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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

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Alessandro Manzoni

IL CONTE DI CARMAGNOLA

TRAGEDIA

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ATTO SECONDO

 

 

 

SCENA I

 

Parte, del campo ducale con tende.

 

 

MALATESTI e PERGOLA

 

 

PERGOLA

 

Sì, condottier; come ordinaste, in pronto

son le mie bande. A voi commise il Duca

l’arbitrio della guerra: io v’ho ubbidito,

ma con dolor; ve ne scongiuro ancora,

non diam battaglia.

MALATESTI

 

Anzian d’anni e di fama, 5

o Pergola, qui siete; io sento il peso

del vostro voto; ma cangiar non posso

il mio. Voi lo vedete; il Carmagnola

ci provoca ogni dì: quasi ad insulto

sugli occhi nostri alfin Maclodio ha stretto: 10

e due partiti ci rimangon soli;

o lui cacciarne, o abbandonar la terra,

che saria danno e scorno.

PERGOLA

 

A pochi è dato,

a pochi egregi il dubitar di novo,

quando han già detto: ell’è così. S’io parlo 15

è che tale vi tengo. Italia forse

mai da’ barbari in poi non vide a fronte

due sì possenti eserciti: ma il nostro

l’ultimo sforzo è di Filippo. In ogni

fatto di guerra entra fortuna, e sempre 20

vuol la sua parte: chi nol sa? Ma quando

ne va il tutto, o Signore, allor non vuolsi

dargliene più ch’ella non chiede; e questo

esercito con cui tutto possiamo

salvar, ma che perduto in una volta 25

mai più rifar non si potria, non dèssi

come un dado gittarlo ad occhi chiusi,

avventurarlo in un sì piccol campo,

e in un campo mal noto, e quel che è peggio

noto al nemico. Ei qui ci trasse: un torto 30

argin divide le due schiere: a destra

e a sinistra paludi, in esse sparsi

i suoi drappelli; e noi fuori de’ nostri

alloggiamenti non teniamo un palmo

pur di terren. Credete ad un che l’arti 35

conosce di costui, che ha combattuto

al fianco suo: qui c’è un’insidia. Forse

la miglior via di guerreggiar quest’uomo

saria tenerlo a bada, aspettar tempo,

tanto che alcun dei duci ai quali è sopra 40

prendesse a noia il suo superbo impero;

e il fascio ch’egli or nella mano ha stretto

si rallentasse alfin. Pur, se a giornata

venir si deve, non è questo il loco:

usciam di qui, scegliamo un campo noi, 45

tiriam quivi il nemico: ivi in un giorno,

senza svantaggio almanco, si decida.

MALATESTI

 

Due grandi schiere a fronte stanno; e grande

fia la battaglia: d’una tale appunto

abbisogna Filippo. A questi estremi 50

a poco a poco ei venne, e coi consigli

che or proponete: a trarnelo, fia d’uopo

appigliarci agli opposti. Il rischio vero

sta nell’indugio; e nel mutare il campo

rovina certa. Chi sapria dir quanto 55

di numero e di cor scemato ei fia,

pria che si ponga altrove? Ora egli è quale

bramar lo puote un capitan; con esso

tutto lice tentar.

 

 

SCENA II

 

SFORZA, FORTEBRACCIO, e detti.

 

 

MALATESTI

 

Ditelo, o Sforza,

e Fortebraccio; voi giungete in tempo: 60

ditelo voi, come trovaste il campo?

Che possiamo sperarne?

SFORZA

 

Ogni gran cosa.

Quando gli ordini udir, quando lor parve

che una battaglia si prepari, io vidi

un feroce tripudio: alla chiamata 65

esultando venièno, e col sorriso

si fean cenno a vicenda. E quando io corsi

entro le file, ad ogni schiera un grido

s’alzava; ognuno in me fissando il guardo

parea dicesse: o condottier, v’intendo. 70

FORTEBRACCIO

 

E tai son tutti: allor ch’io venni a’ miei,

tutti mi furo intorno. Un mi dicea:

quando udremo le trombe? Altri: noi siamo

stanchi d’esser beffati; e tutti ad una

la battaglia chiedean, come già certi 75

dell’ottenerla, e dubbi sol del quando.

Ebben, compagni, io rispondea, se il segno

presto s’udrà, mi date voi parola

di vincere con me? Gli elmi levati

sull’aste, un grido universal d’assenso 80

fu la risposta, ond’io gioisco ancora.

E a tai soldati ci venia proposto

d’intimar la ritratta? e che alle mani,

che già posate sulle spade aspettano

l’ordin di sguainarle e di ferire, 85

si comandasse di levar le tende?

Chi fronte avria di presentarsi ad essi

con tal ordine ormai?

PERGOLA

 

Dal parlar vostro

un novo modo di milizia imparo;

che i soldati comandino, e che i duci 90

ubbidiscano.

FORTEBRACCIO

 

O Pergola, i soldati

a cui capo son io, fur da quel Braccio

disciplinati, che per tutto ancora

con maraviglia e con terror si noma;

e non son usi a sostener gli scherni 95

dell’inimico.

PERGOLA

 

Ed io conduco genti

da me, qual ch’io mi sia, disciplinate;

e sono avvezze ad aspettar la voce

del condottiero, ed a fidarsi in lui.

MALATESTI

 

Dimentichiamo or noi che numerati 100

sono i momenti, e non ne resta alcuno

per le gare private?

 

 

SCENA III

 

TORELLO, e detti.

 

 

SFORZA

 

Ebben, Torello,

siete mutato di parer? Vedeste

l’animo ardente de’ soldati?

TORELLO

 

Il vidi;

udii le grida del furor, le grida 105

della fiducia e del coraggio; e il viso

rivolsi altrove, onde nessun dei prodi

vi leggesse il pensier che mal mio grado

vi si pingeva: era il pensier che false

son quelle gioie e brevi; era il pensiero 110

del valor che si perde. Io cavalcai

lungo tutta la fronte: io tesi il guardo,

quanto lunge potei; rividi quelle

macchie che sorgon qua e là dal suolo

uliginoso che la via fiancheggia: 115

là son gli agguati, il giurerei. Rividi

quel doppio cinto di muniti carri,

onde assiepato è del nemico il campo.

Se l’urto primo ei sostener non puote,

ha una ritratta ove sfuggirlo e uscirne 120

preparato al secondo. Un novo è questo

trovato di costui, per torre ai suoi

il pensier primo che s’affaccia ai vinti,

il pensier della fuga. Ad atterrarlo

due colpi è d’uopo: ei con un sol ne atterra. 125

Perché, non giova chiuder gli occhi al vero,

non son più quelle guerre, in cui pe’ figli

e per le donne e per la patria terra

e per le leggi che la fan sì cara,

combatteva il soldato; in cui pensava 130

il capitano a statuirgli un posto,

egli a morirvi. A mercenarie genti

noi comandiamo, in cui più di leggieri

trovi il furor che la costanza: e’ corrono

volonterosi alla vittoria incontro; 135

ma s’ella tarda, se son posti a lungo

tra la fuga e la morte, ah! dubbia è troppo

la scelta di costoro. E questo evento

più che tutt’altro antiveder ci è forza.

Vil tempo in cui tanto al comando cresce 140

difficoltà, quanto la gloria scema!

Io lo ripeto, non è questo un campo

di battaglia per noi.

MALATESTI

 

Dunque?

TORELLO

 

Si muti.

Non siam pari al nemico; andiamo in luogo

dove lo siam.

MALATESTI

 

Così Maclodio a lui 145

lascerem quasi in dono? I valorosi,

che vi son chiusi, non potran tenersi

più che due giorni.

TORELLO

 

Il so; ma non si tratta

né d’un presidio qui, né d’una terra;

trattasi dello Stato.

SFORZA

 

E di che mai 150

se non di terre si compon lo Stato?

E quelle che indugiando, ad una ad una

già lasciammo sfuggir, quante son elle?

Casal, Bina, Quinzano e... e se vi piace

noveratele voi, ché in tal pensiero 155

troppo caldo io mi sento. Il nobil manto,

che a noi fidato ha il Duca, a brano a brano

soffriam così che in nostra man si scemi,

e che a lui messo omai da noi non giunga

che una ritratta non gli annunzi. Intanto 160

superbisce il nemico, e ai nostri indugi

sfacciato insulta.

TORELLO

 

E questo è segno, o Sforza,

ch’ei brama una battaglia.

SFORZA

 

Oh, che puot’egli

bramar di più, che innanzi a sé cacciarne

con la spada nel fodero?

PERGOLA

 

Che puote 165

bramar di più? Dirovvel io: che noi

tutto arrischiam l’esercito in un campo

ov’egli ha preso ogni vantaggio. Or questo

poniamo in salvo; ché le terre è lieve

riprender con gli eserciti.

FORTEBRACCIO

 

Con quali? 170

Non, per mia fé, con quelli a cui s’insegna

a diloggiar quando il nemico appare,

a non mirarlo in faccia, a lasciar soli

nelle angosce i compagni; ma con genti

quali or le abbiam d’ira e di scorno accese, 175

impazienti di pugnar, con queste

si riparan le perdite, e si vince.

Che dobbiamo aspettar? Brandi arrotati,

perché lasciarli irrugginir?

SFORZA

 

Torello,

voi temete d’agguati? Anch’io dirovvi: 180

non son più quelle guerre, in cui minuti

drappelletti movean, con l’occhio teso

ogni macchia guatando, ogni rivolta.

Un’oste intera sopra un’oste intera

oggi rovescerassi: un tanto stuolo 185

si vince sì, ma non s’accerchia; ei spazza

innanzi a sé gl’intoppi, e fin ch’è unito,

dovunque sia, sul suo terreno è sempre.

FORTEBRACCIO

 

(a Pergola e Torello)

 

Siete convinti?

TORELLO

 

Sofferite...

MALATESTI

 

Io il sono.

Omai vano è più dir. Certo io mi tengo 190

che tutti andrete in operar d’accordo

più che non foste in divisar disgiunti.

Poi che un partito e l’altro ha il suo periglio,

scegliamo almen quel che più gloria ha seco.

Noi darem la battaglia: alla frontiera 195

io mi pongo coi miei; Sforza vien dietro

e chiude la vanguardia; il mezzo tenga

della battaglia Fortebraccio: e il nostro

ufizio sia con impeto serrarci

addosso al campo del nemico, aprirlo, 200

e spingerci a Maclodio. Voi, Torello,

e voi, Pergola, a cui sì dubbia sembra

questa giornata, io pongo in vostra mano

l’assicurarla: voi, discosti alquanto,

il retroguardo avrete. O la fortuna, 205

pur come suol, seconda i valorosi,

e rompiamo il nemico; e voi piombate

sopra i dispersi. Ma s’ei dura incontro

l’impeto nostro, e ci vedete entrati

donde uscir soli non possiam; venite 210

a noi, reggete i periglianti amici;

ché, per cosa che avvenga, io vi prometto,

retrocedere a voi non ci vedrete.

FORTEBRACCIO

 

Non ci vedrete, no.

SFORZA

 

Siatene certi.

FORTEBRACCIO

 

Sia lode al ciel, combatteremo alfine: 215

mai non accadde a capitan, ch’io sappia,

per fare il suo mestier contender tanto.

PERGOLA

 

O Carmagnola, tu pensasti che oggi

il giovenil corruccio alla prudenza

prevarrebbe dei vecchi; e ti apponesti. 220

FORTEBRACCIO

 

Sì, la prudenza è la virtù dei vecchi:

ella cresce con gli anni, e tanto cresce

che alfin diventa...

PERGOLA

 

Ebben, dite.

FORTEBRACCIO

 

Paura;

poi che volete ad ogni modo udirlo.

MALATESTI

 

Fortebraccio!

PERGOLA

 

L’hai detto. Ad un soldato 225

che già più volte avea pugnato e vinto

prima che tu vedessi una bandiera,

oggi tu il primo hai detto...

MALATESTI

 

Da quel lato,

presso Maclodio è posto il Carmagnola.

Quegli fra noi che avere oggi pensasse 230

altro nemico che costui, sarebbe

un traditor: pensatamente il dico.

PERGOLA

 

Ritratto il voto che dapprima io diedi;

e il do per la battaglia: ella fia quale

predissi allor; ma non importa. Allora 235

potea schifarsi; or la domando io primo:

io son per la battaglia.

MALATESTI

 

Accetto il voto

ma non l’augurio: lo distorni il cielo

sul capo del nemico.

PERGOLA

 

O Fortebraccio,

tu m’hai offeso.

MALATESTI

 

Or via...

FORTEBRACCIO

 

Se così credi, 240

sia pur così: perché a te spiaccia, o a quale

altro pur sia, non crederai ch’io voglia

una parola ritirar che uscita

dalle labbra mi sia.

MALATESTI

 

(in atto di partire)

 

Chi resta fido

a Filippo, mi segua.

PERGOLA

 

Io vi prometto 245

che oggi darem battaglia, e che di noi

non mancheravvi alcuno. O Fortebraccio,

non giunger onta ad onta; io ti ripeto,

tu m’hai offeso. Ascolta, io t’offro il modo

che tu mi renda l’onor mio, serbando 250

intatto il tuo.

FORTEBRACCIO

 

Che vuoi?

PERGOLA

 

Dammi il tuo posto.

Ovunque tu combatta, a tutti è noto

che tu volesti la battaglia, ed io,

io devo ad ogni modo essere in luogo

che l’amico e il nemico aperto veda 255

ch’io non ho... tu m’intendi.

FORTEBRACCIO

 

Io son contento.

Prendi quel posto; poi che il brami, è tuo.

O forte, or m’odi: ora m’è dolce il dirti

ch’io non t’offesi, no: per la fortuna

del signor nostro tu soverchio temi: 260

questo dir volli. Ma il timor che nasce

in cor di quel che ama la vita, e l’ama

più dell’onor, ma che nel cor del prode

muore al primo periglio ch’egli affronta,

e mai più non risorge, o valoroso, 265

pensavi tu?...

PERGOLA

 

Nulla pensai: tu parli

da generoso qual tu sei.

 

(a Malatesti)

Signore,

voi consentite al cambio?...

MALATESTI

 

Io ci consento;

e son ben lieto di veder tant’ira

tutta cader sovra il nemico.

TORELLO

 

(allo Sforza)

 

Io stava 270

col Pergola da prima; ingiusto, io spero,

non vi parrà...

SFORZA

 

V’intendo; e con lui state

alla vanguardia: ultimi e primi, tutti

combatterem; poco m’importa il dove.

MALATESTI

 

Non più ritardi. Iddio sarà coi prodi. 275

 

(partono)

 

 

 

SCENA IV

 

Campo veneziano. Tenda del Conte.

 

IL CONTE, un SOLDATO

 

 

SOLDATO

 

Signor, l’oste nemica è in movimento:

la vanguardia è sull’argine, e s’avanza.

IL CONTE

 

I condottieri dove son?

SOLDATO

 

Qui tutti

fuor della tenda i principali; e stanno

gli ordin vostri aspettando.

IL CONTE

 

Entrino tosto. 280

 

(parte il Soldato)

 

 

 

SCENA V

 

 

IL CONTE

 

Eccolo il dì ch’io bramai tanto. — Il giorno

ch’ei non mi volle udir, che invan pregai,

che ogni adito era chiuso, e che deriso,

solo, io partiva, e non sapea per dove,

oggi con gioia io lo rammento alfine. 285

Ti pentirai, dicea, mi rivedrai,

ma condottier de’ tuoi nemici, ingrato!

Io lo dicea; ma allor pareva un sogno,

un sogno della rabbia; ed ora è vero.

Gli sono a fronte: ecco mi balza il core: 290

io sento il dì della battaglia... E s’io...

No: la vittoria è mia.

 

 

SCENA VI

 

IL CONTE, GONZAGA, ORSINI, TOLENTINO,

 

altri CONDOTTIERI

 

 

IL CONTE

 

Compagni, udiste

la lieta nova: l’inimico ha fatto

ciò ch’io volea; così voi pur farete.

E il sol che sorge, a ognun di noi, lo giuro, 295

il più bel dì di nostra vita apporta.

Non è tra voi chi una battaglia aspetti

per farsi un nome, il so; ma questa sera

l’avrem più glorioso; e la parola

che al nostro orecchio sonerà più grata, 300

omai fia quella di Maclodio. Orsini,

son pronti i tuoi?

ORSINI

 

Sì.

IL CONTE

 

Corri all’imboscate

sulla destra dell’argine; raggiungi

quei che vi stanno, e prendine il comando.

E tu a sinistra, o Tolentino. E quindi 305

non vi movete, che non sia lo scontro

incominciato; quando ei fia, correte

alle spalle al nemico. Udite entrambi.

Se dell’insidie egli s’avvede, e tenta

ritrarsi, appena avrà voltato il dorso, 310

siategli addosso uniti: io son con voi.

Provochi, o fugga, oggi dev’esser vinto.

ORSINI

 

E lo sarà.

 

(parte)

 

TOLENTINO

 

T’ubbidirem, vedrai.

 

(parte)

 

IL CONTE

 

(agli altri)

 

Tu, Gonzaga, al mio fianco. I posti a voi

assegnerò sul campo. Andiam, compagni; 315

si resista al prim’urto: il resto è certo.

 

 

CORO

 

 

S’ode a destra uno squillo di tromba;

a sinistra risponde uno squillo:

d’ambo i lati calpesto rimbomba

da cavalli e da fanti il terren.

Quinci spunta per l’aria un vessillo; 5

quindi un altro s’avanza spiegato:

ecco appare un drappello schierato;

ecco un altro che incontro gli vien.

Già di mezzo sparito è il terreno;

già le spade rispingon le spade; 10

l’un dell’altro le immerge nel seno;

gronda il sangue; raddoppia il ferir.

— Chi son essi? Alle belle contrade

qual ne venne straniero a far guerra?

Qual è quei che ha giurato la terra 15

dove nacque far salva, o morir?

— D’una terra son tutti: un linguaggio

parlan tutti: fratelli li dice

lo straniero: il comune lignaggio

a ognun d’essi dal volto traspar. 20

Questa terra fu a tutti nudrice,

questa terra di sangue ora intrisa,

che natura dall’altre ha divisa,

e ricinta con l’alpe e col mar.

— Ahi! Qual d’essi il sacrilego brando 25

trasse il primo il fratello a ferire?

Oh terror! Del conflitto esecrando

la cagione esecranda qual è?

— Non la sanno: a dar morte, a morire

qui senz’ira ognun d’essi è venuto; 30

e venduto ad un duce venduto,

con lui pugna, e non chiede il perché.

— Ahi sventura! Ma spose non hanno,

non han madri gli stolti guerrieri?

Perché tutte i lor cari non vanno 35

dall’ignobile campo a strappar?

E i vegliardi che ai casti pensieri

della tomba già schiudon la mente,

ché non tentan la turba furente

con prudenti parole placar? 40

— Come assiso talvolta il villano

sulla porta del cheto abituro,

segna il nembo che scende lontano

sopra i campi che arati ei non ha;

così udresti ciascun che sicuro 45

vede lungi le armate coorti,

raccontar le migliaia de’ morti,

e la pieta dell’arse città.

Là, pendenti dal labbro materno

vedi i figli che imparano intenti 50

a distinguer con nomi di scherno

quei che andranno ad uccidere un dì;

qui le donne alle veglie lucenti

de’ monili far pompa e de’ cinti,

che alle donne diserte de’ vinti 55

il marito o l’amante rapì.

— Ahi sventura! sventura! sventura!

Già la terra è coperta d’uccisi;

tutta è sangue la vasta pianura;

cresce il grido, raddoppia il furor. 60

Ma negli ordini manchi e divisi

mal si regge, già cede una schiera;

già nel volgo che vincer dispera,

della vita rinasce l’amor.

Come il grano lanciato dal pieno 65

ventilabro nell’aria si spande;

tale intorno per l’ampio terreno

si sparpagliano i vinti guerrier.

Ma improvvise terribili bande

ai fuggenti s’affaccian sul calle; 70

ma si senton più presso alle spalle

anelare il temuto destrier.

Cadon trepidi a pié de’ nemici,

gettan l’arme, si danno prigioni:

il clamor delle turbe vittrici 75

copre i lai del tapino che mor.

Un corriero è salito in arcioni;

prende un foglio, il ripone, s’avvia,

sferza, sprona, divora la via;

ogni villa si desta al rumor. 80

Perché tutti sul pesto cammino

dalle case, dai campi accorrete?

Ognun chiede con ansia al vicino,

che gioconda novella recò?

Donde ei venga, infelici, il sapete, 85

e sperate che gioia favelli?

I fratelli hanno ucciso i fratelli:

questa orrenda novella vi do.

Odo intorno festevoli gridi;

s orna il tempio, e risona del canto; 90

già s’innalzan dai cori omicidi

grazie ed inni che abbomina il ciel.

Giù dal cerchio dell’alpi frattanto

lo straniero gli sguardi rivolve;

vede i forti che mordon la polve, 95

e li conta con gioia crudel.

Affrettatevi, empite le schiere,

sospendete i trionfi ed i giochi,

ritornate alle vostre bandiere:

lo straniero discende; egli è qui. 100

Vincitor! Siete deboli e pochi?

Ma per questo a sfidarvi ei discende;

e voglioso a quei campi v’attende

dove il vostro fratello perì.

Tu che angusta a’ tuoi figli parevi, 105

tu che in pace nutrirli non sai,

fatal terra, gli estrani ricevi:

tal giudizio comincia per te.

Un nemico che offeso non hai,

a tue mense insultando s’asside; 110

degli stolti le spoglie divide;

toglie il brando di mano a’ tuoi re.

Stolto anch’esso! Beata fu mai

gente alcuna per sangue ed oltraggio?

Solo al vinto non toccano i guai; 115

torna in pianto dell’empio il gioir.

Ben talor nel superbo viaggio

non l’abbatte l’eterna vendetta;

ma lo segna; ma veglia ed aspetta;

ma lo coglie all’estremo sospir. 120

Tutti fatti a sembianza d’un Solo,

figli tutti d’un solo Riscatto,

in qual ora, in qual parte del suolo,

trascorriamo quest’aura vital,

siam fratelli; siam stretti ad un patto: 125

maledetto colui che l’infrange,

che s’innalza sul fiacco che piange,

che contrista uno spirto immortal!

 

 

FINE DELL’ATTO SECONDO

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dizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento: 13/07/05 22.01.36

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