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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Terzo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO DODECIMO (1-29)

I
Qui comincia il libro dodecimo, il quale, nel suo cominciamento faremo memoria d'uno grande diluvio d'acqua che venne in Firenze e quasi in tutta Toscana.
Nelli anni di Cristo MCCCXXXIII, il dì di calen di novembre, essendo la città di Firenze in grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC in qua, piacque a Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: "Vigilate, che·nnon sapete il dìe né l'ora del iudicio Dio", il quale volle mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tusanti cominciòe a piovere diversamente in Firenze ed intorno al paese e ne l'alpi e montagne, e così seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e oltre a modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e con la detta pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l'acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio: "Misericordia, misericordia!" per le genti ch'erano in pericolo, fuggendo le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond'era sì grande il romore e 'l tumulto, ch'apena si potea udire il suono del tuono. Per la detta pioggia il fiume d'Arno crebbe in tanta abondanza d'acqua, che prima onde si muove scendendo de l'alpi con grande rovina ed empito, sì che sommerse molto del piano di Casentino, e poi tutto il piano d'Arezzo, del Valdarno di sopra, per modo che tutto il coperse e scorse d'acqua, e consumòe ogni sementa fatta, abbattendo e divellendo li alberi, e mettendosi inanzi e menandone ogni molino e gualchiere ch'erano in Arno, e ogni edificio e casa presso a l'Arno che fosse non forte; onde periro molte genti. E poi scendendo nel nostro piano presso a Firenze, acozzandosi il fiume della Sieve con l'Arno, la qual era per simile modo isformata e grandissima, e avea allagato tutto il piano di Mugello, non pertanto che ogni fossato che mettea inn-Arno parea un fiume, per la quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di novembre l'Arno giunse sì grosso a la città di Firenze, ch'elli coperse tutto il piano di San Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in più parti sopra i campi ove braccia VI e dove VIII e dove più di X braccia; e fue sì grande l'empito de l'acqua, non potendola lo spazio ove corre l'Arno per la città ricevere, e per cagione e difetto di molte pescaie fatte infra la città per le molina, onde l'Arno per le dette pescaie era alzato oltre l'antico letto di più di braccia VII; e però salì l'altezza de l'acqua alla porta de la Croce a Gorgo e a quella del Renaio per altezza di braccia VI e più; e ruppe e mise in terra l'antiporto de la detta porta, e ciascuna delle dette porte per forza ruppe e mise in terra. E nel primo sonno di quella notte ruppe il muro del Comune di sopra al Corso de' Tintori incontro a la fronte del dormentorio de' frati minori per ispazio di braccia CXXX; per la quale rottura venne l'Arno più a pieno ne la città, e addusse tanta abondanza d'acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de' frati minori, e poi tutta la città di qua da l'Arno; generalmente le rughe coperse molto, e allagò ove più e ove meno; ma più nel sesto di San Piero Scheraggio e porte San Piero e porte del Duomo, per lo modo che chi leggerà per lo tempo avenire potrà comprendere i termini fermi e notabili onde faremo menzione apresso. Nella chiesa e Duomo di San Giovanni salì l'acqua infino al piano di sopra de l'altare, più alto che mezze le colonne del profferito dinanzi a la porta. E in Santa Liperata infino a l'arcora de le volte vecchie di sotto al coro; e abbatté in terra la colonna co la croce del segno di san Zanobi ch'era ne la piazza. E al palagio del popolo ove stanno i priori salì il primo grado della scala ove s'entra, incontro a la via di Vacchereccia, ch'è quasi il più alto luogo di Firenze. E al palagio del Comune ove sta la podestà salì nella corte di sotto dove si tiene la ragione braccia VI. Alla Badia di Firenze, infino a piè de l'altare maggiore, e simile salì a Santa Croce al luogo de' frati minori infino a piè de l'altare maggiore; e in Orto San Michele e in Mercato Nuovo salì braccia II; e in Mercato Vecchio braccia II, per tutta la terra. E Oltrarno salìo ne le rughe lungo l'Arno in grande altezza, spezialmente da San Niccolò, e in borgo Pidiglioso, e in borgo San Friano, e da Camaldoli, con grande disertamento delle povere e minute genti ch'abitavano in terreni. In piazza infino a la via traversa, e in via Maggio infino presso a San Felice. E il detto giuovidì ne l'ora del vespro la forza e empito de l'acqua del corso d'Arno ruppe la pescaia d'Ognesanti e gran parte del muro del Comune, ch'è a lo 'ncontro e dietro al borgo a San Friano, in due parti, per ispazio di braccia più di Vc. E la torre de la guardia, ch'era in capo del detto muro, per due folgori fu quasi tutta abattuta. E rotta la detta pescaia d'Ognesanti, incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia, salvo due archi dal lato di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde il ponte da Santa Trinita, salvo una pila e un arco verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio è stipato per la preda de l'Arno di molto legname, sì che per istrettezza del corso l'Arno che v'è salì e valicò l'arcora del ponte, e per le case e botteghe che v'erano suso, e per soperchio dell'acqua l'abatté e rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte l'Arno valicò l'arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, e intamolò in più luogora; e ruppe e mise in terra il palagio del castello Altafronte, e gran parte de le case del Comune sopr'Arno dal detto castello al ponte Vecchio. E cadde in Arno la statua di Mars, ch'era in sul pilastro a piè del detto ponte Vecchio di qua. E nota di Mars che li antichi diceano e lasciarono in iscritta che quando la statua di Mars cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe gran pericolo o mutazione. E non sanza cagione fu detto, che per isperienza s'è provato, come in questa cronica farà menzione. E caduto Mars, e quante case avea dal ponte Vecchio a quello da la Carraia, e infino alla gora lungo l'Arno rovinato, e in borgo Sa·Iacopo, eziandio tutte le vie lung'Arno di qua e di là rovinaro, che a riguardare le dette rovine parea quasi uno caos; e simile rovinaro molte case male fondate per la città in più parti. E se non fosse che la notte vegnente rovinò del muro del Comune dal prato d'Ognesanti da braccia CCCCL per la forza dell'acqua, la quale rottura sfogò l'abondanza della raccolta acqua, onde la città era piena e tuttora crescea, di certo la città era in grande pericolo, e per montare l'acqua in tutte parti della città il doppio che non fece; ma rotto il detto muro, tutta l'acqua ch'era ne la città ricorse con grande foga a l'Arno, e fu venuta quasi meno e nella città fuori del corso d'Arno il venerdì ad ora di nona, lasciando la città e tutte le vie e case e botteghe terrene e volte sotterra, che molte n'avea in Firenze, piene d'acqua di puzzolente mota, che non si sgombrò in sei mesi; e quasi tutti i pozzi di Firenze guastò, e si convennero rifondare per lo calo del letto d'Arno. E seguendo il detto diluvio apresso la città verso ponente, tutto il piano di Legnaia, e d'Ertignano, e di Settimo, d'Ormannoro, Campi, Brozzi, Sammoro, Peretola, e Micciole infino a Signa, e del contado di Prato, coperse l'Arno diversamente in grande altezza, guastando i campi, vigne, menandone masserizie, e le case e molina e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato Montelupo e Capraia, e per la giunta di più fiumi che di sotto a Firenze mettono in Arno, i quali ciascuno venne rabbiosamente rovinando tutti i loro ponti. Per simile modo e maggiormente coperse l'Arno e guastò il Valdarno di sotto, e Pontormo e Empoli e Santa Croce e Castelfranco, e gran parte de le mura di quelle terre rovinaro, e tutto il piano di San Miniato e di Fucecchio e Montetopoli e di Marti al Ponte ad Era. E giugnendo a Pisa sarebbe tutta sommersa, se non che l'Arno sboccò dal fosso Arnonico e dal borgo a le Capanne nello stagno; il quale stagno poi fece un grande e profondo canale infino in mare, che prima non v'era; e da l'altro lato di Pisa isgorgò ne li Osori e mise nel fiume del Serchio; ma con tutto ciò molto allagò di Pisa, e fecevi gran danno, e guastò tutto 'l piano di Valdiserchio e intorno a Pisa, ma poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più parti due braccia con grande utile del paese. Questo diluvio fece alla città e contado di Firenze infinito danno di persone intorno di IIIc, tra maschi e femine, piccioli e grandi, ch'al principio si credea di più di IIIm, e di bestiame grande quantità, di rovina de' ponti e di case e molina e gualchiere in grande numero, che nel contado non rimase ponte sopra nullo fiume e fossato che non rovinasse; di perdita di mercatantie, panni lani di lanaiuoli per lo contado, e d'arnesi, e di masserizie, e del vino, che·nne menòe le botti piene, assai ne guastòe; e simile di grano e biade ch'erano per le case, sanza la perdita di quello ch'era seminato, e il guastamento e rovina delle terre e de' campi; l'acqua coperse e guastò, i monti e piaggie ruppe e dilaniò, e menò via tutta la buona terra. Sì che a stimare a valuta di moneta il danno de' Fiorentini, io che vidi queste cose per nullo numero le potrei né saprei adequare, né porrevi somma di stima; ma solo il Comune di Firenze sì peggiorò di rovina di ponti e mura di Comune e vie, che più di CLm di fiorini d'oro costaro a·rrifare. E questo pericolo non fu solamente in Firenze e nel distretto, con tutto che l'Arno per la sua disordinata abondanza d'acqua in quella peggio facesse, ma dovunque hae fiumi o fossati in Toscana e in Romagna, crebbono per modo che tutti i loro ponti ne menaro e usciro di loro termini, e massimamente il fiume del Tevero, e copersono le loro pianure d'intorno con grandissimo dannaggio del contado del Borgo a Sansipolcro, e di Castello, di Perugia, di Todi, d'Orbivieto, e di Roma; e il contado di Siena e d'Arezzo e la Maremma gravò molto. E nota che·nne' dì che fue il detto diluvio e più dì appresso in Firenze ebbe grande difetto di farina e di pane per lo guasto delle molina e de' forni; ma i Pistolesi, Pratesi, Colle, e Poggibonizzi, e l'altre terre del contado e d'intorno, soccorsono con grande abondanza di pane e di farina la città di Firenze, che venne a grande bisogno. Fecesi questione per li savi Fiorentini antichi, che allora viveano in buona memoria, qual era stato maggiore diluvio, o questo, o quello che fu gli anni Domini MCCLXVIIII. I più dissono che l'antico non fu quasi molto meno acqua, ma per l'alzamento fatto del letto d'Arno, per la mala provedenza del Comune di lasciare alzare le pescaie a coloro ch'aveano le molina inn-Arno, ch'era montato più di braccia VII da l'antico corso, la città fu più allagata e con maggiore damaggio che per l'antico diluvio; ma a cui Dio vuole male li toglie il senno. Per lo quale difetto avenuto delle pescaie incontanente fu fatto dicreto per lo Comune di Firenze che infra' ponti nulla pescaia né molino fosse, né di sopra a Rubaconte per ispazio di IIm braccia, né di sotto a quello dalla Carraia per ispazio di IIIIm braccia, sotto gravi pene; e dato ordine, e chiamati oficiali a fare rifare i ponti e le mura cadute. Ma tornando al proposito a la quistione di sopra, crediamo che questo diluvio fosse troppo maggiore che l'antico, che solamente non fu tanto il crescimento per piova, come fue per terremuoto. Di certo che l'acqua chiara surgea d'abisso con grandi sampilli sopra più terreni; e questo vedemo in più parti, e eziandio in sulle montagne; e però più a pieno avemo messo in nota in questa cronica di questo disordinato diluvio a perpetua memoria, perch'è istata grande novità da notare, che dapoi che·lla città di Firenze fu distrutta per Totile Flagellum Dei, non ebbe sì grande aversità e damaggio come fu questo.
II
D'una grande questione fatta in Firenze, se 'l detto diluvio venne per iudicio di Dio o per corso naturale.
In Firenze ebbe del detto diluvio grande ammirazione e tremore per tutte genti, dubitando non fosse iudicio di Dio per le nostre peccata, che poi che bassò il diluvio più dì apresso non finava di piovere con continui tuoni e baleni molto spaventevoli; per la qual cosa le più delle genti di Firenze ricorsono a la penitenzia e comunicazione, e fu bene fatto per apaciare l'ira di Dio. E di ciò fu fatta quistione a' savi religiosi e maestri in teologia, e simile a' filosofi in natura e a strolaghi, se 'l detto diluvio fosse venuto per corso di natura o per iudicio di Dio. Per li astrolaghi naturali fu risposto, ponendo inanzi la volontà di Dio, che gran parte della cagione fu per lo corso celesto e forti coniunzioni di pianete, assegnandone più ragioni, le quali in parte racconteremo in brieve e al grosso, per meglio fare intendere, in questo modo, cioè che a dì XIIII del maggio passato fu ecrissi, o vuoli oscurazione di grande parte del sole nel segno della fine del Tauro casa di Venus con caput Draconis; per la quale scurazione infino allora per savi religiosi e per mostramento d'astrolaghi fu sermonato in pergamo in Firenze, il quale noi udimo, che ciò significava grande secco nella presente state vegnente, e poi ne l'opposizione di quello eclissi grande soperchio d'acque, e tremuoti e grandi pericoli e mortalitade di genti e di bestie; amonendo le genti a penitenzia. E poi apresso a l'entrante di luglio fu congiunzione a grado di Saturno con Marte alla fine del segno de la Vergine, casa di Mercurio; il quale significa soperchio d'acque e sommersione per li due detti pianeti infortuni. Ma quello che dissono che gravò più, seguendo l'una congiunzione l'altra, sì fu che il dì del diluvio il sole si trovòe ne l'opposizione del suo eclissi a gradi XVIIII de lo Scorpione in congiunzione con cauda Draconis e con la stella che·ssi chiama Cuore de lo Scorpione, che sempre sono infortune e fanno grandi pericoli in mare e in terra; e Venus pianeta acquosa si trovò ne la fine del detto Scorpione, e per agiunta il sole in tale congiunzione si trovò assediato intra·lle due infortunate, cioè Saturno e Mars, congiunte insieme per sestile aspetto; Saturno nella Libra in sua esaltazione congiunta co·llui la luna, la qual è portatrice del tempo futuro; e a·llui venne con segni e ascendenti aquatichi stata nella sua congiunzione dinanzi, cioè ne la Libra medesima con Saturno e con Venus e Mercurio pianeti aquatichi; e l'ascendente de la sua congiunzione fu Tauro sua esaltazione e casa di Venus ov'era stato l'eclissi del sole, e nella sua opposizione di quello lunare dinanzi al diluvio fu il suo ascendente il Cancro sua casa, che significa abondanza d'acqua; e i detti pianeti aquatichi, Venus e Mercurio, erano in Iscorpione, segno aquatico e casa di Marte, e con cauda Dragone. E nel cominciamento e grande parte di quello lunare dinanzi al diluvio furo grandi piogge in Firenze e in molte parti, e questo fu segno del futuro diluvio. E da l'altra parte la pianeta di Mars a la venuta del diluvio si trovò nel segno del Sagittario in sua propietà caldo e secco, e che volontieri saetta, inviluppato nel detto segno co·Mercurio pianeto convertivole e reo co' rei, freddo e umido e aquatico, e contra la complessione di Mars e del detto segno, il quale Mars combattendosi co' raggi di Saturno, mandaro in terra le loro influenze, cioè soperchi di tuoni e di piove, e baleni con folgori, e sommersioni e tremuoti. E per agiunta al fatto, la pianeta di Iove, la qual è fortunata, dolce e buona, in quell'ora si trovòe nel segno de l'Aquario casa di Saturno, e con Saturno congiunta in trino aspetto, e con Mars in sestile aspetto, sì che la sua vertù fu vinta da li detti due infortuni, e con neente di podere; ma convenne ch'agiugnesse alla infortuna de' rei per lo segno d'Aquario ov'era. E nota, lettore, e raccogli, se neente intenderai de la detta scienza, tu troverai al punto e giorno che venne il diluvio congiunte quasi tutte e sette le pianete del cielo insieme corporalmente, o per diversi aspetti e in case e termini di segni, da commuovere l'aria e' cieli e gli elementi a darne le sopradette influenze. Domandati ancora i detti astrolaghi perché il detto diluvio avenne più a Firenze che a Pisa, ch'era in su l'Arno medesimo, e là giù dovea esere e fu più grosso, o ad altre terre di Toscana, fu risposto che prima ci fu la cagione de la mala provedenza de' Fiorentini, come detto è, per l'altezze de le pescaie; l'altra secondo istorlomia, Saturno, il quale dà infortuna, e sumersione, e ruine, e diluvii ne la sua opposizione, era nel segno de la Libra, in sua esaltazione; la quale Libra s'atribuisce a la città di Pisa, e a l'opposito del segno de l'Ariete, il quale Ariete pare s'atribuisca a la città di Firenze, e l'ascendente de l'entrare del sole nell'Ariete nello detto anno fu segnore; la Libra e l'Ariete si trovò... di ponente col sole in cadimento; il quale (di cui l'Ariete è esaltazione) si trovò congiunto e assediato al tempo del diluvio in mala parte e infortuni, come detto è. E Mars, il quale è segnore del segno de l'Ariete, si trovò congiunto con Saturno e vinto da·llui per lo modo che di sopra è fatta menzione. E queste contrarietà e congiunzioni paiono cagione del soperchio diluvio e damaggio a la città di Firenze più che a Pisa. E basti quello che in questo avemo raccolto di più lunghe disposizioni de li astrolaghi sopra questa questione. Sopra la detta questione i savi religiosi e maestri in teologia rispuosono santamente e ragionevolmente, dicendo che·lle ragioni dette delli astrolaghi poteano in parte essere vere, ma non di necessità, se non in quanto piacesse a Dio; però che Idio è sopra ogni corso celesto, e elli il fa movere e regge e governa; e 'l corso di natura è apo Dio, quasi come al fabro è il martello, che con esso può foggiare diverse spezie di cose, come averà imaginato nella sua mente. Per simile modo e maggiormente il corso di natura e delli elementi, e eziandio le demonia, per lo comandamento di Dio sono flagella e martella a' popoli per punire le peccata; e a la nostra fragile natura non è possibile d'antivedere l'abisso e etterno consiglio del predestino e prescienza de l'Altissimo, ma eziandio male si conoscono per noi l'opere sue fatte e a noi visibili. Ed acciò che di questa questione utile si tragga per li lettori, diciamo che Idio ha signoria di mandare e premettere i suoi iudicii al mondo, e secondo corso di natura, e quando a·llui piace sopra natura, e ancora contra natura, sì come omnipotente segnore de l'universo; e fallo a due fini, o per graziosa misericordia, o per aseguizione di iustizia. Ed acciò che per chi leggerà sia più chiaro e aperto ad intendere, di molte e lunghe ragioni e sottili allegagioni de' detti savi ritrarremo al grosso e ricoglieremo, dicendo alquanti veri e chiari esempli e miracoli della sacra Scrittura sopra la detta materia; e cominceremo dal principio del Genesi, ove dice: "In principio creò Idio il cielo e la terra; et dixit, et fatta sunt etc.". Questo fue grazia e sopra natura a fare per la sua infinita potenzia il corso del cielo e di natura per una sola parola, che prima era neente; e chi ha podere di fare la cosa, pur materialmente parlando, la può disfare e mutare: maggiormente Idio può tutto fare, e alterare, disfare, e mutare. Apresso in quello medesimo Genesi, capitolo VIII, disse Idio a Noè: "Fa' l'arca, ch'io voglio mandare il diluvio dell'acque sopra terra, perché muoiano tutte creature per le peccata delle genti etc.". E questo fue per la sua giustizia. Apresso si legge nel XXIII capitolo del detto Genesi delli angeli che vennero ad Abraam e a Lot, i quali per lo peccato contra natura distrussono le cinque città di Sogdoma e Gomorra e l'altre; e questa fue eseguizione di giustizia, e sopra corso di natura. E se pur X uomini giusti e sanza il detto peccato vi fossono trovati, disse Idio ad Abraam ch'avrebbe perdonato a li altri, tanta è la sua clemenzia e misericordia infinita. E nel XX capitolo del Genesi Idio anunziò ad Abraam, ch'avea C anni, e a Sarra sua moglie, ch'avea anni LXXXX ed era sterile, ch'ella conceperebbe Isaac padre d'Israel, e così fu; e ancora questo fu sopra natura, e per grazia di Dio, acciò che di quello nascesse il suo popolo e il suo unigenito figliuolo Gesù Cristo. E che leggiamo ancora nel libro de l'Esodo, cominciando al X capitolo, delle pestilenzie che Idio mandò sopra Faraone e il suo popolo d'Egitto per li prieghi di Moisè e d'Aron, e per la crudeltà che faceano al popolo di Dio; e alla fine per grazia al popolo Israel aperse il mare, ove passarono salvi, e Faraone colla cavalleria e popolo suo in quello mare la sommerse. E la detta grazia del popolo Israel, e le dette pestilenzie sopra Faraone, furo per operazioni e iudicio divino e sopra natura, e non per corso di stelle. Ancora al detto suo populo per grazia e sopra natura, e contra natura, Idio li nutricò XL anni nel deserto di manna, e con la guida della colonna de la nuvola e del fuoco. E parte di quello popolo per lo peccato de la 'nfedelità li consumò per ferro; e parte per lo peccato de la golosità li perseguitò colle trafitte de' serpenti; e parte di loro per superbia e ribellazione l'inghiottì la terra; ciò fu Abi e Daviron e loro seguaci; e parte di loro per lo peccato d'usare il fare il sacrificio indegnamente, per fuoco li pulì e distrusse; e tutte queste pestilenzie furo sopra natura e per iudicio di Dio per le peccata del popolo. La grande città di Ninive era giudicata da Dio a pericolare per li loro peccati, e per li sermoni di Giona profeta mandato da Dio si corressero e tornaro a penitenzia, e ebbono grazia e misericordia da Dio; onde si manifesta chiaramente che Idio rimuove per li prieghi e penitenzia i suoi giudicii, e però maggiormente può e dee seguire il corso di natura il volere di Dio, e adoperare sopra natura come a·llui piace, però che la fece, com'è detto dinanzi. Che diremo della grazia e miracolo che Idio fece sopra natura e contra 'l corso di natura per li prieghi di Iosuè suo servo, e capitano e re del suo popolo, di fare tornare il sole braccia X adietro del suo corso? Nelli libri de' Re intra gli altri miracoli, per lo peccato della vanagloria che commise Davit a fare numerare il suo popolo, molto del popolo di Dio per pestilenzia morire contra corso di loro natura. E quante diverse persecuzioni di battaglie si leggono in quelli libri de' Re, e nelli altri libri, che Idio permise quando in pro e quando incontro al suo popolo per li loro peccati o meriti? Che Nabucdonosor distrusse la prima volta la città di Ierusalem, e tutti i Giudei menò in servaggio, quelli che scamparo di morte; e poi Nabucdonosor per li suoi peccati d'uomo fu bestia per VII anni, e poi per simile modo distrusse la seconda volta Ierusalem Antioco re; e tutto fu per li peccati de' figliuoli Israel e per le loro abominazioni. E quando si riconobbono a Dio, con piccolo podere e cominciamento, Giuda Maccabeo il padre e' fratelli feciono la vendetta, e distrussono il regno d'Antioco, e tutti i detti giudicii di Dio furo per li peccati, e sopra ogni corso di natura. E però disse Idio al suo popolo: "Io sono lo Idio Sabaot", cioè a dire, in latino, lo Idio de l'oste e delle battaglie, "e doe vinto e perduto a cui mi piace, secondo i meriti e peccati, e la vittoria delle battaglie è nella mia destra". E tutto questo è per la divina potenzia e sopra 'l corso d'ogni natura. Assai è detto sopra miracoli che sono sopra natura e contra natura che Idio fece nel vecchio Testamento. Del nuovo alquanto diremo. Può esere, o fu mai, o sarà maggiore grazia, che la divina potenzia degnò d'incarnare nella graziosa vergine Maria, ed esere Idio e uomo nato di vergine, e sofferire passione e morte, e ne la passione scurò tutto il sole nel mezzodì, e era la luna in suo opposito, che secondo corso di natura non potea scurare; ma fu sopra natura, perché il fattore de la natura sofferia pena. E così grande e sì fatto misterio fu sopra ogni potenzia naturale, e ciò piacque a l'Altissimo per osservare giustizia per lo peccato del primo uomo, e per fare grazia e misericordia per ricomperare l'umana generazione; e nullo verbo è impossibile a Dio. I miracoli che fece Gesù Cristo vangelizzando in terra, e poi i suo' apostoli e li altri santi e martiri e vergini per lo suo nome, sono ancora tutto dì; i quali sono sopra ogni natura e corso celesto; sopra le quali dette vere ragioni e argomenti principalmente la soluzione della nostra questione [è] molto chiara. Che diremo de la rovina de la città di Ierusalem la terza volta, e per la persecuzione e scerramento de' Giudei fatto per Tito e per Vespasiano imperadori di Roma, per la vendetta del peccato commesso della giusta e non giusta morte di Cristo figliuolo di Dio? Certo questo fue chiaro ed evidente iudicio di Dio, e non per corso di natura, che mai poi non ebbero i Giudei istato né ricetto di loro segnoria, e sono passati più di MCCC anni ch'è durato il loro esilio. Dell'altre molte persecuzioni, rovine, pestilenzie, diluvii, e battaglie, naufragi, avenute al tempo de' Romani e de' pagani per iudicio di Dio e pulimento de' peccati oltre al corso di natura, prima e poi che venne Cristo, a raccontarle sarebbono infinite e confusione del nostro trattato; e simile poi al tempo de' Cristiani per la venuta de' Gotti, e Vandali, e Saracini, e di Lungobardi, de li Ungheri, de' Teotonici, Spagnuoli, e Catalani, e Franceschi, e Guaschi, che sono venuti in Italia, e tutto dì vengono; delle quali pestilenzie assai chiaramente a' buoni intenditori si possono comprendere per questa cronica, e per altri libri che di ciò fanno menzione, le quali tutte sono state e sono per lo giudicio di Dio per pulire li peccati. E però tornando al proposito della nostra questione e a sentenzia, e racogliendo i sopradetti esempli veri e chiari, tutte le pestilenzie e battaglie, rovine e diluvii, arsioni e persecuzioni, naufragii e esilii avengono al mondo per permissione de la divina giustizia per pulire i peccati, e quando per corso di natura, e quando sopra natura, come piace e dispone la divina potenzia. E nota ancora, lettore, che, la notte che cominciò il detto diluvio, uno santo eremita ch'era nel suo solitario romitoro di sopra a la badia di Valombrosa stando in orazione sentì e visibilmente udì un fracasso di demonia di sembianza di schiere di cavalieri armati, che cavalcassero a furore. E ciò sentendo il detto romito fecesi il segno della croce, e si fece al suo sportello, e vide la moltitudine de' detti cavalieri terribili e neri; e scongiurando alcuno da la parte di Dio che·lli dicesse che ciò significava, e li disse: "Noi andiamo a somergere la città di Firenze per li loro peccati, se Idio il concederà". E questo io autore per saperne il vero ebbi da l'abate di Valombrosa, uomo religioso e degno di fede, che disaminando l'ebbe dal detto suo romito. E però non credano i Fiorentini che la presente pestilenzia, ond'è fatta questione, sia loro avenuto altro che per giudicio di Dio, bene che in parte il corso del sole s'accordasse a ciò per punire i nostri peccati, i quali sono soperchi e dispiacevoli a Dio, sì di superbia l'uno vicino coll'altro in volere segnoreggiare e tiranneggiare e rapire, e per la infinita avarizia e mali guadagni di Comune, di fare frodolenti mercatantie e usure, recati da tutte parti de l'ardente invidia l'uno fratello e vicino coll'altro; sì della vanagloria de le donne e disordinate spese e ornamenti; sì de la golosità nostra di mangiare e bere disordinato, che piùe vino si logora oggi in uno popolo di Firenze a taverne, che non soleano logorare li nostri antichi in tutta la città; sì per le disordinate lussurie delli uomini e delle donne; e sì per lo pessimo peccato della ingratitudine di non conoscere da Dio i nostri grandi beneficii e il nostro potente stato, soperchiando i vicini d'intorno. Ma è grande maraviglia come Dio ci sostiene (e forse parràe a molti ch'io dica troppo, e a me peccatore non sia lecito di dire), ma se non ci volemo ingannare noi Fiorentini, tutto è il vero; di quante battiture e discipline ci ha date Idio al nostro presente tempo, pur da li anni MCCC in qua, sanza le passate che scritte sono in questa cronica: prima la nostra divisione di parte bianca e nera; poi la venuta di meser Carlo di Francia, e 'l cacciamento che fece di parte bianca, e le sequele e rovina che furono per quella; poi il giudicio e pericolo del grande fuoco che fue nel MCCCIIII, e poi di più altri apresso stati nella città di Firenze per li tempi con grande damaggio di molti cittadini; apresso della venuta d'Arrigo di Luzimborgo imperadore nel MCCCXII, e il suo assedio a Firenze e guastamento del nostro contado, e conseguente la mortalità e corruzione che poi fu in cittade e in contado; appresso la sconfitta da Montecatino nel MCCCXV; apresso la persecuzione e guerra castruccina, e la sconfitta d'Altopascio nel MCCCXXV, e la sequela della sua rovina, e la sformata spesa fatta per lo Comune di Firenze per le dette guerre fornire; apresso il caro e la fame l'anno MCCCXXVIIII, e la venuta del Bavero si dicea imperadore; apresso la venuta del re Giovanni di Boemia, e poi il presente diluvio; ond'è nata la questione, che raccogliendo tutte l'altre dette aversitadi inn-una, non furono maggiori di questa. E però istimate, Fiorentini, che queste tante minacce di Dio e battiture non sono sanza cagione di soperchi peccati, e paiono a l'aversitadi li detti giudicii, che di nostri antichi. Ed io autore sono di questa sentenzia sopra questo diluvio: che per li oltraggiosi nostri peccati Idio mandò questo giudicio mediante il corso del cielo, e apresso la sua misericordia, però che poco duròe la rovina per non lasciarne al tutto perire, per li prieghi delle sante persone e religiose abitanti nella nostra città e d'intorno, e per le grandi limosine che·ssi fanno in Firenze. E però carissimi fratelli e cittadini, che al presente sono e che saranno, chi leggerà e intenderà, dee avere assai gran matera di correggersi e lasciare i vizii e' peccati per lo tremore e minacce de la iustizia di Dio, per lo presente e per lo tempo a venire; e acciò che l'ira di Dio più non si spanda sopra noi, e che pazientemente e con forte animo sostegnamo l'aversità, riconoscendo Idio onnipotente, e ciò faccendo, e con vertù bene adoperando meritiamo misericordia e grazia da·llui, la quale fia dupplicata, e esaltazione e magnificenza de la nostra città. Di questo diluvio e sùbito avenimento a la nostra città di Firenze corse la fama e novella tra tutti i Cristiani, e ancora più grave e pericolosa che non fu, con tutto fosse quasi inestimabile. E vegnendo al cospetto della maestà del re Ruberto, amico, e per fede e devozione di noi segnore nostro, si dolfe di noi di tutto suo cuore, e come il padre fae al figliuolo, per suo sermone per lui dittato ci mandò amonendo e confortando, e il suo podere profferendo per la forma e modo che conterà il detto suo sermone, overo pistola; la quale in questa nostra opera ci pare degna di mettere in nota verbo a verbo a perpetua memoria, acciò che i nostri successori cittadini che verranno e leggeranno quella, sia manifesta la sua clemenza e sincero amore che 'l detto re portava al nostro Comune, e di ciò possano [trarre] uttilità di buoni e santi esempli e amunizioni e conforto, però che tutta è piena d'auttoritadi della divina scrittura, sì come quelli ch'è sommo filosofo e maestro, più che re che portasse corona già fa mille e più anni; e con tutto che in latino, come la mandòe, fosse più nobile e di più alti verbi e intendimenti per li belli latini di quella, ci parve di farla volgarizzare, acciò che seguisse la nostra materia volgare, e fosse utile a' laici come a li alletterati.
III
Questa è la lettera e sermone che il re Ruberto mandò a' Fiorentini per cagione del detto diluvio.
Ai nobili e savi uomini priori dell'arti, e gonfaloniere di iustizia, consiglio e Comune della città di Firenze, amici diletti e devoti suoi, Ruberto per la grazia di Dio di Ierusalem e di Cecilia re, salute e amore sincero. Intendemo con amaritudine di tutto il cuore, e con piena compassione d'animo, lo piangevole caso e avenimento di molta trestizia, cioè il disaveduto e sùbito accidente, e molto dannoso cadimento, il quale per soprabondanza di piene d'acque, per divino consentimento in parte aperte le cataratte del cielo, venne nella vostra cittade; li quali casi né a·nnoi conviene altrimenti sporli, né da Voi altrementi imputarli, se non come la Scrittura divina dice, cotali cose a caso avenire. Non si conviene a·nnoi, il quale per la reale condizione la veritade hae a conservare, d'essere amico lusinghiere, né di riprendere la iustizia di Dio, dicendo che voi siate innocenti. La dottrina dell'Apostolo dice: "Se noi diremo che noi non abbiamo peccato, noi inganniamo noi medesimi, e non fia in noi veritade". Adunque li nostri peccati richeggiono che non solamente che noi incorriamo in questi pericoli, ma eziandio in maggiori. Noi dovemo apropiare il singulare diluvio alli particulari peccati, siccome lo universale diluvio fue mandato da Dio per li universali peccati, per li quali ogni carne avea abreviata la via sua de l'umana generazione. Noi conosciamo l'ordine di queste pestilenzie per la scrittura del Vangelio, però che poi la verità di Dio antimise la sconfitte date da li nemici, soggiunse li diluvii de le tempeste, per le quali parla santo Gregorio dicendo così sopra il Vangelio, dov'è scritto "Saranno segni nel sole e ne la luna etc.": "Noi sostenemo", dice santo Gregorio, "sanza cessamento, avegna che prima che Italia fosse conceduta ad essere fedita dal coltello de' pagani, io vidi in cielo schiere di fuoco, e vidi colui medesimo splendiente di splendori al modo del balenare, il quale poi isparse il sangue umano. La confusione del mare e delle tempeste nonn-è solamente nuova levata, ma con ciò sia cosa che molti pericoli già anunziati e compiuti sieno, non è dubbio che non seguitino eziandio pochi, i quali restano a cotale imputazione, di passare a nostra corezzione, non a stravolgimento di disperazione". E noi crediamo intra queste cose non solamente la iustizia di Dio essere nutrice di costoro, ma crediamo la bontà divina essere sì come madre pietosamente correggente e in meglio commutante, dicente santo Agustino nel sermone del bassamento de la città di Roma: "Idio anzi il giudicio opera disciplina molte volte non eleggendo colui cui elli batta, non volendo trovare cui elli condanni". E egli medesimo dice sopra quello verso del salmo: "Sì come viene meno il fumo, vengono meno ellino; tutto ciò che di tribulazioni noi patiamo in questa vita, è battitura di Dio, il quale ne vuole correggere, acciò che nella fine non ne condanni". Imperciò santo Agustino medesimo nel predetto sermone delle tribolazioni e pressure del mondo dice: "Quante volte alcuna cosa di pressura e di tribulazioni noi sofferiamo, le tribulazioni sono insiememente nostre correzzioni". Ma in queste cose con molto studio è da guardarci, che noi alcuna cosa notabilmente non meritiamo de li nostri meriti, e che noi non ci maravigliamo, quasi s'elle non fossono cagioni di queste tribulazioni quelle cose che·nnoi dicemo; però che Agustino medesimo dice nel sermone dell'abassamento di Roma: "Maravigliansi li uomini; or si maravigliassono ellino solamente e non bestemiassero". Ancora è da schifare per queste cose il mormorare contra Dio, sì come la nostra niquitade biasimasse la divina dirittura, e sì come se le nostre inumerabili e grandissime colpe riprendessono la somma iustizia; sì come n'amonisce Agustino nel predetto sermone delle tribulazioni del mondo, dicendo: "O fratelli, nonn-è da mormorare, sì come alcuni di coloro mormorano". E l'Apostolo dice: "E' furono vasi di serpenti". Or che cosa disusata sostiene ora l'umana generazione, la quale non patissono li nostri padri? Ancora c'è un'altra cosa: poco sarebbe riconoscere i peccati, se quello non si propone a schifare per inanzi quelli. In quello caso nonn·è da dubitare che colui che pregherà per perdonanza quella con orazioni impetri, e così acquisti la divina grazia, e schiferàe la rigidezza del iudicio, sì come per lo savio Salamone si dice: "Figliuolo, tu peccasti, or non vi arrogere più; ma priega de li passati peccati, ch'elli ti sieno dimessi". Noi leggiamo d'altre cittadi, le quali per li loro gravi peccati con ampia vendetta diceano esere disfatte, essere riserbate, e rivocata la sentenzia per penitenzia e per orazioni. Al tempo d'Arcadio Imperadore volendo Idio fare paura alla città di Gostantinopoli, e spaurendola per amendarla, revelòe a uno fedele uomo che quella città dovea perire per fuoco da cielo. Costui lo manifestòe al vescovo, e 'l vescovo il predicò al popolo. La città si convertìe in pianto di penitenzia, siccome già fece l'antica Ninive. Venne il dìe che Idio avea minacciato, e ecco di verso levante una nuvola con puzzo di solfo, e stette sopra la cittade, acciò che li uomini non pensassono che colui ch'avea così detto fosse per falsitade ingannato; e fuggendo li uomini a la chiesa, la nuvola cominciò a scemare, e a poco a poco si disfece, e il popolo fue fatto sicuro. Siccome Agostino nel detto sermone introduce: "Secondo questo Idio per bocca di profeta avea avanti detto che·lla ismisurata città di Ninive si dovea disfare; e troviamo che essa fue deliberata per asprezza di penitenzia, e per grido d'orazione, né da la penitenzia e d'adorare non siano di lungi le limosine loro salutevoli compagne, secondo il consiglio di Daniello dato a Nabocodonosor, che con elimosine ricomperasse le sue peccata, e ratemperasse la sentenzia di Dio contra lui pronunziata". Aguardiamo insieme dunque lo spaventevole giudicio, e pensiamo di cercare il remedio, ma schifiamo il rimanente che è da temere; per le quali cose non le nostre parole, ma quelle del Salvatore profferiamo in mezzo; e elli disse: "Or pensate voi che quelli XVIII sopra li quali cadde la torre in Siloe e uccisorli fossono colpevoli sanza tutti li altri abitanti in Ierusalemme? No, io dico a voi; ma se voi non farete penitenzia, simigliantemente perirete". Dove Tito dice: "Una torre è aguagliata a la cittade, acciò che·lla parte spaventi il tutto; quasi dica tutta la cittade poco poi fia occupata, se·lli abitanti perseverranno nella infedelitade". La qual cosa mostra Beda, dicendo: "Però ch'ellino non fecero penitenzia, nel quarantesimo anno de la passione di Cristo, li Romani, cominciando da Galilea ond'era cominciata la predicazione del Segnore, l'empia gente infino a le radici distrussero". Ma acciò che per quelle parole ch'avemo dette di sopra non siamo giudicato grave amico, e acciò che noi non inganniamo li meriti de le vostre virtudi, le quali ci confidiamo essere acetti ne la benignitade di Dio, atendendo a la divina Scrittura, la quale non pur riprende li presuntuosi per amaestrarli, ma adolcisce li aflitti, acciò che per remedio di consolazione li conforti spesse volte in suoi luoghi; queste cotali passioni e pressure confessiamo che vengono per provarci; però che in quello che Idio esamina si loda la vertude della pazienzia in noi. L'Apostolo testimoniò: "La sua pietosa provedenza non ci lascia tentare oltre la nostra possa, ma la contentazione fae frutto". Quale utilitade cerchiamo noi fedeli maggiore, che cotali miserie noi prendiamo efficace argomento de l'amore di Dio che ne apruova perché e al proponimento a voi santo e religioso cherico Iudit femenina per esemplo dirizza e manda la seguente parola: "E ora, o fratelli, però che voi che siete preti nel popolo di Dio, da voi dipende l'anima di coloro al vostro parlare, dirizziate li cuori loro, sì chè·ssi ricordino coloro che sono tentati che li nostri padri furono tentati, acciò che fossono provati s'elli adoravano veramente Idio suo: ricordare si debbono come 'l padre nostro Abraam fu tentato, e provato per molte tribulazioni fatto è amico di Dio; così fue Isaac, così Iacob, così Moisè, e tutti quelli che piacquero a Dio, per molte tribulazioni passarono fedeli". Onde e a Tobia disse l'angelo: "Però che tu eri caro a Dio, fue necessario che la tentazione ti provasse". Or crediamo noi e voi esere migliori e più inocenti che li nostri padri patriarchi, i quali per tante miserie di battiture o mandate o concedute da Dio trapassaro i santi? O desdegnamo, o maggiormente indegnamo noi degni membri di patire quelle cose le quali non ischifarono gli apostoli, nostro corpo la Chiesa, nostro capo Cristo, cioè il fuoco, il ferro, li martirii villani, noi quasi dischiattati, e come non apartenessimo loro, e come non partefici di loro fortuna, o forse più santi, con impazienzia portiamo cotali cose? Ma·sse per impazienzia ch'è in noi, elli ci pare troppo malagevole seguitare li padri di ciascuno testamento, almeno non disdegnamo per pazienzia le virtudi prendere esempli da l'infedeli prencipi e filosofi, li quali furono: come scrive Seneca, libro primo dell'ira, di Fabio, che prima vinse l'ira sua che Anibale; e Iulio Cesare nel libro della vita de' Cesari; e d'Ottaviano Agusto nel Policrato libro terzo, capitolo XIIII; di Domiziano, sì come testimonia il bello parlatore Licinio; ed Antigone re, secondo Seneca, libro terzo dell'ira; e de la pazienzia de' filosofi, cioè di Socrate libro terzo di Seneca de l'ira, e di Diogenes libro III dell'ira, anzi il fine, a ciò che non passi il manifesto od occulto lamentamento d'alcuno o d'alcuni, sì com'è contradio. Ancora per li mormoramenti de li credenti che dicono che questi tempi sono peggiori che gli antichi tempi e che Idio hae riserbato la indegnazione dell'ira sua infino ad ora e ch'elli hae serbati li presenti die a spandere quella, leggano overo odano li leggenti da Adam fatiche e sudore, spine, e triboli, diluvio, dicadimento; trapassarono tempi pieni di fatica, di fame e di guerre, e però sono scritte, a ciò che noi non mormoriamo del presente tempo contra Dio. Passò quel tempo appo li padri nostri, remotissimi molto da li nostri temporali, quando il capo dell'asino morto si vendéo altrettanto auro; quando lo sterco colombino si comperòe non poco argento; quando le femine patteggiaro insieme del manicare i loro fantolini. Or non avemo noi in orrore udire quelle cose? Tutte quelle cose leggiutole, spaventiamocene sì, che noi avemo maggiormente onde ci allegrare, che onde mormorare delli nostri tempi. Quando fue dunque bene a l'umana generazione? quando non paura? quando non dolore? quando certa felicitade? quando non vera felicitade? dove fia la vita sicura? Or non è questa terra quasi una grande nave portante uomini tempestanti, pericolanti, soggiacenti a tanti marosi, a tante tempeste, tementi il pericolare, sospirante in porto, ed è compensare la conoscente e grata ragione de la vostra considerazione, e il pensamento della diritta bilancia, quanto in ricchezze in morbidezze in potenzia, e, cittadini, Idio la vostra cittade nobilitòe, scampòe, e sopra tutte le vicine, anzi remote cittadi, sanza comparazione esaltò, sì ch'ella puote essere asomigliata ad adornato albore fronzuto e fiorito dilatante li rami suoi infino a termini del mondo. Per tanti e sì grandi benificii temporali non vi divieti l'aversitade di dire le vostre lingue col santo Iob: "Se noi riceviamo li beni da la mano del Signore, perché non sostenemo li mali?". Ancora queste aflizzioni alcuna volta salutevolemente ne sono mandate, e avegnonci a spirituale profitto, però che·sse alcuna volta non ne fossono mandate o permesse da Dio, noi ci crederemmo qui avere cittadi stabili e dimoranti, e poco cureremo di cercare de l'etterna, con san Piero dicendo: "Buono è a noi essere qui". Ma li mali che più ne priemono ci fanno passare a cielo, e intendere a la futura gloria. E se per aventura alcuno svergognato o arrogante presumisce di storcersi contro a l'opera de lo etterno artefice, intenda rispondere a·llui la bontade delle creature, la quale il fabricatore di tutte le cose dal principio raguardòe nelle sue creature. Se il fiume, il quale aministròe tanti dilettamenti e tante grandi uttilitadi dal cominciamento de la tua cittade, perché gravemente porti se una volta con disusato allagare ti fece alcuni danni?Ma diràe un altro calognatore, però che noi dicemo dinanzi che le tribulazioni ne sono amonimenti e correzzioni, dicono, a ciò ch'io diventi migliore sono puniti quelli, perch'io viva quelli muoiano, perch'io sia serbato quelli sono perduti. "None perciò", dice santo Giovanni Grisostimo, "ma sono puniti per li loro peccati propi, ma fassi di questo a quelli che veggono materia di salvarsi". Or forse si leveranno contro invidiosi, iudicando voi per lo partimento del detto cadimento essere i·maggiori peccati intrigati di loro, e per questo esere più odiosi a Dio? anzi si crederanno esser più giusti di voi, e meno colpevoli e più graziosi al giusto iudice?Questi di vero per quello medesimo errore antimetteranno per suoi meriti il re Salomone certamente pacifico, a cui fu riserbato lo edificare del tempio, e ne' cui tempi sottorise la tranquillitade della pace, e il cui regno non cognobbe guerra, al suo padre David santissimo, a cui fue interdetto l'edificare di quello medesimo tempio, lo quale fue nomato da Dio uomo spanditore di sangue, il quale e sotto essere provocato da continui pericoli di guerre, e due volte da Dio manifestamente e piuvicamente fu corretto. In quello medesimo modo coloro che non sanno li santi libri diranno che·lli amici di Iob fossono più inocenti di lui, e antimetteranno loro nel riguiderdonamento; imperciò che noi non leggiamo ch'elli fossono esaminati da Dio nelle pestilenzie sì come Iob, però che di vero elli non erano auro o argento da provare ne la fornace del fuoco, né da riporre nel tesauro del sommo re, ma erano maggiormente paglia o letame, le quali messe in sul fuoco gettano puzzo spiacente a Dio e abominevole alli uomini. Or giudicheremo noi per simile cechitade che·lli marinari fossono migliori che Ionas il profeta, per lo quale si pruova che si levòe la tempesta, e però fue sommerso in mare e tranghiottito dal pesce, lo quale fue messaggio di Dio banditore di penitenzia, e figura di Cristo passuro, e li marinari furono pagani e adoratori d'idoli? Non maraviglia, se·lle grazie e prerogative di vertudi che noi dicemmo, Idio raguardò in voi, le quali elli esamini; e provate, guiderdoni e coroni voi, li quali siete conosciuti sempre essere stati in italia chiaro braccio della Chiesa e nobile fondamento di tutta la fede. Non si maraviglino dunque li rimproveranti invidiosi, se un poco inanzi con le promesse sentenzie della santa Scrittura noi mostriamo per la pruova delle vostre virtudi voi essere acetti a Dio, aprovati al suo beneplacimento. Se impertanto voi riconoscerete umilemente che per li vostri peccati voi incorreste nelli predetti danni, e comportateli con virtù di pazienza, con pagamenti per ciò di divote voci rendere grazie. Dice il sapientissimo re: "Figliuolo mio, non gittare la disciplina del Segnore, e non fallare quando da·llui se' corretto; colui cui il Segnore ama, sì 'l gastiga, e come padre in figliuolo si compiace". La quale sentenzia non isdegna d'allegare l'Apostolo nelle sue pistole, dicendo: "Figliuolo mio, non mettere i·non calere la disciplina del Segnore, né ti sia fatica, quando da·llui sarai ripreso: colui cui il Segnore ama si 'l gastiga; elli batte chiunque elli riceve in figliuolo". Ecco adunque per le soprascritte cose avete chiaramente che per le pressure delle predette passioni si dimostrano in voi esere virtudi e meriti, e che non solamente voi siete ricevuti in amici da Dio, ma spezialmente da·llui siete in figliuoli adottati. A li figliuoli a' quali s'impone la disciplina non solamente remunerazione si promette, ma·ssi serba loro certa ereditade. Appare dunque per la vertade della santa Scrittura che·lle virtudi e li meriti sono remunerati dal iustissimo re delli re, eziandio in alcuni di vero; ne' quali publicamente, manifestamente eziandio, rilucono temporalmente, ad esemplo del mutamento de' buoni, sì come è scritto del beato Iob, al quale furono restituiti dupplicati per li perduti beni; ma nelli altri più preziosi, e migliori sanza comparazione, si serba il meritamento nella futura gloria. Li predetti amonimenti, li quali noi stimiamo non esere alla vostra prudenzia tanto soperchi quanto necessarii, provedemo di mandare per debito di caritade alla vostra dilezzione, e ancora le compassioni a le quali ci condogliamo con tutte le interiora dell'amistade, e le consolazioni de' veri libri vi soggiugnemo, a le quali d'abondante offeriamo d'agiugnere quelle consolazioni di fatto che noi fare possiamo, altre volte oferte; ma la promessa nostra lettera, pochi dìe poi che a·nnoi fue manifesto il sopradetto vostro caso, ordinammo di mandarvi, ma però che 'l presente di più persone contenea molto meno, ritenne quella più tostamente essere venuta, il mandare d'essa sospendemo. Ma ora piùe deliberatamente provedendo, e estimando in ogni caso che s'apartenea a vostra informazione e a vostra cautela, vi mandiamo; né alla vostra amistà rincresca di bene leggere la lunghezza della presente lettera, la quale non rincrebbe a noi di compilare intra tante e sì faticose sollicitudini.
Data a Napoli sotto il nostro secreto anello, di II di dicembre, seconda indizione, anni MCCCXXXIII.
IV
Ancora di certe novità che furono in Firenze per cagione del diluvio.
Il dìe apresso che fue cessato il diluvio, essendo rotti i sopradetti tre ponti in Firenze, e tutta la città aperta e schiusa lungo il fiume d'Arno, certi grandi di Firenze cercaro di fare novità contro a' popolani, avisandosi di poterlo fare, però che sopra l'Arno non avea che uno ponte, e quello era in forza di grandi, e la città scompigliata e tutta schiusa, e le genti tutte isbigottite. Onde uno di casa i Rossi fedì uno de' Magli loro vicino, per la qual cosa tutto il popolo fue sotto l'arme, e più dì si fece grande guardia in Firenze di dì e di notte; e alla fine i grandi e possenti e ricchi, che aveano a perdere, non aconsentiro alla follia de' malvagi, e ancora il popolo aveano preso vigore e forza; onde non s'ardiro di cominciare novità; e ancora se l'avessono cominciata n'avrebbono avuto il peggiore. E pertanto si riposòe la città, e quello de' Rossi che fece il malificio fue condennato. E fecesi incontanente fare per lo Comune certi ponticelli di legname sopra l'Arno, e uno grande sopra piatte e navi incatenate; ma al cominciamento, innanzi che i detti ponti fossono fatti, si passava l'Arno per navi. E avenne poi, a dì VI di dicembre essendo venuta una grande piova in Arno, si rivolse una nave ove avea da XXXII uomini, de' quali annegaro XV uomini cittadini, e li altri per l'aiuto di Dio scamparo. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze e del diluvio, ch'assai n'avemo detto, e diremo alquanto de' fatti di Lombardia e della nostra lega. Ma nonn-è da lasciare di dire, che quando il legato ch'era a Bologna seppe l'aversità ch'era avenuta a' Fiorentini ne fece grande allegrezza, dicendo che ciò era loro avenuto perch'erano stati contro a·llui e contro a santa Chiesa a Ferrara; e forse in parte disse il vero; ma non giudicava sé de' suoi defetti e futuro avenimento, né credea che 'l suo iudicio e sentenzia di Dio gli fosse così da presso, come tosto leggendo si potrà trovare.
V
Come falliro le triegue, e ricominciossi guerra dalla lega al legato, e le terre che tenea il re Giovanni.
Nel detto anno, per calen gennaio, fallendo le triegue da la gente del re Giovanni e del legato a la nostra lega, si fece per li collegati uno parlamento a Lierci, per consigliare se fosse da seguire le triegue o ricominciare la guerra. Acordavansi i collegati al prolungare le triegue, salvo messer Mastino e 'l Comune di Firenze; e questo si fece per lo migliore per non lasciare prendere forza al legato e al re Giovanni; e ordinaro si rincominciasse la guerra, e confermarono in quello parlamento la divisa del conquisto per lo modo detto, cioè che 'l segnore di Milano avesse Cremona, e messer Mastino Parma, e que' da Mantova Reggio, e' marchesi Modona, e' Fiorentini Lucca. Per la qual cosa que' da Milano cavalcaro sopra la città di Piagenza; e quelli di Verona e di Mantova sopra Parma e Reggio; e' marchesi da Ferrara sopra Modona; e la nostra gente ch'erano in Valdinievole corsono sopra Buggiano. E poi, a dì VIII di gennaio, quelli di Lucca corsono sopra Ficecchio e Santa Croce, e levaro grande preda di bestie grosse, e rincominciossi la guerra. E poi, a dì XXIII del mese di febbraio apresso, essendo cavalcati IIIIc cavalieri di quelli della lega di Lombardia sopra Parma e Reggio, furono sconfitti presso al castello di Correggio da quelli di Parma e da la gente del legato, e rimasevi preso Ettor de' conti da Panago e più altri conostabili.
VI
Come il legato perdéo Argenta, e poco apresso fu cacciato di Bologna.
Nel detto anno, a dì VII di marzo, essendo i marchesi da Ferrara co·lloro oste stati a l'assedio della terra d'Argenta più mesi, nella quale era la gente della Chiesa e del legato, l'arcivescovo d'Ambruno mandato per lo papa in Lombardia, volle essere a parlamento co' collegati di Lombardia a Peschiera, e in quello richiese per lo papa tre cose: che lega più non fosse, promettendo pace onorevole per li collegati; la seconda, che si levasse l'oste da Argenta; la terza che i marchesi dovessono liberare il conte d'Armignacca e li altri pregioni sanza costo. Fu risposto per messer Mastino per bocca d'uno delli ambasciadori di Firenze che·lla lega non si potea partire; ma in caso che Parma rimanesse libera alla Chiesa, si cesserebbe l'oste ordinata. Quella d'Argenta e de' pregioni, fu risposto per li detti ambasciadori di Firenze che in quanto Ferrara rimanesse a' marchesi per lo censo usato, e Argenta per uno piccolo censo, s'accorderebbono col legato cardinale. L'arcivescovo prese termine di rispondere, e partìsi e venne a Bologna al legato. In questa stanza Argenta essendo forte stretta dell'assedio, e non possendo essere soccorsi, fallendo loro la vittuaglia, s'arendero; però che, dapoi che·lla gente della Chiesa furo sconfitti a Ferrara, non ardiro di tenere campo contra la gente della lega, onde molto abassò la potenzia del legato. E avuta i marchesi la vittoria d'Argenta, pochi dì apresso cavalcaro in sul contado di Bologna col loro sforzo. Il legato del papa cardinale ch'era in Bologna mandòe al riparo quasi tutta sua cavalleria, e volea mandare fuori nella detta cavalcata i due quartieri del popolo di Bologna; e già erano armati in sulla piazza, con tutto che mal volontieri andavano, e male parea loro essere trattati. Onde avenne, come piacque a Dio, e di vero sanza ordine proveduta, uno messer Brandaligi de' Goggiadini con... de' Beccadelli, uomini poveri al bisogno del loro stato e vaghi di mutazioni e di novitadi, parendo loro male stare sotto la segnoria del legato, e veggendo abassato lo stato suo per la sconfitta da Ferrara e per la perdita d'Argenta, essendo saliti in sulla ringhiera del palazzo di Bologna colle spade ignude in mano, sì cominciaro a gridare: "Povolo, povolo, e muoia il legato, e chi è di Linguadoco!". Alle quali grida e romore il popolo armato fu scommosso seguendo il romore cominciato, si partiro di su la piazza iscorrendo per la terra: e combattero il palagio del grano e il vescovado, dove stavano il maliscalco e li altri officiali del legato; e in quelli misono fuoco, e rubaro e uccisono tutti li oltramontani che trovaro per la terra; e ciò fatto, assaliro e combattero il nuovo castello ov'era il legato, per uccidere lui e sua gente che v'erano fuggiti dentro, e misonvi l'assedio di dì e di notte; e questa rubellazione fu fatta a dì XVII del detto mese di marzo MCCCXXXIII. E nota che tutta questa rovina avenne al legato perch'era male co' Fiorentini, che·sse fosse stato bene di loro, la sconfitta ch'ebbe a Ferrara la sua gente non avrebbe avuta, né perduta Argenta, né 'l popolo di Bologna li sarebbe rubellato per dotta de' Fiorentini, né·lla Romagna; ma la disordinata cupidità di volere segnoria fa montare in superbia e in ingratitudine contro all'amico, spezialmente i cherici; e questo principalmente il fece cadere in questo errore, e di somma prosperità in poco di tempo cadere in grande pericolo e abassamento. Sentendosi la novella in Firenze, i Fiorentini la maggior parte ne furo lieti, e non crucciosi, per la lega che i·legato avea fatta col re Giovanni; ma per tema di sua persona e reverenza de la Chiesa vi mandaro incontanente IIII ambasciadori, de' maggiori cittadini di Firenze, e co·lloro IIIc cavalieri di loro masnade e delle vicherie a piè di Mugello, per guarentire il legato e sua gente; e giunti a Bologna con molta fatica, e lusinghe e prieghi faccendo al popolo di Bologna per parte del Comune di Firenze, trassono del castello il legato e sua gente e suoi arnesi, il lunidì d'Alba, dì XXVIII di marzo, per la porta di fuori del castello, fasciato intorno con li detti ambasciadori e colla nostra gente armata; e con tutto questo fue in grande pericolo il legato di perder la vita, che lo sfrenato popolo di Bologna li vennero dietro isgridandolo con villane parole, e con armata mano per offendere e rubare lui e sua gente, insino al ponte a San Ruffello; e poi i loro contadini correndo alle strade infino a Leurignano in su l'alpe. E di certo, se 'l soccorso de' Fiorentini non fosse stato, e il loro proveduto argomento, il legato rimanea morto e rubato con tutta sua gente. E partito lui di Bologna, il popolo a furore abattero e disfecero il castello, in modo che in pochi dì non vi rimase pietra sopra pietra, ch'era uno ricco e nobile lavorio. I Fiorentini condussono il legato in Firenze a dì XXVI di marzo, e fu ricevuto a grande onore e processione, e presentatoli per lo Comune IIm fiorini d'oro per ispese; no·lli volle ricevere, ringraziando molto il Comune del grande e onorevole servigio allui fatto, riconoscendo per loro la vita e lo stato. E di Firenze si partì a dì II d'aprile; e fue acompagnato per ambasciadori e gente d'arme da' Fiorentini infino presso a Pisa; e di là n'andò a corte, e giunse a Vignone a dì XXVI d'aprile. E come fue dinanzi al papa e a' cardinali in piuvico consistoro si dolfe de la fortuna a·llui incorsa, e vergogna e danno fattoli per li Bolognesi, dimandando vendetta per sé e per la Chiesa, lodandosi in palese del soccorso e onore ricevuto da' Fiorentini; ma in segreto al papa disse che ogni disaventura si riputava avuta per la gente che' Fiorentini mandaro al soccorso di Ferrara, onde la sua oste fue sconfitta. Per la qual cosa il papa non volle poi vedere né udire i Fiorentini, con tutto che prima avea cominciato a disamarli per la mala informazione fattali per lettere dal detto legato contro a Fiorentini sì per la 'mpresa della lega. E di certo se papa Giovanni fosse più lungamente vivuto, elli avrebbe adoperato ogni abassamento e damaggio di Fiorentini, e già l'avea ordito, però che sopra tutti i cardinali amava messer Beltramo dal Poggetto cardinale d'Ostia suo nepote, ma per li più si dicea piuvicamente ch'elli era suo figliuolo, e di molte cose il simigliava.
VII
Di novità ch'ebbe in Bologna dopo la cacciata de·legato.
Appresso la cacciata del legato di Bologna la terra rimase in grande scandalo tra' cittadini, che ciascuno de' maggiorenti volea essere segnore, e quelli cittadini ch'erano stati amici del legato v'erano sospetti. E se non fosse che i Fiorentini vi mandaro di presente CC cavalieri con due savi e grandi cittadini per ambasciadori e consiglieri dello stato della terra, e per guardia di quella, di certo i Bolognesi si sarebbono stracciati insieme, e datisi per loro discordia a meser Mastino della Scala, o a' marchesi, o ad altri tiranni; e stettevi la detta gente de' Fiorentini per due mesi, avendo dirizzata la terra in assai buono stato secondo la loro fortuna, con tutto ch'assai fossero pregni di male volontadi tra·lloro. Incontanente che li ambasciadori e' cavalieri di Firenze si furono partiti di Bologna, partoriro le loro niquitadi; e i figliuoli di Romeo di Peppoli, e' Goggiadini, e' loro seguaci ch'aveano rubellata la terra al legato, a romore e a furore ne cacciarono i Sabatini, e' Rodaldi, e' Bovattieri, e parte de' Beccadelli, e più altre case e famiglie de' grandi e di popolo, e arsono loro le case, e tali disfeciono, e più confinati fecero ne la terra; onde tra cacciati e confinati n'uscirono più di MD cittadini; e ciò fue a dì di giugno MCCCXXXIIII. E se non fosse che' Fiorentini vi rimandaro incontanente loro ambasciadori e cavalieri al riparo de la loro fortuna, Bologna era al tutto guasta e deserta, o venuta in mano di tiranno. E nota che questo giudicio di Dio non fue sanza cagione e giustizia, che con tutto che fosse giusta la cacciata del legato di Bologna per la sua superbia e tirannia, lo ingrato popolo di Bologna non l'avea a fare, sì per reverenza di santa Chiesa, e sì per l'utile che' Bolognesi traevano della stanza del legato in Bologna, che tutti n'aricchiano; ma la parola di Dio non puote preterire, cioè: "Io ucciderò il nimico mio col nimico mio".
VIII
Come la lega di Lombardia ebbe Chermona, ed altre novità ch'avennero per quella in Lombardia e in Toscana.
Nell'anno MCCCXXXIIII, del mese d'aprile, l'oste della lega di Lombardia co' loro segnori, in quantità di IIIm cavalieri, furo sopra la città di Chermona. E poi in calen di maggio patteggiòe il segnore di Chermona di rendere la terra al segnore di Milano, com'erano le convenenze giurate della lega con certi patti e ordini, intra gli altri che·sse per lo re Giovanni, a cui s'erano dati, non fossero soccorsi con oste campale infino a mezzo luglio, darebbono la terra per lo modo patteggiato, e così feciono, però che 'l soccorso non fu fatto; però che il re Giovanni e 'l figliuolo erano partiti di Lombardia, e la sua gente non era possente a resistere a la forza della lega. Infra questo tempo, all'uscita di maggio, la detta oste venne sopra la città di Reggio e poi sopra Modana, e guastarle d'intorno. E poi volendo andare sopra la città di Parma e porrervi l'assedio, essendo già tra Reggio e Parma, avenne per ordine fatto, e ordinato infino in corte di papa per lo cardinale dal Poggetto in qua dietro legato in Lombardia, onde si spendea, e fatto era diposito di Lm fiorini d'oro per dare a' conestaboli tedeschi della bassa Magna, i quali doveano prendere messer Mastino della Scala principalmente e li altri segnori, e cominciare la zuffa ne l'oste, com'era ordinato per fornire loro tradimento. La quale cosa fue revelata a messer Mastino per uno suo antico conestabole ch'era di quella giura; per la qual cosa il tradimento non venne fatto, e furonne alquanti presi e guasti, e partirsi de l'oste XXVII bandiere de' detti Tedeschi, e andarne in Parma; onde l'oste fue tutta scerrata, e que' tiranni e segnori si tornaro i·lloro terre con grande sospetto e paura di loro persone di non esere o presi o morti da' loro soldati; e ciò fu a dì VII di giugno del detto anno. Per la detta cavalcata de la lega di Lombardia, com'era ordinato, messer Beltramone dal Balzo capitano di guerra de' Fiorentini con VIIIc cavalieri cavalcò sopra 'l contado di Lucca, e guastò Buggiano e Pescia con intendimento d'andare infino a Lucca; e dovevavisi fermare l'oste, e crescervi gente a cavallo e a piede per li Fiorentini; e la lega di Lombardia ferma a Parma doveano mandare a la detta oste di Lucca inn-aiuto de' Fiorentini Vc cavalieri. Ma le genti ordinano le cose, e Dio le dispone: che per la detta novità de' Tedeschi fatta in Lombardia ogni ordine de l'assedio di Parma e di Lucca tornò in vano, e la nostra gente d'arme col capitano si tornò in Pistoia.
IX
Di certe reliquie sante che vennero in Firenze.
Nel detto anno, a dì XIII d'aprile, furo mandate in Firenze delle reliquie di santo Iacopo e di santo Alesso, e alquanto del drappo che vestì Cristo, per procaccio d'uno monaco fiorentino di Valombrosa di santa vita, il quale le procacciò in Roma da' suo' segnori. E venute in Firenze, furono ricevute a grande processione di cherici, e furonvi i priori e l'altre segnorie e molta buona gente di Firenze, e con grande devozione furono messe ne l'altare di Santo Giovanni.
X
Di novità che fuoro ne la città d'Orbivieto.
Nel detto anno, all'uscita d'aprile, battaglia cittadina si cominciò in Orbivieto, e fue morto Nepoleuccio de' Monaldeschi che n'era segnore per Manno di meser Currado suo consorto; e corsa la terra, ne cacciaro fuori tutta la setta e seguaci del detto Napoleuccio, onde la detta città fu guasta e partita, e 'l detto Manno se ne fece segnore.
XI
Di certo fuoco che·ss'apprese in Firenze.
A dì X di giugno del detto anno, la mattina a la campana del giorno, s'apprese fuoco nel popolo di Santo Simone alla fine del Parlagio antico verso Santa Croce, e arsonvi II case e tre femine.
XII
Quando si cominciò a fondare il campanile di Santa Reparata e 'l ponte a la Carraia.
Nel detto, anno a dì XVIII di luglio, si cominciò a fondare il campanile nuovo di Santa Reparata, di costa a la faccia della chiesa in su la piazza di Santo Giovanni. E a ciò fare e benedicere la prima pietra fue il vescovo di Firenze con tutto il chericato e co' segnori priori e l'altre segnorie co·molto popolo a grande processione; e fecesi il fondamento infino all'acqua tutto sodo; e soprastante e proveditore della detta opera di Santa Liperata fue fatto per lo Comune maestro Giotto nostro cittadino, il più sovrano maestro stato in dipintura che·ssi trovasse al suo tempo, e quelli che più trasse ogni figura e atti al naturale; e fulli dato salario dal Comune per remunerazione della sua vertù e bontà. Il quale maestro Giotto tornato da Milano, che 'l nostro Comune ve l'avea mandato al servigio del segnore di Milano, passò di questa vita a dì VIII di gennaio MCCCXXXVI, e fu seppellito per lo Comune a Santa Reparata con grande onore. E in questo tempo e istante si cominciò a fondare il nuovo ponte a la Carraia, il qual era caduto per lo diluvio, e fue compiuto di fare in calen di gennaio MCCCXXXVI, e costò più di XXVm di fiorini d'oro, e restrinsesi II pile al Vecchio; e fecionsi di nuovo le mura sopra la riva d'Arno da l'un lato e da l'altro, per adirizzare il corso del fiume, e per più bellezza e fortezza de la città.
XIII
Come messer Mastino ebbe il castello di Colornio in parmigiana.
Nel detto anno, del mese d'agosto, messer Mastino della Scala con la lega di Lombardia venne all'assedio del castello di Colornio in sul contado di Parma, e 'l Comune di Firenze vi mandò CCCL cavalieri, molto bella e buona gente, onde fu capitano Ugo delli Scali; sì che messer Mastino vi si trovò con IIIm cavalieri, e bisognavali bene, che' Parmigiani con la cavalleria ch'avea loro lasciata il re Giovanni, con l'aiuto di Lucca e di Reggio e di Modana, si trovarono con più di IIm buoni cavalieri, i quali per più volte feciono punga per rompere l'oste e di combattere con messer Mastino; ma l'oste era sì forte di fossi e di steccati, che non ebbono podere, né messer Mastino non si volle mettere a battaglia campale. Per la quale cosa i Parmigiani non potero fornire Colornio, e quello abandonato, s'arendéo a messer Mastino a dì XXIIII di settembre del detto anno. La quale vittoria fu cagione a messere Mastino d'avere poco apresso la città di Parma, come inanzi faremo menzione.
XIV
Come i Fiorentini riebbono il castello d'Uzzano in Valdinievole.
Nel detto anno, a dì XII di settembre, per trattato di messer Beltramone dal Balzo capitano di guerra de' Fiorentini, e per tradimento e costo di IIm fiorini d'oro, il castello d'Uzzano di sopra a Pescia in Valdinievole s'arendéo al Comune di Firenze; e ciò fatto, il detto messer Beltramone dal Balzo capitano di guerra de' Fiorentini cavalcò con Vc cavalieri e popolo assai per due volte infino a le porti di Lucca, ardendo e guastando e levando gran preda con grave danno di Lucchesi. Ma ciò potea fare sicuramente per l'oste de la lega ch'era a Colornio in Lombardia, e la cavalleria di Lucca era a Parma, sì che·lla città di Lucca era isfornita di genti d'arme.
XV
Come il re Giovanni simulatamente donò la città di Lucca al re di Francia.
Nel detto anno, a dì XIII d'ottobre, essendo il re Giovanni a Parigi simulatamente e per favore de' Lucchesi e a·lloro richesta donò al re Filippo di Francia tutte le ragioni ch'elli avea in Lucca e nel contado; e il detto re di Francia significò a tutti i mercatanti di Firenze ch'erano in Parigi, come a·llui apartenea la signoria di Lucca e ch'ellino scrivessono al nostro Comune che a la città di Lucca né al contado non si facesse guerra; ma però non si lasciò. E lo re Ruberto per sue lettere e ambasciadori de la detta impresa di Lucca molto si dolfe al re di Francia suo nipote, e pregandolo ch'elli lasciasse la detta impresa di Lucca, però che·lla signoria non era sua di ragione, e erali stata tolta per tradimento, e rubellata per Uguiccione da Faggiuola e poi per Castruccio Interminelli, per la qual cosa il re di Francia non vi mandò sua gente né ne prese possessione.
XVI
Come i Fiorentini per guardia della terra feciono in Firenze VII bargellini.
Nel detto anno, per calen novembre, coloro che reggeano la città di Firenze crearono uno nuovo oficio in Firenze; ciò furono VII capitani di guardia della città, ciascuno con XXV fanti armati, e in ogni sesto de la città ne stava uno, e nel sesto d'Oltrarno due; i quali guardavano la città di dì e di notte, di sbanditi e di zuffe e offensioni e di giuoco e d'arme, e fuoro chiamati bargelli. L'oficio de' detti ebbe bello colore e buona mossa; ma quelli che reggeano la città il feciono più per loro guardia e francamento di loro stato, perché dubitavano ch'a la nuova reformazione de la lezione de' priori, che·ssi dovea fare il gennaio apresso, non avesse contesa, perché certi popolani ch'erano degni d'essere al detto oficio per sette n'erano schiusi. Durò il detto uficio uno anno e non più, fornita la detta lezione; e poi ne surse un altro oficio di maggiore lieva, che·ssi chiamò conservatore, come inanzi al tempo faremo menzione.
XVII
Conta di guerra tra' Catalani e' Genovesi.
Nel detto anno i Genovesi co·lloro galee armate feciono grande danno a' Catalani, che presono di loro quattro grandi cocche in Cipri, e altre quattro in Cicilia, e quattro galee in Sardigna, tutte cariche di ricco avere, e li uomini tutti misono alle spade o anegaro in mare, e VIc ne 'mpiccaro a uno colpo in Sardigna, la quale fue una grande crudeltà; ma non fu sanza merito in parte di giudicio di Dio alla loro città, come seguendo in questo assai tosto faremo menzione.
XVIII
Come i Turchi furo sconfitti in mare da galee de la Chiesa e del re di Francia.
Nel detto anno l'armata de la Chiesa di Roma e del re di Francia e' Viniziani, in quantità di XXXII galee mandate in Grecia per difenderla da' Turchi che tutta la correano e guastavano, iscontrandosi col navilio de' Turchi ch'era infinito, combattero co·lloro. I Turchi fuggendo a terra, ne morirono più di Vm, e arsono di loro navilio CL legni grossi sanza i sottili e piccioli, e poi corsono tutte le loro marine e alquanto fra terra, levando gran preda di schiavi e di cose con grande danno di loro.
XIX
De la morte di papa Giovanni XXII.
Nel detto anno, a dì IIII di dicembre, morì papa Giovanni apo la città di Vignone in Proenza, ov'era la corte, d'infermità di flusso, che tutto il suo corpo si disolvette, e per quello si sapesse, morì convenevolmente assai ben disposto apo Dio, rivocando il suo oppinione mosso de la visione dell'anime de' santi. E ciò fece, secondo si disse, più per infestamento del cardinale dal Poggetto suo nipote e degli altri suoi parenti, a ciò che non morisse con quella sospeccionosa fama, che da suo movimento, non credendo sì tosto morire, e elli morì il dì seguente. E a ciò che sia manifesto a chi per li tempi leggerà questa cronica, e non possa avere preso errore per quella oppinione, sì metteremo apresso verbo a verbo la detta dichiarazione fatta fedelmente volgarizzare, come avemo la copia dal nostro fratello che allora era in corte di Roma."Giovanni vescovo, servo di servi di Dio, a perpetua memoria. Né sopra quelle cose che dell'anime purgate partite da' corpi, se a la resurrezzione de' corpi la divina essenzia con quella visione, la quale l'Apostolo chiama "fiaccole", vegghiamo, sì per noi come per molti altri, in nostra presenzia recitando e allegando la sacra Scrittura e li originali detti de' santi, o per altro modo ragionando, spesse volte dette sono altrementi che per noi dette e intese fossono, e intendansi e dicansi, possano nelli orecchi de' fedeli dubbio e oscurità generare; ecco la nostra intenzione la quale con la santa Chiesia cattolica intorno a queste cose abbiamo, e abbiamo avuto, per lo tenore delle presenti, come seguita: dichiariamo, confessiamo certamente e crediamo che l'anime purgate partite da' corpi sono ne' cieli de' cieli e in paradiso con Cristo, e in compagnia delli angeli raunate, e veggiono Idio e la divina essenzia faccia a faccia chiaramente, in quanto lo stato e la condizione dell'anima partita dal corpo comporta. E se altre cose e quale o per altro modo intorno a questa materia per noi dette predicate, overo scritte fossono, per alcuno modo quelle cose abbiamo dette, predicate, overo scritte, recitando e disputando i detti della sacra Scrittura e de' santi, e così vogliamo essere dette, predicate, e scritte. Anche se alcune altre cose sermocinando, disputando, domatriando, amaestrando, overo per alcuno altro modo dicemmo, e predicamo, o scrivemo intorno a le predette cose, overo altre cose che raguardano la fede cattolica, la sacra Scrittura, overo a' buoni costumi, in quanto sono consone a la fede cattolica e a la determinazione de la Chiesa a la sacra Scrittura e a' buoni costumi, la sponiamo; altrementi per altro modo quelle cose abbiamo avute, e vogliamo per non dette, predicate e scritte, e quelle revochiamo espressamente; e le predette tutte cose, e qualunque altre predette e scritte per noi di qualunque mai fatti in ogni luogo, e in qualunque luogo o in qualunque stato, che abbiamo, e abbiamo avuto da quinci adietro, e sommettiamo a la determinazione de la Chiesa e de' nostri successori. Data a Vignone a dì III di dicembre, anno XVIIII del nostro pontificato". E poi anullò le reservazioni per lui fatte, che da la sua morte innanzi non avessono vigore.
XX
Del tesoro che·ssi trovò la Chiesa dopo la morte di papa Giovanni, e di sua vita e costumi.
Dissesi che l'eclissi del sole, che fue del mese di maggio l'anno dinanzi, significò la sua morte dovere esere quando il sole verrebbe a l'opposizione del suo mezzo corso; e così parve che fosse. De la morte del detto papa se ne fece in Firenze l'osequio a dì XVI di dicembre ne la chiesa di Santo Giovanni con grande e ricca luminaria, e grande solennità e celebrazione d'oficio per lo chericato e per tutti i cittadini. E nota che dopo la sua morte si trovò nel tesoro de la Chiesa a Vignone in monete d'oro coniate il valere e compito di XVIII milioni di fiorini d'oro e più; e il vasellamento, corone, croci, e mitre, e altri gioielli d'oro con pietre preziose lo stimo a larga valuta di sette milioni di fiorini d'oro, che ogni milione è mille migliaia di fiorini d'oro la valuta. E noi ne possiamo di ciò fare piena fede e testimonianza vera, che il nostro fratello carnale, uomo degno di fede, che allora era in corte mercatante di papa, che da' tesorieri e da altri che fuoro deputati a contare e pesare il detto tesoro li fu detto e acertato, e in somma recato per farne relazione al collegio de' cardinali per mettere in aventario, e così il trovaro. Il detto tesoro, la maggior parte, fu raunato per lo detto papa Giovanni per sua industria e sagacità, che infino l'anno MCCCXVIIII puose la reservazione di tutti i beneficii collegiati di Cristianità, e tutti li volea dare egli, dicendo il facea per levare le simonie. E di questo trasse e raunò infinito tesoro. E oltre a ciò e per la detta reservazione quasi mai non confermò elezzione di nullo parlato, ma promovea uno vescovo inn-uno arcivescovado vacato, e del vescovado del vescovo promosso promovea uno minore vescovo, e talora avenia bene sovente che d'una vacazione d'uno grande vescovado o arcivescovado o patriarcato facea sei o più promozioni; e simile d'altri benifici; onde grandi e molte provisioni di moneta tornavano a la camera del papa. Ma non si ricordava il buono uomo del Vangelio di Cristo, dicendo a' suoi discepoli: "Il vostro tesoro sia in cielo, e non tesaurizzate in terra"; né del tesoro che Piero e li altri apostoli chiesero a Mattia, quando asortiro i·lloro collega in luogo di Iuda Scariotto. E questo basti, e forse è detto più ch'a·nnoi non si conviene, però che 'l detto tesoro dicea papa Giovanni raunava per fornire il santo passaggio d'oltremare; e forse avea quella intenzione. Molto tesoro consumò in Lombardia per abattere i tiranni, e mantenere grande il suo nepote, overo figliuolo, legato di Lombardia, come adietro è fatta menzione, e talora contro a' Turchi. Allegravasi oltre modo d'uccisione e morte de' nimici; molto amò il nostro Comune di Firenze mentre fumo favorevoli e aiutatori del detto suo legato; e più grazie al Comune e singolari cittadini fece, che X vescovadi diede al suo tempo a' Fiorentini e molti altri benifici ecclesiastici; ma poi che 'l nostro Comune fue contro al detto legato, ne fu nimico, e cercava ogni nostro abassamento. Modesto fu e sobrio in suo vivere, e più amava vivande grosse che dilicate, e in sé propio poco spendea; quasi ogni notte si levava a dire l'uficio e istudiare; e le più mattine dicea la messa, e assai era latino di dare udienza, e tosto spediva. Piccolo fu di persona, prosperoso e collerico, e tosto si movea a ira. Savio in iscienza, e d'un aguto spirito, e magnanimo fu a le gran cose. Assai fece grandi e ricchi i suoi parenti, vivette da LXXXX anni, e seppellito fue in Vignone; ma poi i suoi parenti ne portaro o tutto o parte del suo corpo a Caorsa: e nel papato regnò anni XVIII e mesi. Lasciamo omai della materia, ch'assai avemo detto, e de' suoi modi e costumi, e diremo della lezione di papa Benedetto che succedette appresso lui.
XXI
De la lezione di papa Benedetto XII.
Dopo la morte e sepoltura di papa Giovanni i cardinali, ch'erano allora XXIIII, e tutti ritrovandosi in Vignone, per lo siniscalco di Proenza del re Ruberto furo messi nel conclavi per bene guardati e distretti, a ciò che tosto facessono lezione di papa. E avendo tra·lloro tira e discordia della lezione, perché dell'una maggiore setta, della quale era capo il cardinale di Peragorgo, ciò era fratello del conte di Peragorgo, con séguito grande de' cardinali caorsini e franceschi, e il cardinale de la Colonna, sì trattaro d'eleggere papa il cardinale fratello del conte di Comingio, uomo savio e valoroso e di buona vita: fuoro a·llui, e profersorli le loro voci, con patto ch'elli promettesse loro di non venire a Roma; la qual cosa non volle promettere, dicendo che inanzi rinunzierebbe il cardinalato ch'elli avea certo, che 'l papato ch'era in aventura. Per la qual cosa rimescolata la divisione de la lezione tra' collegi quasi per gara, non credendo venisse fatto, misono a squittino quelli di loro collegio ch'era tenuto il più minimo de' cardinali; ciò fu il cardinale Bianco di piccola nazione di tolosana, il quale era stato monaco e poi abate di Cestella, però uomo di buona vita. Sanza osservazione d'ordinato squittino, parve opera divina, che ciascuna setta di cardinali a·rrigatta li diedono le loro voci, e così fu eletto papa la vilia di santo Tomè apostolo dopo vespero, a dì XX di dicembre MCCCXXXIIII. E lui eletto papa, ciascuno s'amirò, e elli medesimo ch'era presente disse: "Avete eletto uno asino", o per grande umilità non conoscendosi degno, o profetizzando il suo stato, però che fue uomo di grosso intelletto quanto ne la pratica cortigiana, ma sofficiente assai in iscrittura. E poi si coronò papa a dì III di gennaio al luogo de' frati predicatori a Vignone, e chiamossi papa Benedetto XII. E come fue eletto, diede commiato a tutti i prelati, salvo a' cardinali, e donò al collegio de' cardinali de la camera Cm fiorini d'oro per ispese.
XXII
Di certo diluvio d'acque che fu in Firenze e in Fiandra.
Nel detto anno, a dì V di dicembre, fu tanta piova, che 'l fiume d'Arno crebbe isformatamente per modo che, se le pescaie ch'erano nel fiume inanzi al grande diluvio fossono state in piede, gran parte de la città sarebbe allagata; ma per lo diluvio il letto d'Arno era abassato più di VI braccia; ma pur così ruppe e ne menòe uno ponte di legname fatto a grossi pali, il quale era fatto tra 'l ponte Vecchio e quello di Santa Trinita, e uno ponte di piatte grosse incatenato, ch'era fatto tra 'l ponte a Santa Trinita e quello da la Carraia, con danno assai. In Fiandra e in Olanda e Silanda in questo tempo fuoro tante soperchie piove, e gonfiamento del fiotto del mare, che tutte case e terre di quelle marine si disertaro.
XXIII
Come uno frate Venturino da Bergamo commosse molti Lombardi e Toscani a penitenzia.
Nel detto anno, per le feste della Nattività di Cristo, un frate Venturino da Bergamo dell'ordine de' predicatori d'età di XXXV anni, di picciola nazione, per sue prediche recòe a penitenzia molti peccatori micidiali e rubatori, ed altri cattivi uomini de la sua città e di Lombardia. E per le sue efficaci prediche commosse ad andare a la quarentina a Roma e al perdono più di diecimila Lombardi gentili uomini e altri, i quali tutti vestiti quasi dell'abito di santo Domenico, cioè con cotta bianca e mantello cilestro o perso, e in sul mantello una colomba bianca intagliata con tre foglie d'ulivo in becco; e venieno per le città di Lombardia e di Toscana a schiere di XXV o XXX, e ogni brigata con sua croce innanzi gridando pace e misericordia; e giugnendo ne le cittadi si rassegnavano prima a la chiesa de' frati predicatori, e in quella dinanzi a l'altare si spogliavano da la cintola in su, e si batteano un pezzo umilmente. E ne la nostra città di Firenze fu loro fatte grandi elimosine, che per le devote genti, uomini e donne, ogni dì erano messe tavole, e piena tutta la piazza vecchia di Santa Maria Novella, ove ne mangiavano per volta Vc o più ben serviti; e così durò XV dì continui, come passavano a Roma. Infra 'l detto tempo fue in Firenze il detto frate Venturino, e predicò più volte; e a le sue prediche traeva tutto 'l popolo di Firenze quasi come a uno profeta. Le dette sue prediche non erano però di sottili sermoni né di profonda scienzia, ma erano molto efficaci e d'una buona loquela e di sante parole, dicendole molto dubbiose e acentive a commuovere genti, quasi affermando e dicendo: "Quello ch'io vi dico sappia, e non altro; ché Dio così vuole". Andonne a Roma co' detti pellegrini, e co·molti altri di Toscana che 'l seguiro, che fue innumerabile popolo con molta onestà e pazienzia. E poi da Roma andòe a Vignone al papa il detto frate Venturino per impetrare grazia di perdono a chi·ll'avea seguito. In corte, o per invidia o per altra sua presunzione, fu acusato al papa, e apostili più articoli di peccati e di resia, de' quali fue disaminato, e fatta inquisizione, e fu trovato buono Cristiano e di santa vita; ma per la sua presunzione, e perché diceva che non era niuno degno papa se non stesse a Roma a la sedia di san Piero, e per tema ch'ebbe il papa che per le sue prediche non comovesse il popolo cristiano, sì·lli diè i confini a dimorare a Frisacca, una terra nelle montagne di Ricordana, e comandolli che non confessasse persona, né predicasse a popolo. E questi sono i meriti c'hanno le sante persone da' prelati di santa Chiesa; overo che fue giusto per temperare la soperchia ambizione del frate, tutto ch'adoperasse con buona intenzione.
XXIV
Come i Ghibellini di Genova ne cacciaro i Guelfi e la segnoria del re Ruberto.
Nel detto anno, essendo ne la città di Genova tornati per pace fatta per lo re Ruberto tutti i Ghibellini, come adietro in alcuna parte facemmo menzione, e mandando a Genova il re uno meser Bolgro da Tollentino suo uficiale per ordinare la guardia della terra, e che 'l termine de la signoria del re si prolungasse, e essendovi per podestà per lo re messer Giannozzo Cavalcanti di Firenze, sombuglio e comozione nacque in Genova tra' Guelfi e' Ghibellini; perché a la maggiore parte de' Genovesi ch'erano d'animo imperiale, e naturalmente sono altieri e disdegnosi, rincrescea la segnoria del re, e non volendo prolungare più la segnoria al re; per la quale dissensione cominciaro tra·lloro battaglia cittadina, e asserragliaro tutta la terra e imbarraro. Alla prima ebbono il migliore i Guelfi, ma poi si partiro tra·lloro; che i Salvatichi per cagione ch'ad uno di loro per lo sopradetto meser Bolgaro, quando fu podestà di Genova, per mandato del re Ruberto fece tagliare il capo a uno de' maggiori della casa, perch'era gran pirrato e rubatore in mare, per lo quale sdegno s'accordaro co' Ghibellini e co·lloro seguaci a torre la segnoria al re, accordati a ciò fare co li Orii e Spinoli. E avuto grande soccorso di genti da Saona e della riviera, per terra e per mare cresciuto loro podere, per forza di battaglia ne cacciaro i Guelfi e le segnorie del re, a dì XXVIII di febraio del detto anno, con gran vergogna del re Ruberto; e fune dato colpa a la podestà di troppa negligenzia. Cacciati i Guelfi di Genova, andarsene al Monaco, e poi col favore del re Ruberto armaro galee, e furono segnori del mare, rubando chi meno poteva di loro, e tenendo la città di Genova molto stretta. I Ghibellini che rimasono segnori in Genova feciono due capitani, uno di casa d'Oria e uno di casa Spinola. Per questa mutazione molto si sconciò il buono istato di Genova e di mercatantia, e male vi si tenea ragione, onde molto abassò il podere de' Genovesi; e' Guelfi medesimi che tennero co' Ghibellini fuoro poi cacciati di Genova.
XXV
Come cominciò l'abassamento de' Tarlati d'Arezzo, e come fue tolto loro il Borgo a Sansipolcro.
Nell'anno di Cristo MCCCXXXV, essendo messer Piero Saccone de' Tarlati d'Arezzo, fratello che fu del valente vescovo d'Arezzo, di cui adietro in più luogora avemo fatta menzione, co' suoi fratelli e consorti segnori al tutto d'Arezzo, e de la Città di Castello, e del Borgo a Sansipolcro, e di tutte loro castella, e di quelle di Massa Tribara, dominando come tiranni infino nella Marca, e avendo disertato Nieri d'Uguiccione da Faggiuola, e i conti da Montefeltro, e quegli da Montedoglio, e la casa delli Ubertini, e il vescovo d'Arezzo delli Ubertini e' figliuoli di Tano da Castello, e più altri baroncelli del paese, ghibellini e guelfi, per segnoreggiare tutto; e per loro presunzione, presa la città di Cagli, nella quale i Perugini cusavano alcuna ragione, e perché contro a' Perugini teneano la Città di Castello, i Perugini co' detti Ghibellini segretamente feciono lega e compagnia e con messer Guiglielmo segnore di Cortona, e dando a Nieri da Faggiuola di loro genti, e per trattato fatto con Ribaldo da Montedoglio cognato de' Tarlati, che per loro tenea il Borgo a Sansipolcro, entròe il detto Nieri nel detto Borgo con CC cavalieri e Vc pedoni a dì VIII d'aprile del detto anno, e prese la terra, salvo la rocca, che·ssi tenne infino a dì XX d'aprile, nella quale era messere Uberto di Maso de' Tarlati; e vegnendo gli Aretini co·lloro sforzo per soccorrella, i Perugini con tutta loro lega e forza vi fuoro più grossi e possenti, sì che al tutto rimasono segnori della terra e della rocca, la quale s'arendé loro, salve le persone. E questo fue il cominciamento de la loro rovina e abassamento.
XXVI
D'una rovina che fece parte della montagna di Falterona.
Nel detto anno, a dì XV di maggio, una falda de la montagna di Falterona da la parte che discende verso il Decomano in Mugello, per tremuoto e rovina scoscese più di quattro miglia infino a la villa si chiamava il Castagno, e quella con tutte le case, persone e bestie salvatiche e dimestiche e alberi sobissò, e assai di terreno intorno, gittando abondanza d'acqua ritenuta, oltre a l'usato modo torbida come acqua di lavatura di cenere; e gittò infinita quantità di serpi, e due serpenti con quattro piedi grandi com'uno cane, li quali l'uno vivo e l'altro morto fuoron presi a Decomano. La quale torbida acqua discese nel Decomano, e tinse il fiume della Sieve; e la Sieve tinse il fiume dell'Arno infino a Pisa; e durò così torbido per più di due mesi, per modo che dell'acqua d'Arno a neuno buono servigio si poteva operare, né' cavalli ne voleano bere; e fue ora che i Fiorentini dubitaro forte di non poterlo mai gioire, né poterne lavare o purgare panni lini o lani, e che però l'arte della lana non se ne perdesse in Firenze; poi a poco a poco venne rischiarando, e tornando in suo stato.
XXVII
Di certi scontrazzi che fuoro tra·lla nostra gente e quella di Lucca.
Nel detto anno, a dì VI di giugno, avendo il capitano della guerra de' Fiorentini, messer Beltramone dal Balzo, posto uno battifolle, overo bastita, tra Uzzano e Buggiano in Valdinievole per guerreggiare Buggiano e Pescia, tornando da quello la nostra gente in quantità di CL cavalieri, certi de' nemici per ordine d'aguato uscirono loro adosso, e combattero, e fuoro rotti i nimici, e presine XXII cavalieri, e uno conestabole morto. Intanto, com'era ordinato per li nimici, vennero da Pescia a Buggiano CC cavalieri di quelli di Lucca e assalirono i nostri, che·ssi credeano avere vinto, e misolli in isconfitta, e rimasonvi de' nostri IIII conestaboli presi e uno morto, con più cavalieri presi e morti.
XXVIII
Come i Perugini furo sconfitti da li Aretini.
Nel detto anno, a dì VIII di giugno, avendo i Perugini e i loro collegati presa grande baldanza sopra li Aretini per la rubellazione del Borgo a Sansipolcro, col segnore di Cortona in quantità di VIIIc cavalieri e Vm pedoni erano partiti di Cortona e intrati in sul contado d'Arezzo guastando la contrada di Valdichiana. Messer Piero Saccone segnore d'Arezzo uscito di Castiglione Aretino con Vc cavalieri di sue masnade e pedoni assai, venne arditamente contro a Perugini, i quali, veggendo li Aretini, si cominciarono a ricogliere verso Cortona male ordinati e peggio capitanati. Li Aretini, intra' quali avea di buoni capitani di guerra, veggendo il loro male reggimento, assaliro vigorosamente i cavalieri di Perugia ch'erano ischierati in sulla strada alla guardia de' guastatori, e dopo la prima afrontata alquanto ritenuta i cavalieri perugini furono rotti e sconfitti, e rimaservi de' cavalieri pur de' migliori cittadini e forestieri da C tra presi e morti, e più di CC pedoni, e seguendo la caccia infino a le porte di Cortona; e se non fosse il refugio della terra, pochi ne sarebbono scampati. E ciò fatto, li Aretini cavalcaro guastando e ardendo in sul contado di Perugia per V dì, e fuoro infino a le forche di Perugia presso a la città a due miglia; e per diligione de' Perugini v'impiccarono de' Perugini presi colla gatta, overo muscia, al lato, e colle lasche del lago infilzate pendenti dal braghiere dell'impiccati. Per la qual cosa i Perugini molto aontati, non feciono come genti isbigottiti né sconfitti; ma subitamente raunaro danari, e mandaro in Lombardia per M cavalieri tedeschi, i quali erano stati delle masinade del re Giovanni, molto buona gente, i quali erano di poco partiti di Parma, quando si rendé a messere Alberto e Mastino, e chiamavansi i cavalieri de la Colomba; però che s'erano ridotti a la badia de la Colomba in Lombardia e ne la contrada, vivendo di ratto e sanza soldo. E quelli soldati vennero a Perugia, co' quali, co' Perugini, e coll'aiuto de' Fiorentini, che incontanente saputa la sconfitta mandarono a Perugia CL cavalieri colla 'nsegna del Comune di Firenze feciono apresso di gran cose contra li Aretini, come per lo inanzi leggendo si potrà trovare. E in questo tempo, a dì XV di giugno, passando per Firenze da CL balestrieri genovesi, i quali andavano ad Arezzo in servigio di messer Piero Saccone, che·lli mandavano i parenti della moglie ch'era de li Spinoli di Genova, andando al dilungo per la terra con bandiere levate, e colle sopransegne imperiali e ghibelline, i fanciulli e' garzoni e popolo minuto di Firenze a grido li seguiro fuori della porta, e tutti li rubaro e presono e fediro, sicché non potero andare al servigio delli Aretini, e tornarsi a Genova; e convenne che i mercatanti di Firenze ch'aveano a fare in Genova mendassero loro il danno ricevuto. De la qual cosa, e de' cavalieri che' Fiorentini mandaro loro subitamente sanza richesta, i Perugini ebbono molto a grado da' Fiorentini, che per lo sùbito avenimento della sconfitta erano molto sbigottiti; e per questo piccolo soccorso presono vigore e conforto per lo modo detto di sopra, e 'l consiglio de' Perugini ordinòe di trovare moneta per via di gabelle al modo di Firenze, onde soldaro i detti M cavalieri.
XXIX
D'una armata che 'l re Ruberto fece sopra Cicilia.
Nel detto anno, a dì XIII di giugno, partiti del porto de la città di Napoli una armata di LX galee e più altri legni che il re Ruberto mandòe sopra l'isola di Cicilia con M cavalieri, onde fu capitano il conte Curiliano di Calavra e il conte di Chiermonte rubello di quello di Cicilia. E i Fiorentini li mandaro aiuto al re per quella armata C cavalieri; di più non potero servire il re per la gente de' Fiorentini ch'era in Lombardia in servigio della lega, e sopra la città di Lucca e al servigio di Perugini, come adietro è detto. La detta armata stettono in su l'isola di Cicilia il luglio e l'agosto faccendo grande danno, ma nulla terra murata v'acquistaro, però che e' parenti e' fedeli del conte di Chiermonte non li rispuosono come aveano promesso; e chi disse che 'l detto conte non volle perché il re no·lli fece quello onore quando venne a·llui, come si credette, e per animo imperiale; e a ciò diamo fede, che tornata la detta armata a Napoli, il detto conte si partì dal re e andonne in Alamagna al Bavero, e poi tornò al servigio di messer Mastino della Scala, onde s'era mosso.
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Qui finisce il dodecimo libro

 

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Ultimo Aggiornamento:10/07/05 17:44