni susurrar del volgo

più non si tremi, e all’alma combattuta

quell’orrendo pensier più non ritorni:

forse colui che sospirate, or more.

ANTONIETTA

 

Oh rio pensier! ma almen per ora è lunge. 160

Figlia, ogni gioia col dolor si compra.

Non ti sovvien quel dì che il tuo gran padre

tratto in trionfo, tra i più grandi accolto,

portò l’insegne de’ nemici al tempio?

MATILDE

 

Oh giorno!

ANTONIETTA

 

Ognun parea minor di lui; 165

l’aria sonava del suo nome; e noi

scevre dal volgo, in alto loco intanto

contemplavam quell’uno in cui rivolti

eran tutti gli sguardi: inebbriato

il cor tremava, e ripetea: siam sue. 170

MATILDE

 

Felici istanti!

ANTONIETTA

 

Che avevam noi fatto

per meritarli? A questa gioia il cielo

ci trascelse tra mille. Il ciel ti scelse,

il ciel ti scrisse un sì gran nome in fronte;

tal don ti fece, che a chiunque il rechi, 175

n’andrà superbo. A quanta invidia è segno

la nostra sorte! E noi dobbiam scontarla

con queste angosce.

MATILDE

 

Ah! son finite... ascolta;

odo un batter di remi... ei cresce... ei cessa...

Si spalancan le porte... ah! certo ei giunge: 180

o madre, io vedo un’armatura; è lui.

ANTONIETTA

 

Chi mai saria s’egli non fosse?... O sposo...

 

(va verso la scena)

 

 

 

 

SCENA III

 

GONZAGA, e dette.

 

 

ANTONIETTA

 

Gonzaga!... ov’è il mio sposo? ov’è?... Ma voi

non rispondete? Oh cielo! il vostro aspetto

annunzia una sventura.

GONZAGA

 

Ah che pur troppo 185

annunzia il vero!

MATILDE

A chi sventura?

GONZAGA

 

O donne!

Perché un incarco sì crudel m’è imposto?

ANTONIETTA

 

Ah! voi volete esser pietoso, e siete

crudel: tremar più non ci fate. In nome

di Dio, parlate; ov’è il mio sposo?

GONZAGA

Il cielo 190

vi dia la forza d’ascoltarmi. Il Conte...

MATILDE

 

Forse è tornato al campo?

GONZAGA

 

Ah! più non torna...

Egli è in disgrazia de’ Signori... è preso.

ANTONIETTA

 

Egli preso! perché?

GONZAGA

 

Gli danno accusa

di tradimento.

ANTONIETTA

Ei traditore?

MATILDE

 

Oh padre! 195

ANTONIETTA

 

Or via, seguite: preparate al tutto

siam noi: che gli faran?

GONZAGA

 

Dal labbro mio

voi non l’udrete.

ANTONIETTA

 

Ahi l’hanno ucciso!

GONZAGA

 

Ei vive;

ma la sentenza è proferita.

ANTONIETTA

 

Ei vive?

Non pianger, figlia, or che d’oprare è il tempo. 200

Gonzaga, per pietà, non vi stancate

della nostra sventura; il ciel v’affida

due derelitte: ei v’era amico: andiamo,

siateci scorta ai giudici. Vien meco,

poverella innocente: oh! vieni: in terra 205

c’è ancor pietà: son sposi e padri anch’essi.

Mentre scrivean l’empia sentenza, in mente

non venne lor ch’egli era sposo e padre.

Quando vedran di che dolor cagione

è una parola di lor bocca uscita, 210

ne fremeranno anch’essi; ah! non potranno

non rivocarla: del dolor l’aspetto

è terribile all’uom. Forse scusarsi

quel prode non degnò, rammentar loro

quanto per essi oprò; noi rammentarlo 215

sapremo. Ah! certo ei non pregò; ma noi,

noi pregheremo.

 

(in atto di partire)

 

GONZAGA

 

Oh ciel, perché non posso

lasciarvi almen questa speranza! A preghi

loco non c’è; qui i giudici son sordi,

implacabili, ignoti: il fulmin piomba, 220

la man che il vibra è nelle nubi ascosa.

Solo un conforto v’è concesso, il tristo

conforto di vederlo, ed io vel reco.

Ma il tempo incalza. Fate cor; tremenda

è la prova; ma il Dio degl’infelici 225

sarà con voi.

MATILDE

 

Non c’è speranza?

ANTONIETTA

 

Oh figlia!

 

(partono)

 

 

 

SCENA IV

 

 

Prigione.

 

 

IL CONTE

 

A quest’ora il sapranno. Oh perché almeno

lunge da lor non moio! Orrendo, è vero,

lor giungeria l’annunzio; ma varcata

l’ora solenne del dolor saria; 230

e adesso innanzi ella ci sta: bisogna

gustarla a sorsi, e insieme. O campi aperti!

o sol diffuso! o strepito dell’armi!

o gioia de’ perigli! o trombe! o grida

de’ combattenti! o mio destrier! tra voi 235

era bello il morir. Ma... ripugnante

vo dunque incontro al mio destin, forzato,

siccome un reo, spargendo in sulla via

voti impotenti e misere querele?

E Marco, anch’ei m’avria tradito! Oh vile 240

sospetto! oh dubbio! oh potess’io deporlo

pria di morir! Ma no: che val di novo

affacciarsi alla vita, e indietro ancora

volgere il guardo ove non lice il passo?

E tu, Filippo, ne godrai! Che importa? 245

Io le provai quest’empie gioie anch’io:

quel che vagliano or so. Ma rivederle!

ma i lor gemiti udir! l’ultimo addio

da quelle voci udir! tra quelle braccia

ritrovarmi... e staccarmene per sempre! 250

Eccole! O Dio, manda dal ciel sovr’esse

un guardo di pietà.

 

 

SCENA V

 

ANTONIETTA, MATILDE, GONZAGA, e il CONTE

 

 

ANTONIETTA

 

Mio sposo!...

MATILDE

 

Oh padre!

ANTONIETTA

 

Così ritorni a noi? Questo è il momento

bramato tanto?...

IL CONTE

 

O misere, sa il cielo

che per voi sole ei m’è tremendo. Avvezzo 255

io son da lungo a contemplar la morte,

e ad aspettarla. Ah! sol per voi bisogno

ho di coraggio; e voi, voi non vorrete

tormelo, è vero? Allor che Dio sui boni

fa cader la sventura, ei dona ancora 260

il cor di sostenerla. Ah! pari il vostro

alla sventura or sia. Godiam di questo

abbracciamento: è un don del cielo anch’esso.

Figlia, tu piangi! e tu, consorte!... Ah! quando

ti feci mia, sereni i giorni tuoi 265

scorreano in pace; io ti chiamai compagna

del mio tristo destin: questo pensiero

m’avvelena il morir. Deh ch’io non veda

quanto per me sei sventurata!

ANTONIETTA

 

O sposo

de’ miei bei dì, tu che li festi; il core 270

vedimi; io moio di dolor; ma pure

bramar non posso di non esser tua.

 

IL CONTE

 

Sposa, il sapea quel che in te perdo; ed ora

non far che troppo il senta.

MATILDE

 

Oh gli omicidi!

IL CONTE

 

No, mia dolce Matilde; il tristo grido 275

della vendetta e del rancor non sorga

dall’innocente animo tuo, non turbi

quest’istanti: son sacri. Il torto è grande;

ma perdona, e vedrai che in mezzo ai mali

un’alta gioia anco riman. La morte! 280

Il più crudel nemico altro non puote

che accelerarla. Oh! gli uomini non hanno

inventata la morte: ella saria

rabbiosa, insopportabile: dal cielo

essa ci viene; e l’accompagna il cielo 285

con tal conforto, che né dar né torre

gli uomini ponno. O sposa, o figlia, udite

le mie parole estreme: amare, il vedo,

vi piombano sul cor; ma un giorno avrete

qualche dolcezza a rammentarle insieme. 290

Tu, sposa, vivi; il dolor vinci, e vivi;

questa infelice orba non sia del tutto.

Fuggi da questa terra, e tosto ai tuoi

la riconduci: ella è lor sangue; ad essi

fosti sì cara un dì! Consorte poi 295

del lor nemico, il fosti men; le crude

ire di Stato avversi fean gran tempo

de’ Carmagnola e de’ Visconti il nome.

Ma tu riedi infelice; il tristo oggetto

dell’odio è tolto: è un gran pacier la morte. 300

E tu, tenero fior, tu che tra l’armi

a rallegrare il mio pensier venivi,

tu chini il capo: oh! la tempesta rugge

sopra di te! tu tremi, ed al singulto

più non regge il tuo sen; sento sul petto 305

le tue infocate lagrime cadermi;

e tergerle non posso: a me tu sembri

chieder pietà, Matilde: ah! nulla il padre

può far per te; ma pei diserti in cielo

c è un Padre, il sai. Confida in esso, e vivi 310

a dì tranquilli se non lieti: Ei certo

te li prepara. Ah! perché mai versato

tutto il torrente dell’angoscia avria

sul tuo mattin, se non serbasse al resto

tutta la sua pietà? Vivi, e consola 315

questa dolente madre. Oh ch’ella un giorno

a un degno sposo ti conduca in braccio!

Gonzaga, io t’offro questa man che spesso

stringesti il dì della battaglia, e quando

dubbi eravam di rivederci a sera. 320

Vuoi tu stringerla ancora, e la tua fede

darmi che scorta e difensor sarai

di queste donne, fin che sian rendute

ai lor congiunti?

GONZAGA

 

Io tel prometto.

IL CONTE

 

Or sono

contento. E quindi, se tu riedi al campo, 325

saluta i miei fratelli, e dì lor ch’io

moio innocente: testimon tu fosti

dell’opre mie, de’ miei pensieri, e il sai.

Dì lor che il brando io non macchiai con l’onta

d’un tradimento: io nol macchiai: son io 330

tradito. E quando squilleran le trombe,

quando l’insegne agiteransi al vento,

dona un pensiero al tuo compagno antico.

E il dì che segue la battaglia, quando

sul campo della strage il sacerdote, 335

tra il suon lugubre, alzi le palme, offrendo

il sacrifizio per gli estinti al cielo,

ricordivi di me, che anch’io credea

morir sul campo.

ANTONIETTA

 

Oh Dio, pietà di noi!

IL CONTE

 

Sposa, Matilde, ormai vicina è l’ora; 340

convien lasciarci... addio.

MATILDE

 

No, padre...

IL CONTE

 

Ancora

una volta venite a questo seno;

e per pietà partite.

ANTONIETTA

 

Ah no! dovranno

staccarci a forza.

 

(si sente uno strepito d’armati)

 

MATILDE

 

Oh qual fragor!

ANTONIETTA

 

Gran Dio!

 

(s’apre la porta di mezzo, e s’affacciano genti armate; il capo di esse s’avanza verso il Conte: le due donne cadono svenute)

 

IL CONTE

 

O Dio pietoso, tu le involi a questo 345

crudel momento; io ti ringrazio. Amico,

tu le soccorri, a questo infausto loco

le togli; e quando rivedran la luce

dì lor... che nulla da temer più resta.

 

 

 

FINE DELLA TRAGEDIA

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dizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 13/07/05 22.02.28

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