De Bibliotheca

Biblioteca Telematica

CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Terzo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO DODECIMO (115-143)

CXV
Come li Spuletani levaro da oste inn-sconfitta quelli di Rieti.
Nel detto anno, all'uscita di giugno, il conte di Triveti del regno di Puglia, essendo per lo re Ruberto vicaro nella città di Rieti, essendo posto ad oste sopra il castello di Luco co' cittadini di Rieti insieme, li Spuletini co·lloro amistà vennero al soccorso di quello, e sconfissono il detto conte e quelli di Rieti, con gran dannaggio di presi e di morti.
CXVI
Come messere Attaviano de' Belforti si fece signore di Volterra.
Nel detto anno, a dì VIII di settembre, nella città di Volterra si levò romore, e·ffu ad arme e battaglia cittadina. L'una parte era capo meser Attaviano di quelli di Belforte, che·sse ne volea fare signore; e dall'altra parte il vescovo suo nipote nato per femmina, con certi popolani che volieno vivere in libertà; ma·lla tirannia colla forza di forestieri invitati per meser Attaviano furono vincitori, e cacciarne il vescovo e suoi seguaci, i quali si ridussono in Berignone suo castello, e meser Attaviano si fece signore della città, e poi seguitandoli, onde seguì assai di male; e fece il detto meser Attaviano uccidere due fratelli del vescovo a tradimento avendoli sicurati, costrignendoli per avere il detto castello di Berignone ch'elli avea asediato; e 'l vescovo che v'era dentro soferse innanzi di vederli morire che rendere il castello.
CXVII
Come certe galee di Genovesi sconfissono i Turchi.
Nel detto anno XII galee di Genovesi ch'erano ite in Romania per loro mercatantia, ritrovandosi nel mare Maggiore di là da Gostantinopoli con CL o più legni tra grossi e piccoli armati di Turchi saracini, i Genovesi francamente l'assalirono e missogli inn-isconfitta faccendo di loro grande molesta d'ucciderli, ed annegarli in mare, dove ne rimaseno morti più di VIm, e guadagnarono i Genovesi molta roba e danari. In questo anno VI altre galee di Genovesi ch'andavano in Fiandra furono prese dall'armata dell'Inghilesi a Samavi in Brettagna, e perdervi il valere di CCm di fiorini d'oro; e così va della fortuna della guerra di mare.
CXVIII
Come in Firenze fu fatta una grande congiurazione, e·lla città fu a romore e ad arme.
Tornando a nostra matera in raccontando l'aversità occorse alla nostra città di Firenze in questi tempi per lo suo male reggimento, mi fa molto turbare la mente sperando peggio per l'avenire. Considerando che per segni del cielo, né per pistolenze di diluvio, né di mortalità, e di fame, i cittadini non pare che temano Iddio, né si riconoscano di loro difetti e peccati; ma al tutto abandonata per loro la santa carità umana e civile, e solo a baratterie e tirannia con grande avarizia reggere la republica. Onde mi fa temere forte del giudicio d'Iddio. E acciò che meglio si possano intendere le motive delle disensioni e delle novità occorse, e perché sia assempro a que' che sono a venire, acciò che mettano consiglio e riparo a simili casi, sì il narreremo brievemente il difetto del male reggimento ch'allora era in Firenze, e quello ne seguì di male, bene che non sia però scusa di mali adoperanti contra il Comune. Per difetto di mali uficiali e reggenti la città di Firenze si reggea allora e poi un tempo per due per sesto di maggiori e più possenti popolani grassi. Questi non volieno a reggimento né pari né compagnoni, né all'uficio del priorato né agli altri conseguenti ufici mettere, se non cui a·lloro piacea, che facessono a·lloro volontà, schiudendo molti de' più degni di loro per senno e per virtù, e non dando parte né a grandi né mezzani né minori, come si convenia a buono reggimento di Comune. E oltre a questo, non bastando loro la signoria del podestà, e quella del capitano del popolo, e quella dell'asecutore degli ordini della giustizia contro a' grandi, ch'erano ancora di soperchio a buono reggimento comune, si criarono l'uficio del capitano della guardia; e a·cciò elessono e feciono ritornare in Firenze messer Iacopo Gabrielli d'Agobbio, uomo sùbito e crudele e carnefice, con C uomini a cavallo e CC a piè al soldo del Comune, ed elli con grosso salaro, acciò che facesse a senno de' detti reggenti. Il quale a guisa di tiranno, o come esecutore di tiranni, procedea di fatto in civile e cherminale a sua volontà, come gli era posto in mano per li detti reggenti, sanza seguire leggi o statuti, onde molti innocenti condannò a·ttorto inn-avere e in persona, e tenea i cittadini grandi e piccoli in grande tremore, salvo i suoi reggenti, che col suo bastone faceano le loro vendette e talora l'offese e·lle baratterie; non ricordandoci noi Fiorentini ciechi, overo infignendoci di ricordare quello di male ch'avea operato il detto meser Iacopo al simile uficio l'anno MCCCXXXV, e poi mesere Accorrimbono: onde per loro difetto era fatto divieto X anni, e no·llo oservaro. Di questo inniquo uficio e reggimento erano mal contenti i più di cittadini, e massimamente i grandi e possenti; e però certi grandi cercaro cospirazione in città per abattere il detto mesere Iacopo, e suo uficio e suoi seguaci reggenti. E più tosto li fece muovere, che in que' tempi fu condannato per lo detto mesere Iacopo mesere Piero de' Bardi in libre VIm, perch'avea offeso un suo fedele da Vernia, non istrettuale di Firenze, onde gli parve ricevere torto. E meser Andrea de' Bardi era costretto di rendere al Comune il suo castello di Mangone, ch'elli s'avea comperato. Questi Bardi erano di più possenti cittadini di Firenze d'avere e di persone; e di loro danari aveano comperato dalla figliuola d'Alberto conte Vernia e Mangone, e il castello dal Pozzo da' conti da Porciano, onde il popolo di Firenze era male contenti, però che il Comune vi cusava suso ragione, come inn-adietro inn-alcuna parte facemmo menzione. Per lo detto sdegno e superbia di Bardi, e simile di Frescobaldi, per una condannagione fatta a meser Bardo Frescobaldi di libre IIImDCC per la pieve a San Vincenzo (dissero a·ttorto furono capo della detta congiura e cospirazione, con tutto ch'assai dinanzi fosse conceputo per lo male reggimento, come detto è adietro). Co' detti Bardi teneno parte di Frescobaldi e di Rossi, e di più case di grandi, e d'alcuna possente di popolani di qua da Arno; e rispondea loro il conte Marcovaldo, e più suoi consorti da' conti Guidi, i Tarlati d'Arezzo, i Pazzi di Valdarno, Ubertini, Ubaldini, Guazalotri da Prato, i Belforti di Volterra e più altri, e ciascuno dovea venire con gente a cavallo e a piè in gran quantità, e mandare la notte di Tutti Santi; e·lla mattina vegnente, come le genti fossero allo esequio de' morti, levare il romore e correre la città, e uccidere mesere Iacopo Gabrielli e' caporali de' reggenti, e abattere l'uficio di priori e rifare in Firenze nuovo stato, e·cchi disse disfare il popolo. E sarebbe loro venuto fatto certamente per la loro forza e séguito, se non che 'l sopradetto meser Andrea de' Bardi, o che·lli paresse mal fare, o per altra cagione o quistione con suoi consorti, manifestò la detta congiura a Iacopo degli Alberti suo cognato e di caporali reggenti. Incontanente il detto Iacopo il rivelò a' priori e agli altri suoi compagni reggenti, essi guerniro d'armi e di gente, essendo la città in gran paura e sospetto, e ciascuna parte temea di cominciare. Ma acciò ch'a' congiurati non giugnesse il loro sforzo, il dì d'Ognisanti nel MCCCXL, in sull'ora di vespro, i caporali de' reggenti salirono in sul palagio de' priori, e quasi per forza feciono sonare a stormo la campana del popolo, che alcuno di priori amici de' Bardi la contesono assai, ciò fu meser Francesco Salvesi e Taldo Valori, l'uno priore e·ll'altro gonfaloniere per porta San Piero; onde molto furon ripresi di presunzione, e·cche sentissono il trattato. Come la campana cominciò a sonare, tutta la città fu commossa a romore, e ad arme a cavallo e a piè, in sulla piazza de' priori co' gonfaloni delle compagnie, gridando: "Viva il popolo e muoiano i traditori!". E incontanente feciono serrare le porte della città, acciò che gli amici e soccorso de' congiurati non potessono entrare nella città, i quali i più erano in via e presso alla terra per entrare la notte con gran forza di gente. I congiurati veggendo scoperto il loro trattato e fallito il loro aiuto, che quasi nullo di loro congiurati di qua dall'Arno rispuose loro né·ssi scopersono per paura del popolo, e 'l popolo commosso a furore contro a' congiurati, si tennero morti, e intesono solo al loro scampo e riparo, guardando i detti casati d'Oltrarno i capi de' ponti, saettando e uccidendo chi di là volesse passare; e misono fuoco a capo di due ponti di legname, ch'allora v'erano, l'uno contra le case de' Canigiani e·ll'altro di Frescobaldi; acciò che 'l popolo nogli assalisse, credendosi tenere il sesto d'Oltrarno tanto che 'l soccorso venisse. Ma·cciò venne loro fallito, che i popolani d'Oltrarno francamente gli ripugnaro, e tolsono loro i ponti coll'aiuto di popolani di qua dall'Arno, ch'andaro i·lloro aiuto per lo ponte alla Carraia. Messer Iacopo Gabrielli capitano si stava armato a·ccavallo in sulla piazza colla cavalleria, con gran paura e sospetto, sanza usare alcuno argomento o riparo di savio e valente capitano; istando fino alla notte quasi come stupefatto; onde molto fu biasimato. Ma il valente messer Maffeo da Ponte Carradi, allora nostro podestà, francamente con sua compagnia armato a cavallo passò il ponte Rubaconte con pericolo grande e rischiò di sua persona, e parlò a' congiurati con savie parole e cortesi minacce, li condusse la notte sotto sua sicurtà e guardia a partirsi fuori della città per la porta da San Giorgio, sanza quasi romore d'uomini o spargimento di sangue, o incendio o ruberie, onde molto fu commendato, ch'ogni altro modo era con grande pericolo della cittade. E come furono partiti, il popolo s'aquetò, e l'altro di apresso fatta di loro condannagione si disarmaro i popolani, e ciascuno fece i suoi fatti come prima. Per sì fatto modo guarentì Idio la nostra città di grande pericolo, non guardando a' nostri peccati e male reggimento di Comune; ma per non essere di tanto benificio grati a·dDio, la detta congiura ebbe apresso di male sequele a danno della nostra città, come inanzi si farà menzione.
CXIX
Chi furono i congiurati che furono condannati.
Partiti i detti congiurati, il dì apresso si tenne consiglio come si dovesse procedere contro a·lloro; per lo migliore del Comune si prese di non fare grande fascio, però ch'a troppi cittadini sarebbe toccato, che sentiro la detta congiura e·ss'aparecchiarono con arme e cavalli, ma non si mostrarono; ma solamente si procedesse contro a quelli caporali che si mostraro e furono in arme, i quali furono citati e richesti; e non comparendo subitamente furono condannati nell'avere e nelle persone, siccome ribelli e traditori del loro Comune. I quali furono la prima volta l'infrascritti: messere Piero di meser Gualterotto de' Bardi e Bindo e Aghinolfo suoi fratelli, Andrea e Gualterotto di Filippozzo e Francesco loro nipote, messer Piero di Ciapi suo nipote, messer Gerozzo di meser Cecchino e meser Iacopo di meser Guido, mesere Simone di Gerozzo, ma non v'ebbe colpa di certo; Simone e Cipriano di Geri, e Bindo di Benghi, tutti della casa de' Bardi; messer Iacopo priore di Sa·Iacopo, messer Albano, messer Agnolo Giramonte e Lapo suoi nipoti, messer Bardo Lamberti, Niccolò e Frescobaldo di Guido, Giovanni e Bartolo di mesere Fresco, Iacopo di Bindo e Geri di Bonaguida, Mangeri di meser Lapo, tutti di Frescobaldi; e Andrea Ubertelli, Giovanni di Nerli, ser Tomagno degli Angiolieri, capellano del detto priore, Salvestrino e Ruberto di Rossi, più de' suoi consorti che vi tenieno mano, non si mostrarono; di qua dall'Arno non si mostrò alcuno. I loro palazzi e beni in città e in contado a·ffurore furono disfatti e guasti. E ordinossi con tutte le terre vicine guelfe e quelli della lega di Lombardia che non ritenessono i detti nuovi ribelli. E di ciò feciono il peggiore, per la qual cosa i detti n'andaro i più a Pisa, e il priore a corte di papa a procurare quanto poterono in detto e in fatto contro al Comune di Firenze. Per la detta diliberazione della nostra città per lo Comune a dì XXVI di novembre si fece una grande processione e offerta a San Giovanni per tutte l'arti, e s'ordinò ch'ogni anno per l'Ognisanti si facesse; e ordinossi di trarne di bando gli sbanditi per certa gabella per fortificare il popolo; che·ffu gran male a recare in città molti rei uomini e mafattori. Ma altro rimedio ci voleva per apaciare Iddio, a·llui la gratitudine e tra' prossimi cittadini la carità, ma ad altro s'intese; e ordinossi che ogni popolano che potesse fosse armato di corazze e barbute alla fiamminga, e impuosone VIm, e molte balestra per fortificare il popolo. E del mese di gennaio seguente il Comune comperò Mangone da meser Andrea de' Bardi VIImDCC fiorini d'oro, scontandone MDCC che 'l Comune v'avea spesi inn-acconcime inanzi si rendesse a messere Benuccio Salimbeni marito della detta contessa da Mangone. E il castello di Vernia s'arrendé al Comune di Firenze pagandone a meser Piero de' Bardi, che v'era dentro asediato, fiorini IIIImDCCCLX d'oro. E fecesi dicreto per lo Comune che nullo cittadino potesse aquistare o tenere castello di fuori di nostro contado e distretto di lungi il meno per venti miglia. E del detto mese di gennaio furono condannati VIIII di conti Guidi ch'avieno tenuta mano alla sopradetta congiura; e furo quasi tutti i loro caporali, salvo il conte Simone e Guido suo nipote da Battifolle che non assentiro alla detta congiura. Di ciò furono ripresi molto da' savi quelli che governavano la città, di condannare i nostri possenti vicini i conti Guidi, a recarline a scoperti nimici di quello peccato che non condannaro i nostri cittadini ch'erano colpevoli, come co·loro alla detta congiura; bene s'aparecchiarono in arme co·lloro fedeli per venire a Firenze. E poi più d'un anno apresso fu scoperto un altro trattato co' detti nuovi ribelli, onde fu preso Schiatta de' Frescobaldi, e tagliatogli il capo, e condannati Paniccia di Bernardo, e Iacopo di Frescobaldi, e Biordo di meser Vieri, e Giovanni Ricchi de' Bardi, e Antonio degli Adimari, e Bindo di Pazzi, tutti come ribelli. Lasceremo alquanto de' nostri fatti di Firenze, ch'assai ce n'è convenuto dire a questa volta, faccendo incidenzia per dire alquanto d'altre novità istate in questi tempi per l'universo; ma tosto vi torneremo a dire, ch'assai ci cresce materia a' nostri fatti.
CXX
Come il re di Spagna sconfisse i Saracini in Granata.
Nel detto anno, in calen di novembre, furono sconfitti i Saracini di Setta e dell'altro paganesimo di Barberia e di Levante ch'erano passati di qua da·mmare, innumerabile quantità, al soccorso di quelli di Granata, per lo buono re di Spagna; e rimasene tra morti e presi più di XXm, con molto tesoro e arnesi di Saracini.
CXXI
Come arse Portoveneri.
Nel detto anno, il dì di calen di gennaio, s'aprese fuoco in Portoveneri nella riviera di Genova, e·ffu sì impetuoso, che non vi rimase ad ardere casa piccola o grande, salvo i due castelli, overo rocche, che v'hanno i Genovesi, con infinito danno d'avere e di persone, e non sanza giudicio di Dio, che quelli di Portoveneri erano tutti corsali, e pirati di mare, e ritenitori di corsali.
CXXII
Come in Firenze si feciono due capitani di guardia.
Nel detto anno, in calen di febraio, si partì di Firenze il tiranno, meser Iacopo de' Gabrielli d'Agobbio, ricco delle sangui de' Fiorentini ciechi, che più di XXXm fiorini d'oro si disse ne portò contanti. Ver'è che per la sua partita i savi rettori di Firenze corressono il loro errore del suo tirannico uficio, e scemaro le spese del Comune, overo le radoppiarono, che là dove prima avieno uno bargello per loro esecutore ne elessono due, l'uno a petizione del detto meser Iacopo e suo parente (ciò fu meser Currado della Bruta, capitano della guardia in città per arricchire la povertà di Marchigiani), l'altro a guardia in contado sopra gli sbanditi, meser Maffeo da Ponti Carradi di Brescia stato nostro podestà: questi n'era più degno per le sue virtù e operazioni; ma·ll'uno e·ll'altro uficio era d'oltraggio e a grande danno e spesa del Comune. Ma i reggenti cittadini per mantenere le loro tirannie, e tali di loro baratterie, come dicemmo adietro, gli sostenieno a tanto danno di Comune e gravezza di cittadini per essere temuti e grandi. Ma poco apresso Iddio ne mostrò giudicio assai aperto per le loro prave operazioni, a gran danno e vergogna e abasamento del nostro Comune, come inanzi faremo menzione. Ma gravami che non fu sopra le loro persone propie, com'erano degni i mali operanti, e come toccò ad alquanti di loro. Ma Iddio si riserba e non lascia nullo male impunito, bene non sia a tempi e piacere de' disideranti; e spesso pulisce il popolo per li peccati de' rettori, e non sanza giusto giudicio, però che il popolo è bene colpevole a sostenere le male operazioni di loro reggenti; e questo basti a tanto.
CXXIII
Come i Pugliesi e' loro seguaci furono cacciati di Prato.
Nel detto anno, del mese di febraio, i Guazaliotri di Prato col caldo e favore di certi Fiorentini levarono a romore la terra di Prato per sospetto de' Pugliesi e Rinaldeschi loro vicini, overo per rimanerne signori; e battaglia ebbe nella terra, e morivvi alquanti dell'una parte e dell'altra; alla fine i detti Pugliesi e Rinaldeschi co·lloro seguaci furono cacciati della terra, e molti altri fatti confinati, e' Guazzalotri ne rimasono signori.
CXXIV
Come la città di Lucca volle essere tolta a messere Mastino da Verona.
Nel detto anno e mese di febraio meser Francesco Castracani delli Interminelli ordinò col favore di Pisani di torre la città a mesere Mastino con alcuno trattato d'entro, vegnendo di fuori con gente assai a cavallo e a piè. Guiglielmo Canacci vicario di meser Mastino scoperto il trattato prese il Ritrilla delli Uberti e XIII cittadini, che vi teneano mano, e corse e guarentì la terra, come piacque a·dDio per riserballa a' Fiorentini per loro grande danno e vergogna, come in poco tempo apresso si potrà trovare. E poi il detto Guiglielmo fece oste in Carfagnana, e tolse più terre che tenea il detto meser Francesco Castracani.
CXXV
Come il castello di San Bavello s'arrendé a' Fiorentini.
Nell'anno di Cristo MCCCXLI, a dì XV d'aprile, i Fiorentini avendo fatto porre oste al castello di San Bavello di Guido Alberti di conti Guidi, infino che fu condannato cogli altri conti, come dicemmo poco adietro, per cominciare l'esecuzioni delle loro condannagioni, essendo molto stretto, e non attendea soccorso, s'arrendé al Comune di Firenze salve le persone. Il quale feciono tutto diroccare per ricordo e vendetta contro al detto Guido: che più tempo dinanzi avendo il Comune di Firenze per sua lettera richesto e citato il detto Guido per alcuna cagione, per dispetto del nostro Comune nel detto San Bavello dinanzi a più suoi fedeli al messo del Comune fece mangiare la detta lettera con tutto il sugello, e poi accomiatandolo villanamente, dicendo per dispetto del Comune, se più vi tornasse, o egli o altri, gli farebbe impiccare per la gola; onde sentendosi in Firenze, grande sdegno ne venne quasi a tutti i cittadini.
CXXVI
D'uno fuoco s'aprese in Firenze.
Nel detto anno, la notte seguente di calen di maggio, s'aprese il fuoco in Terma in una casa ch'abitava Francesco di meser Rinieri Bondelmonti, e arsonvi IIII suoi fanciulli maschi con ciò ch'elli v'avea, non potendoli iscampare; onde fu una grande pietade; ma non sanza giudicio di Dio, che 'l detto Francesco aveva occupata la detta casa e tolta a una donna vedova cui era; ma il peccato fu delli innocenti figliuoli, che portarono la pena a' loro corpi della colpa del padre.
CXXVII
Come mesere Azzo da Coreggia rubellò e tolse Parma a meser Mastino.
Nel detto anno, tornando da Napoli dal re Ruberto mesere Azzo da Coreggia di Parma, avendo trattato col re e colli ambasciadori di meser Luchino ch'erano a Napoli lega e compagnia, e di rubellare Parma a meser Mastino. Valicò per Firenze chiusamente, e poi ristette alla Scarperia in Mugello per VIII dì, tenendo trattato e ragionamento con certi nostri cittadini reggenti di torre e rubellare la città di Parma a meser Mastino suo nipote e benefattore per esserne al tutto signore; che meser Mastino l'avea tolta a' Rossi e a Gran Quirico, e rimessi que' da Coreggia suoi zii in Parma, tutto ne volesse esere signore e sovrano. I Fiorentini intesono al trattato e favorallo, isperando come Parma fosse tolta a meser Mastino di potere avere agevolmente la città di Lucca; il detto meser Azzo ci tradì poi, come si vedrà pe' suoi processi. E com'elli fu in Lombardia diè compimento all'opera coll'aiuto di quelli da Gonzago signori di Mantova e di Reggio, e fatti nimici di quelli della Scala. E a dì XXII di maggio datali l'entrata di Parma da quelli di sua parte dentro, corse la terra, e con tradimento ne cacciò la gente di meser Mastino che di lui non si prendieno guardia, e fecesene signore. Per la qual mutazione di Parma si può dire fosse assediata la città di Lucca e quasi perduta per meser Mastino, che no·lla potea fornire sanza grande costo; onde i Fiorentini si mostrarono molti allegri; ma non sapeano il futuro che·nne dovea loro avenire. Messere Mastino veggendosi tolta Parma, la quale a·llui era la chiave e porta di potere entrare a sua posta in Toscana, e per quella forma mantenea la città di Lucca, veggendo che no·lla potea tenere sanza suo gran costo e pericolo, incontanente con savia e sagace pratica cercò di venderla e co' Pisani e co' Fiorentini, che a gara ciascuno ne volea esere signore, e con ciascuno tenea trattato. I Pisani per paura di non volere i Fiorentini vicini, e così di presso e colla forza di Lucca, temieno di loro stato, e cercarono in prima di torla a mezzo co' Fiorentini; ma tutto era con frode e con vizio Pisanoro. Ancora sentendo questa cerca meser Luchino Visconti signore di Melano, che·ssi facea nimico di meser Mastino, proferse a' Fiorentini, se·lla città di Lucca volessono asediare e torla a meser Mastino, di darne aiuto all'asedio M de' suoi cavalieri fermi, e volerne da·lloro certa somma di moneta; ed era il meglio a·ffarlo per vendicarsi del tradimento del Mastino; e venia tosto fatto con poco affanno e spesa, a comparazione di quello ne seguì poi. Ma i Fiorentini, non fidandosi dell'antico nimico, non vi si vollono accordare, overo nol promisse il divino distino overo providenza. Ma i Fiorentini come grandi e·llarghi e sicuri mercatanti, e migliori d'altre mercatantie che di guerra, vollono fare a·lloro senno, e i Pisani il somigliante; onde fu e seguì molto male per l'uno Comune e per l'altro, ma più per li Fiorentini in questo anno medesimo e apresso, come assai tosto faremo menzione, spedite, prima di raccontare altre novità state d'intorno in questo tempo.
CXXVIII
Come il re Ruberto ebbe Melazzo in Cicilia per assedio.
Nel detto tempo, avendo il re Ruberto presa l'isola di Lipari in Cicilia, come adietro facemmo menzione, e veggendo per lo detto aquisto assai gli era possibile d'avere Melazzo che v'è alla 'ncontra, e quello avuto potere più strignere Messina, sì fece armare a Napoli XLV tra galee e uscieri, e più altro navilio grosso e minuto da portare foraggio e altro guernimento d'oste, con DC cavalieri e M pedoni oltre a' marinieri. Col suo amiraglio partì di Napoli la detta armata a dì XI di giugno del detto anno, e per terra mandò il re in Calavra messer Ruggieri di Sanseverino con gente d'arme a cavallo e a piè per rinfrescare l'armata, come avesse presa terra. La quale armata giunse in Cicilia a dì XV di giugno, e bene aventurosamente si puosono all'asedio della terra di Melazzo per terra e per mare, chiudendola dal lato fra terra ove si ricoglie quasi a isola per ispazio d'uno migliaio, con grande fosso e isteccati con molte bertesche; e simile verso la terra di Melazzo con fosso e steccati, sicché non ne potea uscire né entrare persona, se non per furto, sanza gran pericolo. E il navilio era d'intorno alla guardia del porto e della piaggia. Melazzo era ben fornito e di gente d'arme e di vettuaglia per più d'uno anno, e poco curavano l'assedio; ma lo re Ruberto il fece continovare con molto affanno e spendio, e fece cominciare a far fare un grosso muro dentro al fosso e steccato detto dinanzi sì che il campo era molto forte. E veggendo don Piero signore dell'isola che·ll'asedio pure continovava, e a quelli di Melazzo venia fallendo la vittuaglia, tre volte vi venne con tutto lo sforzo di Ciciliani ad asalire il campo, e simile feciono que' della terra dal lato d'entro; ma invano furono gli asalti, ma con gran danno de' Ciciliani, per la fortezza del campo e rinfrescamento che facea fare al continuo il re Ruberto all'oste. Fallendo la vettuaglia alla terra per lo lungo assedio e per l'affanno del detto osteggiare, don Piero, che·ssi facea re di Cicilia, amalò e morìo. Per la qual cosa Melazzo s'arrendé all'amiraglio del re Ruberto a dì XV di settembre MCCCXLI, salvo l'avere e le persone, e di terrazzani e di forestieri. Il quale fu un bello aquisto al re Ruberto, tutto gli costasse più di Lm once d'oro; fece lasciare guernita la terra di gente d'arme e di vittuaglia.
CXXIX
Come messer Alberto della Scala andò sopra Mantova e tornonne in isconfitta.
Nel detto anno, a dì XI di giugno, messer Alberto della Scala venne ad oste sopra il mantovano con M cavalieri e MD pedoni di masnade sanza i paesani, per l'aiuto che quelli da Gonzago signori di Mantova aveano dato a messere Azzo da Coreggia, quando rubellò Parma a meser Mastino, mandando loro soccorso. A' detti signori di Mantova, e coll'aiuto di quelli da Melano, furono loro alla 'ncontra con DCCC cavalieri e popolo assai, e ingaggiarsi di combattere. Alla fine meser Alberto rifiutò la battaglia, e partissi quasi inn-isconfitta, lasciando ciò ch'avea nel campo suo con gran danno e vergogna.
CXXX
Come i Fiorentini patteggiarono di comperare Lucca da meser Mastino, e mandaro però loro stadichi a Ferrara.
Tornando a nostra matera, mi conviene raccontare della folle impresa fatta per lo nostro Comune di Firenze della città di Lucca, come cominciammo a narrare nella fine del terzo capitolo iscritto adietro. Avendo i caporali rettori di Firenze a mano il trattato con meser Mastino della Scala di comperare da·llui la città di Lucca e 'l suo distretto, ch'elli tenea libera e spedita, la quale, come dicemmo adietro, tenea bargagno co' Pisani e col nostro Comune di darla a·cchi più glie ne desse, si criò in Firenze, del mese di luglio MCCCXLI, uno uficio di XX cittadini popolani a seguire il detto trattato con piena balìa di ciò fare, e di fare venire danari in Comune per ogni via e modo ch'a·lloro paresse, e fare guerra, e oste, e pace, e lega, e compagnia, come e con cui a·lloro piacesse, per termine di loro uficio d'uno anno, non possendo essere asindacati di cosa che facessono. La qual cosa fu confusione e pericolo del nostro Comune, come si mosterrà apresso per loro processi. I nomi de' quali non ligisterremo in questo, però che non sono degni di memoria di loro virtù o buone operazioni per lo nostro Comune, ma del contrario, come inanzi per le loro operazioni si potrà vedere, acciò che' nostri successori si guardino di dare le sformate balìe a' nostri cittadini per lunghi tempi. Le quali per isperienza si manifesta per antico e per novello essere la morte e abassamento del nostro Comune, però che nulla fe' o carità era rimasa ne' cittadini, e spezialmente ne' reggenti, a conservare la republica; ma ciascuno alla sua singularità o di suoi amici per diversi studi o modi. E però cominciò ad andare al dichino il nostro Comune al modo di Romani, quando intesono alle loro singularità e·llasciarono il bene comune. E non sanza cagione, quando de' maggiori e de' più possenti popolani di Firenze diputati al detto uficio ne furono capo ed esecutori. Bene ve n'ebbe alcuni tra·lloro innocenti, secondo si disse. Confermato il detto uficio per consigli, incontanente seguiro il trattato con meser Mastino, e per ingannare i Pisani overo noi medesimi, li si promisono e fermaro co' suoi procuratori di dare CCLm di fiorini d'oro in certe paghe; avendo il nostro Comune debito a dare a' cittadini per la guerra del Mastino più di CCCCm di fiorini d'oro; e potendola avere Lucca da' Tedeschi dal Cerruglio l'anno MCCCXXVIIII, come dicemmo adietro, per LXXXm di fiorini d'oro, che·ffu savia provedenza, overo molto folle per lo nostro Comune; e più ancora, essendo in quistione e in bargagno co' Pisani, e quasi come tutta guasta e assediata. E per osservare i patti a mesere Mastino a dì VIIII d'agosto del detto anno mandarono a Ferrara sotto la guardia de' marchesi, siccome amici e mediatori dal nostro Comune, a meser Mastino L stadichi: II de' detti XX in persona, e XVIII figliuoli o fratelli o nipoti degli altri XX, e XXX altri cittadini; de' quali L stadichi v'ebbe VII cavalieri e X donzelli delle maggiori case di Firenze, e gli altri di maggiori e più ricchi popolani e mercatanti della nostra città. E noi autore di questa opera, tutto ch'a·nnoi non si confacesse e fosse contra nostra volontà, fummo del detto collegio e numero per lo sesto di porta San Piero, e istemmo in Ferrara due mesi e mezzo con più di CL cavalli al continovo, e ciascuno con famigliari vestiti d'assise, con grandi e onorate spese, sperando d'avere gran vittoria della detta impresa, e ricevendo grande onore da' signori marchesi di conviti al continuo. E meser Mastino vi mandò uno suo figliuolo bastardo con LX stadichi gentili uomini di Verona e di Vincenza e del suo distretto, o loro figliuoli. Ma non comparivano in Ferrara apo i Fiorentini d'assai di nobiltà e d'orrevolezza. I detti XX, fatta la detta impresa, feciono al continovo molte disordinate spese, gravezze a' singulari cittadini di prestanze e d'imposte per essere forniti di moneta; veggendosi venire in aspra guerra co' Pisani per la detta compera di Lucca, e' soldarono di nuovo gente da cavallo e da piè d'arme in grande quantità; e spendieno ogni mese più di XXXm fiorini d'oro. E richiesono d'aiuto i vicini e·lli amici. E nota, lettore, se meser Mastino seppe fare savia e alta vendetta della guerra e ingiuria ricevuta da' Fiorentini per lo suo tenere di Lucca, vendendola loro per ingordo pregio, sì fatta medesima azione di Lucca assediata, e con aspra guerra co' Pisani e cogli altri loro vicini e co' Lombardi suoi nimici, come apresso faremo menzione, tornando alquanto adietro.
CXXXI
Come i Pisani si puosono ad assedio alla città di Lucca.
I Pisani sentendo al continuo il trattato che' Fiorentini tenieno con messere Mastino d'avere la città di Lucca, ed ellino con meser Mastino non potendosi accordare, riserbando la fortuna a' Fiorentini la mala derrata di Lucca colle sue sequele, nonn-istettono i Pisani oziosi, ma inanzi che' Fiorentini compiessono la folle compera di Lucca, di più mesi si providono, e incontanente soldarono cavalieri, sicché da·lloro ebbono MCC cavalieri e CCC cavallate di cittadini. E·cciò potieno bene fare, che il loro Comune avea di mobile ragunati più di CLm di fiorini d'oro, e mandaro loro ambasciadori a Milano, e feciono lega e compagnia con meser Luchino Visconti signore di Milano e fatto nimico di meser Mastino. E nonn-è da dimenticare di mettere in nota uno crudele tradimento commesso per li Pisani per recarsi ad amico meser Luchino. Uno messere Francesco da Postierla di nobili di Milano, cui n'avea cacciato, il quale ito a·ccorte a lamentarsi al papa, e volendo tornare in Toscana, essendo amico al suo parere de' Pisani, mandò a·lloro per navile che 'l levasse da Marsilia, e per sicurtà di suo salvocondotto il Comune di Pisa gli mandaro una loro galea armata passaggera, e lettera di salvocondotto, ove si ricolse. Arrivato a Pisa, com'era ordinato il tradimento con meser Luchino, incontanente il detto meser Francesco, uomo di grande autorità e valore, con due suoi figliuoli i Pisani mandaro legati a Milano; a·ccui meser Luchino fece tagliare la testa. E per tale vittima si fece la lega e compagnia da meser Luchino e Pisani, della quale per lo innormo peccato commesso per li Pisani poco apresso fu aperta vendetta fatta contro a' Pisani, come si troverrà leggendo. Ma il detto messer Luchino oltre a·cciò volle promissione da·lloro di L mila fiorini d'oro in certi termini, e dierli XII stadichi i Pisani di figliuoli di loro conti e di migliori e di più cari cittadini per osservare i patti; e meser Luchino mandò loro M cavalieri colle sue insegne a soldo di Pisani, e capitano meser Giovanni Visconti suo nipote. E' signori di Mantova e di Reggio mandaro loro CC cavalieri, e quelli da Coreggia di Parma CL cavalieri, e meser Albertino da Carrara di Padova CC cavalieri per contrari di meser Mastino; e feciono lega con tutti i conti Guidi salvo col conte Simone e 'l nipote, e cogli Ubaldini, e col signore di Furlì, e cogli altri Ghibellini di Romagna, e col dogio di Genova, che tutti diedono loro aiuto di cavalieri o di balestrieri; e tali colle loro forze mossono guerra e ruppono le strade a' Fiorentini; e·cciò fu per procaccio e trattato di nostri nuovi ribelli. E ciò fatto per li Pisani, come seppono che i Fiorentini avieno fermo il patto con meser Mastino, e mandati gli stadichi, di presente a dì... d'agosto ebbono il castello del Cerruglio, quello di Montechiaro per IIIm fiorini d'oro ne spesono a' masinadieri che·ll'aveano in guardia per meser Mastino; e guernirli di loro gente, per impedire gli andamenti de' Fiorentini al soccorso di Lucca. E·cciò fatto, con tutta la loro cavalleria e popolo per comune subitamente a dì... d'agosto del detto anno vennero alla città di Lucca, e puosonvi l'assedio intorno intorno, e 'n poco tempo apresso l'affossaro e steccaro con bertesche dalla Guscianella, che va a Pontetetto, infino al fiume del Serchio, che·ffu per ispazio di più di VI miglia. E simile teneno il procinto della Guscianella insino al Serchio di sopra guernito di fortezze e di gente, ch'era altressì grande spazio o più. E poi apresso alla città feciono un altro fosso con isteccati, che·ffu una maravigliosa opera fatta in poco tempo, per modo che nullo potea entrare o uscire di Lucca sanza grande pericolo; e al continovo v'era per comune i due quartieri di Pisa a muta, e talora i tre quartieri, e così di loro molti contadini e balestrieri, assai genovesi; e bisognava bene, sì era lungo il procinto. E in mezzo di detti due procinti era accampata l'oste de' Pisani e di Lombardi in tre siti e campi spianati dall'uno campo all'altro. E·cciò poterono fare liberamente e sanza contasto, perciò che' Fiorentini per la 'mprovisa e sùbita impresa di Pisani non erano ancora aparecchiati al contasto e in Lucca non avea da CL cavalieri di meser Mastino e D pedoni di soldo, ond'era capitano Guiglielmo Canacci; e co·llui Frignano da Sesso, e Ciupo delli Scolari, e meser Bonetto tedesco, ch'avieno assai a·ffare pure di guardare la città. Ma il detto Guiglielmo Canacci al continuo proccurava Lucca per li Pisani. E partissi di Lucca e andò però a meser Mastino, e·llasciò la guardia agli altri detti capitani. Lasceremo alquanto di Pisani e del loro assedio di Lucca, e diremo tornando alquanto adietro quello che i Fiorentini feciono per la detta guerra mossa per li Pisani.
CXXXII
Come i Fiorentini si forniro essendo i Pisani all'assedio di Lucca, e cavalcaro sopra quello di Pisa.
Sentendo i Fiorentini l'aparecchio d'oste che faceano i Pisani, inanzi che ponessono l'assedio alla città di Lucca incontanente crebbono la loro cavalleria, sicché egli ebbono IIm cavalieri a soldo loro, e mandaro per l'amistadi, per esser aparecchiati se' Pisani movessono loro guerra. I Sanesi ne mandarono CC cavalieri il Comune, e C le case guelfe di Siena, e CC balestrieri, i Perugini CL cavalieri, quelli d'Agobbio con meser Iacopo Gabrielli con L cavalieri, il signore di Bologna CCC cavalieri, il marchese da Ferrara CC cavalieri, meser Mastino CCC cavalieri, e dalle terre guelfe di Romagna CL cavalieri, dal signore di Volterra il figliuolo con L cavalieri e CC pedoni, messere Tarlato d'Arezzo con L cavalieri e CC pedoni. Prato XXV cavalieri e CL pedoni, San Miniato CCC pedoni, San Gimignano e Colle ciascuno CL pedoni. Come i Fiorentini ebbono ragunata loro gente e amistadi elessono per capitano di guerra messer Maffeo da Ponte Carradi di Brescia, ch'era loro capitano di guardia. E questo fu il secondo gran fallo de' Fiorentini apresso al primo della folle compera di Lucca che con tutto che meser Maffeo fosse un valente e buono cavaliere, non era sofficiente duca a guidare sì grande esercito. Che nella nostra cavalleria aveva L o più conestaboli di maggiore affare di lui; ma·ll'ambizione dell'uficio de' XX e delli altri reggenti ebbono a schifo il savio consiglio del re Ruberto, ch'al tutto biasimava la 'mpresa di Lucca. E però non vollono per capitano niuno de' reali suoi nipoti né altri grandi baroni, per guidare la 'mpresa più a·lloro senno. E ciò fatto, feciono cavalcare loro capitano colla sopradetta cavalleria e popolo grandissimo a Fucecchio e all'altre terre del Valdarno. E mandaro loro ambasciadori a Pisa a richiedere e protestare a' Pisani che non si travagliassono della 'mpresa di Lucca, com'era ne' patti della pace spressamente tra·lloro. I Pisani diedono loro infinte e false scuse, e di presente presono il Cerruglio e Montechiaro, e puosono l'assedio con tutta loro oste alla città di Lucca. E come dicemmo nel passato capitolo, i Fiorentini aveggendosi della impresa e tradimento di Pisani di presente feciono cavalcare la loro oste, ch'era nel Valdarno di sotto, in sul contado di Pisa, e furono IIImDC cavalieri e più di Xm pedoni di soldo. E di presente presono il Ponte ad Era e il fosso Arnonico, e guastarono e arsono tutto il borgo di Cascina, e·lla villa di San Sevino e di San Casciano, e infino al borgo delle Campane presso a Pisa a due miglia. E poi si rivolsono per la via che va in Valdera, e andaro fino a Ponte di Sacco, levando grandi prede e faccendo grandi arsioni sanza contasto alcuno, istando sopra il contado di Pisa per più dì; e più sarebbono stati, se non che grande fortuna di pioggia li sopprese; onde avendo arse e guaste le villate non vi potero dimorare né andare più inanzi, e tornarsi a Fucecchio e nell'altre castella di Valdarno. E nota che questo fu il terzo gran fallo della impresa di Lucca e mala capitaneria, e·cciò non si riprende dopo il fatto. Ch'assai si vide chiaro, e si disse inanzi per li savi e intendenti, ch'a volere levare l'assedio da Lucca e disertare i Pisani l'oste di Fiorentini si dovea porre al fosso Arnonico ch'era bene albergato, e quello aforzare verso Pisa di fossi e steccati e aforzare il Ponte ad Era, e fare un piccolo battifolle a piè di Marti o in su Castello del Bosco, e in quelli lasciare guardia e guernigione di gente d'arme per avere ispedito il cammino e·lla vittuaglia. E poi al continovo fare grosse cavalcate in Valdera, e a Vada, e a Porto Pisano, e Livorno, e infino alle porte di Pisa intorno intorno, faccendo ponte di legname sopra l'Arno; e potieno di continovo cavalcare i·loro Piemonte e 'n Valdiserchio, e 'mpedire la vettuaglia ch'andava da Pisa all'oste di Lucca onde convenia per nicistà si levasse l'oste da Lucca. E·cciò sentimmo poi da' Pisani, che di questo istavano continovo in gran paura; e convenia per forza venissono a battaglia co' Fiorentini, e·lla battaglia era a lezione e con vantaggio dell'oste de' Fiorentini. Ma il distino ordinato da Dio per punire le peccata non può preterire, ch'accieca l'animo de' popoli e di loro duchi e rettori in non lasciare prendere il migliore partito. E così avenne al nostro Comune.
CXXXIII
Come i Fiorentini compiuto il mercato della città di Lucca con meser Mastino presono la posessione essendo asediata.
Infra·lla detta stanza il Mastino non dormia, ma sagacemente prese suo tempo e mandò suoi ambasciadori a Firenze, richiesono e protestarono il Comune che prendesse la posessione della città di Lucca e delle castella che tenea; e se·cciò non facessono, s'accorderebbe co' Pisani e darebbela a·lloro. E per alzare la sua mercatantia e fare la sua vendetta di Fiorentini, come dicemmo adietro, al continovo stava in bargagno co' Pisani per trattato di Guiglielmo Canacci, ribello di Bologna, stato per suo capitano in Lucca. Sopra·cciò si tennono in Firenze più consigli, e per li più savi si consigliava per lo migliore che·lla 'mpresa si lasciasse, e guerreggiassesi sopra il contado di Pisa, e com'era gran follia a prendere la posessione di terra assediata; e che molto pericolo e spesa ne potea venire, e potiesi lasciare ragionevolemente coll'onore del Comune; però che 'l primo patto era che per lo prezzo detto di CCLm di fiorini d'oro meser Mastino dovea dare la città e·lle castella libere e spedite. Ma·ll'ambizione dell'uficio de' XX e de' loro seguaci, ch'aveano fatta la prima impresa, vinse contra il savio e buono consiglio, ma pur volerla, dicendo che lasciarla troppo era gran vergogna e abassamento del Comune di Firenze; questo fu il quarto gran fallo sopra fallo fatto per l'uficio di XX. E incontanente mandaro due altri dell'uficio de' XX e altri ambasciadori con quelli di meser Mastino al marchese da Ferrara, ch'era mediatore per migliorare i patti. E giunti a Ferrara tosto s'acordò la bisogna, scemando della prima somma LXXm di fiorini d'oro per l'asedio di Lucca e perdita del Cerruglio e di Montechiaro, sicché rimase il patto a CLXXXm di fiorini d'oro: i Cm pagare infra uno anno, avendo XXVII nuovi stadichi per sicurtà di ciò, e·lli LXXXm fiorini in cinque anni apresso, ogni anno XVIm fiorini d'oro, mallevadori di ciò il marchese e 'l signore di Bologna, e tenere meser Mastino al suo soldo D cavalieri infino che fosse levato l'assedio di Lucca. Che 'nanzi che messere Mastino si fosse partito da mercato l'avrebbe fatto per Cm fiorini d'oro, siccome posessione disperata e ch'avea perduta, e a' Pisani in nulla guisa la volea dare, tutto ne facesse il sembiante, e per dispetto di meser Luchino, che co·lloro insieme l'avea assediata in sua vergogna; e questo sapemmo di certo, però ch'eravamo presenti al trattato, del numero delli stadichi. Ma·lla fretta e troppa volontà di chi l'avea a·ffare, o altra privata cagione, e bene si disse per molti cittadini che baratteria s'usò per li trattatori del primo mercato dall'una parte e dall'altra, e noi ne sentimmo tanto in Ferrara, quando si recò il mercato a CLXXXm, che quelli che v'erano per messere Mastino dissono ch'elli non avea mai sentito che·lla prima somma fosse più che CCm di fiorini d'oro. E così, se vero fu, i nostri cittadini savi ingannaro l'oste, overo il nostro Comune cieco; e fermo il secondo patto, incontanente tornaro da Ferrara i nostri ambasciadori co' sindachi di meser Mastino. E di presente feciono i nostri rettori muovere l'oste ch'era in Valdarno, e col capitano agiunsono II cittadini per sesto per consiglieri della guerra; e andarono in arme con compagnia nobilemente a' gaggi del Comune, e andarono in sul contado di Lucca, parte per la via d'Altopascio e parte dell'oste andò per Valdinievole; e accampossi tutta la detta nostra oste in sul colle delle Donne a dì... di settembre; e poi ebbono la posessione di Pietrasanta e di Barga da' proccuratori di meser Mastino. Come l'oste de' Fiorentini fu acampata, l'oste de' Pisani, ov'era a tre campi, si recarono a uno; e tegnendosi ancora per que' di Lucca la fortezza di Pontetetto, che impedia molto la scorta di Pisani, sì v'andò gran parte dell'oste de' Pisani e stettonvi più dì ad assedio, e per forza combattendo l'ebbono. In quella dimora la gente di meser Mastino con suoi sindachi e nostri, e colla gente che si volea mettere in Lucca, che furono CCC cavalieri e D pedoni, con Xm fiorini d'oro per pagare le masnade che·nn'uscirono poi, e co·lloro Ciupo delli Scolari e tutti i Ghibellini, che v'erano per meser Mastino in Lucca, con cenni di fuoco ordinati que' di Lucca a un'ora uscendo fuori co' nostri che v'andavano, si scontraro al luogo ordinato, ruppono parte delli steccati e apianaro i fossi, e sanza contasto entraro in Lucca sani e salvi. E di vero, se grossa gente fosse cavalcata co·lloro, rotta era la gente de' Pisani, che in quello punto non erano rimasi alla guardia dell'oste che D cavalieri. Entrata la detta gente in Lucca v'ebbe grande allegrezza; e i nostri sindachi, ch'erano Giovanni Bernardini di Medici, e Naddo di Cenni di Naddo, e Rosso di Ricciardo de' Ricci, presono la posessione del castello dell'Agosta e della città dal sindaco di meser Mastino, ch'era Arriguccio Pegolotti nostro antico cittadino ghibellino, a dì... di settembre. E il detto Giovanni de' Medici, ch'era ordinato ad esservi capitano, si fece fare cavaliere, e i detti Naddo e Rosso rimasono camarlinghi per lo Comune a ricevere la moneta che vi si mandava, e pagare le masnade a·ccavallo e a piè, e fornire l'ordine della vittuaglia. E feciolla sì bene ciascuno de' detti, come inanzi si leggerà.
CXXXIV
Come l'oste de' Fiorentini fu sconfitta a Lucca da quella di Pisani.
Istando la detta nostra oste in sul colle delle Donne e in su quello di Grignano, più scaramucci ebbono la nostra gente con quella de' nimici, ch'erano in San Gromigno e in San Gennaio, quando a danno dell'una parte e quando dell'altra; e fornendo Lucca del continovo di moneta, ch'altro non bisognava loro, però che per danari i Tedeschi dell'oste de' Pisani di dì e di notte fornivano Lucca di ciò che bisognava. Ma·lla 'ngannevole fortuna, ma più la mala provedenza dell'uficio de' XX e del loro consiglio di reggenti ch'erano in Firenze, e che a ciascuno per loro ambizione parea essere il buono, mesere Alardo di Valleri, o il conte Guido da Montefeltro mastri di guerra, si diliberaro che·lla detta nostra oste iscendesse al piano verso Lucca, e fossero alla battaglia co' Pisani. E questo mandaro, aspramente comandando a' capitani dell'oste. E questo fu il quinto fallo, e sanza rimedio, che Lucca era fornita ancora per più di VIII mesi; e ciò sapieno di certo, e tutto dì si fornia per lo modo detto; che stando a bada co' Pisani e fermi, gli straccavano e consumavano di spese in poco di tempo. E di vero si seppe che, 'ndugiandosi pure XV dì, meser Giovanni Visconti si partia con tutta la cavalleria del capitano di Milano, perché i Pisani non gli oservavano i patti promessi; e·cciò disse poi in Firenze, quando vi fu prigione, palesemente. L'altro gran fallo, ma pazzia, fu andare a combattere a posta e vantaggio del nimico, ch'erano dentro alla fortezza del fosso e steccati di loro campo, e poteno prendere e lasciare la battaglia, e rinfrescarsi a·lloro posta e vantaggio; e oltre a·cciò e' nonn-erano meno ma più gente di nostri a·ccavallo e a piè; ma al fallo della guerra segue incontanente la disciplina. I capitani dell'oste ubidendo il comandamento da Firenze, overo per le nostre peccata pulire, il distino di Dio li vi condusse. Il dì di calen di ottobre iscesono al piano di Lucca, e accamparsi la notte al luogo detto la Ghiaia e greto di Serchio, presso al campo di nimici a meno d'uno miglio, e·ll'una parte e·ll'altra feciono la spianata; e que' del campo di Pisa abattero verso la spianata una parte dello steccato, e richiesono la battaglia, e' nostri l'accettarono lietamente per lo giorno apresso. E così martedì, a dì II d'ottobre del detto anno MCCCXLI, le due osti s'affrontaro. I nostri ch'erano rimasi IImDCCC cavalieri e popolo grandissimo feciono due schiere, l'una di MCC cavalieri per feditori, la qual conducea il nostro capitano messer Maffeo con quelli Fiorentini che v'erano, con iscelta delle migliori masnade ch'avessono e co' Sanesi, che più donzelli delle case di Siena guelfe si feciono il dì cavalieri, e portarsi francamente. E in quella schiera fu mesere Ghiberto da Fogliano, e Frignano da Sesso, e uno conte d'Alamagna, e meser Bonetto tedesco colla gente di meser Mastino, che in quella giornata cogli altri feditori insieme feciono maraviglie d'arme, essendo fasciati di costa con più di IIIm balestrieri. La schiera grossa con tutta l'altra cavalleria e popolo e colla salmeria caricata che·ffu follia, guidavano gli altri capitani. E messere Gian della Vallina borgognone avea la 'nsegna reale, che per bontà de' nostri cittadini nullo la richiese di portare. I Pisani, ch'erano da IIIm cavalieri, feciono III schiere; l'una di feditori da DCCC cavalieri, la quale conducea... fasciata con molti balestrieri genovesi e pisani, che·nn'avieno più di noi e migliori. L'altra grossa schiera co' cavalieri del signore di Milano guidava meser Giovanni Visconti colla insegna della vipera. Un'altra schiera di CCCC cavalieri riposta adietro presso alla bocca de' loro steccati e a quella guardia, perché li nostri di Lucca ch'erano usciti della città non assalissono il campo. Quella terza schiera di Pisani guidava meser Ciupo delli Scolari, che 'l dì si fece cavaliere, e meser Francesco Castracane. Fatte le dette schiere delle due osti, s'affrontaro insieme in sull'ora della terza; e prima i feditori dall'una parte e dall'altra. La battaglia fu aspra e forte, però che da ciascuna parte di feditori era il fiore della cavalleria dell'oste; e per la forte percossa di feditori di Pisani, tutto fossono meno gente di nostri, feciono assai rinpignere adietro la nostra schiera de' feditori; ma poco apresso i feditori di Pisani furono rotti e sconfitti; e fuggendo parte si tornarono dentro alli steccati e parte alla loro schiera grossa. I nostri feditori avendo avuta la vittoria de' feditori di Pisani, francamente asaliro la loro schiera grossa; e quella fu una ritenuta e aspra battaglia, e durò infino dopo nona, e gran mortalità v'ebbe di cavalli, e abattuta di cavalieri per li molti balestrieri dell'una parte e dell'altra, e fu abattuta la 'nsegna di meser Luchino, e preso messer Giovanni Visconti capitano della sua gente, e Arrigo di Castruccio, e messer Bardo Frescobaldi, e più di migliori Pisani da cavallo e d'altri nostri usciti, e quasi rotta e sbarattata la detta schiera, con tutto rilevassono un'altra insegna della vipera di Melano, parte di loro si rannodaro colla schiera di meser Ciupo delli Scolari che stava ferma. E con tutto che' nostri feditori combattessono e cacciassono i nimici, la nostra ischiera grossa non si mosse né pinse inanzi a favorare i nostri feditori, che·ffu gran fallo e mala capitaneria; ma dissesi fu per difetto di meser Gianni della Vallina, ch'avea la 'nsegna reale, che non volle andare contro alla 'nsegna di meser Luchino per saramento fatto essendo suo prigione in Lombardia. Ma maggior fallo fu de' nostri rettori a darli la 'nsegna reale, e che sì grande oste non capitanaro di sofficienti duci, e non vi furono di nobili cittadini a·ccui ne calesse. I nostri della prima schiera credendosi avere la vittoria, si partiro di qua e di là seguendo prigioni. Dissesi che mesere Ciupo delli Scolari, che stava colla schiera disparte a vedere le contenenze della battaglia, e raccogliendo a·ssua schiera que' che fuggivano, usò una maestria di guerra, che mandò più ribaldi alla nostra schiera grossa e tra·lla nostra salmeria, gridando e dando boce che' nostri feditori erano sconfitti; onde la salmeria si cominciò tutta a partire. Quelli della nostra grossa schiera, ch'erano di lungi, ov'era la battaglia e caccia per uno terzo di miglio, tra per la detta falsa voce, e veggendo i nostri sciolti di schiera alla caccia de' nimici e mischiati tra·lloro, e veggendo fuggire la salmeria, e·lla schiera di meser Ciupo ferma e cresciuta colle 'nsegne levate, credettono a·ccerto che' nostri fossono rotti, e sanza rotta o caccia di nimici si ruppono tra·lloro e missonsi in fuga; e simile i pedoni. Messer Ciupo colla sua riposata schiera veggendo in fuga la nostra schiera grossa, percosse a' nostri feditori stati prima a due battaglie vincitori, ch'erano sparti e ricogliendo prigioni sanza ordine o ritegno alcuno, fedirono tra·lloro, e ruppogli e sconfissolli di presente, e ricoveraro i loro prigioni, salvo messere Giovanni Visconti, ch'era menato alla schiera grossa, e più altri barattati, che·ssi ricomperaro poi da quelli che·lli avieno presi, sanza rassegnarli al Comune. In questa battaglia non moriro di nostri oltre a CCC uomini tra cavallo e a piè, e niuno uomo di nome salvo Frignano da Sesso, e certi conestaboli di meser Mastino e di marchesi, ch'alla battaglia si portaro valentremente. Cavalli vi moriro più di IIm tra dall'una parte e dall'altra per le molte balestre e per lo modo della battaglia, che·ffu quasi com'uno torniamento con più riprese. Prigioni non vi rimasono de' nostri che da DCCC a M tra a cavallo e a piè, però che·lla nostra schiera grossa si partì salva per lo modo detto, e ricoveraro in Pescia, e' nimici non seguiro caccia, e molti de' nostri si fuggiro in Lucca; e meser Tarlato d'Arezzo fu di quelli. Questi furono i prigioni di rinomea di nostri che vi rimasono: cittadini, messer Giovanni della Tosa, messer Francesco Brunelleschi, messer Barna de' Rossi, Albertaccio da Ricasoli, che·ssi ricomperaro per danari; di forestieri, messer Maffeo nostro capitano, messer Bonetto tedesco, e VI altri conestaboli di meser Mastino, e de' marchesi, e del signore di Bologna, che poi di Pisa si fuggiro. E rimasonvi presi da VIII tra cavalieri e donzelli di Siena, e 'l figliuolo del signore di Volterra; tutti questi furono presi nel mezzo del campo combattendo tra' nimici. E meser Iacopo Gabrielli fu preso fuggendo in Lucca. E se non che a' Pisani rimase il campo e l'onore, per lo giudicio e volere d'Iddio e per lo nostro male provedimento, più di Pisani vi morirono assai che di nostre genti; e il costo a·lloro innumerabile per le paghe doppie e mende de' cavalli. Ma pure la nostra mal guidata oste fu sconfitta con nostro danno e vergogna e disinore, sventuramente a dì II d'ottobre MCCCXLI.
CXXXV
Digressione sopra la detta sconfitta.
Quando fu la detta sconfitta, noi Giovanni Villani autore di questa opera eravamo in Ferrara stadico di meser Mastino per lo nostro Comune cogli altri insieme, come dicemmo adietro; e in due giorni apresso avemmo la novella assai più grave ch'ella non fu, onde ci cusammo tutti essere prigioni di meser Mastino, stimandoci che 'l nostro Comune per la detta sconfitta fosse rotto e sbarattato, e che·cci convenisse ricomperare non solamente Cm fiorini d'oro promessi, ma·lla redenzione de' prigioni e·lla menda de' cavalli di meser Mastino. E compiagnendoci insieme amaramente sì del pericolo incorso al nostro Comune, e sì del nostro propio danno e interesso, uno de' nostri compagni cavaliere compiagnendosi quasi verso Iddio, mi fece quistione dicendo: "Tu hai fatto e fai memoria de' nostri fatti passati e degli altri grandi avenimenti del secolo, quale puote esere la cagione, perché Iddio abbia permesso questo arduo contro a·nnoi, essendo i Pisani più peccatori di noi, sì di tradimenti sì d'essere sempre stati nimici e persecutori di santa Chiesa, e·nnoi ubidenti e benefattori?". Noi rispondemmo alla quistione, come Iddio ne spirò oltre alla nostra piccola scienza, dicendo che in noi regnava solo un peccato intra gli altri che più spiacea a Dio che quelli de' Pisani; ciò era non avere in noi né fede né carità. Rispuose il gentiluomo quasi commosso, dicendo: "Come la carità, che più se ne fa in Firenze in uno dì, che in Pisa in uno mese?". Dissi ch'era vero; ma per quello membro di carità che·llimosina si chiama, Iddio ci ha guardati e guarda di maggiori pericoli; ma·lla vera carità è fallita in noi; prima verso Iddio, di non esere a·llui grati e conoscenti di tanti benifici fatti e in tanto podere e stato posta la nostra città, e per la nostra prosunzione non istare contenti a' nostri termini, ma volere occupare non solamente Lucca, ma l'altre città e terre vicine indebitamente. Come col prossimo eravamo caritevoli, a ciascuno è manifesto a ditrarre e tradire e volere disertare l'uno vicino compagno e consorto l'altro, ed eziandio tra fratelli carnali, e colle pessime usure contro a' meno possenti e bisognosi. Della fe' e carità verso il nostro Comune e replubica è anche manifesto tutta esere fallita; che venuto è tempo, per li nostri difetti, che ciascuno cittadino per una sua piccola utilità ditrae e froda e mette a non calere ogni gran cosa di Comune, che che pericolo ne corra. Ove i Pisani sono il contrario, cioè che sono uniti tra·lloro, e fedeli e·lleali al loro Comune, benché in altre cose sieno così, o maggiori peccatori di noi; ma come disse il nostro signore Gesù Cristo nel Vangelo: "Io pulirò il nimico mio col nimico mio etc.". E fatto silenzio alla detta quistione, che ciascuno fu contento della detta difinizione, e riconoscemmo i nostri difetti e poca carità tra·nnoi in comune e in diviso. Il marchese da Ferrara sentendo la nostra turbazione mandò per noi, e tutti ci ebbe in sua presenza e del suo privato consiglio. Prima dolutosi con noi del sinistro caso e fortuito avenimento occorso alla nostra gente e alla sua; ma poi, come il buono padre fa al suo figliuolo, confortandone, mostrandone la piccola perdita ricevuta, e com'era de' casi della guerra, e da non curare, potendosi ricoverare, magnificando il nostro Comune di gran potenzia, e per sé e per li amici dicendo che di ciò si farebbe alta e grande vendetta, profferendo al nostro Comune tutto suo podere, e di venire in persona elli o il suo fratello con tutte sue forze, e così ci pregò significassimo al nostro Comune. E immantenente mandò in Firenze suoi ambasciadori colla detta proferta, onde prendemmo gran conforto. E per simile modo fece al nostro Comune meser Mastino e 'l signore di Bologna. Ma meser Albertino da Carrara signore di Padova fece della nostra sconfitta falò e grande allegrezza per dispetto di meser Mastino, e avea di sua gente C cavalieri coll'oste de' Pisani contro a·nnoi; ma male si ricordava o era grato, ma ingratissimo de' benifici ricevuti elli e' suoi antichi dal nostro Comune. Ed elli, colla nostra potenza e de' Viniziani, di servo di quelli della Scala fatto signore di Padova, come adietro facemmo menzione al conquisto di quella. Avemo per questo capitolo fatta sì lunga digressione sopra la detta nostra sconfitta per dare assempro di correzione di nostri difetti a' nostri successori, e perch'abbino ricordo e memoria di quelli che·cci sono stati amici e contrari nella nostra aversità, ritornando apresso a nostra materia.
CXXXVI
Della materia medesima.
Come in Firenze giunse la prima e sùbita novella della detta sconfitta, tutta la città fu commossa di grande dolore e paura, e faccendo grande guardia di dì e di notte, istimandosi che·lla rotta e dannaggio fosse più grande che nonn-era. Ma il giorno apresso fu saputo il vero della piccola perdita di morti e di presi, e·cche la città di Lucca non era perduta, ma si tenea francamente, né perduto nullo altro castello che per noi si tenesse, s'apersono le botteghe, e ciascuno disarmato intese a·ffare i fatti suoi come prima, non parendo che battaglia o sconfitta fosse fatta; e in ciò per li cittadini si mostrò grande magnificenza. E poi apresso che incontanente s'ordinò di rifare maggiore oste che·lla prima, richeggendo d'aiuto il re Ruberto e gli altri amici, con soldando gente d'arme a cavallo e a piè, quanti se ne potessero avere; ed elessono per capitano di guerra, per averlo più tosto, meser Malatesta da Rimino tenuto savio uomo in guerra, il quale venne in Firenze a dì... di febraio con CC cavalieri, intra' quali avea de' migliori uomini di Romagna e della Marca e oltramontani, e CC pedoni alla guardia di sua persona; e per lo suo uficio da' Fiorentini fu ricevuto a grande onore avendo di lui grande speranza di vittoria. E oltre a·cciò non potendosi avere dal re Ruberto per capitano uno di nipoti, ch'assai si prontò per li Fiorentini, come inanzi si farà menzione, e sentendo che 'l duca d'Atene venia di Francia a Napoli, certi reggenti della nostra città scrissono al detto duca, e feciono scrivere a' suoi amici e mercatanti alla sua venuta a Vignone in Proenza dov'era la corte, che·lli piacesse di fare la 'mpresa d'essere sovrano capitano al servigio del nostro Comune. Il gentile signore e bisognoso pellegrino per suo avantaggio e a richiesta de' detti suoi amici e grandi di Firenze, che di ciò il confortaro e richiesono ad altro maggiore intendimento, come inanzi lui venuto in Firenze si potrà comprendere, accettò la 'mpresa, e sanza indugio con C gentili uomini avea in sua compagnia per mare venne a Napoli, che a Pisa, né in quelle marine, non potea porre e non avea cavalli. E giunto a Napoli, sanza fare asapere di suo intendimento al re Ruberto si venne fornendo d'arme e di cavalli, dando voce di volere andare in sua terra in Romania. Lasceremo alquanto della 'mpresa del duca d'Attene, ma assai tosto vi ci converrà tornare, crescendone di suoi fatti grande e nuova matera, e diremo alquanto di processi che 'l re Ruberto tenne col nostro Comune ne' fatti di Lucca.
CXXXVII
Come il re Ruberto domandò a' Fiorentini la signoria di Lucca ed ebbela, promettendogli d'atase.
Lo re Ruberto essendo molto infestato per lettere del nostro Comune, e per quelli delle nostre compagnie e suoi mercatanti ch'erano intorno di lui, che mandasse uno di nipoti con gente d'arme all'aiuto dell'oste che 'l nostro Comune intendea di fare contra i Pisani per levare l'assedio di Lucca, per la sua grande avarizia non volendo fare la 'mpresa e disdire l'aiuto al nostro Comune non potea con suo onore, sì volle fare e fece una sottile segacità, che mandò a Firenze del mese di novembre una grande ambasciata, ciò fu il vescovo di Grufo grande maestro, e meser Gianni Barili de' maggiori di Napoli, e Niccola degli Acciaiuoli con grande compagnia, e fece per quella dimandare inn-un grande e bello consiglio la posessione e signoria della città di Lucca, come sua e di sua giuridizione, tutta gli fosse tolta da Uguiccione dalla Faggiuola e Comune di Pisa, come assai adietro facemmo menzione. E se·cciò si facesse per li Fiorentini promettea tutte le sue forze per mare e per terra contra li Pisani, a·ffare le nostre vendette e levare l'oste loro da Lucca, stimandosi di certo che' Fiorentini per loro alterezza così gran costo e danno e vergogna, com'avieno ricevuta per la 'mpresa di Lucca, negassono la sua dimanda e richiesta, e·cciò faccendo avea giusta causa di negare l'aiuto dimandato per lo nostro Comune. I Fiorentini sopra·cciò saviamente avisati e con buono consiglio liberamente rispuosono agli ambasciadori, e in loro presenza rifermaro in quello consiglio di dare al re, o a·lloro per lui, libera la posessione di Lucca; e feciono sindachi a·cciò fare, e andaro per scorta co·lloro in Lucca, e diedono la posessione e 'l dominio con bollate carte. E·cciò fatto, i detti ambasciadori andaro a Pisa, e richiesono i Pisani da parte del re con solenni protestagioni che·ssi levassono dallo assedio della sua città di Lucca. I Pisani parendo a·lloro che·lla detta richiesta fosse opera disimulata a posta de' Fiorentini, la quale nel vero non era, ma come che fosse, a·lloro ne parea avere mal partito a mano a recarsi il re Ruberto incontro, e d'altra parte da·lLucca l'assedio non volieno levare; disimulatamente dissono di rispondere al re per loro ambasciadori; e così feciono dilaiando e menando il re per parole, e non ne vollono in fine far niente; ma rafforzando al continovo l'assedio di Lucca colle forze di meser Luchino Visconti e degli altri tiranni di Lombardia di parte imperiale; ed era a' Pisani assai agevole, essendo sì presso di Lucca, essere afforzati.
CXXXVIII
Come i Fiorentini mandarono al re Ruberto per aiuto e no·ll'ebbono, e·cciò che·nne seguì.
I Fiorentini veggendosi così menare mandaro ambasciadori a Napoli a richiedere al re Ruberto il suo aiuto, e uno de' nipoti per loro capitano, e che oservasse quello avea fatto promettere a' suoi ambasciadori quando li fu renduta la possessione di Lucca, come detto avemo adietro; i quali ambasciadori con grande stanzia e studio seguiro; ma poco valse che a nulla si movesse, bargagnando di mandare il duca d'Attene con DC cavalieri, pagando il Comune di Firenze la metà del soldo ed elli l'altra metà; e ancora non potendo meglio, per lo nostro Comune fu accettato, ma no·llo volle il re oservare. O avarizia, nimica della reale vertù di magninimità, come guasti ogni bene e onorata impresa! Che·sse lo re Ruberto ci avesse oservata la 'mpromessa fatta fare al nostro Comune per li suoi ambasciadori, e mandato uno de' nipoti con M cavalieri a mezzo nostro soldo all'oste de' Fiorentini, e XII galee armate sopra i Pisani a tor loro l'entrata del porto, ch'assai gli era leggere a fornire, colla gran forza e ragunata di Fiorentini col loro oste, di certo i Pisani con tutto l'aiuto di meser Luchino di Milano e d'altri Lombardi non avieno podere di tenere campo né assedio a Lucca. Per lo quale difetto del re Ruberto nacquono molte sconvenenze e pericoli e danni con sua vergogna e del nostro Comune, come apresso si potrà comprendere, che' Fiorentini si condussono di fare oste per loro, per soccorrere Lucca di più di IIIIm cavalieri e popolo infinito, come nel seguente capitolo si farà menzione, con poco onore e grande spendio. Ma quello che più portò di rischio e di pericolo, non solamente al nostro Comune ma a tutta parte guelfa e di Chiesa, e a tutta Italia, ed eziandio al re Ruberto e al suo regno, si fu che per lo sopradetto isdegno preso col re Ruberto a·ssuo gran difetto certi reggenti del nostro Comune per sodducimento e consiglio di meser Mastino della Scala mandaro segretamente due popolani di maggiori reggenti ambasciadori con quelli di meser Mastino a Trento in Alamagna, ov'era venuto il Bavero, che·ssi facea chiamare imperadore, per altre sue bisogne, e co·llui trattaro per tal modo che mandò a Firenze e poi alla nostra oste più di suoi baroni con da L cavalieri, la maggiore parte di corredo; intra gli altri caporali furo il duca di Tecchi col suo grande sugello e il suo Luffo Mastro e il Porcaro conte, promettendo se 'l nostro Comune il volesse ricevere il duca di Techi per suo vicario co·llarghi patti, farebbe partire tutti i Tedeschi del campo de' Pisani, incontanente vedessono quello sugello, e rompere l'oste di Pisani, e tornare tutti dal nostro. E di certo venia fatto; ma di ciò avuti i nostri reggenti segreto consiglio, e certi savi amatori di parte guelfa e di Chiesa, e a·ccui toccava lo stato e parte più che a coloro ch'avieno menato il detto trattato, s'avidono che·cciò faccendo era pericolo di tornare il reggimento di Firenze e di tutta Toscana assai tosto a parte ghibellina e d'imperio; consigliarono che non si seguisse il detto trattato per lo migliore, che che della 'mpresa seguisse da·nnoi a' Pisani; e così rimase, e' detti baroni si tornaro in Alamagna. Ma per la detta loro venuta il re Ruberto entrò in tanta gelosia, che non sapea che·ssi fare, temendo forte Firenze non prendesse rivoltura di parte d'imperio e ghibellina. E molti suoi baroni e prelati e altri del Regno ricchi uomini, ch'aveano dipositati loro danari alle compagnie e mercatanti di Firenze, per la detta cagione entraro in tanto sospetto, che ciascuno volle esere pagato, e fallì a' Fiorentini la credenza in tutte parti dove avieno affare, per modo che poco tempo apresso per cagione di ciò, e gravezze di Comune e per la perdita di Lucca, apresso molte buone compagnie di Firenze falliro, le quali furono queste: quella de' Peruzzi; gli Acciaiuoli, tutto non cessassono allora, per loro grande potenza in Comune, ma poco apresso; e' Bardi ebbono gran crollo, e non pagavano a cui dovieno, e poi pur falliro; falliro i Bonaccorsi, i Cocchi, li Antellesi, quelli da Uzzano, i Corsini, e Castellani, e Perondoli, e più altri singulari mercatanti e più artefici e piccole compagnie a gran danno e rovina della mercatantia di Firenze, e universalmente di tutti i cittadini; che·ffu maggiore danno al Comune che·lla sconfitta o perdita di Lucca. E nota che per li detti fallimenti delle compagnie mancarono i danari contanti in Firenze, ch'apena se ne trovavano. E·lle posessioni in città calarono a volerle vendere le due derrate per uno danaio, e in contado il terzo meno a valuta, e più calaro. Lasceremo a dire della detta matera, e diremo della grande oste, che' Fiorentini feciono per diliberare Lucca dall'asedio di Pisani, e non venne loro fatto.
CXXXIX
D'una grande e nobile oste che' Fiorentini feciono poi per levare i Pisani dallo assedio di Lucca.
Volendo i Fiorentini seguire la loro folle impresa di fare oste per levare i Pisani dall'asedio di Lucca, e sentendo fallia a quelli d'entro assai tosto la vittuaglia, ebbeno più di IIm oltramontani cavalieri, buona gente al loro soldo; cittadini a cavallo ve n'ebbe XL con VI consiglieri del capitano, che·ffu mala providenza; e non si ricordavano i rettori di Firenze di quello che scrive Lucano di Cesare quando facea le sue osti, non dicea alle sue milizie: "Andate!", ma: "Venite!"; e·cciò faccendo avea sempre vittoria e onore. E così aviene il contrario a' signori e rettori de' Comuni, quando personalmente non sono a guidare i loro eserciti, lasciando la cura e providenza a' soldati e strani: e questo basti, che·lla sperienza fa pruova del fatto. Alla nostra oste mandò aiuto D cavalieri meser Mastino, e D il signore di Bologna, CCCC cavalieri i marchesi da Ferrara, e CC dalle terre guelfe di Romagna, e CCC da' Sanesi, e CL da Perugia, e CL dall'altre terre d'intorno; e' conti Guidi guelfi con Xm tra pedoni e balestrieri di masnada, sanza i contadini e distrettuali: e diedonsi le 'nsegne domenica d'ulivo, a dì XXIIII di marzo. E il dì di nostra Donna apresso, MCCCXLII, si mosse l'oste e andarne in Valdinievole. E questo fu il sesto gran fallo e errore di XX che guidavano la guerra e 'l reggimento della città. Che·sse ancora fossono iti assediare o porre oste a Pisa, era vinta la guerra, e levato l'assedio da Lucca; ma no·llo permise Iddio per li nostri difetti e peccati, e per arogere alle nostre disciprine e spendio e abassamento della nostra città, e con nostra vergogna avendo ragunata sì grande potenzia e nobile oste, che sarebbe stato sofficiente a uno reame. Ben fu gran colpa di questo difetto di nostri cittadini ch'erano caporali in Lucca, ch'al continuo scriveano a Firenze: "Soccorrete, soccorrete, che·lla terra nonn-è fornita per uno mese"; ed era fornita per più di tre. E tutto fu del fallo della guerra veduto dinanzi per li savi. Partissi la detta oste da Pescia e di Valdinievole dì XXVII di marzo, e puosesi ed acampossi sul poggio di Grignano e in sul colle delle Donne, ove fu l'altra volta; e in que' luoghi tenne l'oste il nostro capitano, meser Malatesta, uno mese e mezzo, istando in vani trattati di corrompere i soldati dell'oste de' Pisani, non faccendo pruova o valoria alcuna, come potea e dovea avendo tanta buona gente a·ccavallo e a piè; ma meser Malatesta trovò il rocco a petto al cavaliere, che 'l capitano dell'oste de' Pisani era Nolfo figliuolo del conte Federigo da Montefeltro suo parente, che sapea delle volte romagnuole tenendolo in trattato vano altressì bene com'elli; e molti cittadini ne presono sospetto d'inganno e tradimento per la lunga stanza, perdendo tanto tempo bello e utole con tanto possente oste; onde molto fu ripreso meser Malatesta, e mandato gli fu da Firenze riprendendolo forte, che movesse l'oste verso i nimici, che che avenire ne dovesse. In questa stanza i Pisani e loro allegati non dormiro, che i Tarlati d'Arezzo si disse trattaro di rubellare la città d'Arezzo al nostro Comune. E Guiglielmo degli Altoviti, ch'era per capitano di guardia inn-Arezzo, fece per la detta cagione pigliare mesere Piero Saccone e meser Ridolfo e messere Luzimborgo e Guido e... de' Tarlati, e mandogliene presi a Firenze; e nel palagio de' priori di sopra fu loro prigione più tempo, e chi·lli facea colpevoli e chi no; ma per quello seguì apresso pure mostrò fossono colpevoli; e più volte si tennero consigli di giudicarli a morte, ma vinsene il peggio per corrotti cittadini. E fu fatto prendere in Lucca meser Tarlato e tenuto sotto cortese guardia, il quale poco apresso uscendo fuori di Lucca a diporto con meser Giovanni de' Medici si fuggì nel campo de' Pisani. E poi e per l'altri Tarlati si rubellaro molte castella di loro e del contado d'Arezzo alli Aretini, faccendo loro guerra. Gli Ubaldini si rubellaro al nostro Comune, e colla forza de' Ghibellini di Romagna e con certe bandiere a·ccavallo di meser Luchino di Milano assediarono la terra di Firenzuola; e andandovi di nostre genti di Mugello, ond'era guidatore uno de' Medici, per soccorrella male ordinati, furono per aguato sopresi e rotti a Rifredo; e pochi dì apresso ebbono Firenzuola per tradimento d'alcuno loro fedele che v'abitava dentro, e tutta l'arsono e disfeciono e ripuosono di sopra a quella Montecoloreto, e afforzallo; e per tradimento ebbono il castello di Tirli che nonn-era fornito, a gran vergogna del nostro Comune. E gli Ubertini e' Pazzi rubellarono Castiglione loro castello e Campogiallo e-lla Treggiaia, sicché intorno al nostro contado avea gran bollore stando la nostra oste in su quello di Lucca.
CXL
Come l'oste de' Fiorentini si strinse a Lucca per fornilla e nol potero fare, e Lucca s'arrendé a' Pisani.
Partissi meser Malatesta colla nostra oste a dì VIIII di maggio da Grignano; e' Tedeschi delle nostre masnade per essere male ordinati rubarono tutto il nostro campo; e scesi al piano, s'accampò l'oste a San Piero in Campo di costa al fiume del Serchio, presso a' nimici intorno di due miglia; e quello dì giunse nel nostro per la via di Bologna e da Pistoia il duca da·tTecchi e Luffo Mastro e 'l Porcaro baroni del Bavero, con L armadure con XXV cavalieri a spron d'oro, ciascuno a grandi destrieri, molto nobile gente, col trattato ordinato a Trento in Alamagna col Bavero co' nostri ambasciadori, come adietro facemmo menzione. E il detto dì giunse alla detta nostra oste da Firenze il duca d'Atene con meser Uguiccione de' Bondelmonti e meser Manno de' Donati con da C cavalieri franceschi a nostri gaggi in sua bandiera. E a dì X di maggio la mattina per tempo si mosse l'oste da San Piero in Campo cavalcando schierati da uno e mezzo miglio verso i nimici richieggendogli di battaglia. Non vollono uscire di loro steccati, e di ciò feciono saviamente. La nostra oste, non potendo avere la battaglia, passarono due rami del fiume del Serchio; il terzo ramo era sì ingrossato per acqua ritenuta per li nimici e pioggia cominciata, che·lla sera non potero passare, e quella notte con gran disagio e sofratta di vittuaglia e di tutte cose, e asaliti da' nimici stettono in su quella isola, faccendo quella notte fare uno ponte di legname per passare sopra quello ramo di Serchio. E il dì apresso passò tutta l'oste di là alquanto sopra il colle di San Quirico, ov'era un forte battifolle guernito per li Pisani alla guardia del poggio e del ponte a San Quirico. Veggendo i Pisani passato per li nostri il fiume, temendo di perdere la fortezza di San Quirico sì vi mandarono più gente alla difesa, ed ebbe tra·lla nostra gente e·lla loro più badalucchi a danno di Pisani. E di certo si disse, se 'l capitano nostro avesse fatto pugnare l'oste verso la fortezza, i Pisani l'abandonavano ed era vinto il passo; che nonn-era comparazione la forza di nimici alla nostra gente, che solo i ribaldi e' ragazzi dell'oste nostra avrebbono vinto colle pietre il battifolle e 'l ponte. E di ciò fu assai ripreso meser Malatesta, il quale colla nostra oste valicò oltre, e accamparsi su 'n un poggio incontro al prato di Lucca, lasciandosi adietro la bastita e fortezza di San Quirico. E se 'l capitano fosse almeno isceso al piano di contra al prato di Lucca, si fornia allora la terra per forza, e partivasi l'oste di Pisani in rotta; però che non era ancora per li Pisani fatta chiusa né fortezza alcuna al prato di Lucca da quella parte. E oltre a·cciò i nostri ch'erano in Lucca, uomini e femmine e fanciulli, veggendo la potenza della nostra oste armati e disarmati uscirono nel prato sanza contasto di nimici. Il capitano nostro pur volle che·ll'oste s'accampasse al poggio quel dì, e·lla notte cominciò gran pioggia; ma però i Pisani non lasciaro di rafforzare il battifolle di San Quirico, e affossaro e steccarono il prato presso al Serchio, sicché i nostri non potessono valicare, e in sul prato ridussono tutta la loro potenza d'oste apetto a' nostri. E quivi dimorò la nostra oste per IIII dì sanza fare alcuna cosa con molta soffratta di vittuaglia per lo male tempo, e fu talora vi valse il pane soldi III; poi a dì XV di maggio raconciò il tempo. Uno messer Bruschino tedesco con sua bandiera e compagni valicò il Serchio in sull'ora di vespro, e cominciò badalucco co' nimici, e seguillo il duca d'Atene con sua gente, e ingrossò sì il badalucco, che più di MD cavalieri e più pedoni di nostri valicaro il fiume, e per forza ruppono gli steccati e misero in fuga i nimici; e se fossono seguitati da' nostri, e fosse stato più di giorno, e rimasi i nostri in sul prato, i nostri avieno la vittoria; ma la notte fece fare la ritratta. E in quella medesima notte i Pisani con molto affanno e sollecitudine rifeciono i fossi e steccati più forti che prima; e ricominciò la pioggia e 'l Serchio a crescere, sì che non si potea ben guadare in quello luogo, tante furono le traverse e difalte della nostra oste per mala condotta. Veggendo il nostro capitano così aforzato il campo di Pisani e non potendo fornire Lucca con sua grande vergogna e del nostro Comune e d'amici, si partì coll'oste domenica a dì XVIIII di maggio, e per li guadi de' rami del Serchio, ond'erano venuti; ripassaro il fiume e per la via d'Altopascio, e puosonsi in sul Cerruglio a dì XXI di maggio, e a quello dierono battaglia e no·ll'ebbono; e poi si partiro e tornaro in Valdarno con onta e vergogna e grande spendio di Fiorentini. E da Fucecchio si partiro a dì VIIII di giugno IIm cavalieri con molti pedoni, e cavalcaro in sul contado di Pisa faccendo danno assai; e CL cavalieri che de' Pisani venieno a Marti furono presi da' nostri. Ma dopo volta fu la buona providenza a venire sopra quello di Pisa. Quelli ch'erano in Lucca, veggendosi abandonati del soccorso di tanta potenza, cercaro loro accordo co' Pisani, e rendero loro la città di Lucca salve le persone con ciò che·nne vollono trarre, a dì VI di luglio MCCCXLII. E nota ch'al principio che·ll'oste nostra era a Grignano i Pisani vollono di patti, pace faccendo, dare di Lucca al nostro Comune CLXXXm di fiorini d'oro in sei anni, per quelli promessi a meser Mastino; e oltre a·cciò per omaggio dare a perpetuo ogn'anno per san Giovanni Xm fiorini d'oro, e uno palio con uno cavallo coverto di scarlatto di valuta di più di CC fiorini d'oro. I più di Fiorentini vi s'acordavano per fuggire spese e·lla guerra. Ma Cenni di Naddo, ch'allora era priore e il figliuolo in Lucca, uomo presuntuoso, no·ll'asentì mai, ma il contrariò con sua setta, e presesi il piggiore, come siamo usati. Onde per quello ch'avenne abassò molto lo stato de' Fiorentini, avendo più di IIIIm buoni cavalieri e popolo grandissimo, e perdere sì fatta gara e impresa per male consiglio e mala condotta e capitaneria; overo più tosto per lo giudicio di Dio, e per abassare la superbia e avara ingratitudine di Fiorentini e di loro rettori. Lasceremo alquanto di nostri fatti, ch'assai n'avemo detto a questa volta, e diremo d'altre cose che furono in altre parti in questi tempi. Ma non volemo lasciare di fare memoria della profezia, overo predestinazione, che·cci mandò da Parigi il savio e valente maestro Dionigi dal Borgo della nostra impresa di Lucca, come facemmo menzione adietro nell'altro volume nel capitolo della morte di Castruccio, che tutto fu vero; che quelli per cui mano avemmo la tenuta della signoria di Lucca fu Guiglielmo Canacci delli Scannabecchi di Bologna, vicario in Lucca e sindaco di mesere Mastino, ch'avea l'arme, come disse, nera e rossa, ciò era il campo rosso e uno becco nero. E come fu con grande affanno e spendio e vergogna del nostro Comune, assai chiaro si mostra a·cchi ha ben compreso l'aventure che di ciò occorsono, siccome per noi è fatta col vero adietro etterna memoria.
CXLI
Come in Mallina in Brabante s'aprese fuoco, e arse le due parti della terra.
All'entrata di maggio MCCCXLII disaventurosamente s'aprese fuoco nella terra di Mallina in Brabante, e·ffu sì impetuoso e sanza avere rimedio di soccorso, che v'arsono più di Vm case, e andando l'uno parente a soccorrere la casa dell'altro, in poca d'ora avea novella la sua ardeva. E arse la grande chiesa e 'l palagio dell'Alla con più di XIIIIm panni, e morivvi molte persone, uomini e femmine e fanciulli, con infinito danno di case e maserizie e arnesi e altre mercatantie, che·ffu uno grande giudicio di Dio.
CXLII
Come il popolo d'Ancona cacciarono della terra i loro grandi.
All'entrante di giugno del detto anno per ingiurie ricevute da certi grandi si levò in furia il popolo minuto d'Ancona, e si levò a romore e assaliro i nobili e grandi di loro città; e molti n'uccisero e fediro, e cacciaro della terra, e rubarono le loro case; e·cciò fu crudele operazione, che per alquanti accessi fatti per alcuni, tutti i noboli e·lli innocenti come i colpevoli così aspramente fossono puniti.
CXLIII
Come morì il duca di Brettagna, e·lla guerra ne seguì.
Nel detto anno MCCCXLII morì il duca di Brettagna di suo male e sanza ereda maschio. Questi era per lo suo signoraggio il maggiore barone di Francia, e di XII peri; rimase di lui una figliuola la qual era moglie del siri di Valghere, e visconte di Limoggia; e questa donna avea una figliuola la quale Filippo di Valos re di Francia, morto il detto duca, maritò a Carlo di Bros suo nipote figliuolo della sirocchia, e fecelo duca di Brettagna, onde i Brettoni furono mal contenti, e quasi la maggior parte si rubellaro, e feciono duca il conte di Monforte, figliuolo che·ffu del fratello carnale del sopradetto duca, a·ccui succedea il retaggio per linea masculina; onde il re di Francia fu molto ripreso d'ingiustizia, mutando l'ordine e·lla consuetudine di baronaggi di Francia per lo nipote, e fece contro alla sua elezione medesima del reame, come è detto per noi inn altra parte, succedendo il retaggio per femmina. A·rre Aduardo d'Inghilterra succedea il reame di Francia per la madre; ma i signori si fanno e disfanno le leggi a·lloro vantaggio. Onde nacque grande guerra; che 'l detto conte di Monforte con parte di Brettoni s'allegò col re d'Inghilterra, e colle loro forze feciono molta guerra al re di Francia, come seguirà per inanzi. E del detto torto fatto al conte di Monforte per Filippo re di Francia tosto ne fece Iddio vendetta contro al detto re e contra il detto Carlo di Bros, come si troverrà inanzi l'anno MCCCXLVI e·ll'anno MCCCXLVII; però che niuna giusta vendetta rimane impunita, bene ch'ella s'indugi; e questo basti alla presente materia. Lasceremo al presente de' fatti d'oltremonti, e torneremo quando fia tempo e·lluogo; e cominceremo il tredecimo libro, come i Fiorentini per lo loro male stato elessono per loro signore il duca d'Atene, e conte di Brenna di Francia, onde seguì alla nostra città di Firenze grandi mutamenti e pericolosi come inanzi leggendo si potrà trovare.
Qui finisce il dodecimo libro

 

Edizione HTML a cura di: mail@debibliotheca.com

Ultimo Aggiornamento:12/07/05 23:01