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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Secondo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO NONO (81-121)

LXXXI
De la coronazione di papa Clemento quinto, e de' cardinali che fece.
Portata la lezione e 'l decreto a l'eletto papa arcivescovo di Bordello infino in Guascogna dov'egli era, accettò il papato allegramente, e fecesi nominare papa Clemento quinto, e incontanente mandò per sue lettere citando tutti i cardinali, che sanza indugio venissono a la sua coronazione a Leone sopra il Rodano in Borgogna, e simile richiese il re di Francia, e 'l re d'Inghilterra, e quello d'Araona, e tutti i nomanati baroni di là da' monti, che fossono a la sua coronazione. De la quale richesta e citazione la maggiore parte de' cardinali italiani si tennero gravati e forte ingannati, credendosi che avuto il decreto venisse a Roma a coronarsi; e messer Matteo Rosso degli Orsini, ch'era il priore de' cardinali e il più atempato, e che più malvolentieri si partiva da Roma, avedutosi dello inganno ch'egli e la sua parte aveano avuto di questa lezione, disse al cardinale da Prato: "Venuto se' a la tua di conducerne oltre i monti, ma tardi ritornerà la Chiesa in Italia, sì conosco fatti i Guasconi". E venuto il papa e' suoi cardinali a·lLeone sopra Rodano, fue consecrato e coronato papa il dì di santo Mattino a dì XI di novembre, gli anni di Cristo MCCCV, in presenza del re Filippo di Francia, e di messer Carlo di Valos, e di molti baroni, il quale, come promesso gli avea, il ricomunicò e ristituì in ogni onore e grazia di santa Chiesa, la quale gli aveva levata papa Bonifazio, e donogli le decime di tutto il suo reame per V anni; e a richesta del detto re per le presenti digiune, a dì XVII del mese di dicembre, fece XII cardinali tra Guasconi e Franceschi, amici e uficiali del re, intra' quali, come promesso avea, fece cardinali messer Iacopo e messer Piero de la Colonna, e ristituigli in ogni grazia ch'avea loro tolta e levata papa Bonifazio; e confermò al re Giamo d'Araona il privilegio che gli avea dato papa Bonifazio del reame di Sardigna. E ciò fatto, se n'andò con suoi cardinali e con tutta la corte a la sua città di Bordello, ove tutti gl'Italiani, così bene i cardinali come gli altri, furono male veduti e trattati, secondo il grado de la loro dignità, però che tutto guidavano i cardinali guasconi e franceschi. Nel detto verno fue grandissimo freddo per tutto, e spezialmente oltre i monti, che ghiacciò il Rodano, sì che su vi si potea passare a piè e a cavallo, e tutti i grandi fiumi, e il Reno, e la Mosa, e Senna, e l'Era, e lo Scalto ad Anguersa; e eziandio ghiacciò il mare di Fiandra, ed a le marme d'Olanda e Silanda e Danesmarce più di tre leghe infra mare, che fu gran maraviglia. Lasceremo alquanto de' fatti del papa al presente, e torneremo a nostra materia de' fatti di Firenze.
LXXXII
Come i Fiorentini e' Lucchesi assediarono e vinsono la città di Pistoia.
Negli anni di Cristo MCCCV, avendo i Fiorentini avute le mutazioni dette adietro de la cacciata de' Bianchi a le porte, e quella parte bianca e ghibellina scacciata e vinta in tutte parti quasi di Toscana, salvo de la città di Pistoia, la quale si tenea per parte bianca col favore de' Pisani, e degli Aretini, e eziandio de' Bolognesi, i quali si reggeano a parte bianca, si dubitaro che non crescesse la loro potenzia sostegnendo Pistoia, sì·ssi providono e chiamaro loro capitano di guerra Ruberto duca di Calavra, figliuolo e primogenito rimaso del re Carlo secondo, il quale venne in Firenze del mese d'aprile del detto anno con una masnada di CCC cavalieri araonesi e catalani, e molti mugaveri a piè, la quale fu molto bella gente, e avea tra·lloro di valenti e rinomati uomini di guerra; il quale da' Fiorentini fu ricevuto a modo di re molto onorevolemente. E riposato alquanto in Firenze, s'ordinò l'oste sopra la città di Pistoia per gli Fiorentini e Lucchesi e gli altri della compagnia di parte guelfa di Toscana: e mossono bene aventurosamente col detto duca loro capitano a dì XX del presente mese di maggio; e' Lucchesi e l'altra amistà vennero da l'altra parte, e circundarono la città intorno intorno co le dette osti, e guastarla d'intorno; e poco tempo appresso l'afossaro e steccaro al di fuori con più battifolli, sì che nullo vi potea entrare né uscire; dentro v'erano tutti i Pistolesi bianchi e ghibellini, e messer Tosolato degli Uberti con masnada di CCC cavalieri e pedoni assai, soldati per gli Bianchi e Ghibellini di Toscana. E stando i Fiorentini nella detta oste intorno a Pistoia, si teneano un'altra piccola oste in Valdarno di sopra a l'assedio del castello d'Ostina, il quale aveano fatto rubellare i Bianchi; e quello ebbono a patti i Fiorentini del presente mese di giugno, e feciongli disfare le mura e le fortezze. Per la detta oste ch'era sopra la città di Pistoia messer Nepoleone degli Orsini cardinale e 'l cardinale da Prato, a petizione de' Bianchi e Ghibellini, richiesono papa Chimento ch'egli si dovesse interporre di mettere pace tra' Fiorentini e' loro usciti, com'avea cominciato il suo antecessoro papa Benedetto per bene del paese d'Italia, e ch'egli facesse levare l'oste da Pistoia: onde il detto papa mandò due suoi legati cherici guasconi, e del mese di settembre furono in Firenze e nell'oste; e comandarono al Comune, e simile al duca Ruberto, e a' Lucchesi, e agli altri capitani dell'oste, che si dovessono levare da l'assedio di Pistoia sotto pena di scomunicazione. Al quale comandamento i Fiorentini e' Lucchesi furono disubidienti e non si partirono dall'assedio di Pistoia; per la qual cosa i detti legati iscomunicaro i rettori de la cittade e' capitani dell'oste e puosono lo 'nterdetto a la città di Firenze e al contado. Il duca Ruberto per non disubbidire al papa si partì dell'oste con sua privata famiglia, e andonne a corte a Bordello, e lasciò nell'oste il suo maliscalco, messer Dego de la Ratta catalano, e tutti i cavalieri i quali v'avea menati al servigio de' Fiorentini e al loro soldo; e' Fiorentini e' Lucchesi, ricrescendo l'assedio al continuo, e' convenia che tutti i cittadini v'andassono o mandassono come toccava per vicenda, o pagassono una imposta per capo d'uomo com'era tassato, la quale si chiamò la Sega. Nel detto assedio ebbe molti assalti e badalucchi a cavallo e a piè, e dammaggio dell'una parte e dell'altra, però che dentro avea franche masnade; e chiunque era preso che n'uscisse, a l'uomo era tagliato il piè, e a la femmina il naso, e ripinto adietro nella città per uno ser Lando d'Agobbio, crudele e dispietato oficiale, il quale per gli Fiorentini fu sopranomato Longino. E così istette e durò la detta oste tutta la vernata, non lasciando per nevi né per piove né ghiacci. A la fine vegnendo a que' d'entro meno la vivanda, e sentendo che di Bologna era cacciata la parte bianca, avendo perduta ogni speranza di soccorso, sì s'arendero salve le persone, e tennonsi insino a tanto che nulla vi rimase a mangiare, avendo mangiati i cavagli, e pane di saggina e di semola, nero come mora e duro come ismalto, e quello ancora fallito; e ciò fu a dì X del mese d'aprile, gli anni di Cristo MCCCVI. E renduta la terra, se n'uscirono le masnade e' caporali de' Bianchi e Ghibellini. E avuta la detta vittoria di Pistoia, i Fiorentini e' Lucchesi feciono tagliare le mura della città e gli steccati, e rovinare ne' fossi; e più torri e fortezze feciono disfare; e il contado di Pistoia partiro per metade, e la parte di verso levante e del monte di sotto con tutte le castella e 'l piano infino presso a la città ebbono in parte i Fiorentini, privileggiandolsi a perpetuo. E feciono disfare la rocca di Carmignano per levarlasi da la vista di Firenze, la quale i Fiorentini aveano comperata da messer Musciatto Franzesi, che gliel'avea data messer Carlo di Valos, quando fue paciaro in Toscana. E' Lucchesi ebbono da la parte di ponente da la città in là verso Serravalle, e tutta la montagna di sopra; e la signoria della città di Pistoia rimase a' Fiorentini e Lucchesi, dell'uno podestà, e dell'altro capitano. E per questo modo fue abattuta la superbia e grandezza de' Pistolesi, e puliti de' loro peccati, e recati a tanto servaggio. E ciò fatto, tornarono i Fiorentini in Firenze con grande allegrezza e trionfo; e a messer Bino Gabrielli d'Agobbio, allora podestà di Firenze e capitano dell'oste, entrando in Firenze, gli fu recato sopra capo il palio di drappo ad oro per gli cavalieri di Firenze a piede a modo di re; e per simile modo feciono i Lucchesi a la loro tornata in Lucca. Nel detto anno dell'asedio di Pistoia fu grande caro in Toscana, e valse in Firenze lo staio del grano a la misura rasa mezzo fiorino d'oro.
LXXXIII
Come la città di Modena e di Reggio si rubellarono al marchese da Esti, e come furono cacciati i Bianchi e' Ghibellini di Bologna.
Nel detto anno MCCCV, del mese di febbraio, si rubellaro al marchese Azzo da Esti la città di Modona e quella di Reggio, le quali per lungo tempo l'avea tenute e signoreggiate tirannescamente, e ressonsi a Comune, e in loro libertade. E nel detto anno, in calen di marzo, reggendosi la città di Bologna a parte bianca, e avendo compagnia co' Bianchi e' Ghibellini di Toscana e di Romagna, il popolo di Bologna, il quale naturalmente è guelfo, non piacendo loro sì fatto reggimento e compagnia co' Ghibellini di Toscana e di Romagna loro antichi nemici, e per conforto e soducimento de' Guelfi di Firenze, levaro la città a romore, con armata mano cacciarono de la città e del contado i caporali di parte bianca, e' Ghibellini tutti, e usciti di Firenze, e isbandirli per ribelli; e ordinaro che neuno Bianco o Ghibellino si lasciasse trovare in Bologna, o nel distretto, sotto pena dell'avere e della persona, andandoli cercando e uccidendo co·lloro bargello, diputato per lo popolo sopra·cciò con gran séguito di masnadieri. E feciono i Bolognesi incontanente lega e compagnia co' Fiorentini e co' Lucchesi e cogli altri Guelfi di Toscana.
LXXXIV
Come si levò in Lombardia un fra Dolcino con grande compagnia d'eretici, e furono arsi.
Nel detto anno MCCCV nel contado di Noara in Lombardia uno frate Dolcino, il quale non era frate di regola ordinata, ma fraticello sanza ordine, con errore si levò con grande compagnia d'eretici, uomini e femmine di contado e di montagne di piccolo affare, proponendo e predicando il detto frate Dolcino sé essere vero appostolo di Cristo, e che ogni cosa dovea essere in carità comune, e simile le femmine esser comuni, e usandole non era peccato. E più altri sozzi articoli di resia predicava, e opponeva che 'l papa, e cardinali, e gli altri rettori di santa Chiesa non oservavano quello che doveano né la vita vangelica, e ch'egli dovea esser degno papa. E era con séguito di più di IIIm uomini e femmine, standosi in su le montagne vivendo a comune a guisa di bestie; e quando falliva loro vittuaglia, prendevano e rubavano dovunque ne trovavano; e così regnò per due anni. A la fine rincrescendo a quegli che 'l seguivano la detta dissoluta vita, molto scemò sua setta, e per difetto di vivanda, e per le nevi ch'erano, fu preso per gli Noaresi e arso con Margherita sua compagna, e con più altri uomini e femmine che co·llui si trovaro in quelli errori.
LXXXV
Come papa Clemento fece legato in Italia messer Nepoleone degli Orsini cardinale, e come fue male ricevuto.
Ne l'anno MCCCVI, avendo rapporto papa Clemento da' legati ch'egli mandò in Firenze come i suoi comandamenti non erano ubiditi di levare l'oste da Pistoia, sì·ssi indegnò contro a' Fiorentini, e per sodducimento e consiglio del cardinale da Prato sì fece legato e paciaro generale in Italia messer Nepoleone degli Orsini dal Monte, cardinale, e diegli grandi privilegi e autoritadi: il quale si partì da Leone sopra Rodano, e passò i monti, e mandando a' Fiorentini che voleva venire in Firenze per fare pace e concordia da loro e i loro usciti, e quegli che reggeano la città per sospetto di lui nol vollono ricevere; onde da capo gli riscomunicò, e confermò lo 'nterdetto, e andonne a la città di Bologna del mese di maggio, e volea somigliantemente pacificare i Bolognesi insieme, e rimettere in Bologna i loro usciti bianchi e ghibellini. Quegli che reggeano la terra, avendo preso sospetto di lui, perché parea che favorasse i Bianchi e' Ghibellini, e per sodducimento de' Fiorentini, di Bologna villanamente l'acommiataro, minacciato per lo bargello de la persona se non votasse la terra. Il quale sanza indugio si partì, e andonne a la città d'Imola in Romagna, che si tenea per gli Bianchi e' Ghibellini; e andandone per lo contado di Bologna, gli furono rubati e tolti molti de' suoi arnesi e some; per la qual cosa il detto legato aspramente procedette contro a·lloro per iscomunica e interdetto de la terra, e privogli dello Studio, e scomunicò qualunque scolaio andasse allo Studio a Bologna.
LXXXVI
Come i Fiorentini assediaro e ebbono il forte castello di Monte Accenico e disfeciollo, e feciono fare la Scarperia.
Nel detto anno, del mese di maggio, i Fiorentini andarono ad oste sopra 'l castello di Monte Accenico in Mugello, e puosonvi l'assedio; il quale castello era de' signori Ubaldini, e era molto bello e ricco, e fortissimo di sito e di doppie mura, però che·ll'avea loro fatto edeficare con grande spendio e diligenzia il cardinale Ottaviano loro consorto; nel quale castello s'erano ridotti gran parte degli Ubaldini, e quasi tutti i ribelli bianchi e ghibellini usciti di Firenze, e faceano guerra e soggiogavano tutto il Mugello e infino all'Uccellatoio. E al detto castello stette l'oste infino a l'agosto, gittandovi difici e faccendovi cave; ma tutto era invano, se non che gli Ubaldini tra·lloro vennero in discordia, e il lato di messer Ugolino da senno il patteggiaro co' Fiorentini per mano di messer Geri Spini loro parente, e diedollo per promessa di XVm fiorini d'oro, onde di gran parte n'ebbono male pagamento. E quegli che v'erano dentro l'abandonaro, e andarne sani e salvi; e 'l castello fue tutto abattuto e disfatto per gli Fiorentini, che non vi rimase casa né pietra sopra pietra. E feciono fare i Fiorentini giuso al piano di Mugello, nel luogo detto la Scarperia, una terra per fare battifolle agli Ubaldini, e torre i loro fedeli, e feciolli franchi, acciò che Monte Accenico mai non si potesse riporre. E cominciossi la detta terra a edificare a dì VII di settembre, gli anni di Cristo MCCCVI, e puosolle nome Santo Barnaba. E ciò fatto, del mese d'ottobre vegnente i Fiorentini cavalcarono co·lloro oste oltre l'alpe, e guastarono tutte le terre degli Ubaldini, perch'aveano fatta guerra e ritenuti i Bianchi e' Ghibellini.
LXXXVII
Come i Fiorentini rafortificaro il popolo, e feciono il primo esecutore degli ordini de la giustizia.
Nel detto anno MCCCVI, del mese di dicembre, parendo a' popolani di Firenze che i loro grandi e possenti avessero presa forza e baldanza per la guerra fatta e vittorie avute contra i Bianchi e' Ghibellini usciti di Firenze, sì vollono riformare il popolo di Firenze, e chiamarono XVIIII gonfalonieri de le compagnie, e che tutti i popolani per contrade com'erano ordinati, quando bisogno fosse, traessono con arme a loro gonfalone, e a l'oferta della festa di santo Giovanni andassono co' detti gonfaloni; che in prima s'andava ciascuno de le XXI arti per loro, e sotto il loro gonfalone de la detta arte. E ciò ordinato e messo in ordine di giustizia, e' diedono loro XVIIII gonfaloni al modo d'insegne de l'antico popolo vecchio, e poi al tempo che 'l cardinale da Prato venne in Firenze, erano rinovellati. Bene erano al suo tempo XX gonfaloni, che n'era uno balzano in San Piero Scheraggio, che lasciaro; e dove al tempo de·legato da Prato nonn-avea ne' gonfaloni null'altra insegna se non dell'arme delle compagnie e del popolo, sì vi s'agiunse sopra ciascuno gonfalone il rastrello dell'arme del re Carlo, e chiamossi il buono popolo guelfo. E del mese di marzo vegnente per fortificamento di popolo feciono venire in Firenze l'essecutore degli ordinamenti de la giustizia, il quale dovesse inchiedere e procedere contro a' grandi che offendessono i popolani. E il primo esecutore che venne in Firenze ebbe nome Matteo, e fue della città d'Amelia di terra di Roma, e fu valente uomo e molto temuto da' grandi, e fatto cavaliere per lo popolo; de le quali novitadi e reformazione di popolo i grandi si tennero forte gravati.
LXXXVIII
Di grande guerra che si cominciò al marchese da Ferrara, e come morìo.
Nel detto anno MCCCVI i Veronesi, Mantovani, e Bresciani feciono lega insieme, e grande guerra mossono al marchese Azzo da Esti ch'era signore di Ferrara, per sospetto preso di lui, ch'egli non volesse esser signore di Lombardia, perch'avea presa per moglie una figliuola del re Carlo; e corsono la sua terra, e tolsongli più di sue castella. Ma l'anno appresso, fatto suo isforzo, e con aiuto de la gente di Piemonte del re Carlo, fece oste grande sopra loro, e corse le loro terre, e fece loro grande dammaggio. Ma poco tempo appresso amalò e si morì il detto marchese Azzo in grande miseria e istento; il quale era stato il più leggiadro e ridottato e possente tiranno che fosse in Lombardia, e di lui non rimase figliuolo neuno madornale, e la sua terra e signoria rimase in grande quistione tra frategli e nipoti, e uno suo figliolo bastardo ch'avea nome messer Francesco, il quale i Viniziani molto favoravano, perch'era nato di Vinegia; e molta briga e guerra con danno de' Viniziani ne seguì appresso, come innanzi per gli tempi faremo menzione.
LXXXIX
Come messer Nepoleone Orsini legato venne ad Arezzo, e dell'oste che Fiorentini feciono a Gargosa.
Negli anni di Cristo MCCCVII messer Nepoleone degli Orsini legato per la Chiesa si partì di Romagna, e passò in Toscana, e venne a la città d'Arezzo, e dagli Aretini fu ricevuto a grande onore; e stando in Arezzo raunò tutti i suoi amici e fedeli di terra di Roma, de la Marca, e del Ducato, e di Romagna, e gli usciti bianchi e ghibellini di Firenze e dell'altre terre di Toscana, in quantità di MDCC cavalieri e popolo grandissimo, per fare guerra a' Fiorentini. I Fiorentini sentendo sua venuta e raunata, sì·ssi guernirono, e richiesono gli amici, e trovarsi nel torno di IIIm cavalieri e più di XVm pedoni, e partìsi di Firenze del mese di maggio, non attendendo che·legato e sua gente gli asalisse, e co·lloro oste n'andarono francamente in sul contado d'Arezzo, e tennero la via di Valdambra, guastando il paese; e presono più castella del Comune d'Arezzo e degli Ubertini, e feciolle disfare. E andando verso Arezzo, si puosono a oste al castello di Gargosa, e quello strinsono con battaglie e difici, e erano per averlo. Ma il legato per levarsi d'adosso la detta oste, con savio consiglio de' buoni capitani di guerra ch'erano co·llui, si partì d'Arezzo con tutta sua cavalleria e gente, e fece la via da Bibbiena per lo Casentino, e venne infino al castello di Romena, mostrando di scendere l'alpe, e di venire a la città di Firenze, dando suono che gli dovea essere data la terra. I Fiorentini sentendo sua venuta, ebbono grande paura e gelosia, e feciono grande guardia nella terra, e rimandarono nell'oste a Gargosa per la loro cavalleria e gente; ma innanzi che i messi vi giugnessono, que' dell'oste sentiro la partita che·legato fece d'Arezzo, e come facea la via del Casentino; temendo de la città di Firenze, incontanente si ricolsono, e la sera quasi di notte si partirono disordinatamente, e tutta la notte cavalcarono chi meglio ne potea venire. La quale partita de' Fiorentini e di loro amici fue sanza alcuno danno, ma non sanza grande vergogna di mala condotta e di grande pericolo. Che se il legato avesse lasciati in Arezzo CCC cavalieri e M pedoni, e alla levata de' Fiorentini gli avessono assaliti, ne tornavano sconfitti. E per lo detto modo chi prima e chi poi si tornarono in Firenze; e saputo ciò, il legato si tornò con sua gente inn-Arezzo. Dopo queste cose i·legato andò a Chiusi e al castello della Pieve, e più trattati d'accordo ebbe co' Fiorentini, i quali mandaro a·llui loro ambasciadori, cercando di rimettere in Firenze i Bianchi e' Ghibellini con certi patti, e pacificarli insieme. E dopo molte rivolture, i Fiorentini non fidandosi, e tegnendo il legato in vana speranza, tutto il trattato tornò in niente. Per la qual cosa il legato veggendosi non ubbidito e scemato il suo podere, con poco onore si partì di Toscana, e tornossi oltre i monti a la corte, lasciando i signori che reggeano Firenze scomunicati, e la città e 'l contado interdetta. E rimasi i Fiorentini male disposti, del presente mese di luglio del detto anno feciono sopra i cherici una grande e grave imposta; e perché non voleano pagare, più ingiurie furono fatte a' cherici, e a' loro osti e fittaiuoli, e pure convenne che pagassono. E la Badia di Firenze, andandovi l'uficiale isattore con sua famiglia, i monaci chiusono le porte, e sonarono le campane; per la qual cosa dal popolo minuto e da' malandrini, con sospignimento di loro possenti vicini grandi e popolani che non gli amavano, furono corsi a furore, e tutti rubati. E poi il Comune, perch'aveano sonato, volea tagliare il campanile da piè, e disfecionne di sopra presso che la metade; la quale furia fue molto biasimata per la buona gente di Firenze.
XC
Come morìo il buono re Adoardo d'Inghilterra.
Nel detto anno MCCCVII, del mese di giugno, morìo il buono e valente Adoardo re d'Inghilterra, il quale fue uno de' valorosi signori e savio de' Cristiani al suo tempo, e bene aventuroso in ogni sua impresa di là da mare contra i Saracini, e in suo paese contra gli Scotti, e in Guascogna contro a Franceschi, e al tutto fu signore dell'isola d'Irlanda e di tutte le buone terre di Scozia, salvo che 'l suo rubello Ruberto di Busto, fattosi re degli Scotti, si ridusse con suoi seguagi a' boschi e montagne di Scozia, il quale dopo la morte del detto Adoardo fece gran cose contro agl'Inghilesi. Appresso la morte del buono re Adoardo, Adoardo suo primogenito prese per moglie Isabella figliuola del re Filippo di Francia; diedono compimento a l'accordo de la quistione di Guascogna, e isposata la detta donna del mese di gennaio presente, la quale era delle belle donne del mondo, e poi la Pasqua di Risoresso vegnente si fece coronare, egli e la reina, con grande festa e onore.
XCI
Come il re di Francia andò a Pittieri a papa Chimento per fare condannare la memoria di papa Bonifazio.
Nel detto anno e mese di giugno MCCCVII, essendo papa Chimento venuto co la corte a petizione del re di Francia a la città di Pettieri, il detto re di Francia con tre suoi figliuoli, e con messer Carlo di Valos e messer Luisi suoi fratelli, e con molti altri baroni e cavalieri, e col conte di Fiandra e' suoi figliuoli e fratelli vennero a Pittieri: e dato per lo papa compimento e fermezza a la pace del re di Francia al conte di Fiandra e' Fiaminghi, il re di Francia richiese al papa la quinta cosa che s'aveva fatta promettere, quando il re gli promise di farlo fare papa, cioè ch'egli condannasse la memoria di papa Bonifazio, e facesse ardere le sue ossa e corpo; e fece opporre contra lui a' suoi cherici e avogadi XLIII articoli di resia, profferendo di provagli; onde il papa e' suoi cardinali furono in grande turbazione per la detta richesta, però che 'l re volea o per ragione o per forza fornire le pruove, e come detto è adietro, il papa gliel'avea promesso e giurato; e di ciò si pentea molto, ma non s'osava scoprire contra 'l volere del re, e torto e abassamento de la Chiesa gli parea fare, se l'asentisse, però che in papa Bonifazio di ragione non si trovava nulla memoria di resia, ma si trovava per lo VI libro de le decretali ch'egli fece comporre, molto cattolico e utile, e per papa Bonifazio si trovava molto esaltata la santa Chiesa e le sue ragioni; e ancora più, del collegio de' cardinali v'avea di quegli ch'avea fatti papa Bonifazio, e 'l cardinale da Prato intra gli altri era uno di quegli; e se la memoria di papa Bonifazio fosse dannata, conveniva che fossono disposti del cardinalato. Per la qual cosa, così la setta de' cardinali ch'aveano tenuto col re di Francia in questo caso erano contro a·llui, come quegli della setta del nipote di papa Bonifazio. E stando la Chiesa in questa contumacia e perseguizione fatta per lo re, il papa non sapea che si fare, che male gli parea a rompere il suo saramento e promessa fatta al re, e peggio gli parea a corrompere e guastare la Chiesa di Roma. A la fine strignendosi di ciò a segreto consiglio col savio cardinale da Prato, che sapea le sue segrete promesse, sì gli disse: "Qui nonn-ha che uno rimedio, cioè che ti conviene dissimulare col re, e che tu gli dichi che, perché quello ch'egli domanda di papa Bonifazio sia forte caso a passare per la Chiesa, e parte del collegio de' cardinali non vi s'accordino, conviene di necessità, e ancora più acconcio del suo intendimento, e più abbominazione de la memoria di papa Bonifazio, che le pruove degli articoli ch'egli gli oppone si facciano in concilio generale, e fia più autentico e fermo. E per non avere contasto, sì metterai dinanzi al collegio che per più grandi e utili cose, in bene e istato di santa Chiesa e de' Cristiani che bisogni si faccia in concilio generale; e che in quello farai pienamente quello che domanda. E 'l detto concilio ordina e componi a la città di Vienna, per più comune luogo a' Franceschi, e Inghilesi, e Tedeschi, e Italiani, e a quegli di Linguadoco; e a questo non ti potrà opporre né contradiare: e ciò faccendo, tu e la Chiesa sarai in tua libertà; e partendoti di qui e andando a Vienna, sì sarai fuori de le sue forze e di suo reame". Al papa piacque molto il consiglio, e miselo a seguizione, e fece la risposta al re: onde il re si tenne forte gravato, ma non potendo il re a·cciò bene contradire, promettendogli il papa che bene il servirebbe, e faccendogli molte altre grazie e richeste, acconsentìe, credendosi sì adoperare al concilio a Vienna, che gli verrebbe fatto il suo intendimento. E così si tornò a Parigi, e mandò Luis suo primo figliuolo in Navarra con grande compagnia di baroni e cavalieri, e fecelo a la città di Pampalona coronare del reame di Navarra; e 'l papa piuvicato di fare concilio, e diterminatolo d'ivi a tre anni a Vienna, con tutta la corte poco tempo appresso uscì del reame di Francia, e venne a Vignone in Proenza nelle terre del re Ruberto.
XCII
Come e per che modo fu distrutta l'ordine e magione del Tempio di Gerusalem per procaccio del re di Francia.
Nel detto anno MCCCVII, innanzi che 'l re di Francia si partisse da la corte a Pittieri, sì accusò e dinunziò al papa per sodducimento de' suoi uficiali, e per cupidigia di guadagnare sopra loro, il maestro del Tempio e la magione di certi crimini ed errori che al re fu fatto intendente che' Tempieri usavano. Il primo movimento fu per uno priore di Monfalcone di tolosana de la detta ordine, uomo di mala vita ed eretico, e per gli suoi difetti messo in Parigi in perpetuale carcere per lo suo maestro. E trovandovisi dentro con uno Noffo Dei nostro Fiorentino, pieno d'ogni magagne, sì come uomini disperati d'ogni salute, e maliziosi e rei, con trovare la detta falsa accusa, e per guadagnare e uscire di pregione per l'aiuto del re. Ma ciascuno di loro feciono mala fine poco appresso: Noffo impiccato, e 'l priore morto a ghiado. Per fare al re guadagnare la misono innanzi a' suoi uficiali, e' detti il misono dinanzi al re; onde per sua avarizia si mosse il re, e sì ordinò e fecesi promettere segretamente al papa di disfare l'ordine de' Tempieri, opponendo contro a·lloro molti articoli di resia: ma più si dice che fu per trarre di loro molta moneta, e per isdegni presi col maestro del Tempio e colla magione. Il papa per levarsi d'adosso il re di Francia, per la richesta ch'egli avea fatta del condannare papa Bonifazio, come avemo detto dinanzi, o ragione o torto che fosse, per piacere al re gli asentì di ciò fare; e partito il re, in uno dì nomato per sue lettere, fece prendere tutti i Tempieri per l'universo mondo, e staggire tutte le loro chiese e magioni e possessioni, le quali erano quasi innumerabili di podere e ricchezze; e tutte quelle del reame di Francia fece occupare il re per la sua corte, e a Parigi fece prendere il maestro del Tempio, il quale avea nome fra Giache de' signori da Mollai in Borgogna, con LX frieri cavalieri e gentili uomini, opponendo contro a·lloro certi articoli di resia, e certi villani peccati contra natura ch'usavano tra·lloro; e che alla loro professione giuravano d'atare la magione a diritto e a torto, e a uno modo quasi come idolari, e isputavano nella croce, e che quando il loro maestro si consegrava era di nascoso e privato, e non si sapea il modo; e opponendo che i loro anticessori per tradimento feciono perdere la Terrasanta, e prendere a la Monsura il re Luis e' suoi. E sopra ciò fatte dare per lo re certe pruove, gli fece tormentare di diversi tormenti perché confessassono; e non si truova che niente volessono di ciò confessare né riconoscere. E tegnendoli più tempo in pregione a grande stento, e non sappiendo dare fine al loro processo, a la fine di fuori di Parigi da Santo Antonio, e parte a San Luis in Francia, in uno grande parco chiuso di legname, LVI de' detti Tempieri fece legare ciascuno a uno palo, e cominciare a mettere loro il fuoco da' piè e a le gambe a poco a poco, e l'uno innanzi a l'altro amonendogli che quale di loro volesse raconoscere l'errore e' peccati loro opposti potesse scampare; e in su questo martorio confortati da' loro parenti e amici che riconoscessono, e non si lasciassono così vilmente morire e guastare, niuno di loro il volle confessare; e con pianti e grida scusandosi com'erano innocenti e fedeli Cristiani, chiamando Cristo e santa Maria e gli altri santi, col detto martorio tutti ardendo e consumando finirono loro vita. E riserbato il maestro loro, e 'l fratello del Dalfino d'Alvernia, e fra Ugo di Paraldo, e un altro de' maggiori de la magione, e istati uficiali e tesorieri del re di Francia, furono menati a Pittieri dinanzi al papa, e fuvi il re di Francia, e promesso loro grazia se riconoscessono il loro errore e peccato, alcuna cosa si dice ne confessaro; e tornati a Parigi, e venuti due legati cardinali per dare la sentenzia e condannare l'ordine sotto la detta confessione, e per dare alcuna disciplina al detto maestro e' suoi compagni, essendo incontro a Nostra Dama di Parigi in su grandi pergami, e letto il processo, il detto maestro del Tempio si levò in piè gridando che fosse udito: e fatto silenzio per lo popolo, si disdisse che mai quelle resie e peccati loro opposti nonn-erano state vere, e che l'ordine di loro magione era santa e giusta e cattolica, ma ch'egli era ben degno di morte, e voleala sofferire in pace, però che per paura e per lusinghe del papa e del re, in alcuna parte l'aveano per inganno loro confessate. E rotto il sermone e non compiuto di dare sentenzia, si partiro i cardinali e gli altri parlati di quello luogo. E avuto consiglio col re, il detto maestro e suoi compagni in su l'Isola di Parigi dinanzi a la sala del re per lo modo degli altri loro frieri furono messi a martirio, ardendo il maestro a poco a poco, e sempre dicendo che la magione e loro religione era cattolica e giusta, accomandandosi a Dio e a santa Maria; e simile fece il fratello del Dalfino; fra Ugo di Paraldo e l'altro per paura del martorio confessaro e raffermaro quello ch'aveano detto dinanzi dal papa e al re, e scamparo, ma poi moriro miseramente. E per molti si disse che furono morti e distrutti a torto e a peccato, e per occupare i loro beni, i quali poi per lo papa furono privileggiati, e dati a la magione dello Spedale, ma convennegli loro ricogliere e ricomperare dal re di Francia e dagli altri prencipi e signori, e con tanta quantità di moneta, che cogli 'nteressi corsi poi la magione dello Spedale fu ed è più povera che non era prima del loro propio, o che Idio il dimostrasse per miracolo. E lo re di Francia e' suoi figliuoli ebbono poi molte vergogne e aversitadi, e per questo peccato, e per quello della presura di papa Bonifazio, come innanzi si farà menzione. E nota che la notte appresso che'l detto maestro e'l compagno furono martorizzati, per frati e altri religiosi le loro corpora e ossa come relique sante furono ricolte, e portate via in sacri luoghi. In questo modo fu distrutta e messa a niente la ricca e possente magione del Tempio di Gerusalem gli anni di Cristo MCCCX. Lasceremo de' fatti di Francia, e torneremo a' nostri fatti d'Italia.
XCIII
Di novitadi e sconfitte che furono in Romagna e in Lombardia.
Nel detto anno MCCCVII, del mese d'agosto, essendo i Guelfi a l'assedio a Brettinoro, la lega de' Ghibellini di Romagna raunati insieme co·lloro amistà sconfissono li Guelfi; e furonne tra morti e presi più di MM tra piè e a cavallo. E l'aprile vegnente MCCCVIII il popolo de la città di Parma con trattato d'Orlando de' Rossi e de' suoi cacciarono di Parma messer Ghiberto da Coreggio, il quale n'era signore; per la qual cosa s'acompagnò co' Mantovani e' Veronesi, e imparentossi co' signori della Scala; e del mese di giugno vegnente il detto messer Ghiberto venne verso Parma co la forza di messere Cane della Scala, e con quella de' Mantovani e Parmigiani. I Parmigiani uscendo contro a·lloro furono sconfitti, e 'l detto messer Ghiberto tornò in Parma e funne signore, e caccionne i Rossi e' suoi nemici, e fece mozzare la testa a XXVIIII popolani, i quali erano stati caporali a la sua cacciata.
XCIV
Come fue morto il re Alberto de la Magna.
Nel detto anno MCCCVIII, in calen di maggio, lo re Alberto d'Alamagna, che s'attendea d'essere imperadore, fu morto a ghiado da uno suo nipote a tradigione a uno valicare d'uno fiume scendendo de la nave, per cagione che 'l detto re Alberto gli occupava il retaggio de la parte sua del ducato d'Osteric. Lasceremo alquanto delle cose de' forestieri, e torneremo a raccontare de le novitadi che ne' detti tempi furono nella nostra città di Firenze.
XCV
Come una podestà di Firenze si fuggì col suggello dell'Ercore del Comune.
Nel detto anno MCCCVIII, essendo podestà di Firenze uno messer Carlo d'Amelia fratello del primo esecutore degli ordini della giustizia, avendo egli e sua famiglia fatte in Firenze molte baratterie, e guadagnerie, e pessime opere, e già di ciò molto scoperto, temendosi al suo sindicato esser condannato e ratenuto, la notte di santo Giovanni del mese di giugno furtivamente si fuggì con sua privata famiglia, onde fu condannato per baratteria. E per riavere pace e danari dal Comune sì ne portò seco il suggello del Comune, dov'era intagliata l'imagine dell'Ercore, e tennelo più tempo, istimandosi che 'l Comune il traesse di bando, e ricomperasselo molta moneta: onde il Comune il mise in abandono operando altro suggello e notificandolo in tutte parti, sì che non fosse data fede a quello suggello. A la fine il suo fratello gliele tolse, e rimandollo in Firenze, e d'allora innanzi s'ordinò che né podestà né priori tenessono suggello di Comune, ma fecionne cancelliere e guardiano i frati conversi di Settimo, che stanno nella camera dell'arme del palagio de' priori.
XCVI
Come fu morto il nobile e grande cittadino di Firenze messer Corso de' Donati.
Nel detto anno MCCCVIII, essendo nella città di Firenze cresciuto scandolo tra' nobili e potenti e popolani di parte nera che guidavano la città per invidia di stato e di signoria, come si cominciò al tempo del romore della ragione, come addietro facemo memoria; questo invidioso portato convenne che partorisse dolorosa fine, che per le peccata della superbia, e invidia, e avarizia, e altri che regnavano tra·lloro erano partiti in setta; e dell'una era capo messer Corso de' Donati con séguito d'alquanti nobili e di certi popolani, e intra gli altri quegli della casa di Bordoni, e dell'altra erano capo messer Rosso della Tosa, messere Pazzino de' Pazzi, e messer Geri Spini, e messer Betto Brunelleschi co' loro consorti, e con quegli de' Cavicciuli, e di più altri casati grandi e popolani, e la maggiore parte de la buona gente della cittade, i quali aveano gli ufici e 'l governamento de la terra e del popolo. Messer Corso e' suoi seguagi parendo loro esser male trattati degli onori e ofici a·lloro guisa, parendogli essere più degni, però ch'erano stati i principali ricoveratori dello stato de' Neri e cacciatori della parte bianca; ma per l'altra parte si disse che messer Corso volea essere signore della cittade e non compagnone; quale che si fosse il vero o la cagione, i detti, e quegli che reggeano il popolo, l'aveano in odio e a grande sospetto, dapoi s'era imparentato con Uguiccione della Faggiuola, Ghibellino e nimico de' Fiorentini; e ancora il temeano per lo suo grande animo e podere e séguito, dubitando di lui che non togliesse loro lo stato e cacciasse de la terra, e massimamente perché trovarono che 'l detto messere Corso avea fatta lega e giura col detto Uguiccione da la Faggiuola suo suocero, e mandato per lui e per suo aiuto. Per la qual cosa, e per grande gelosia, subitamente si levò la cittade a romore, e sonarono i priori le campane a martello, e fu ad arme il popolo e' grandi a piè e a cavallo, e le masnade de' Catalani col maliscalco del re, ch'era a posta di coloro che guidavano la terra. E subitamente, com'era ordinato per gli sopradetti caporali, fu data una inquisizione overo accusa a la podestà, ch'era messer Piero de la Branca d'Agobbio, incontro al detto messer Corso, opponendogli come dovea e volea tradire il popolo, e sommettere lo stato della cittade, faccendo venire Uguiccione da Faggiuola co' Ghibellini e nimici del Comune. E la richesta gli fu fatta, e poi il bando, e poi la condannagione: in meno d'una ora, sanza dargli più termine al processo, messer Corso fu condannato come rubello e traditore del suo Comune, e ancontanente mosso da casa i priori il gonfalone della giustizia con podestà, capitano, e esecutore, co·lloro famiglie e co' gonfaloni de le compagnie, col popolo armato e le masnade a cavalio a grido di popolo per venire a le case dove abitava messer Corso da San Piero Maggiore per fare l'esecuzione. Messer Corso sentendo la persecuzione che gli era mossa e chi disse per esser forte a fornire il suo proponimento, attendendo Uguiccione de la Faggiuola con grande gente, che già n'era giunta a Remole - sì s'era aserragliato nel borgo di San Piero Maggiore a piè de le torri del Cicino, e in Torcicoda, e a la bocca che va verso le Stinche, e a la via di San Brocolo con forti isbarre, e con genti assai suoi consorti e amici armati, e con balestra, i quali erano rinchiusi nel serraglio al suo servigio. Il popolo cominciò a combattere i detti serragli da più parti, e messer Corso e' suoi a difendere francamente: e duròe la battaglia gran parte del dì, e fue a tanto, che con tutto il podere del popolo, se i·rinfrescamento de la gente d'Uguiccione, e gli altri amici di contado invitati per messer Corso gli fossono giunti a tempo, il popolo di Firenze avea quello giorno assai a·ffare; ché, perché fossono assai, erano male in ordine e non molto inn-accordo, però ch'a parte di loro non piacea. Ma sentendo la gente d'Uguiccione come messer Corso era assalito dal popolo, si tornaro adietro, e' cittadini ch'erano nel serraglio si cominciarono a partire, onde rimase molto sottile di genti, e certi del popolo ruppono il muro del giardino di contro alle Stinche, e entrarono dentro con grande gente d'arme. E veggendo ciò messer Corso e' suoi, e che 'l soccorso d'Uguiccione e degli altri suoi amici gli era tardato e fallito, sì abandonò le case, e fuggìsi fuori de la terra, le quali case dal popolo incontanente furono rubate e disfatte, e messer Corso e' suoi perseguiti per alquanti cittadini a cavallo e Catalani mandati in pruova che 'l pigliassono. E per Boccaccio Cavicciuli fu giunto Gherardo Bordoni in sull'Africo, e morto, e tagliatagli la mano, e recata nel corso degli Adimari, e confitta a l'uscio di messer Tedici degli Adimari suo consorto, per nimistade avuta tra·lloro. Messer Corso tutto solo andandosene, fue giunto e preso sopra a Rovezzano da certi Catalani a cavallo, e menandolne preso a Firenze, come fue di costa a San Salvi, pregando quegli che'l menavano, e promettendo loro molta moneta se lo scampassono, i detti volendolo pure menare a Firenze, sì com'era loro imposto da' signori, messer Corso per paura di venire a le mani de' suoi nemici e a essere giustiziato dal popolo, essendo compreso forte di gotte ne le mani e ne' piedi, si lasciò cadere da cavallo. I detti Catalani veggendolo in terra, l'uno di loro gli diede d'una lancia per la gola d'uno colpo mortale, e lasciarollo per morto: i monaci del detto monistero il ne portaro ne la badia, e chi disse che inanzi che morisse si rimise ne le mani di loro in luogo di penitenzia, e chi disse che il trovar morto; e l'altra mattina fu soppellito in San Salvi con piccolo onore e poca gente, per tema del Comune. Questo messer Corso Donati fue de' più savi, e valente cavaliere, e il più bello parlatore, e 'l meglio pratico, e di maggiore nominanza, e di grande ardire e imprese ch'al suo tempo fosse in Italia, e bello cavaliere di sua persona e grazioso, ma molto fu mondano, e di suo tempo fatte in Firenze molte congiurazioni e scandali per avere stato e signoria; e però avemo fatto de la sua fine sì lungo trattato, però che fu grande novità a la nostra cittade, e seguirne molte cose appresso per la sua morte, come per gl'intendenti si potrà comprendere, acciò che sia assempro a quegli che sono a venire.
XCVII
Come arse la chiesa di Laterano di Roma.
Nel detto anno MCCCVIII, del mese di giugno, s'apprese il fuoco ne' palagi papali di Santo Giovanni Laterano di Roma, e arsono tutte le case de' calonaci, e tutta la chiesa e circuito, e non vi rimase ad ardere se non la piccola cappelletta in volte di Sancto Sanctorum, ove si dice ch'è la testa di santo Piero e quella di santo Paolo, e molte relique di santi: e ciò fu con grandissimo dammaggio di tesoro e d'arnesi, sanza lo 'nfinito danno della chiesa e palazzi e case. Poi sappiendolo papa Chimento, l'anno appresso, vi mandò suoi uficiali con grande quantità di moneta, e la detta chiesa fece ristorare, e rifare più bella e più ricca che non era prima, e simile i palazzi papali e le case de' calonaci, e penarsi a·ffare parecchi anni, e costarono molto tesoro a la Chiesa.
XCVIII
Come i grandi di Samminiato disfeciono il loro popolo.
Nel detto anno MCCCVIII, del mese d'agosto, i grandi di Samminiato del Tedesco, come sono Malpigli e Mangiadori, per soperchi ricevuti dal popolo di Samminiato, overo perché 'l popolo gli tenea corti, per modo che non poteano signoreggiare la terra a·lloro senno, sì s'accordaro insieme e feciono venire loro amistà di fuori, e con armata mano combattero col popolo e sconfissongli, e molti n'uccisono e presono, e a certi caporali feciono tagliare la testa, e tutti i loro ordini arsono, e la campana del popolo feciono sotterrare, e tennero poi il popolo in grande servaggio infino che le dette due case non ebbono discordia tra·lloro.
XCIX
Come i Tarlati furono cacciati d'Arezzo, e rimessivi i Guelfi.
Nel detto anno MCCCVIII, del mese di gennaio, il popolo d'Arezzo con aiuto e favore d'Uguiccione da Faggiuola che badava d'esserne signore cacciarono de la cittade i signori di Pietramala, detti Tarlati, per soperchi e oltraggi che faceano a' cittadini; e poco appresso vi rimisono la parte guelfa, che quegli di Pietramala n'aveano tenuti fuori per XXI anni; e quegli che signoreggiavano la cittade, ch'erano mischiati Guelfi e Ghibellini, si faceano chiamare la parte Verde; e mandarono loro ambasciadori a·fFirenze, e feciono pace co' Fiorentini, come i Fiorentini la seppono divisare; ma poco tempo durò questo stato in Arezzo, ché vi tornarono i Tarlati.
C
Come gli Ubaldini tornarono a ubidienza del Comune di Firenze.
In questo medesimo tempo i signori Ubaldini s'accordarono co' Fiorentini, e vennero in Firenze a·ffare reverenza e le comandamenta del Comune, e sodaro la cittadinanza di tenere il passaggio de l'alpi sicuro per idonei mallevadori. E 'l Comune di Firenze dimise e perdonò loro ogni misfatto, e accettogli per cittadini e distrittuali, loro, e' loro fedeli e terre, e che in ogni atto e fazioni dovessono fare al Comune come distrittuali e cittadini.
CI
Per che modo fue eletto imperadore di Roma Arrigo conte di Luzzimborgo.
Nel detto anno MCCCVIII, essendo morto lo re Alberto de la Magna, come dicemmo addietro, per la cui morte vacava lo 'mperio, e i lettori de la Magna erano in grande discordia tra·lloro di fare la lezione, lo re di Francia, sentendo la detta vacazione, sì·ssi pensò che gli verrebbe fornito il suo intendimento con poca fatica per la sesta promessa che gli avea fatta papa Chimento segretamente, quando gli promise di farlo fare papa, come adietro facemmo menzione; e raunò suo segreto consiglio con messer Carlo di Valos suo fratello, e quivi scoperse il suo intendimento, e i·lungo disiderio ch'egli avea avuto di fare eleggere a la Chiesa di Roma a re de' Romani messer Carlo di Valos, e eziandio vivendo Alberto re de la Magna, co la sua forza e podere e dispendio, e col podere del papa e de la Chiesa: ch'altre volte per antico avea rimossa la lezione de' Greci ne' Franceschi, e de' Franceschi negli Italiani, e degl'Italiani negli Alamanni, ora maggiormente ci dee venire fatto, dapoi che vaca lo 'mperio, e massimamente per la detta promessa e saramento che gli avea fatta papa Clemento, quando il fece fare papa. E scoperse tutto il segreto contratto co·llui, e fatto ciò, domandò il loro consiglio e fece giurare credenza. A questa impresa fue lo re confortato per tutti gli suoi consiglieri, e che in ciò s'aoperasse tutto il podere de la corona e di suo reame, sì che venisse fatto, sì per l'onore di messer Carlo di Valos che n'era degno, e perché l'onore e dignità dello 'mperio tornasse a' Franceschi, sì come fu per antico lungo tempo per gli loro anticessori, Carlo Magno e gli suoi successori. Inteso per lo re e per messer Carlo il conforto e buon volere del suo consiglio, sì furono molto allegri, e ordinaro che sanza indugio lo re e messer Carlo con grande forza di baroni e cavalieri d'arme andassono a Vignone al papa innanzi che gli Alamanni facessono altra lezione, mostrando e dando boce che la sua andata fosse per la richesta fatta contra la memoria di papa Bonifazio; e che quando il re fosse a corte, richiedesse al papa la sesta segreta promessa, cioè d'eleggere e confermare imperadore di Roma messer Carlo di Valos, e trovassesi sì forte di sua gente, che nullo cardinale né altri, né eziandio il papa, non l'ardisse a rifusare. E ciò ordinato, sì comandò a' baroni e cavalieri che s'aparecchiassono d'arme e di cavagli a fare compagnia al re per andare a la corte a Vignone, e quegli del siniscalco di Proenza fossono apparecchiati, e doveano essere in numero di più di VIm cavalieri d'arme. Ma come piacque a Dio, per non volere che la Chiesa di Roma fosse al tutto sottoposta a la casa di Francia, questo apparecchiamento del re e il suo intendimento fu fatto segretamente assentire al papa per uno del segreto consiglio del re di Francia. Il papa temendo della venuta del re con tanta forza, e ricordandosi della sua promessa fatta, riconoscendo ch'era molto contraria a la libertà della Chiesa, sì ebbe segreto consiglio solamente con messer d'Ostia cardinale da Prato, che già aveano preso isdegno col re di Francia per le disordinate richeste, e perché se la Chiesa avesse condannata la memoria di papa Bonifazio, ciò ch'avea fatto era casso e annullato, e 'l cardinale di Prato fue per Bonifazio fatto cardinale con certi altri, come detto avemo in altra parte. Il detto cardinale udendo quello che sentia il papa della 'ntenzione e della venuta del re di Francia, sì disse: "Padre santo, qui nonn-ha che uno remedio, cioè che innanzi ti faccia la richesta il re, per te s'ordini co' prencipi de la Magna segretamente e con istudio ch'eglino facciano lezione d'imperio". Al papa piacque il consiglio, ma disse: "Cui volemo per imperadore?". Allora il cardinale molto antiveduto, non tanto solamente per la libertà della Chiesa, quanto a sua propietà e di sua parte ghibellina rilevare in Italia, disse: "Io sento che 'l conte di Luzzimborgo è oggi il migliore uomo de la Magna, e il più leale e il più franco, e più cattolico, e non mi dubito, se viene per te a questa dignità, ch'egli non sia fedele e obbediente a te e a santa Chiesa, e uomo da venire a grandissime cose". Al papa piacque per la buona fama che sentia di lui; disse: "Questa lezione come si può fornire per noi segretamente, mandando lettere con nostra bolla, che nol senta il collegio de' nostri frati cardinali?". Rispuose il cardinale: "Fa' a·llui e a' lettori tue lettere col piccolo e segreto suggello, e io scriverò loro per mie lettere più a pieno il tuo intendimento, e manderolle per mio famigliare"; e così fu fatto. E come piacque a·dDio, giunti i messaggi ne la Magna e presentate le lettere, in otto dì i prencipi de la Magna furono congregati a Midelborgo, e ivi sanza niuno discordante elessero a re de Romani Arrigo conte di Luzzimborgo; e ciò fu per la industria e studio del detto cardinale, che scrisse a' prencipi infra l'altre parole: "Fate d'essere in accordo del tale, e sanza indugio, se non, io sento che la lezione e la signoria dello 'mperio tornerà a' Franceschi". Fatto ciò, la lezione fu pubblicata in Francia e in corte di papa incontanente; non sappiendo il modo il re di Francia, che facea l'apparecchiamento per andare a corte, si tenne ingannato, e mai non fu poi amico del detto papa.
CII
Come Arrigo imperadore fue confermato dal papa.
Nel detto anno, essendo fatta la lezione d'Arrigo di Luzzimborgo a re de' Romani, sì mandò a Vignone a corte a papa Clemento per la sua confermazione il conte di Savoia suo cognato e messer Guido di Namurro fratello del conte di Fiandra suo cugino, i quali dal papa e da' cardinali onorevolemente furono ricevuti, e del mese d'aprile MCCCVIIII, per lo papa il detto Arrigo fue confermato a imperadore, e ordinato che 'l cardinale dal Fiesco e 'l cardinale di Prato fossono legati in Italia e in sua compagnia quando venisse di qua da' monti, comandando da parte de la Chiesa che da tutti fosse ubbidito. Incontanente che' suo' ambasciadori furono tornati co la confermagione del papa, se n'andò ad Asia la Cappella in Alamagna con tutta la baronia e prelati d'Alamagna, e fuvi il duca di Brabante, e 'l conte di Fiandra, e 'l conte d'Analdo, e più baroni di Francia, e ad Asia per l'arcivescovo di Cologna onorevolemente e sanza nullo contasto fu de la prima corona coronato il dì de la Epifania MCCCVIII a re de' Romani.
CIII
Come i Viniziani presono la città di Ferrara e poi la perdero.
Nel detto anno MCCCVIII, a dì X di gennaio, i Viniziani presono per forza di loro navilio la città di Ferrara, la quale era de la Chiesa di Roma, e cacciarne messer Francesco da Esti; per la qual cosa dal sopradetto papa furono scomunicati, e contra loro fatto gran processo, e a chi desse aiuto a la Chiesa fu fatta grande indulgenza per due legati del papa che vennero in Lombardia, i quali coll'aiuto de' Bolognesi e della lega di Lombardia de la parte della Chiesa racquistarono Ferrara, salvo il Castello Tedaldo ch'era in capo della terra, molto forte e grande, che rimase a' Viniziani; e in quello mese i Viniziani furono sconfitti a Francolino, ch'erano venuti per assediare Ferrara, per la gente della Chiesa.
CIV
Come il maestro dello Spedale prese l'isola di Rodi.
Nell'anno MCCCVIII, del mese di febbraio, i frieri dello Spedale ebbono grandi privilegi dal detto papa Chimento di grandi perdonanze a chi facesse loro aiuto al conquisto d'oltremare, e per Italia andarono predicando, e raunarono moneta assai, e poi la state vegnente il loro maestro da Napoli fece suo passaggio, e presono l'isola di Rodi in Turchia con grande danno de' Saracini e de' Greci.
CV
Come il re d'Araona s'apparecchiò di venire in Sardigna.
Nel detto anno e mese, apparecchiandosi il re d'Araona di venire a prendere Sardigna, e avea richesti i Fiorentini e' Lucchesi e la taglia di Toscana di fare compagnia co·lloro a guerreggiare i Pisani, i detti Pisani gli mandarono loro ambasciadori in tre galee con molta moneta, onde il detto re si rimase de la detta impresa.
CVI
Come i Guelfi furono cacciati di Prato, e poi lo racquistarono.
Nell'anno MCCCVIIII, a dì VI d'aprile, i Bianchi e' Ghibellini di Prato ne cacciarono fuori i Guelfi e' Neri; il seguente dì fu per loro ricoverato coll'aiuto de' Fiorentini e de' Pistolesi, e per gli Fiorentini vi fu messa la signoria.
CVII
Come i Tarlati tornarono inn-Arezzo e cacciarne i Guelfi.
Nel detto anno, a dì XXIIII del mese d'aprile, i Tarlati d'Arezzo co·lloro parte ghibellina tornarono in Arezzo, e cacciarne fuori i Guelfi e' Verdi, e uccisonne assai, e ruppono la pace ch'aveano co' Fiorentini.
CVIII
Quando morì il re Carlo secondo.
Nel detto anno, il dì di Pentecosta, a dì III di maggio, morì il re Carlo secondo, il quale fu uno de' larghi e graziosi signori ch'al suo tempo vivesse, e nel suo regno fu chiamato il secondo Allessandro per la cortesia; ma per altre virtù fu di poco valore, e magagnato in sua vecchiezza disordinatamente in vizio carnale, e d'usare pulcelle, iscusandosi per certa malattia ch'avea di venire misello; e lui morto, a Napoli fu soppellito a grande onore.
CIX
De' segni ch'aparirono in aria.
Nel detto anno MCCCVIIII, a dì X di maggio, di notte, quasi al primo sonno, apparve in aria uno grandissimo fuoco, grande in quantità d'una grande galea, correndo da la parte d'aquilone verso il meriggio con grande chiarore, sì che quasi per tutta Italia fu veduto, e fu tenuto a grande maraviglia; e per gli più si disse che fu segno de la venuta dello 'mperadore.
CX
Come i Fiorentini ricominciarono guerra ad Arezzo.
Nel detto anno, dì XXIII di maggio, cavalcarono i Fiorentini CC cavallate e certi pedoni, e la masnada de' Catalani col maliscalco del duca al Monte San Savino, che si tenea per gli Fiorentini, e di là andaro in sul contado d'Arezzo ardendo e guastando, e furono infino a le porte d'Arezzo, e feciono dannaggio assai. Poi a dì VIII di giugno si tornarono in Firenze sani e salvi.
CXI
Come i Lucchesi vollono disfare Pistoia, e' Fiorentini furono contradianti.
Nel detto anno, in calen di giugno, i Lucchesi vennero a Serravalle, popolo e cavalieri, innanimati di disfare Pistoia al tutto, o almeno la loro metade; la qual cosa a' Fiorentini non piacque, parendo loro spietata e crudel cosa. Diedono parola a' Pistolesi che si difendessono, e a chi di Firenze gli volesse aiutare, sì che coll'aiuto di messer Lippo Vergellesi, che tenea il castello de la Sambuca, essendo i Lucchesi già a Pontelungo, gli ripararo con danno e vergogna di loro. Per la qual cosa i Fiorentini aconsentiro a' Pistolesi che rifermassono la terra; i quali in due dì rimondarono i fossi e rifeciono gli steccati con bertesche intorno a la città, e a·cciò furono uomini, e donne, e preti, e fanciulli, che fu tenuto gran cosa. La quale benignità e pietà de' Fiorentini tornò loro poi per più volte molto contradia, con grandi pericoli e spendii de' Fiorentini, sì come innanzi per gli tempi si farà menzione, e più volte poi fu più commendata la furia de' Lucchesi, che la piatà e astinenza de' Fiorentini.
CXII
Come il re Ruberto fu coronato del regno di Cicilia e di Puglia.
Anno MCCCVIIII, del mese di giugno, il duca Ruberto, allora primogenito del re Carlo, andò per mare da Napoli in Proenza a la corte con grande navilio di galee e grande compagnia, e fue coronato a re di Cicilia e di Puglia da papa Clemento il dì di santa Maria di settembre del detto anno, e aquetato di tutto il presto che la Chiesa avea fatto al padre e a l'avolo per la guerra di Cicilia, il quale si dice ch'erano più di CCC migliaia d'once d'oro. Nel detto mese e anno i Guelfi furono cacciati d'Amelia per la forza de' Colonnesi.
CXIII
Come gli Ancontani furono sconfitti dal conte Fedrigo.
Nel detto anno e mese di giugno il conte Fedrigo da Montefeltro con quegli da Iegi, e d'Osimo, ed altri Marchigiani ghibellini sconfissono gl'Ancontani ch'erano a oste sopra il contado di Iegi: furonne tra presi e morti, tra di cavallo e di piè, più di Vm.
CXIV
Come messer Ubizzino Spinoli fu cacciato di Genova e sconfitto.
Nel detto anno MCCCVIIII, dì XI di giugno, essendo messer Ubizzino Spinoli signore di Genova, e cacciatine più tempo dinanzi i Guelfi, e poi gli Ori e loro séguito, e gli Spinoli suoi consorti da basso, e la terra tenea quasi a guisa di tiranno, i detti usciti, così i Guelfi come i Ghibellini, fatta lega e compagnia vennero co·lloro isforzo di gente a cavallo e a piè assai infino in Ponzevera per rientrare in Genova. Il detto messer Ubizzino con suo isforzo di gente a cavallo e popolo di Genova a piè si fece a lo 'ncontro, gli usciti vigorosamente assalendo il popolo di Genova, il quale era partito, e male seguiro messer Ubizzino, ma si misono in fugga, onde fu sconfitto con piccola mortalità di gente: si fuggì in Serravalle co' suoi seguagi. Gli Ori, e' Grimaldi, e gli altri usciti si rientraro in Genova sanza fare altra novità, se non che feciono disfare il castello di Luccoli ch'era in Genova, del detto messer Ubizzino.
CXV
Come i Viniziani furono sconfitti a Ferrara.
Nel detto anno, a l'uscita di luglio, i Fiorentini mandarono cavalieri e pedoni in servigio de la Chiesa al cardinale Pelagrù nipote e legato del papa, il quale era al soccorso di Ferrara, che v'erano i Viniziani per comune ad oste per terra e per acqua, onde il detto legato ebbe a grande grado da' Fiorentini, ch'erano interdetti da la Chiesa, e però non lasciaro il servigio. Poi il settembre vegnente la gente del legato co' Fiorentini e Bolognesi combattero co' Viniziani e sconfissongli a dì XXVII d'agosto prossimo, onde rimasono tra morti e presi e anegati in Po de' Viniziani più di VIm uomini, e perdero al tutto Ferrara e 'l Castello Tedaldo. Poi l'anno appresso tornando il detto legato in Toscana, venne in Firenze, e per li Fiorentini gli fu fatto grande onore, e presentargli IIm fiorini d'oro, e 'l carroccio gli andò incontro con grande processione; per la qual cosa e servigio fatto il detto legato assolvette i Fiorentini de la 'nterdizione e scomunica, e riconciliogli colla Chiesa della discordia dove gli aveva messi messer Nepoleone, come adietro si fece menzione, e rendé l'oficio a' Fiorentini a dì XXVI di settembre, anno detto.
CXVI
De la guerra de' Volterrani e que' di San Gimignano.
Nel detto anno MCCCVIIII, del mese d'agosto, si cominciò grande guerra tra' Volterrani e que' di San Gimignano per quistione di loro confini; e ciascuno fece suo isforzo di più di VIIc cavalieri per parte, e durò la guerra più mesi con grande spendio e dammaggio dell'una parte e dell'altra, d'arsioni e di guasto e di più avisamenti. I Fiorentini e' Sanesi assai si travagliaro d'aconciargli insieme; quando volea l'uno non volea l'altro, che si tenea soverchiato. A la fine i Fiorentini vi cavalcaro con grande isforzo, dicendo d'esser contra la parte che non volesse l'acordo. Quegli dibattuti di spese e della guerra, si rimisono ne' Fiorentini; e per gli Fiorentini fue giudicata e terminata la quistione, e messi i termini a' confini, e ciascuno a' suoi termini fece una fortezza, e fu fatta la pace. E nel detto mese d'agosto, scurò tutta la luna; e po' l'ultimo dì di gennaio scurò gran parte del sole, e 'l febbraio seguente ancora scurò la luna. Nel detto anno fu grande dovizia di pane e vino: valse lo staio del grano in Firenze soldi VIII, e 'l cogno del mosto in certe parti meno di soldi XL.
CXVII
Come gli Orsini di Roma furono sconfitti da' Colonnesi.
Nel detto anno, del mese d'ottobre, si riscontraro certi degli Orsini e di Colonnesi e di loro seguaci, in quantità di CCCC a cavallo, fuori di Roma, e combatterono insieme, e' Colonnesi furono vincitori, e fuvi morto il conte dell'Anguillara, e presi VI degli Orsini, e messer Riccardo de la Rota degli Anibaldeschi ch'era in loro compagnia.
CXVIII
Come gente d'Arezzo furono sconfitti dal maliscalco de' Fiorentini.
Nel detto anno, di febbraio, il re Ruberto mandò in Firenze sua bandiera al suo maliscalco ch'era in Firenze con CCC cavalieri catalani, che in prima che fosse coronato a re, il suo detto maliscalco portava pure pennone della sopransegna del duca.
Il detto maliscalco per provare la bandiera e per andare in servigio di que' de la Città di Castello, i quali aveano richesti i Fiorentini d'aiuto contra gli Aretini, con sua gente a cavallo e a piè, con III de' maggiori di Firenze per sesto, e con certi pedoni eletti, si partiro di Firenze martidì a dì X di febbraio, e furono intorno di CCCL cavalieri e VIc pedoni. Feciono la via di Valdarno e poi per Vallelunga a l'olmo d'Arezzo, guastando per lo contado d'Arezzo. Gli Aretini, popolo e cavalieri, e usciti di Firenze, con Uguiccione da Faggiuola loro capitano sotto Cortona si pararono loro dinanzi credendogli avere sorpresi, gli assaliro per loro feditori, i quali dal detto maliscalco e Fiorentini furono rotti, e Uguiccione col popolo si fuggì ad Arezzo inn-isconfitta, e rimansovi morti Vanni de' Tarlati, e Cione de' Gherardini, e uno de' Pazzi di Valdarno con più altri, e tre di loro bandiere ne vennero co' pregioni a Firenze. Con tutta la vittoria, fue tenuta folle andata, perché si misono in forte passo e ne la forza de' nimici.
CXIX
Come i Fiorentini feciono oste ad Arezzo.
Nell'anno MCCCX, dì VIII di giugno, i Fiorentini co·lloro amistà in quantità di IIm cavalieri e popolo a piè grandissimo si partirono di Firenze per andare ad oste ad Arezzo. Prima si partissono vennono lettere e messi da Arrigo imperadore, comandando a' Fiorentini che l'oste non andasse sopra Arezzo, con ciò sia cosa ch'ell'era sua terra, e ch'egli intendea di pacificargli insieme a la sua venuta in Italia. Per la qual cosa in Firenze n'ebbe quistione, che chi volea e chi non volea che l'oste v'andasse. A la fine il popolo pur vinse ch'ell'andasse, e andò infino al vescovado vecchio d'Arezzo; e quivi si fermò il campo guastando intorno la terra; e più battaglie si diedono a la terra; e gran parte degli steccati da quella parte per gli Fiorentini s'abattero; e dissesi per molti che la terra s'arebbe avuta per forza, però che gli Aretini erano in fiebole stato, se non che certi grandi di Firenze per nudrire la guerra e moneta che n'ebbono - se 'l vero fu - non l'assentirono. A la fine si partì l'oste, e lasciaro uno battifolle molto forte presso ad Arezzo a due miglia al poggio ch'è sopra l'olmo, fornito di genti cogli usciti d'Arezzo, il quale fece loro molta guerra; e' Fiorentini tornarono in Firenze sani e salvi dì XXV di luglio, anno detto.
CXX
Come gli ambasciadori d'Arrigo re de' Romani vennero in Firenze.
Nel detto anno, dì III di luglio, vennero in Firenze messer Luis di Savoia eletto sanatore di Roma con II prelati cherici d'Alamagna e messer Simone Filippi da Pistoia, ambasciadori dello 'mperadore, richeggendo il Comune di Firenze che s'aparecchiassono di fargli onore a la sua coronazione, e che gli mandassero loro ambasciadori a Losanna; e richiesono e comandaro che l'oste ch'era ad Arezzo si dovesse partire. Fu per gli Fiorentini fatto un grande e bello consiglio, ove saviamente spuosero loro ambasciata. Risponditore fu fatto per lo Comune messer Betto Bruneleschi, il quale prima rispuose con parole superbe e disoneste, onde da' savi fu biasimato; poi per messer Ugolino Tornaquinci saviamente risposto, e cortesemente. Contenti si partiro a dì XII di luglio, e andarono nell'oste de' Fiorentini ad Arezzo, e feciono il somigliante comandamento si partisse l'oste; la quale non si partì per ciò. Rimasersi in Arezzo i detti ambasciadori assai indegnati contro a' Fiorentini.
CXXI
Di miracolosa gente che s'andarono battendo in Italia.
Nel detto anno apparì grande maraviglia, che si cominciò in Piemonte, e venne per Lombardia e per la riviera di Genova, e poi per Toscana, e poi quasi per tutta Italia, che molta gente minuta, uomini e femmine e fanciulli sanza numero, lasciavano i loro mestieri e bisogne, e colle croci innanzi s'andavano battendo di luogo in luogo, gridando misericordia, e faccendo fare l'uno a l'altro molte paci, tornando più genti a penitenzia. I Fiorentini e più altre città non gli lasciarono entrare in loro terre, ma gli scacciavano dicendo ch'era male segnale nella terra ove intrassero. E nel detto tempo, a di XII di maggio, il re di Francia fece a Parigi ardere il maestro del Tempio con LIIII suoi frieri de' maggiori de la magione, opponendo loro resia; ma i più dissono che fu loro fatto torto per occupare le loro possesioni, e a la loro morte riconoscendosi e confessandosi buoni Cristiani.

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Ultimo Aggiornamento:12/07/05 22:55