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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Primo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO TREDECIMO (52-77)

LII
Di quello che seguì della morte del re Andreas.
Della detta scellerata e crudele morte del giovane re Andreas fu molto parlato e biasimato per tutti i Cristiani che·ll'udirono. E venuta la novella in corte, molto se ne turbò il papa e 'l collegio di cardinali, dogliendosi il papa in piuvico consistoro ch'ellino erano cagione della sua morte per avere tanto indugiato la sua coronazione; e scomunicò e privò d'ogni benificio ispirituale e temporale chiunque avesse operato, o dato consiglio o aiuto o favore alla morte del detto re. E commisse nel conte d'Andri, detto conte Novello di quelli del Balzo, ch'andasse nel Regno, e facesse giustizia e vendetta di chiunque di ciò fosse colpevole, in persona e in beni, così a' clesiastici come a secolari; non risparmiando per nulla dignità. E·llui andato a Napoli; ma prima per l'Università di Napoli a romore di popolo e a baratta la terra, fu preso meser Ramondo di Cattana, ch'andava per Napoli comandando per parte della reina e somovendo come traditore fu preso, e di presente anche fu preso il figliuolo detto meser Pace stato ciamberlano del re Andreas: e disaminato chi ebbe colpa del micidio, e confessatolo, messogli l'amo nella lingua, perché non potesse parlare, menato in carro, levandogli le vive carni da dosso fu impeso e fatto morire; e poi il conte Novello fece inquisizione, e più baroni, e altri fece mettere in prigione, e due femine, la maestressa della reina e dama Ciancia Capana, che sentiro il tradimento; i quali traditori e·lle dette donne la reina difendea a suo podere, di non lasciarne fare giustizia. Ma poi, a dì II d'agosto vegnente MCCCXLVI, il detto conte Novello fece morire il conte di Tralizzi, che·ffu di quelli del Bolardo francesco, e il conte d'Eboli grande siniscalco, quelli si dicea giacea colla reina; e mandandoli in su due carri, e dalle genti furono lapidati, e poi arsi. E poi, a dì VII d'agosto per simile modo fece giustiziare mesere Ramondo di Cattana e notaio Nicola di Mirazzano, riserbandone altri a giustiziare.
Per la morte del detto re Andreas si scompigliò tutto il regno di Puglia; chi tenea colla reina, ch'avea la signoria del castello di Napoli e 'l tesoro del re Ruberto, ciò era meser Luigi fratello del prenze di Taranto, soldando gente d'arme per la reina, e per forza volea entrare in Napoli con D; ma il fratello e 'l duca di Durazzo e gli altri baroni e il popolo di Napoli il contradiarono. E così chi tenea colla reina e con meser Luigi di Taranto, e chi col prenze di Taranto, e·cchi col duca di Durazzo; ciascuno soldò gente d'arme assai a cavallo per sua guardia, e per paura del re d'Ungheria fratello del re Andreas, ch'era venuto a Giadra inn-Ischiavonia, come inanzi faremo menzione, e minacciava colle sue forze di passare nel Regno per essere re, e fare vendetta di quelli reali e della reina, che·ssi dicea ch'avieno fatto morire il fratello. Per la qual cosa tutto il regno stava isciolto e scomunato e in tremore, rubandosi i cammini sanza niuno ordine di giustizia; e' detti reali male inn-accordo insieme, o da dovero, o per disimulazione insieme per coprire tra·lloro il peccato. E se il re d'Ungheria fosse passato, non avea ritegno, sì era scommosso il paese; ma·lla briga ch'avea co' Viniziani, ch'erano a oste a Giadra, e 'l caro della vittuaglia al grande esercito, ch'avea di sua gente, e ancora non aparecchiato navile, gli sturbò la venuta allora; e·lla reina in questo stante avea fatto un fanciullo maschio dì XXVI di dicembre MCCCXLVI, e puosegli nome a battesimo Carlo Martello per l'avolo; ma per li più si disse ch'era figliuolo d'Andreas, e di certi segni il simigliava; e·cchi dicea di no, per la mala fama della reina. Lasceremo alquanto di questa matera, ch'a tempo e·lluogo vi ci converrà tornare, e diremo di nostri fatti di Firenze e d'altre novitadi.
LIII
Come in Firenze si fece nuova moneta d'argento.
Nel detto anno MCCCXLV, avendo in Firenze grande difetto, e nulla moneta d'argento, se non la moneta da quattro, che tutte le monete d'argento si fondieno e portavansi oltremare; e valea la lega d'once XI e mezzo di fine più di libre XII a·ffiorini la libra, ond'era grande isconcio a' lanaiuoli e a più altri artefici, temendo non calasse troppo il fiorino a moneta; sì·ssi ordinò il divieto che niuno traesse della città e contado ariento sotto certa gran pena; e ordinossi e fecesi nuova moneta d'argento di soldi IIII di piccioli l'uno, o XII quattrini, di lega di buono argento d'once XI e mezzo di fine per libra; e i soldi XI e danari X de' detti grossi pesavano una libra, e soldi XI danari VIII ne rendea la zecca, e grossi due rimanea per l'overaggio al Comune. E trassesi di zecca di prima a dì XII d'ottobre del detto anno, e fu molto bella moneta colla 'mpronta del giglio e di santo Giovanni, e chiamavansi i nuovi guelfi; ed ebbe grande corso in Firenze e per tutta Toscana, e per lo caro dell'argento tornò il fiorino a valuta di libre III e soldi II di piccioli, e meno. Prima ci erano guelfi XV e mezzo per fiorino d'oro. Ma in quelli dì certi mali fattori cittadini, alquanti di casa i Bardi, e Rubecchio del Piovano, fatti venire da Siena certi maestri falsari di monete, e nell'alpe di Castro avieno ordinato di falsare la detta moneta nuova e quattrini. Furonne presi due e arsi, e confessaron per loro che, detti tre de' Bardi la facieno loro fare, citati e non compariti, furono condannati al fuoco come falsari. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, ch'assai ne' detti tempi era in tranquillo e buono stato e sanza guerra, con tutto fosse inn-assai bollore e tribulazioni per le compagnie e singulari persone cittadini falliti, come inanzi faremo menzione, e torneremo a dire d'altre novità delli strani che furono in questi tempi.
LIV
Come furono morti il conte d'Analdo e 'l marchese di Giullieri da' Fresoni.
Nel detto anno, del mese di settembre all'uscita, avendo il conte d'Analdo fatto suo sforzo di gente d'arme col marchese di Giullieri, passato in Frigia di là da Olanda, onde il detto conte d'Analdo era signore per retaggio, per sottomettere a sua signoria i Fresoni, che no·llo ubidivano. Il quale della detta impresa ebbe lieta entrata, che quasi sanza contasto conquistato gran parte del paese, ma poi riuscì con dolorosa fine. Parendo loro essere più al sicuri, i Fresoni si ragunaro in boschi e in maresi, e misero aguato a' detti signori e loro genti, non prendendosi guardia, e in più parti i Fresoni ruppono i dicchi, ciò sono gli argini fatti e alzati per forza, a modo del Po, alla riva del mare per riparare il fiotto. Onde spandendosi l'acqua, la maggiore parte delle genti de' detti signori annegarono, e chi dell'acqua scampò furono morti da' Fresoni ch'erano inn aguato, che non ne campò uomo. E morìvi il detto conte d'Analdo e 'l marchese di Giullieri, onde fu gran dannaggio, ch'erano signori di gran potenza e valore; e rimase la contea d'Analdo sanza reda maschio, e succedette la detta contea a Lodovico di Baviera detto Bavero, ed Aduardo re d'Inghilterra, ch'avea ciascuno di loro per moglie una figliuola del detto conte d'Analdo, a'ccui succedea la contea.
LV
Del fallimento della grande e possente compagnia de' Bardi.
Nel detto anno, del mese di gennaio, fallirono quelli della compagnia de' Bardi, i quali erano stati i maggiori mercatanti d'Italia. E·lla cagione fu ch'ellino avieno messo, come feciono i Peruzzi, il loro e l'altrui nel re Aduardo d'Inghilterra e in quello di Cicilia; che·ssi trovarono i Bardi dal re d'Inghilterra dovere avere, tra di capitale e di riguardi e doni impromessi per lui, DCCCCm di fiorini d'oro, e per la sua guerra col re di Francia no·lli potea pagare; e da quello di Cicilia da Cm di fiorini d'oro. E' Peruzzi da quello d'Inghilterra da DCm di fiorini d'oro e da quello di Cicilia da Cm fiorini d'oro, e debito da CCCm di fiorini d'oro; onde convenne che fallissono a' cittadini e forestieri, a cui dovieno dare più di DLm di fiorini d'oro, solo i Bardi. Onde molte altre compagnie minori, e singulari, ch'avieno il loro ne' Bardi e·nne' Peruzzi e negli altri falliti, ne rimasono diserti, e tali per questa cagione ne fallirono. Per lo quale fallimento di Bardi, e Peruzzi, Acciaiuoli, Bonaccorsi, di Cocchi, d'Antellesi, Corsini, que' da Uzzano, Perondoli, e più altre piccole compagnie e singulari artefici che falliro in questi tempi e prima, per gl'incarichi del Comune e per le disordinate prestanze fatte a' signori, onde adietro è fatta menzione, ma però non di tutti, che troppo sono a contare, fu alla nostra città di Firenze maggiore rovina e sconfitta, che nulla che mai avesse il nostro Comune, se considerrai, lettore, il dannaggio di tanta perdita di tesoro e pecunia perduta per li nostri cittadini, e messa per avarizia ne' signori. O maladetta e bramosa lupa, piena del vizio dell'avarizia regnante ne' nostri ciechi e matti cittadini fiorentini, che per cuvidigia di guadagnare da' signori mettere il loro e·ll'altrui pecunia i·lloro potenza e signoria, a perdere, e disolare di potenza la nostra republica! che non rimase quasi sustanzia di pecunia ne' nostri cittadini, se non inn alquanti artefici o prestatori, i quali colla loro usura consumano e raunano a·lloro la sparta povertà di nostri cittadini e distrettuali. Ma non sanza cagioni vengono a' Comuni e a' cittadini gli occulti giudici di Dio per pulire i peccati commessi, siccome Cristo di sua bocca vangelizzando disse: "In peccata vestra moriemini etc.". I Bardi renderono per patto i·lloro possessioni a' loro creditori soldi VIIII danari III per libra, che non tornarono a giusto mercato soldi VI per libra. E' Peruzzi patteggiarono a soldi IIII per libra in posessioni, e soldi XVI per libra nelle dette di sopradetti signori; e se riavessono quello deono avere dal re d'Inghilterra e da quello di Cicilia, o parte, rimarrebbono signori di gran potenzia di ricchezza; e' miseri creditori diserti e poveri, perché fallì credenze e·lle malvagie aguaglianze delli ordini e riformagioni del nostro corrotto reggimento del Comune, che chi ha podere più ha a suo senno i dicreti del Comune. E questo basti, e forse ch'è troppo avere detto sopra questa vergognosa matera; ma non si dee tacere il vero per chi ha a·ffare memoria delle cose notabili ch'ocorrono, per dare asempro a quelli che sono a venire di migliore guardia. Con tutto noi ci scusiamo, che in parte per lo detto caso tocchi a·nnoi autore, onde ci grava e pesa; ma tutto aviene per la fallabile fortuna delle cose temporali di questo misero mondo.
LVI
Ancora di novità state in questi tempi in Firenze.
Nel detto anno, all'entrante di gennaio, di mezzodì uno lupo grande e salvatico entrò per la porta a San Giorgio, e scese giù, e corse, essendo isgridato, quasi gran parte d'Oltrarno; ma poi fu preso e morto alla porta a Verzaia. E in que' dì cadde uno scudo di gesso dipinto col giglio, ch'era commesso sopra la porta dove abita il podestà, onde molti aguriosi per li detti segni temettono di future novità alla nostra città. E in que' dì arse una casa di messer Simone giudice da Poggibonizzi nel popolo di San Brocolo. E nel detto anno passato III volte vi s'accese il fuoco, non trovandovi cagione chi 'l v'avesse acceso o messo; e molti amirandosi di ciò, dissono fu opera d'alcuno maligno spirito.
LVII
Come il re di Francia diede rapresaglia sopra i Fiorentini per tutto il suo reame a petizione del duca d'Atene.
Del mese di febraio del detto anno Filippo di Valos re di Francia, a petizione del duca d'Atene, gli diè rapresaglia sopra i Fiorentini inn-avere e in persona in tutto il suo reame se infino al calen di maggio prossimo non avessono contento il detto duca d'Atene di ciò che domandava di menda a' Fiorentini, ch'era infinita quantità. Poi del mese di luglio la confermò, e diede balìa al duca d'Atene ch'elli li potesse prendere e incarcerare e tormentare a sua volontà, non togliendo loro la vita o membro, siccome traditori del loro signore il duca d'Atene. Questo fu iscortese titolo dato per lo re per la rapresaglia contra il Comune e cittadini di Firenze, sanza volere udire o accettare le ragioni del Comune di Firenze, o·lle fini e quitanze fatte per lo detto duca al Comune, essendo di là al continovo il sindaco e ambasciadore del Comune con pieno mandato e ragioni del nostro Comune, richeggendo ragione al re e suo consiglio e di commetterla in giudice non sospetto, a·ccui al re piacesse fuori del reame; non ebbe luogo né intesa ragione per lo re, o suo consiglio, ch'avesse il Comune di Firenze, onde convenne che tutti i Fiorentini, che non fossono suoi istanti borgesi, da calen di maggio inanzi si partissono di tutto il reame, o stessono nascosi in franchigie o in chiese co·lloro grande sconcio, interessi e dannaggio e pericolo, onde il detto re fu molto biasimato da ogni savio e buono uomo di suo reame e di fuori ch'amassono giustizia e ragione, la quale elli fuggiva, come era usato di fare elli e meser Carlo di Valos suo padre; onde al tutto perdé l'amore e·lla fede di tutti i cittadini di Firenze, così di Guelfi come di Ghibellini, ch'amavano suo onore e stato e della casa di Francia. Ma per gli altri suoi più innormi peccati in spergiuri a santa Chiesa e dislealtadi per lui fatti Iddio ne mostrò e fece tosto vendetta, e·ggià cominciata, e come tosto apresso leggendo si potrà trovare.
LVIII
D'una grande disensione che·ffu in Firenze dal Comune allo inquisitore de' paterini.
Nel detto anno e del mese di marzo, essendo inquisitore in Firenze dell'aretica pravità uno frate Piero dall'Aquila de' frati minori, uomo superbo e pecunioso, essendo fatto per guadagneria proccuratore ed esecutore di meser Piero... cardinale di Spagna per XIIm fiorini d'oro che dovea avere dalla compagnia delli Acciaiuoli fallita, ed essendo per rettori del nostro Comune messo in tenuta e posessione di certi beni della detta compagnia, e alcuno sofficiente mallevadore di loro preso per sodisfazione, fece pigliare a tre messi del Comune cittadini e più famiglia del podestà messer Salvestro Baroncelli compagno della detta compagnia delli Acciaiuoli, uscendo del palagio de' priori, e co·lloro licenza acompagnato d'alquanti loro famigliari; onde si levò il romore in sulla piazza, e per gli altri famigliari di priori e per quelli del capitano del popolo, che v'abitava di costa, fu riscosso il detto meser Salvestro; e presi i detti messi e famigliari della podestà e a' messi per comandamento de' priori, e per l'ardire e prosunzione di fare contro la loro signorevile franchigia e licenzia, di fatto feciono tagliare loro le mani, e confinare fuori di Firenze e contado per X anni. Alla podestà e sua famiglia scusandosi per ignoranza, e vegnendo alla mercé de' priori, profferendo ogni amenda al loro piacere, dopo molti prieghi furono liberati i suoi famigliari. Per le detta novità lo 'nquisitore isdegnato, e ancora più per paura, se n'andò a Siena, e scomunicò i priori e il capitano, e lasciò interdetta la terra, se infra sei dì no·lli fosse renduto preso, meser Salvestro Baroncelli, alla quale scomunica e interdetto s'apellò al papa, e a corte sì mandaro grande ambasceria. I nomi de' detti ambasciadori sono questi: messer Francesco Brunelleschi, messere Antonio delli Adimari, messere Bonaccorso de' Frescobaldi cherico, messer Ugo della Stufa giudice, e Lippo Spini, e ser Baldo Fracassini con sindacato per lo Comune con pieno mandato, e portarvi le ragioni del Comune, e fiorini Vm d'oro contanti per dare di quelli delli Acciaiuoli al cardinale, e di VIIm fiorini d'oro obrigare il sindaco del Comune per li detti Acciaiuoli in pagare in certe paghe annualmente. Ancora portarono per carte tutte quelle baratterie e rivenderie fatte per lo detto inquisitore, che più di VIImD fiorini d'oro in due anni si disse si trovò fatto ricomperare più di nostri cittadini, gli più ingiustamente, sotto titolo di peccato di resia. E non sia intenzione di chi questo processo leggerà per lo tempo a venire, che a' nostri tempi avesse tanti eretici in Firenze per le tante condannagioni pecuniali ch'avea fatte lo 'nquisitore, che mai non ce n'ebbe meno, ma quasi niuno. Ma per atignere danari, d'ogni piccola parola oziosa ch'alcuno dicesse per niquità contro a·dDio, o dicesse ch'usura non fosse peccato mortale, o simili, condannava in grossa somma di danari, secondo ch'era ricco. Questo s'oppose per lo Comune, onde a corte dinanzi al papa e cardinali in piuvico concestoro il detto inquisitore fu riprovato per li ambasciadori per disleale e barattiere, e sospese alquanto tempo le sue scomuniche e processi d'interdetto. E dal papa e cardinali i detti ambasciadori furono bene ricevuti e onorati alla loro venuta dal papa, con tutto che tra·lloro male fossono d'accordo, e i più di loro intesono a·lloro singularità, che a bene di Comune, onde ne tornarono con poco onore e benificio fatto per lo Comune; e costarono più di IImCC fiorini d'oro.
E ancora per la detta cagione il Comune e popolo di Firenze, per levare le baratterie alli inquisitori, feciono dicreto e legge al modo de' Perugini e del re di Spagna e di più altri signori e Comuni, che niuno inquisitore si potesse intramettere in altro che nel suo uficio, e nullo cittadino o distrettuale condannare in pecunia, chi·ssi trovasse eretico mandarlo al fuoco. E fulli tolta e disfatta la carcere datali per lo Comune, ove tenea i suoi presi, e cui per lo 'nanzi facesse prendere, gli mettesse nelle carcere del Comune cogli altri. E fu fatto ordine, che podestà né capitano né secutore né altra signoria non dovesse dar loro famiglia, licenza o messo per fare pigliare nullo cittadino a petizione dello 'nquisitore o del vescovo di Firenze o di Fiesole, sanza licenza de' signori priori, per cessare cagioni di scandali e di riotta, e per cessare le baratterie e rivenderie di dare la licenza di portare l'arme da offendere a più cittadini per lo inquisitore e per li Vescovi, onde la città parea iscomunata, tanti erano quelli che·lla portavano. E ordinaro che·llo 'nquisitore non potesse tenere più di VI famigliari con arme da offendere, né dare a più licenza di portarla; e al vescovo di Firenze a XII famigliari; e a quello di Fiesole VI; che·ssi trovò, secondo si disse, che 'l detto frate Piero inquisitore avea data la licenza di portalla a più di CCL cittadini, onde guadagnava l'anno presso, o forse più, di mille fiorini d'oro; e me' i vescovi non ne perdieno, e aquistavano amici al loro vantaggio e sconcio della republica. Partiti i detti ambasciadori da corte, il cardinale di Spagna sopradetto, come fellone, non istando contento all'accordo fatto con infestamento del sopradetto inquisitore, ch'era fuggito in corte, coll'aiuto d'alcun altro cardinale, da capo feciono citare al papa, che venissono in corte il vescovo di Firenze e tutti i prelati che non aveano oservato lo 'nterdetto, e' priori e signorie e collegi ch'erano allora; onde in Firenze n'ebbe grande turbazione contra la Chiesa, e da capo rifeciono sindacato, e mandarono in corte a riparare. Ma·lla maggiore cagione fu perché il papa volea che per lo nostro Comune si levassono certi inniqui capitoli fatti per lo Comune contra i cherici, i quali pur erano sconci e contra ragione, come dicemmo adietro. E volea il papa trattare co' nostri ambasciadori concordia coll'eletto suo imperadore, la qual cosa non piacque al nostro Comune.
LIX
Come il re d'Ungheria seppe la morte del re Andreas, e venne in Ischiavonia con grande esercito per soccorrere Giadra e passare in Puglia.
Come il re d'Ungheria e quello di Pollana seppono la vergognosa morte del re Andreas loro fratello, come adietro facemmo menzione, furono molto tristi e adontati contro la reina sua moglie e contro a' reali di Puglia loro consorti, parendo loro che fosse stata loro opera e tradigione, e vestirsi tutti a nero con molti di loro baroni, e giurato di fare vendetta. E per più innanimare li Ungari a·cciò fare, feciono fare una bandiera, la qual sempre si mandavano inanzi: il campo nero, e·llo re Andreas impiccato, ch'era una orribile cosa a vedere.
Per fare la detta vendetta si proferse a·lloro il Bavero re d'Alamagna, e il figliuolo marchese di Brandiborgo, e 'l dogio d'Osteric, e più altri signori della Magna con tutto loro podere per lo innormo oltraggio a·lloro fatto, i quali per loro s'accettarono, e giurarono a·cciò fare lega e compagnia. E·llo re d'Ungheria mandò a corte al papa grande ambasciaria del mese di marzo richeggendo di volere esere coronato del reame di Cicilia e di Puglia, ch'a·llui succedea; e che vendetta fosse della morte del re Andreas così in cherici come in laici, dandone colpa al cardinale di Peragorga cognato del duca di Durazzo, che·ll'avea sentito e ordinato. A' quali ambasciadori non fu dato concestoro piuvico per la detta cagione, e aponendosi per lo papa che 'l re d'Ungheria avea fatta lega e compagnia col dannato Bavero. Onde il re d'Ungheria e tutti gli Alamanni si tennono mal contenti del papa e della Chiesa; ma però non lasciarono di fare sua impresa per passare in Puglia e per soccorrere la sua città di Giadra, come diremo apresso.
Essendo la città di Giadra inn-Ischiavonia ribellata a' Viniziani, come adietro facemmo menzione, e partito di Schiavonia il re d'Ungheria con suo esercito l'anno passato MCCCXLV, i Viniziani v'andarono incontanente a oste con gran potenza, e asediarla per terra e per mare, menandovi soldati a cavallo e a piede di Lombardia e di Romagna e di Toscana con gran soldo; onde di Firenze v'andarono per ingordigia del detto soldo tre di casa i Bondelmonti con CCC masnadieri, i quali Fiorentini al continovo dalle mura erano rimprocciati da' Giaratini, che·ssi partissono dal loro asedio, ch'erano amici, e andassono a farsi sconfiggere a Lucca, e servissono i Viniziani che gli avieno traditi alla guerra di meser Mastino. E così vi continovò l'oste dall'agosto MCCCXLV al maggio MCCCXLVI, dando alla terra continue battaglie e asalti, e que' d'entro al continuo uscendo fuori a badalucchi e scaramucci, e francamente asalendo il campo. Ma que' di Giadra dubitando che per lungo assedio non mancasse loro la vettuaglia, rimandaro per lo re d'Ungheria; il quale sentendo ciò per messaggi di quelli di Giadra, e per seguire la sua impresa di venire in Puglia, ritornò inn-Ischiavonia con più di XXXm tra Ungheri e Tedeschi, a cavallo la maggiore parte, che bene i XXm erano arcieri, e gli altri buoni cavalieri. Sentendo i Viniziani la sua venuta ringrossaro il loro oste di gente e di navile, e per non aspettare in campo la sua venuta, vollono provare inanzi d'avere la città per forza. A dì XVI di maggio MCCCXLVI ordinaro di dare alla terra una grande battaglia per mare con IIII navi grosse incastellate, e con ponti da gittare in sulle mura, e con XX piatte imborbottate, e con difici, e XL ghianzeruole e XXXII galee armate con molti balestrieri; e per terra con tutto l'esercito dell'oste, i quali furono tra per mare e per terra più di XVIIm d'uomini in arme, tra' quali avea più di IIIIm balestrieri. La battaglia fu aspra e dura, e continovò dalla mattina alla sera, sanza potere aquistare niente; però che·lla città era forte di torri e di mura e fossi, dall'altra parte il porto forte e·lla marina; e perché quelli di Giadra erano buona gente d'arme si difesono valentemente, e verso la sera, quando i Viniziani si ricoglieno, apersono una porta della terra seguendogli vigorosamente combattendo, e morivvi della gente di Viniziani più di D, e fediti gran quantità. Veggendo i Viniziani che non poteano avere la città per battaglia, e sentendo che 'l re d'Ungheria con suo esercito era presso a Giadra a XXX miglia, e ogni dì s'apressava, i Viniziani si levarono del campo dov'erano di costa, e quasi intorno intorno alla città, e ritrassonsi in su un forte colletto di lunge da Giadra da uno mezzo miglio sopra la marina, e quello come bastita aforzaro con fossi e steccati e torri di legname. Come il re d'Ungheria s'apressò alla terra con suo oste, mandò parte di sua gente d'arme a richiedere i Viniziani di battaglia; non ebbe luogo che la volessono, ma si stavano rinchiusi nella loro bastita con grande paura e sofratta di vittuaglia più dì. Il re d'Ungheria fece fornire Giadra di vettuaglia e di ciò ch'avea mestiero, e alcuno disse v'entrò in persona isconosciuto, per dare a' Giaratini vigore. I Viniziani co·lloro ambasciadori stavano in continui trattati col detto re, promettendogli di dare loro navile e aiuto a passare in Puglia, ma voleano Giadra a·lloro signoria con uno piccolo censo di dare a·llui di risorto; il quale trattato non piacendo al re, non ebbe luogo. E però che' Viniziani co·lloro danari corruppono certi di suoi baroni ungari, e consigliaro dislealmente il loro signore che·ssi tornasse in Ungheria, perch'era caro il paese d'Italia quell'anno di vittuaglia a tanto esercito; e in parte era il vero, e non avea ordinato il navilio da potere passare in Puglia, e però si tornò in Ungheria, lasciando fornita Giadra. La bastita di Viniziani si rimase la detta state con grande spendio di Viniziani, rinovandovi spesso gente; e bisognava bene, però ch'erano assaliti sovente da quelli della terra. E per disagi vi si cominciò grande infermeria e mortalità, e morìvi molta gente, intra gli altri i sopradetti nostri tre cittadini de' Bondelmonti con i più di loro masnade, che non ne tornaro il quarto. Lasceremo di questa matera, e torneremo a dire della lezione del nuovo imperio Carlo figliuolo del re Giovanni di Buem.
LX
Come Carlo figliuolo del re di Buem fu eletto re de' Romani.
L'anno MCCCXLVI, del mese d'aprile, venuto in corte di papa Carlo figliuolo del re di Buem, a sommossa del papa e per suducimento del re di Francia, per procacciare d'essere eletto imperadore per contastare al Bavero, e per avere di lui il re di Francia più stato e favore, però ch'era suo parente, e venneli al re di Francia bene a bisogno, come si troverrà; e avrebbono bene proccurata la detta lezione per lo re Giovanni di Buem suo padre, se non che per sua malattia era quasi perduto della vista degli occhi. Ma il detto Carlo era pro e savio signore, e d'età di... anni. Per cagione della detta lezione grande disensione n'ebbe tra 'l collegio de' cardinali tra e per la morte del re Andreas e perché gli ambasciadori del re d'Ungheria non erano esauditi dal papa. Ed erano in due sette partiti i cardinali, che dell'una era capo il cardinale fratello del conte di Peragorgo, e questi volea la lezione del detto messer Carlo, e contradiavano il re d'Ungheria, e tenea co' cardinali franceschi, ed erane capo il favore del re di Francia; dell'altra setta era capo il cardinale fratello del conte di Cominge co' cardinali guasconi e loro seguaci, che volieno il contrario; e ciascuna era di gran potenza e séguito; e furono a tanto, che in piuvico consistoro dinanzi al papa si dissono onta e villania insieme, rimprocciando quello di Cominge a quello di Peragorga ch'egli era stato quelli ch'avea ordinato e fatto morire il re Andreas chiamando l'uno l'altro traditore di santa Chiesa, levandosi ciascuno da sedere per offendersi insieme; e fatto l'avrebbono, che ciascuno era guernito d'arme da offendere privatamente, se non fossono quelli ch'entrarono in mezzo, onde tutta la corte ne fu scompigliata e in arme, e cortigiani e·lle famiglie de' cardinali. E ciascuno di detti due cardinali abarraro le loro case e livree, e stettono armati e in guardia buona pezza, se non che 'l papa e gli altri cardinali gli riconciliarono insieme, rimanendo ciascuno con mala voglia. A tale stato venne il collegio dell'apostolica nostra santa Eclesia per le disensioni di suoi cardinali. Di ciò è gran cagione e colpa di papi ch'hanno eletti a cardinali i detti due grandi e possenti Galli e simiglianti, e questo è l'esempro ci danno a·nnoi laici, e seguono bene a contrario l'umiltà di santi apostoli di Cristo, il cui ordine rapresentano. Iddio gli adirizzi nella sua santa via d'umilità, a riposo e stato di santa Chiesa. Per le dette disensioni non lasciò il papa di procedere in prima di fare nuovi processi contro al Bavero e il figliuolo, e chi loro desse aiuto o favore, e privandoli d'ogni titolo d'imperio, con molti altri articoli; e·lla detta sentenzia fece piuvicare in corte, e poi mandare per tutto il Cristianesimo, per potere meglio fornire la sua intenzione. E questo fu ben fatto, ché 'l Bavero era persegutore di santa Chiesa, come adietro ne' suoi processi facemmo menzione: e poi di far fare col suo favore la lezione dello 'mperio nella persona del detto meser Carlo. E perché l'arcivescovo di Maganza, ch'era l'uno de' lettori, nogli volea dare la sua boce, sì 'l dispuose il papa, ed elessene un altro a sua petizione, e questo fu della rinforzata. E partito il detto meser Carlo di corte colla benedizione del papa e con sua dispensagione, che nonistante che·lla lezione si dovesse per consueto fare a Midelborgo in Alamagna, e·lla prima corona prendere ad Asia la Cappella colle solennità usate, ch'elli le potesse fare ove a·llui piacesse, perché il Bavero né 'l suo figliuolo colla potenza delli Alamani, che i più o quasi tutti tenieno co·lloro, nol potesse contastare. E giunto lui in suo paese, a dì XI di luglio MCCCXLVI apo... fu eletto il detto Carlo a re de' Romani per l'arcivescovo di Cologna e per quello di Trievi suoi congiunti per parentado, e per lo nuovo eletto per lo papa arcivescovo di Maganza, e per lo duca di Sansogna, e confermato per lo re di Buem suo padre, e figliuolo che·ffu dello 'mperadore Arrigo di Luzimborgo: falligli la boce del duca di Baviera e quella del figliuolo marchese di Brandiborgo; ma per dispetto della detta elezione, per li più si chiamava lo 'mperadore de' preti. Lasceremo di questa lezione e di quello ne seguì, e torneremo a dire della guerra di Guascogna e della venuta del re d'Inghilterra in Normandia, ch'assai ne cresce grande e maravigliosa matera.
LXI
Di certa rotta che·lla gente del re di Francia ricevettono dalla gente del re d'Inghilterra in Guascogna.
Tornando a raccontare della guerra di Guascogna, essendo messere Gianni figliuolo del re di Francia intorno al castello d'Aguglione, e per lo paese, per contastare il conte d'Ervi e' suoi Inghilesi, che non scendessono verso Tolosa (il detto meser Gianni era in Guascogna con VIm cavalieri e bene Lm pedoni tra' Franceschi e di Linguadoco, Genovesi e Lombardi), del detto campo si partì il siniscalco di Giene con DCCC cavalieri e IIIIm pedoni, per prendere uno castello del nipote del cardinale della Motta presso ad Aguglione a XII leghe. Sentendo ciò l'arcidiacono d'Unforte, cui era il detto castello, andò alla Roela, dov'era il conte d'Ervi colla sua oste per gente, per soccorrere il detto castello; onde il conte li diè gente assai a cavallo e arcieri inghilesi a piè, e cavalcaro tutta la notte, e giunsono al detto castello la mattina per tempo, dì XXXI di luglio MCCCXLVI; e trovarono che·lla gente del re di Francia v'era giunta il dì dinanzi, e forte combatteano il castello, la gente del re d'Inghilterra sanza più attendere, subitamente asalirono i Franceschi, dov'ebbe aspra e dura battaglia. Alla fine furono sconfitti i Franceschi, e rimasevi preso il detto siniscalco di Gienne con molti altri gentili uomini; e molti v'ebbe di morti e presi di cavalieri da CCCC, e pedoni IIm tra morti e presi. Tornati al campo quelli di meser Gianni, quelli che scamparo della detta battaglia, messer Gianni ebbe suo consiglio, e diliberaro di combattere il castello d'Aguglione, tra per queste novelle della detta sconfitta e perch'avea novelle che 'l re d'Inghilterra era arrivato in Normandia con gran navilio e esercito di gente d'arme a cavallo e a piè. E il primo dì d'agosto con tutta sua gente fece dare battaglia intorno intorno al castello d'Aguglione dalla mattina alla sera; quelli del castello, che v'avea dentro assai buon gente d'arme gentili uomini da CCCC, e sergenti guasconi e inghilesi da VIIIc, si difesono francamente. E alla ritratta la sera di Franceschi, quelli del castello uscirono fuori vigorosamente faccendo danno assai a' loro nimici, e uccisonne da DCC, ma più ne fedirono della gente di meser Gianni ch'erano al di fuori, e rimase la terra fornita per VI mesi. Sentendo ciò meser Gianni, e veggendo che per battaglia nol potea prendere, fece ritrarre sua oste adietro; e mandò al papa pregandolo l'asolvesse del saramento ch'avea fatto del non partirsi se non avesse il castello, ed ebbe l'asoluzione dal papa. E diliberò d'andare colla maggiore parte di sua gente in Francia a soccorrere il re suo padre, che·nn'avea grande bisogno, come diremo apresso nel seguente a questo altro capitolo, e fece mettere fuoco nel suo campo, con gran danno di sua gente inferma e di loro arnesi; e lasciate fornite le frontiere, con sua gente ne venne verso Parigi. Partito meser Gianni di Guascogna, il conte d'Ervi prese molte ville e castella. Lasceremo alquanto de' suoi andamenti, e diremo d'una battaglia che·ffu in que' dì dal vescovo di Legge a' suoi cittadini, ritornando poi a racontare la guerra e battaglie dal re di Francia a quello d'Inghilterra e di loro gente, che furono grandi cose e maravigliose, onde assai ne cresce matera.
LXII
Come il vescovo di Legge con sua gente furono sconfitti da quelli della città di Legge.
Nel detto anno MCCCXLVI, a dì XXV di luglio, il giorno di santo Iacopo, avendo grande discordia dal vescovo di Legge ch'era... al suo capitolo di calonaci e borgesi di Legge, ciascuna parte fece sua ragunata di gente d'arme. E col vescovo fu della gente di meser Carlo eletto re de' Romani, e chi disse vi fu in persona, ch'andava con sua gente a Parigi in servigio del re di Francia, che n'avea gran bisogno; e fuvi il sire di Falcamonte e più altri baroni di Valdireno. E con quelli di Legge simigliantemente avea di baroni del paese, e fuvi inn-arme co·lloro la moglie del Bavero e il figliuolo ch'andavano inn-Analdo, che·lle succedea per la morte del conte suo padre. E fuori della città di Legge fu tra·lloro gran battaglia, tutta non fosse campale né ordinata; e·ffu in quella sconfitto il vescovo e sua gente, e morìvi il sire di Falcamonte, e più altri gentili uomini e de' calonaci, e dell'una parte e dell'altra. Il Vescovo si fuggì con sua gente a Dinante. Lasceremo a dire più di questa guerra, e torneremo a dire come il re d'Inghilterra passò in Normandia sopra il re di Francia, ch'assai ne cresce matera di scrivere.
LXIII
Come il re d'Inghilterra passò con sua oste in Normandia, e quello vi fece.
Nel detto anno MCCCXLVI, avendo il re Aduardo ragunato suo navilio di DC navi a l'isoletta d'Uiche inn-Inghilterra, colla sua gente in quantità di IImD cavalieri e da XXXm sergenti e arcieri a piè per passare nel reame di Francia, udita la messa solennemente, e comunicatosi co' suoi baroni, e a·lloro fatta una bella diceria, com'elli con giusta causa andava sopra il re di Francia che·lli ocupava la Guascogna a torto, e·lla contea di Ponti per la dote della madre, e per frode gli tenea Normandia, come lungamente adietro facemmo menzione al tempo del bisavolo del padre re Ricciardo d'Inghilterra, e del re Filippo il Bornio re di Francia, quando tornaro d'oltremare gli anni Domini intorno MCC; e ancora proponendo a sua gente com'avea nel reame di Francia più ragione per la successione della reina Isabella sua madre figliuola del re Filippo il Bello, che non avea il re Filippo di Valos figliuolo di meser Carlo fratello secondo che·ffu del re Filippo il Bello che·lla possedea, che non era della diritta linea, ma per collaterale; pregando sua gente che fossono franchi uomini, però ch'elli avea intenzione di rimandare adietro il navile, come fosse arrivato nel reame di Francia, sicch'a·lloro bisognava d'esere valorosi e d'aquistare terra colla spada in mano o d'essere tutti morti, che 'l fuggire non avrebbe luogo; pregando chi dubitasse o temesse di passare rimanesse inn Inghilterra colla sua buona grazia; tutti rispuosono a grido a una boce che 'l seguirebbono come loro caro signore di buona voglia fino alla morte. E·llo re veggendo sua gente ben disposti alla guerra, dando sue lettere chiuse alli amiragli delle navi, se caso avenisse che per forza di vento si partissono dallo stuolo, per le qua' lettere contava dove volea arrivare, e comandò non l'aprissono, se non quando s'apressassono a terra. E così si partì a dì X di luglio; e navicando più giorni, quando adietro e quando inanzi, come gli portava la marea del fiotto, arrivò sano e salvo con tutto suo navile e genti a Biafiore in Normandia a dì XX di luglio. E come la sua gente fu smontata co·lloro armi e cavalli e arnesi e vettuaglia recata co·lloro, rimandò la maggiore parte del navile adietro inn-Inghilterra; ed elli con sua oste cominciò a correre la Normandia, rubando e ardendo e dibruciando chi nol volea ubidire e darli mercato di vittuaglia; e in pochi dì gli s'arendéo la città di Sallu e Gostanza e Gostantino e Balliuolo terre di Normandia, e ricomperarsi da·llui, perché no·lli guastasse. La terra di Camo gli fece risistenza per lo castello che v'era forte del re di Francia, ed eravi venuto il conte di Du, cioè il conestabole di Francia, con gran gente d'arme a cavallo e a piè; la quale terra di Camo combatté più dì; alla fine per forza combattendo, sconfisse il detto conistabile e sua gente alquanto fuori della terra. Avuta la vittoria del detto conestabile e di sua gente, incontanente ebbe e prese la terra di Camo, che non era guari forte salvo il castello. E prese alla battaglia il detto conestabole, e·ll'arcivescovo di Tervana, e 'l camarlingo di Mollu, e più altri cavalieri e baroni in quantità di LXXXVI, e morìvi assai gente in quantità di Vm; e rubata la terra, che bene XLm panni ebbe tra di Camo e dell'altre ville dette, e' fece mettere fuoco in Camo, perch'avea fatta risistenza, e arsene assai; e' prigioni ne mandò presi inn-Inghilterra colla preda presa. E così cominciò la fortuna del franco Aduardo d'Inghilterra, e adirizzò sua oste verso Rueme, crescendoli ogni dì gente d'Inghilterra, che tutto dì vi passavano di volontà per guadagnare, e seguendolo molti Normandi, gentili uomini e altri, che non amavano la signoria di Francia, sicché si trovò con IIIIm cavalieri buona gente, e più di Lm sergenti a piè co' Normandi, che i XXXm erano arcieri inghilesi.
LXIV
Come 'l re d'Inghilterra si partì di Normandia e venne presso di Parigi ardendo, e guastando il paese.
Sentendo il re di Francia come il re d'Inghilterra era arrivato in Normandia, e prese le sopradette terre e 'l suo conestabole e di sua gente, incontanente si partì di Parigi con quanta gente potéo raunare a·ccavallo e a piè, per andare a soccorrere Ruem in Normandia che non si rubellasse, sentendo che certi di baroni del paese ribelli del re di Francia ne tenieno trattato col re d'Inghilterra e con quelli della città di Ruem; e posesi a campo il re di Francia al ponte ad Arce sopra il fiume della Senna, e quello fece tagliare, e tutti gli altri ponti ch'erano sopra Senna, acciò che 'l re d'Inghilterra e sua gente non potesse di qua passare; e fornì Ruem di sua gente a·ccavallo e a piede; e lasciò, quando si partì di Parigi, al suo proposto di Parigi che facesse disfare le case ch'erano di fuori e dentro di costa le mura di Parigi, per afforzare la città. Per la qual cosa i cittadini di cui erano le case cominciarono a·llevare romore, onde la terra fu tutta scompigliata e sotto l'arme, e in pericolo di rubellarsi al re, se non fosse che in quelli giorni giunsono in Parigi il re Giovanni di Buem e Carlo suo figliuolo eletto re de' Romani con D cavalieri rimasi loro della rotta del vescovo di Legge, come dicemmo adietro. Costoro rifrancarono Parigi, e feciono aquetare il romore, e rimanere la detta disfazione delle case per contentare i borgesi di Parigi. Lo re d'Inghilterra ch'era acampato con sua oste di là da Ruem tre leghe; e·llà venuti due cardinali legati del papa, messer Anibaldo da Ceccano e messer Piero di Chiermonte, i quali cardinali mandava il papa per fare accordo tra·llui e·rre di Francia, volendo che·ssi rimettesse nel papa ogni quistione; il re Aduardo d'Inghilterra non fidandosi del papa, no·lli volle udire dell'accordo, e per più riprese si ruppe da' trattati de' detti legati, perch'a·llui parea che 'l papa favoreggiasse troppo la parte del re di Francia; anzi furono d'alquante loro cose rubati dall'Inghilesi; ma il re Aduardo gli fece ristituire, e donò loro del suo assai per amenda, e così si tornaro verso Parigi. Lo re Aduardo perduta la speranza d'avere la città di Ruem, ond'era in alcuno trattato, però che v'era giunto al soccorso il re di Francia con grande oste di cavalieri e popolo, si misse a venire verso Parigi di là dal fiume di Senna, ardendo e guastando il paese con molte prede e prigioni, però che 'l paese era molto popolato e ricco. E·lla vilia di nostra Donna d'agosto s'acampò a Pusci e San Germano dell'Aia e·lla sua gente scorse fino presso a Parigi a due leghe, e arsono la villa di Sancro e quella di Luvieri, e più altre ville grandi e piccole, prima rubate, e poi arse, ch'era il più bello paese e il più caro del mondo del tanto, stato più di cinque centinaia d'anni in riposo e tranquillo sanza guerra, onde fu gran dannaggio. O maladetta guerra, quanti malifici fai a disertamento de' reami e de' popoli, per punizione de' peccati delle genti!Lo re di Francia sentendo come lo re d'Inghilterra con sua oste era venuto verso Parigi, si partì dal ponte ad Arce, e vennene costeggiando la riviera di Senna, in mezzo dall'una oste all'altra verso Parigi; e giunto a Parigi, mandò a meser Carlo Grimaldi e Antone Doria di Genova, amiragli delle sue XXXIII galee, ch'erano a Rifrore in Normandia, che disarmassono, e con tutte le ciurme con balestrieri venissono a Parigi, e così feciono; e·llo re di Francia s'acampò fuori di Parigi mezza lega a San Germano di Prati, e·llà fece sua mostra, e trovossi con VIIIm buoni cavalieri e più di LXm di sergenti a piè, che più di VIm v'avea di Genovesi a balestra, tra delle galee e venuti da Genova per terra al soldo del re; intra 'l quale esercito avea, sanza il re di Francia, V re di corona; ciò era il re di Navarra suo cugino, il re di Maiolica, e il re di Buem, e 'l suo figliuolo eletto re de' Romani, e il re di Scozia; ciò fu Davit figliuolo di Ruberto di Brus rubello del re d'Inghilterra.
LXV
Come il re d'Inghilterra si partì di Pusci per andare in Piccardia per accozzarsi co' Fiaminghi.
Come il re d'Inghilterra seppe la venuta del re di Francia a Parigi, e avendo guaste le ville fra 'l fiume dell'Era e quello di Senna, e fallendo la vivanda all'oste, per non essere sopreso, com'ordinava il re di Francia, sì ordinò e fece fare uno ponte di legname e barche a Pusci in sulla Senna; e bene che fosse contastato dalla gente del re di Francia, ch'erano dall'altra riva, per forza d'arme e di suoi arcieri li sconfisse, e fece il ponte compiere; e levato il campo da Pusci e da San Germano dell'Aia, in quelli fece mettere fuoco, e con sua oste passò il fiume di Senna a dì XVI d'agosto, e venne a Pontosa, e·llà trovò risistenza di gente che v'avea mandata il re di Francia a·ccavallo e a piè, e fornito il castello; onde combatté la terra per due dì; alla fine la vinse per forza, salvo il castello; e quanta gente vi trovò mise a morte, salvo le femmine e' fanciulli, a' quali diè licenzia si partissono con ciò che·nne potessono portare, e guastò la terra, salvo i monisteri e·lle chiese. E poi seguì suo cammino per andare ad Albavilla in Ponti per ritrovarsi co' Fiammighi ch'erano usciti fuori con più di XXXm in arme, ed erano stati a Bettona, e poi presso ad Arazo a IIII leghe guastando il paese, e poi s'erano ridotti a Scrusieri inn-Artese per accozzarsi col re d'Inghilterra, com'era dato l'ordine tra·lloro, che meser Ugo d'Astighe, parente e barone del re d'Inghilterra, venne a dì XVI di luglio in Fiandra con XX navi e DC arcieri, per sollicitare i Fiamminghi a·cciò fare, i quali erano ritornati all'asedio di Bettona, e a quella diedono più battaglie e co·lloro danno di morti e di fediti. Lasciamo a dire alquanto di Fiaminghi, e torneremo a dire degli andamenti del re di Francia, che seguì il re d'Inghilterra.
LXVI
Come il re di Francia con sua oste seguì il re d'Inghilterra.
Come il re di Francia seppe la partita del re d'Inghilterra da Pontosa, si partì con sua gente da San Germano di Prati, e andonne a San Donigi per seguire il re d'Inghilterra, per combattere co·llui in campo, acciò che non distruggesse il paese, e inanzi che s'acostasse co' Fiaminghi suoi ribelli; e lasciò in Parigi alla guardia della terra, e della reina sua moglie e di più figliuoli, i borgesi possenti di Parigi, che con alcuna altra gente d'arme di suo ostiere e famiglia furono MCC uomini a cavallo. E mandò di sua gente inanzi in Piccardia, che togliessono i passi e gli andamenti al re d'Inghilterra e·lla vittuaglia, e tagliassono i ponti alle riviere, e stare sue genti d'arme a guardare i detti passi e riviere; e il re di Francia con suo esercito n'andò ad Albavilla in Ponti, e così fu fatto. Per la qual cosa il re d'Inghilterra fu a gran pericolo con sua oste, e a gran soffratta di vittuaglia, che VIII dì stettono, che non ebbono se non poco pane né punto di vino, e vivettono di carne di loro bestiame, che·nn'avieno assai, e mangiando alcuno frutto e bevendo acqua, ed ebbono grande difetto di calzamento; e non potendo andare ad Albavilla pe' passi che gli erano tolti, e fatte le tagliate inanzi. Il re d'Inghilterra prese partito d'andare verso Fiandra, ma i Franceschi e' Piccardi gli furono apetto alla riviera di Somma, ch'elli avea a passare. Ma per sollicitudine cercò un altro passo in un altro luogo, dove la riviera facea un gran marese che fiottava, ma avea sodo fondo, che·lli fu insegnato, dove mai non era veduto passare cavallo; e·llà, ritratto il fiotto, passò in una notte con tutta sua gente salvamente, lasciando parte delle sue tende e fuochi accesi ov'era stato acampato, per mostrare la notte a' nimici ch'ancora vi fosse a campo. E come fu passato, la mattina per tempo andò asalire parte di suoi nimici che·ll'avieno contastato il passo, che v'erano assai presso accampati, e non si prendeano guardia, credendo non avessono potuto passare la riviera di Somma, e missegli inn-isconfitta, onde furono tutti morti e presi; che furono tra a·ccavallo e a piè parecchi migliaia. Apresso seguiro loro cammino affamati con grandi disagi, e andarono il venerdì XXV d'agosto tra 'l dì e·lla notte bene XII leghe piccarde, sanza riposare, con grande affanno e fame, e arrivarono presso Amiensa a VI leghe a uno luogo e borgo di costa a uno bosco che·ssi chiama Crescì. E avendo a passare una piccola riviera, ma era profonda, convenne passassono uno o a due insieme, tanto ch'uscissono del passo, che non aveano contasto: e sentendo che 'l re di Francia gli seguitava, sì s'acamparono in quello luogo fuori della villa di Crescì in su uno colletto tra Crescì e Albavilla in Ponti; e per afforzarsi, sentendosi troppo men gente che' Franceschi, e per loro sicurtà, chiusono l'oste di carri, che·nn'aveano assai di loro e del paese, e·llasciarvi una entrata, con intenzione, e non potendo schifare la battaglia, disposti di combattere e di volere anzi morire in battaglia che morire di fame, che·lla fuga non avea luogo. E ordinò il re d'Inghilterra i suoi arcieri, che·nn'avea gran quantità su per le carra, e tali di sotto e con bombarde che saettavano pallottole di ferro con fuoco, per impaurire e disertare i cavalli di Franceschi. E della sua cavalleria il dì apresso fece dentro al carrino III schiere; della prima fu capitano il figliuolo del re della seconda il conte di Rondello, della terza il re d'Inghilterra; e chi era a·ccavallo isciese a piè co' cavalli a destro per prendere lena e confortarsi di mangiare e di bere.
LXVII
D'una grande e sventurata sconfitta ch'ebbe il re Filippo di Francia con sua gente dal re Adoardo il terzo re d'Inghilterra a Crescì in Piccardia.
Lo re Filippo di Valos re di Francia, il quale con suo esercito seguia il re Aduardo d'Inghilterra e sua gente, sentendo come s'era acampato presso di Crescì e aspettava la battaglia, si andò in verso lui francamente credendolo avere sopreso, come straccato e vinto per lo disagio e fame soferta in cammino. E sentendosi di tre tanti di buona gente d'arme a cavallo, però che 'l re di Francia avea bene da XIIm cavalieri, e sergenti a piè quasi innumerabili, ove il re d'Inghilterra non avea IIIIm cavalieri, e da XXXm arcieri inghilesi e gualesi, e alquanti con acce gualesi e lance corte; e venuto presso al campo dell'Inghilesi quanto un corso di cavallo potesse trarre, uno sabato dopo nona, a dì XXVI d'agosto, anni MCCCXLVI, il re di Francia fece fare alla sua gente III schiere a·lloro guisa, dette battaglie; nella prima avea bene VIm balestrieri genovesi e altri italiani, la quale guidava meser Carlo Grimaldi e Anton Doria, e co' detti balestrieri era il re Giovanni di Buem, e meser Carlo suo figliuolo eletto re de' Romani, con più altri baroni e cavalieri in quantità di IIIm a·ccavallo. L'altra battaglia guidava Carlo conte di Lanzone fratello del re di Francia con più conti e baroni in quantità di IIIIm cavalieri e sergenti a piè assai. La terza battaglia guidava il re di Francia, in sua compagnia gli altri re nomati e conti e baroni, con tutto il rimanente del suo esercito, ch'erano innumerabile gente a·ccavallo e a piè. Inanzi che·lla battaglia si cominciasse, aparvono sopra le dette osti due grandi corbi gridando e gracchiando; e poi piovve una piccola acqua; e ristata, si cominciò la battaglia. La prima schiera co' balestrieri genovesi si strinsono al carrino del re d'Inghilterra e cominciaro a saettare co·lloro verrettoni; ma furono ben tosto rimbeccati, che 'n su carri e sotto i carri alla coverta di sargane e di drappi che·lli guarentieno da' quadrelli, e nelle battaglie del re d'Inghilterra, ch'erano dentro al carrino nelle battaglie ordinate e schiere di cavalieri, avea XXXm arcieri, come detto è, tra Inghilesi e Gualesi, che quando i Genovesi saettavano uno quadrello di balestro, quelli saettavano III saette co·lloro archi, che parea inn aria uno nuvolo, e non cadieno invano sanza fedire genti e cavalli, sanza i colpi delle bombarde, che facieno sì grande timolto e romore, che parea che Iddio tonasse, con grande uccisione di gente e sfondamento di cavalli. Ma quello che peggio fece all'oste de' Franceschi sì fu, che essendo il luogo stretto da combattere quant'era l'aperta del carrino del re d'Inghilterra, e percotendo e pignendo la seconda battaglia del conte di Lanzone, strinsono sì i balestrieri genovesi a' carri, che non si potieno reggere né saettare co' loro balestri, essendo al continuo al di sopra da quelli ch'erano in sulle carrette fediti di saette degli arcieri e dalle bombarde, onde molti ne furono fediti e morti. Per la qual cagione i detti balestrieri non potendo sostenere, essendo affoltati e ristretti al carrino da' loro cavalieri medesimi per modo che si misono in volta, i cavalieri franceschi e·lloro sergenti veggendoli fuggire, credettono gli avessono traditi; ellino medesimi gli uccidieno, che pochi ne scamparo. Veggendo Aduardo quarto figliuolo del re d'Inghilterra prenze di Gales che guidava la prima battaglia de' suoi cavalieri, ch'erano da M, e da VIm arcieri gualesi, mettere in volta la prima schiera di balestrieri del re di Francia, montarono a·ccavallo e uscirono del carrino, e assalirono la cavalleria del re di Francia, ov'era il re di Buem e 'l figliuolo colla prima schiera, e il conte di Lanzone fratello del re di Francia, il conte di Fiandra, il conte di Brois, il conte d'Iricorte, messer Gianni d'Analdo e più altri conti e gran signori. Quivi fu la battaglia aspra e dura, però che apresso lui il seguì la seconda battaglia del re d'Inghilterra, la quale guidava il conte di Rondello, e al tutto misono in volta la prima e seconda battaglia di Franceschi, e massimamente per la fuggita de' Genovesi. E in quello stormo rimasero morti il re di Buem e 'l conte di Lanzone, con più conti e baroni e cavalieri e sergenti molti. E·llo re di Francia veggendo volgere la sua gente, colla sua terza battaglia e con tutto il rimanente di sua gente percosse alle schiere dell'Inghilesi, e di sua persona fece maraviglie in arme, tanto fece ritrarre gl'Inghilesi al carrino; e sarebbono stati rotti, se non fosse il ritegno del re Aduardo colla sua terza battaglia, ch'uscì fuori del carrino per un'altra aperta che fece fare al suo carreggio per uscire adosso a' nimici al di dietro, e per essere al socorso di suoi, francamente asalendo i nimici, feggendo per costa, e co' suoi Gualesi e Inghilesi a piè coll'arcora e lance gualesi, e solo intendeano a sventrare i cavalli. Ma quello che più confuse i Franceschi fu che per la moltitudine della loro gente, ch'era tanta a·ccavallo e a piè, e non intendieno se non a pignere e a urtare co·lloro cavalli, credendo rompere gl'Inghilesi, ch'ellino medesimi s'afollarono l'uno sopra l'altro al modo che divenne loro a Coltrai co' Fiaminghi, e spezialmente gl'impediro i Genovesi morti, che·nn'era coperta la terra della prima rotta battaglia, e' cavalli afollati morti e caduti, che tutto il campo n'era coperto, e fediti delle bombarde e saette, che non v'ebbe cavallo di Franceschi, che non fosse fedito, e innumerabili morti. La dolorosa battaglia durò da anzi vespro a due ore infra·lla notte. Alla fine non potendo più durare i Franceschi si misero in fugga, e il re di Francia si fuggì la notte ad Amiensa fedito, coll'arcivescovo di Rens, e col vescovo d'Amiensa, e col conte d'Alzurro, e col figliuolo del cancelliere di Francia con da LX a cavallo sotto il pennone del Dalfino di Vienna; però che tutte le sue bandiere e insegne reali erano rimase al campo abattute. E fuggendo le brigate la notte a·ccavallo e a piè, da' paesani di loro parte medesima erano rubati e morti; e per questo modo ne perirono assai sanz'altra caccia. La domenica mattina seguente, essendo della gente del re di Francia fuggiti la notte, e ridottisi ivi presso ov'era stata la battaglia in su uno poggetto presso al bosco in quantità di VIIIm a cavallo e a piè, intra gli altri v'era meser Carlo eletto imperadore scampato della prima rotta, e ivi afrontatisi, non sapiendo ove fuggire, il re d'Inghilterra vi mandò il conte di Vervich e quello di Norentona con gente a cavallo e a piè assai, e assalendo quelli, come gente sconfitta, poco ressono, e fuggendo, molti ne furono presi e morti, e 'l detto meser Carlo con tre fedite si fuggì alla badia da Riscampo, ov'erano i cardinali. E·lla domenica mattina medesima giunse il duca dello Renno nipote del re di Francia in sul campo, che venia suo aiuto con IIIm cavalieri e IIIIm pedoni di suo paese, essendo ignorante della battaglia e sconfitta della notte, chi·ss'avesse vinto; veggendo quella gente de·rre di Francia che detto avemo, che per paura tenieno schierati al poggetto, si diè e percosse tra l'Inghilesi; ma tosto fu rotto, e rimasevi morto con da C de' suoi cavalieri, ma·lla maggiore parte di quelli da piè rimasero morti, e·lli altri si fuggirono. Nella detta dolorosa e sventurata battaglia per lo re di Francia si disse per li più che scrissono che vi furono presenti, quasi inn-accordo, che bene XXm uomini tra piè e a·ccavallo vi rimasono morti, e cavalli innumerabile quantità, e più di MDC tra conti e baroni e banderesi e cavalieri di paraggio, sanza gli scudieri a·ccavallo, che furono più di IIIIm, e presi altrettanti, e tutti i fuggiti fediti quasi di saette. Intra gli altri notabili signori vi rimasero morti il re Giovanni di Buem con V conti d'Alamagna ch'erano in sua compagnia, e quello di Maiolica, il conte di Lanzone fratello del re di Francia, il conte di Fiandra, il conte di Brois, il duca dello Renno, il conte di Sansurro, il conte d'Allicorte, il conte d'Albamala e 'l figliuolo, il conte di Salemmi d'Alamagna ch'era col re di Buem, messer Carlo Grimaldi e Anton Doria di Genova, e molti altri signori, che non si sa per noi i nomi di tutti. Il re Aduardo rimase in sul campo due dì, e fecevi cantare solennemente la messa del santo Spirito, ringraziando Iddio della sua vittoria, e quella di morti, e consagrare il luogo, e dare sepoltura a' morti, così a' nimici come agli amici, e' fediti trarre tra' morti e farli medicare, la minuta gente e fece dar loro danari, e mandolli via. I signori morti ritrovati fece più nobilmente sopellire ivi presso a una badia, e tra gli altri molto grande onore ed esequio fece al re di Buem, siccome a corpo di re, e per suo amore piagnendosi di sua morte elli con più suoi baroni si vestì a·nnero, e rimandò il suo corpo molto onorevolmente a mesere Carlo suo figliuolo ch'era alla badia da Riscampo, e di là lo ne portò il figliuolo a Luzimborgo. E·cciò fatto, il detto re Aduardo colla sua bene aventurosa vittoria, che poca di sua gente vi morì a comparazione di Franceschi, si partì da Crescì il terzo dì, e andonne a Mosteruolo. O santus santus santus dominus deus Sabaot, cioè i·llatino, santo di santi, nostro signore, Iddio dell'oste; quant'è la potenza tua in cielo e in terra, e spezialmente nelle battaglie! Che talora e bene sovente fa che·lle meno genti e potenza vincono gli grandi eserciti, per mostrare la sua potenzia, e abattere le superbie e orgogli, e pulire le peccata de' re e de' signori e de' popoli. E in questa sconfitta bene si mostrò la sua potenzia, che' Franceschi erano tre cotanti che·ll'Inghilesi. Ma non fu sanza giusta cagione, e non avenne questo pericolo al re di Francia, che intra gli altri peccati, lasciamo stare il torto fatto al re d'Inghilterra e altri suoi baroni d'occupare il loro retaggio e signorie, ma più di X anni dinanzi a papa Giovanni giurato e presa la croce, promettendo infra due anni andare oltremare a raquistare la Terrasanta, e prese le decime e susidii di tutto suo reame, faccendone guerra contro i signori cristiani ingiustamente; per la cui cagione moriro e furono schiavi di Saracini d'oltramare Ermini e altri Cm Cristiani, che per la sua speranza avieno cominciata guerra a' Saracini di Soria: e questo basti a tanto.
LXVIII
Quello che 'l re d'Inghilterra con sua oste fece dopo la detta vittoria.
Partito il re Aduardo del campo da Crescì, ove avea avuta la detta vittoria, se n'andò con sua oste a Mosteruolo, credendolsi avere, ch'era della contea e dota della madre. La terra era ben guernita per lo re di Francia e di molti Franceschi rifuggiti dalla sconfitta; sì·ssi difese, e no·lla poté avere: guastolla intorno, e poi n'andò a Bologna sor la mere, e fece il somigliante. Poi ne venne a Guizzante, e perché nonn-era murato, il rubò tutto, e poi vi missero fuoco, e tutta la villa guastaro. E poi ne vennero a Calese, e quello era murato e aforzato, e diedonvi più battaglie. E non potendolo avere, vi si puose ad assedio per terra e per mare, e fecevi una bastita di fuori com'una buona terra aforzata e aconcia da vernarvi, e ivi con sua oste istette all'assedio lungamente, come inanzi faremo menzione; e in ciò misse ogni suo podere per aquistarlo, per avere porto forte e ridotto di qua da mare in su·rreame di Francia. E in questa stanza venne al re d'Inghilterra la madre e·lla moglie con due sue sirocchie e·lla figliuola, e poi il conte d'Ervi con molto navilio e gente d'arme e rinfrescamento di vittuaglia ed ogni guernimento da oste. In questa stanza i due legati cardinali con altri baroni di Francia e d'Inghilterra furo più volte presso di Calese a parlamentare di pace; non vi poté avere accordo. Ancora stando il re d'Inghilterra al detto assedio di Calese, avendo d'accordo promessa la figliuola per moglie al giovane conte di Fiandra, e doveasi allegare co·llui; ma per sodducimento e trattato del re di Francia e per onta rimprocciatali, che 'l padre era stato morto essendo col re di Francia alla battaglia di Crescì, come adietro facemmo menzione, sì·ssi partì dal re d'Inghilterra di nascoso, e vennesene al re di Francia, e tolse per moglie la figliuola del duca di Brabante; e 'l detto duca si partì dalla lega del re d'Inghilterra e allegossi col re di Francia e imparentossi co·llui: e diede il duca al suo maggiore figliuolo la figliuola di meser Gianni figliuolo del re di Francia, e all'altro figliuolo la figliuola del duca di Borbona della casa di Francia; e 'l detto duca di Brabante data per moglie la seconda figliuola al duca di Ghelleri nipote del re d'Inghilterra figliuolo della sirocchia, avendo prima tolta e sposata la figliuola del marchese di Giullieri. Tutte queste rivolture e leghe fece fare il re di Francia contro al re d'Inghilterra per danari, onde il duca di Brabante fu molto ripreso; ma però il re d'Inghilterra non lasciò sua impresa e asedio di Calese. E meser Gianni figliuolo del re di Francia, col duca d'Atene e con altri baroni e grande cavalleria e sergenti a piè in grande quantità, stavano in Bologna sor la mere e d'intorno a fare al continuo guerra guerriata al re d'Inghilterra e a·ssua oste, e per mare con galee e altro navile, per fornire Calese; ove ebbe più assalti e badalucchi e scontrazzi, quando a danno dell'una parte e quando dell'altra, che lungamente sarebbe a racontare. E dall'altra parte il re di Francia fece un'altra oste; e fece porre l'assedio a Casella in Fiandra, acciò che' Fiamminghi non potessono venire in aiuto e accozzarsi a Calese col re d'Inghilterra, onde i Fiaminghi per comune, fatto con ordine del re d'Inghilterra loro capitano e guidatore il marchese di Giulieri, vennero verso Casella per combattersi co' Franceschi, i quali rifusaro la battaglia, e partirsi dall'asedio di Casella, e andarsene a Santo Mieri. Lasceremo alquanto de' processi della detta guerra de' due re insino ch'arà altra riuscita, e diremo di nostri fatti di Firenze e d'altre novità che furono ne' detti tempi.
LXIX
Come Luigi il giovane, che tiene la Cicilia, riebbe Melazzo, e trattò di fare parentado e lega col re d'Ungheria.
A dì V d'agosto, l'anno MCCCXLVI, Luigi il giovane, figliuolo che fu di don Piero figliuolo di don Federigo, che possiede l'isola di Cicilia, sentendosi per lo suo balio e zio don Guiglielmo, valente uomo d'arme, e per li Ciciliani, la discordia ch'era nel regno di Puglia rede del re Carlo e Ruberto, per la morte del giovane re Andreas, onde adietro è fatta menzione, si puosono assedio alla terra di Melazzo in Cicilia, che·ssi tenea per li detti reali, per mare e per terra, e stettonvi più tempo all'assedio, però che·ll'era molto forte e bene guernita di gente e di vittuaglia. Ma i capitani che v'erano alla guardia, per le dette discordie de' reali del Regno non poteno avere le loro paghe per loro e per la gente v'avieno alla guardia, e veggendo non poteno avere né soccorso né rinfrescamento del Regno, cercaro loro concordia co' Ciciliani, e per danari che n'ebbono rendero la terra detto dì. E nel detto mese essendo venuti in Cicilia ambasciadori del re d'Ungheria per contrario de' detti reali del Regno per trattare lega e compagnia col detto Luigi il giovane che tenea la Cicilia, e adomandaro XXX galee al soldo del detto re d'Ungheria al suo passaggio nel Regno. Guiglielmo zio del detto giovane Luigi, che·ssi facea chiamare duca d'Atene, ed era balìo del detto Luigi, e governatore dell'isola di Cicilia, si trattarono e ragionarono di fare parentado che il detto Luigi, torrebbe per moglie la sirocchia del detto re d'Ungheria, e promise di darli aiuto, quando volesse passare nel Regno, di XL galee armate al soldo del detto Luigi; e mandò in Ungheria suoi ambasciadori in su una galea armata per confermare la detta lega e matrimonio. Ma venuti in Ungheria gli ambasciadori di quello di Cicilia, dimandavano di rimanere libero re di Cicilia, e dimandavano Reggio in Calavra e altre terre che vi tenea l'avolo suo don Federigo; la qual domanda il re d'Ungheria non accettò, ma sarebbe condisceso a lasciarli l'isola, rispondendogli certo censo, e rimanendo a quello d'Ungheria il risorto e·ll'apello come sovrano, e il titolo del reame. A·cciò non s'accordarono quelli di Cicilia, e rimase il trattato, e poi il tennero co' reali di Puglia. Il fine a·cche ne vennero si dirà inanzi a tempo e luogo, quando saremo sopra la detta matera.
LXX
Come certe galee di Genova passaro nel mare Maggiore, e presono Sinopia e·ll'isola del Silo.
Nel detto anno e tempo si partirono di Genova XL galee armate e andarono in Romania per fare vendetta del cerabi signore di Turchi del mare Maggiore, per lo tradimento e danno ch'elli avea fatto a' Genovesi, come in alcuna parte adietro facemmo menzione; e presono la terra di Sinopia, e quella rubaro e guastaro, e corsono il paese, e recarne molta roba e mercatantia di Turchi; e 'l simile feciono all'isola del Silo in Arcipelago di Romania, e quella presono e sonne signori, e tolsolla a' Greci, ove nasce la mastica, la quale è di grande frutto e rendita. Lasceremo a dire delle novità delli strani, e torneremo a dire di nostri fatti di Firenze e d'altre parti d'Italia.
LXXI
Di certe novità che furono in questi tempi nel Regno.
Nel detto anno, a dì VIII d'ottobre, passò per Firenze il cardinale d'Onbruno legato del papa, ch'andava nel Regno per recarsi in sua guardia per la Chiesa il detto Regno, per le discordie de' reali per la morte del re Andreas; da' Fiorentini gli fu fatto grande onore. Andato lui nel Regno, male vi fu veduto da quelli reali e per la reina, e peggio vi fu ubidito, e 'l paese tutto scommosso quasi in rubellione; e rubellossi l'Aquila per uno ser Ralli cittadino di quella col suo séguito, e coll'aiuto e favore di meser Ugolino de' Trinci signore di Fuligno, e più altre terre d'Abruzzi a petizione del re d'Ungheria, e 'l paese tutto corrotto a rubare i Comuni, e chi più potea. Il legato colla reina feciono più signori per giustizieri, ma poco furono ubiditi e temuti. Il legato veggendo così corrotto il paese, se n'andò a dimorare a Benevento, e poco era tenuto a capitale.
LXXII
Di certi ordini si feciono in Firenze, che niuno forestiere non potesse avere ufici di Comune, e come si compié il ponte a Santa Trinita.
Nel detto anno, a dì XVIIII d'ottobre, si fece ordine e dicreto in Firenze che nullo forestiere fatto cittadino, il quale il padre e·ll'avolo ed elli non fossono nati in Firenze o nel contado, non potesse essere uficiale o avere alcuno uficio, nonistante che fosse eletto o insaccato, sotto certa grande pena. E questo si fece per molti artefici minuti veniticci delle terre d'intorno, sotto titolo di reggenti delle XXI capitudini dell'arti; erano insaccati priori e altri assai ufici. Ed era il loro un gran fastidio, che con maggiore audacia e prosunzione usavano il loro maestrato e signoria, che non facieno gli antichi originali cittadini. Ben fu questa motiva opera di capitani di parte guelfa e di loro consiglio, che parea loro vi si mischiassono di Ghibellini, e per afiebolire il reggimento delle XXI capitudini dell'arti che reggevano la città; e fu quasi uno cominciamento di rivolgimento di stato per le sequele che ne seguirono apresso, come inanzi ne faremo menzione. Nel detto anno, a dì IIII d'ottobre, si serrò l'arco di mezzo del ponte da Santa Trinita con III pile e archi; molto bene fondato e ricco lavorio, e costò da XXm fiorini d'oro, e fecevisi in su una pila una bella cappella di San Michele Agnolo.
LXXIII
D'uno grande caro che fu in Firenze e d'intorno e in più parti.
Nel detto anno MCCCXLVI, cominciandosi la cagione d'ottobre e di novembre MCCCXLV, al tempo della sementa furono soperchie piove, sicché corruppono la sementa, e poi l'aprile e 'l maggio e giugno vegnente MCCCXLVI non finò di piovere, e talora tempeste, onde per simile modo si perdé la sementa delle biade, e·lle seminate si guastarono; e·cciò avenne quasi in più parti di Toscana e d'Italia, e in Proenza, e Borgogna, e Francia (onde nacque grande fame e caro ne' detti paesi), ed a Genova, e a Vignone in Proenza, ov'era il papa colla corte di Roma. E·cciò avenne, secondo dissono gli astrolagi e maestri in natura, per la congiunzione passata di Saturno e di Giove e di Marti nel segno dell'Aquario, come adietro è per noi fatta menzione. Onde avenne che già sono più di cento anni passati non fu sì pessima ricolta in questo paese di grano e biada, di vino e d'olio e di tutte cose, come fu in questo anno. E 'l vino valse di vendemmia il comunale da fiorini VI in VIII il cogno, e quasi non rimasono colombi e polli per difetto d'esca, e valea il paio di capponi fiorini uno d'oro e libre IIII, e non se ne trovavano; e' pollastri per Pasqua soldi XII il paio, e' pippioni soldi X, e·ll'uovo danari IIII o V danari, e non se ne trovavano; e·ll'olio montò in libre VIII l'orcio. Per difetto di ciò la carne di castrone e di bue grosso e di porco montò in danari XX in soldi II la libra, e quella della vitella in soldi II e mezzo in soldi III la libra, e fu gran caro di frutte e di camangiare; e tutto ciò fu per la cagione sopradetta. Per la qual cosa, avegna che per li tempi passati alcuni anni fosse caro, pure si trovava della vittuaglia in alcuna contrada; ma questo anno quasi non se ne trovava, imperciò che·lle terre non rispuosono al quarto, né tali al sesto del dovuto e usato tempo. E valse di ricolta lo staio del grano presso a soldi XXX, montando ogni dì; e inanzi che fosse l'altra ricolta, o calen di maggio MCCCXLVII, montò a fiorino uno d'oro lo staio; e·llo staio dell'orzo e delle fave in soldi L lo staio, e·ll'altre biade all'avenante; ella crusca in soldi XI lo staio e più, che non se ne trovava per danaio; e sarebbe il popolo morto di fame, se non fosse la larga e buona provedenza fatta per lo Comune, come diremo apresso. E·ffu sì grande la nicissità, che·lle più delle famiglie di contadini abandonarono i poderi, e rubavano per la fame l'uno all'altro ciò che trovavano, e molti ne vennero mendicando in Firenze, e così di forestieri d'intorno, ch'era una piatà a vedere e udire, e non si poteno lavorare le terre né seminare; se non che coloro cui erano, se n'avieno il podere, convenia che pascesse quelli che·lle lavoravano, e fornire di seme, e quello con grande necessità e costo. E con tutto che·ll'anno MCCCXXVIIII e del MCCCXL fosse gran caro, come adietro in que' tempi facemmo menzione, ma pure del grano e della biada si trovava in città e in contado; ma in questo anno non si trovava né grano né biada, ispezialmente in contado a più di lavoratori e contadini. Il Comune si provide e comperòne e fece mercati, con caparra di moneta con certi mercatanti genovesi e fiorentini e altri, di XLm moggia di grano di Pelago, di Cicilia, di Sardigna, e da Tunisi, e di Barberia, e di Calavra, e di IIIIm moggia d'orzo, ma non ci se ne potéo conducere per la via di Pisa in tutto che moggia XXIIm di grano, e moggia MDCC d'orzo, il quale venne costato, posto in Firenze, fiorini XI d'oro il moggio del grano, e fiorini VII il moggio dell'orzo. Ma perché non avemmo tutto quello che per lo nostro Comune fu comperato, sì fu la cagione però che i Pisani n'avieno bisogno grande di grano, e simile i Genovesi, che per forza si prendeno il grano della nostra compera giunto in Porto Pisano, tanto che si fornivano inanzi a·nnoi; e questo ci diede grande difetto, e più volte grande stretta e paura, e non ce ne potavamo atare. Di Romagna e di Maremma ne fece venire il Comune quello si potéo avere di grazia da quelli signori e Comuni, al di dietro intorno di moggia IImCC, e costò caro, da fiorini XX d'oro il moggio, ond'ebbe tra d'interesso colla spesa il Comune più di XXXm fiorini d'oro. Bene si trovò che certi ch'erano camarlinghi de' detti uficiali aveano frodato il Comune falsare per la misura e 'l peso del pane, e mischiare il grano col loglio e altre biade, onde trassono di guadagno grossa quantità, i quali furono presi e condannati in fiorini Xm d'oro a ristituzione del Comune. E nota che tutto questo è infama grande di mali cittadini e di coloro che·lli chiamano agli ufici, se colpa v'ebbono, come si disse, e confessaro per tormento. Ed era rimaso al Comune della provisione dell'anno passato da moggia MDCC di grano; sicché in tutto fu il soccorso e fornimento del Comune da XXVImD di moggia di grano e da MDCC moggia d'orzo. Al cominciamento gli uficiali del Comune faceano mettere per dì in piazza moggia LX in LXXX di grano a soldi XL lo staio; e poi montando il grano a soldi L e·ll'orzo a soldi XL lo staio; ma tutto questo non fornia per li molti contadini ch'erano ritratti nella città sanza gli altri cittadini bisognosi. Feciono gli uficiali del Comune fare in su i casolari de' Tedaldini di porta San Piero, ch'è uno grande compreso, X forni con palchi e chiuso a porte per lo Comune, ove per uomini e femmine di dì e di notte si facea pane della farina del grano del Comune sanza aburattare o trarne crusca, ch'era molto grosso e crudele a vedere e a mangiare, di peso d'once VI l'uno, che se ne facea per istaio da VIIII serque, e cocevasene il dì da LXXXV in C moggia; e poi si stribuiva la mattina a cenno della campana grossa de' priori a più chiese e canove per tutta la città, e di fuori dalle mastre porte per li contadini d'intorno presso alla città del piviere San Giovanni, e d'altri pivieri che venieno alle porti per esso, e davanne per bocca II pani per danari IIII l'uno. E soprabondò tanta gente, e che·nne volieno più che due pani per bocca, che per la calca gli uficiali non potieno cospicere; sì ordinaro di dare il pane alle famiglie per iscritte e polizze, II pani per bocca. E trovossi in mezzo aprile nel MCCCXLVII che da LXXXXIIIIm bocche erano, che n'avieno a dispensare per dì; e di questo sapemmo il vero dal mastro uficiale della piazza, che ricevea le scritte e polizze. Omai potete avisare, chi·ssa albitrare come innumerabile popolo era ritratto per la carestia in Firenze a pascersi; e nel detto numero non erano i cittadini e loro famiglie ch'erano forniti per loro vivere, e non volieno pane di Comune, o comperavano del migliore pane alle piazze o a' fornai danari VIII il pane, e tale X in XII il meglio, ché ciascuno potea fare e vendere pane sanza ordine o di peso o di pregio, e non contando i religiosi mendicanti né i poveri che viveano di limosine, ch'erano sanza numero, che di tutte le terre circustanti erano per lo caro ch'aveno acommiatati e ridotti in Firenze, ond'era una continua battaglia quella di poveri e di dì e di notte a' cittadini. E con tutto il bisogno e·lla grande nicissità del Comune e di cittadini, non si acommiatò povero niuno, né forestiere o contadino che fossero, ma al continuo pasciuti di limosine al convenevole, considerando il disordinato caro e fame; e per più ricchi e buoni e piatosi cittadini si feciono di belle e di larghe limosine, onde dovemo sperare in Dio, che non guarderà alli soperchi peccati de' cittadini, ché, come avemo detto adietro, la città nostra n'è bene fornita; ma per le limosine e pe' buoni e cari cittadini Iddio compenserà, se fia suo piacere la misericordia, come fece a quelli di Ninive, "però che·lla limosina spegne il peccato"; dixit Domino. Avenne come piacque a·dDio, per la festa di san Giovanni Battista MCCCXLVII, sforzandosi delle primaticce ricolte, subitamente calò il grano novello di soldi XL in XXII, e 'l vecchio del Comune in soldi XX lo staio; e·ll'orzo in soldi XI in X. Per questo sùbito calare del grano i fornai e chi facea pane a vendere innarravano il grano a gara, e subitamente il feciono rimontare in presso a soldi XXX lo staio, e feciono postura di non far pane a vendere se non con certo loro ordine, per sostenere il caro. Per la qual cosa il popolo si commosse contro a·lloro, e fu quasi la città per correre a romore e ad arme, se non che per li savi rettori s'aquetò il romore, e uno, che·nne fu cominciatore, ne fu impiccato; e 'l grano tornò al suo stato di soldi XXII lo staio. E poi in piena ricolta del mese d'agosto e di settembre si riposò da soldi XVII in XX, bene che poi rimontò per lo caro stato; che·ffu una grande consolazione al popolo per la fame passata. Ma bene lasciò, com'è usato, ancora alquanta carestia e per conseguente infermità e mortalità, come per lo 'nanzi si troverrà leggendo. Lasceremo di questa passione della carestia e fame, e diremo d'altre cose che furono in questi tempi.
LXXIV
Come messer Luchino Visconti signore di Melano ebbe la città di Parma.
Tegnendo la città di Parma i marchesi da Esti da Ferrara, che·ll'avieno comperata da meser Ghiberto da Coreggia, come in alcuno capitolo adietro facemmo menzione, messer Luchino signore di Melano al continovo la guerreggiava colle sue forze e coll'aiuto di quelli da Gonzago signori di Mantova e di Reggio, e per dispetto e contradio di meser Mastino ch'era i·llega co' detti marchesi, e quasi per lui la tenieno; essendo circundata di qua della città di Reggio, e di là da Mantova e da Piagenza e dalle terre di meser Luchino, e male poteno avere aiuto né soccorso da meser Mastino e da altri loro amici e da Ferrara sanza grande pericolo; si cercaro loro accordo con meser Luchino, al quale si diede compimento all'uscita del mese di settembre MCCCXLVI, che·ssi feciono compari di meser Luchino d'un suo figliuolo, e renderli Parma, ed ebbono da·llui LXm fiorini d'oro; e riebbono per patti il loro castello di San Filice e' loro prigioni che tenieno quelli da Gonzago, e con grande festa n'andarono con meser Luchino a Milano affare il suo figliuolo cristiano, e fermarono lega e compagnia insieme. E nota s'elli ha tra' Cristiani al suo tempo nullo re, se non se quello di Francia e quello d'Inghilterra e d'Ungheria, di tanto podere quanto mesere Luchino, che tenea del continuo più di IIIm cavalieri al soldo, e talora IIIIm e Vm e più, che non ha re tra' Cristiani che·lli tenga. E signoreggiava le 'nfrascritte XVII città colle loro castella e contadi Milano, Commo, Bergamo, Brescia, Lodi, Moncia, Piagenza, Pavia, Cremona, Cremma, Asti, Tortona, Allessandra, Noara, Vercelli, Torino, e ora Parma. Ma guardisi del proverbio che disse Marco Lombardo al conte Ugolino di Pisa, quand'era nella sua maggiore felicità e stato; come dicemmo nel suo capitolo, ch'egli era meglio disposto a ricevere la mala miccianza, e così gli avenne. E a meser Mastino signore di XI cittadi le perdé tutte, se non se Verona e Vincenza, e in quelle fu osteggiato. E però non si dee niuno groriare troppo delle filicità mondane, e spezialmente i tiranni; che la fallace fortuna come dà a·lloro co·llarga mano, così ritoglie; e questo basti a tanto, e tosto si vedrà il fine.
LXXV
Come il conte di Fondi sconfisse la gente della reina moglie che fu del re Andreas.
In questi tempi il conte di Fondi, nipote che·ffu di papa Bonifazio, a petizione del re d'Ungheria prese Terracina e il castello d'Itri presso di Gaeta per cominciare la guerra da quella parte alla reina e a' reali di Napoli, i quali vi mandarono DC cavalieri e pedoni assai del Regno, per assediare il detto castello d'Itri. Il conte fece suo sforzo di gente di Campagna, e con CC cavalieri tedeschi ch'avea furono CCCC a cavallo e gente a piè assai, e assalì la detta oste e miseli inn-isconfitta; ov'ebbe assai di presi e di morti; e·lla città di Gaeta quasi si rubellò, tegnendosi per loro medesimi, sanza rispondere a' reali o alla reina di Napoli. In questi tempi, all'entrante d'ottobre, morì a Napoli quella si facea chiamare imperadrice di Gostantipoli, figliuola che fu di meser Carlo di Valos di Francia, e moglie che·ffu del prenze di Taranto. Di questa si disse ch'ordinò colla moglie del re Andreas sua nipote la morte del detto re, e con più altri signori e baroni, come racontammo nel capitolo adietro della morte del re Andreas, per darla per moglie a meser Luigi di Taranto suo figliuolo, come fece poi, come diremo alquanto inanzi. Ed ella dopo la morte del prenze suo marito portò mal nome di sua persona, se vero fu, che palese si dicea, che infra gli altri suoi amadori tenea meser Niccola Acciaiuoli nostro cittadino per suo amico, ed ella il fece cavaliere e fecelo molto ricco e grande. Lasceremo alquanto di fatti del Regno, e torneremo a' fatti e guerra del re d'Inghilterra.
LXXVI
Come fu sconfitto il re Davit di Scozia dagl'Inghilesi a Durem.
Essendo il re Aduardo d'Inghilterra rimaso di qua da mare all'asedio di Calese, come lasciammo adietro, il re di Francia dopo la sua sconfitta tornò a Parigi, e sommosse tutto il suo reame ed i suoi amici per ragunare gente maggiore che di prima, per vendicarsi del re d'Inghilterra, e levarlo dall'asedio di Calese. E oltre a·cciò rimandò inn Iscozia Davit di Brustro re di Scozia, che·ffu co·llui alla battaglia, e diègli molti danari e gente d'arme, acciò che di Scozia venisse con sua oste inn-Inghilterra. Il quale giunto inn-Iscozia, e sapiendo che 'l re d'Inghilterra era colla sua oste dell'Inghilesi a Calese, ragunò sua oste di bene Lm uomini tra piè e a cavallo di suoi Scotti, e·lla gente gli avea data il re di Francia, e passò inn Inghilterra insino alla città di Durem, faccendo gran danno al paese di ruberia e d'arsione. Certi baroni ch'erano rimasi inn-Inghilterra alla guardia del reame, onde fu capo... e none isbigottiti perché non vi fosse il loro re, ragunarono bene XVIm uomini buona gente d'arme tra a cavallo e a piè, la più gran parte Inghilesi e Gualesi, e francamente vennero contro al re di Scozia e sua oste, ch'erano tre tanti di loro, e al valico della riviera dell'Ombro gli asaliro vigorosamente. Gli Scotti del sùbito assalto e dubitandosi che gl'Inghilesi non fossono in maggior quantità, si misero in volta e furono sconfitti, e molti Scotti vi rimasero presi e morti, e fuvi preso il loro re Davit e 'l figliuolo, e menati presi a Londra; e·cciò fu a dì XVI d'ottobre MCCCXLVI. E nota ch'ancora è, e fia sempre, che 'l nostro Idio Sabaot fa vincere e perdere le battaglie a cui gli piace, non guardando a numero e forza di gente, secondo i suoi giudici per punizione di peccati di re e de' popoli.
LXXVII
Ancora della guerra di Guascogna.
Dopo la sconfitta ch'ebbe il re di Francia dal re d'Inghilterra a Crescì, come adietro facemmo menzione, il conte d'Ervi, ch'era per lo re d'Inghilterra in Guascogna, non istette ozioso, ma più vigorosamente e con più audacia e baldanza con sua oste proccedette contro alla gente del re di Francia, cavalcando il paese; e·lla gente del re di Francia impaurita e sbigottita molto, però che se n'era partito meser Giovanni figliuolo del re di Francia con sua oste, e venuto verso Parigi per la vittoria ch'ebbe il re d'Inghilterra sopra il re di Francia a Crescì; sì·lli si arrendéo la terra di San Giovanni Angiulini, e·lla città di Pittieri, e·lLisignano, e Minorto, e Santi in Santogia, con più altre castella e ville, sanza alcuna risistenza; e quelle rubò d'ogni sustanzia, e ritennesi San Giovanni e·lLisignano e Minorto, e quelle fornì di sua gente per guerreggiare il paese; onde il paese era in gran tremore, e tutta tolosana infino a Tolosa. Fatto il conte d'Ervi il detto conquisto, fornì le terre e frontiere di gente d'arme, e tornossi inn-Inghilterra. Partito il conte d'Ervi del paese, que' di Pittieri colle loro vicinanze, sanz'altro capitano del re di Francia, feciono una cavalcata, credendosi riprendere Lisignano che facea loro una grande guerra, e furonvi isventuratamente sconfitti dal conte di Monforte, ed erano tre cotanti che·lla gente del re d'Inghilterra; e così aviene chi è in volta di fortuna. Lasceremo alquanto della guerra del re di Francia a quello d'Inghilterra, e diremo del nuovo eletto imperadore.

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Ultimo Aggiornamento:12/07/05 23:277