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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Secondo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO NONO (61-80)

LXI
Incidenza, contando come messer Maffeo Visconti fu cacciato di Melano.
Nel detto anno MCCCII, a dì XVI di giugno, messer Maffeo Visconti capitano di Milano fu cacciato della signoria. La cagione fue ch'egli e' figliuoli al tutto voleano la signoria di Milano, e a messer Piero Visconti, e gli altri suoi consorti, e agli altri cattani e varvassori non participava nullo onore. Per la qual cosa scandalo nacque in Milano, e' signori de la Torre colla forza del patriarca d'Aquilea, con grande oste vennero sopra Milano, e co·lloro messer Alberto Scotti di Piagenza, e il conte Filippone da Pavia, e messer Antonio da Fosseraco di Lodi. Messer Maffeo uscì contro a·lloro, ma per la quistione ch'avea co' suoi fue male seguito, e non avea podere contro a' nemici; onde messer Alberto Scotti si fece mezzano per fare accordo, e ingannò e tradì messer Maffeo, che rimessosi in lui, gli tolse la signoria del capitanato, onde messer Maffeo per onta non volle tornare in Milano; ma sanza battaglia si tornarono in Milano i signori della Torre, e rimasono signori di Milano messer Mosca e messer Guidetto di messer Nappo della Torre. E poco appresso morto messer Mosca, il detto messer Guidetto si fece fare capitano di Milano, e menò aspramente la sua signoria, e fue molto temuto e ridottato, e perseguitò molto il detto messer Maffeo e' figliuoli, sì che gli recò quasi a niente, e convenia s'andassono tapinando in diversi luoghi e paesi, e a la fine per loro sicurtà si ridussono a uno piccolo castello in ferrarese, ch'era de' marchesi da Esti suoi parenti, che Galasso suo figliuolo avea per moglie la serocchia del marchese. E sappiendolo messere Guidetto de la Torre, capitano di Milano e suo nimico, sì volle sapere novelle di lui e di suo stato, e disse a uno accorto e savio uomo di corte: "Se tu vuogli guadagnare uno palafreno e una roba vaia, andrai in tal parte ov'è messer Maffeo Visconti, e espia di suo stato". E per ischernirlo li disse: "Quando tu se' per prendere commiato da·llui, faragli due questioni: la prima, che tu il domandi come gli pare stare, e che vita è la sua; la seconda, quand'e' crede potere tornare in Milano". Il ministriere entrò in cammino e venne a messer Maffeo, e trovollo in assai povero abito secondo suo antico stato; e al dipartirsi da·llui, il pregò che gli facesse guadagnare uno palafreno e una roba vaia; rispuose che volentieri, ma non da·llui, che non l'avea; disse: "Da voi no·lla voglio io, ma rispondetemi a due questioni ch'io vi farò"; e dissele come gli furono imposte. Il savio intese da cui venieno, e rispuose subito molto saviamente; a la prima disse: "Parmi stare bene, però ch'io so vivere secondo il tempo". A la seconda rispuose, e disse: "Dirai al tuo signore, messer Guidetto, che quando i suoi peccati soperchieranno i miei io tornerò in Milano". Tornato l'uomo di corte a messer Guidetto, e rapportata la risposta, disse: "Bene hai guadagnato il palafreno e la roba, che bene sono parole del savio uomo messer Maffeo".
LXII
Come si cominciò la quistione e nimistà tra papa Bonifazio e 'l re Filippo di Francia.
Nel detto tempo, benché fosse cominciato assai dinanzi la sconfitta di Coltrai lo sdegno del re di Francia contro a papa Bonifazio, per cagione che la promessa che 'l detto papa avea fatta al re e a messer Carlo di Valos suo fratello di farlo essere imperadore quando mandò per lui, come addietro facemmo menzione, la qual cosa non attenne, quale che si fosse la cagione, anzi nel detto anno medesimo avea confermato a re de' Romani Alberto d'Osteric figliuolo che fu del re Ridolfo; per la qual cosa il re di Francia forte si tenne ingannato e tradito da·llui, e per suo dispetto ritenea e facea onore a Stefano della Colonna suo nimico, il quale era in Francia sentendo la discordia mossa, e lo re favorava lui e' suoi a suo podere. E oltre a·cciò il re fece pigliare il vescovo di Palmia in Carcascese, opponendogli ch'era paterino, e ogni vescovado vacante del reame godeva i beni, e voleva fare le 'nvestiture. Onde papa Bonifazio, il quale era superbo e dispettoso, e ardito di fare ogni gran cosa, come magnanimo e possente ch'egli era e si tenea, veggendosi fare quegli oltraggi al re, mescolò lo sdegno co la mala volontà, e fecesi al tutto nimico del re di Francia. E in prima per giustificare sue ragioni fece richiedere tutti i grandi parlati di Francia che dovessono venire a corte; ma il re di Francia contradisse, e non gli lasciò partire, onde il papa maggiormente s'inanimò contro al re, e trovò per sue ragioni e decreti che 'l re di Francia, come gli altri signori cristiani, dovea riconoscere da la sedia appostolica la signoria del temporale, come dello spirituale: e per questo mandò in Francia per suo legato uno cherico romano arcidiacano di Nerbona, che protestasse e amonisse lo re sotto pena di scomunicazione di ciò fare, e di riconoscere da·llui, e se ciò non facesse, lo scomunicasse, e lasciasse lo 'nterdetto. E 'l detto legato vegnendo nella città di Parigi, il re non gli lasciò piuvicare le sue lettere e privilegi, anzi gliele tolse la gente del re, e accomiatarlo del reame. E venute le dette lettere papali innanzi al re e suoi baroni al tempio, il conte d'Artese, ch'allora vivea, per dispetto le gittò nel fuoco e arsele, onde grande giudicio glie n'avenne, e lo re ordinò di fare guardare tutti i passi di suo reame, che messo o lettere di papa non entrasse in Francia. Sentendo ciò papa Bonifazio, iscomunicò per sentenzia il detto Filippo re di Francia. E lo re di Francia per giustificare sé, e per fare suo appello, fece in Parigi uno grande concilio di cherici e prelati e di tutti i suoi baroni, discusando sé, e opponendo a papa Bonifazio più accuse con più articoli di resia, e simonia, e omicidia, ed altri villani peccati, onde di ragione dovea esser disposto del papato. Ma l'abate di Cestella non volle consentire all'apello, anzi si partì, e tornossi in Borgogna, male del re di Francia: e per così fatto modo si cominciò la discordia da papa Bonifazio al re di Francia, la quale ebbe poi male fine; onde poi nacque grande discordia tra·lloro, e seguìne molto male, come appresso faremo menzione. In questi tempi avenne in Firenze una cosa bene notabile, che avendo papa Bonifazio presentato al Comune di Firenze uno giovane e bello leone, ed essendo nella corte del palagio de' priori legato con una catena, essendovi venuto uno asino carico di legne, veggendo il detto leone, o per paura che n'avesse, o per lo miracolo, incontanente assalì ferocemente il leone; con calci tanto il percosse, che l'uccise, non valendoli l'aiuto di molti uomini ch'erano presenti. Fu tenuto segno di grande mutazione e cose a venire, ch'assai n'avennero in questi tempi alla nostra città. Ma certi alletterati dissono ch'era adempiuta la profezia di Sibilla, ove disse: "Quando la bestia mansueta ucciderà il re delle bestie, allora comincerà la disoluzione della Chiesa etc."; e tosto si mostrò in papa Bonifazio medesimo, come si troverrà nel seguente capitolo.
LXIII
Come il re di Francia fece prendere papa Bonifazio in Anagna a Sciarra della Colonna, onde morì il detto papa pochi dì appresso.
Dopo la detta discordia nata tra papa Bonifazio e il re Filippo di Francia ciascuno di loro procacciò d'abattere l'uno l'altro per ogni via e modo che potesse: il papa d'agravare il re di Francia di scomuniche e altri processi per privarlo del reame; e con questo favorava i Fiamminghi suoi ribelli, e tenea trattato col re Alberto della Magna, e studiandolo che passasse a Roma per la benedizione imperiale, e per fare levare il regno al re Carlo suo consorto, e al re di Francia fare muovere guerra a' confini di suo reame da la parte d'Alamagna. Lo re di Francia da l'altra parte non dormia, ma con grande sollecitudine, e consiglio di Stefano della Colonna e d'altri savi Italiani e di suo reame, mandò uno messer Guiglielmo di Lungreto di Proenza, savio cherico e sottile, con messer Musciatto de' Franzesi in Toscana, forniti di molti danari contanti, e a ricevere da la compagnia de' Peruzzi, allora suoi mercatanti, quanti danari bisognasse, non sappiendo eglino perché. E arrivati al castello di Staggia, ch'era del detto messere Musciatto, ivi stettono più tempo, mandando ambasciadori, e messi, e lettere, e faccendo venire le genti a·lloro di sagreto, faccendo intendente al palese che v'erano per trattare accordo dal papa al re di Francia, e perciò aveano la detta moneta recata: e sotto questo colore menarono il trattato segreto di fare pigliare in Anagna papa Bonifazio, ispendendone molta moneta, corrompendo i baroni del paese e' cittadini d'Anagna; e come fu trattato venne fatto: che essendo papa Bonifazio co' suoi cardinali e con tutta la corte ne la città d'Anagna in Campagna, ond'era nato e in casa sua, non pensando né sentendo questo trattato, né prendendosi guardia, e s'alcuna cosa ne sentì, per suo grande cuore il mise a non calere, o forse, come piacque a Dio, per gli suoi grandi peccati, del mese di settembre MCCCIII, Sciarra della Colonna con genti a cavallo in numero di CCC, e a piè di sua amistà assai, soldata de' danari del re di Francia, colla forza de' signori da Ceccano, e da Supino, e d'altri baroni di Campagna, e de' figliuoli di messer Maffio d'Anagna, e dissesi co l'assento d'alcuno de' cardinali che teneano al trattato, e una mattina per tempo entrò in Anagna colle insegne e bandiere del re di Francia, gridando: "Muoia papa Bonifazio, e viva il re di Francia!"; e corsono la terra sanza contasto niuno, anzi quasi tutto lo 'ngrato popolo d'Anagna seguì le bandiere e la rubellazione; e giunti al palazzo papale, sanza riparo vi saliro e preso lo palazzo, però che 'l presente assalto fu improviso al papa e a' suoi, e non prendeano guardia. Papa Bonifazio sentendo il romore, e veggendosi abandonato da tutti i cardinali, fuggiti e nascosi per paura o chi da mala parte, e quasi da' più de' suoi famigliari, e veggendo che' suoi nimici aveano presa la terra e il palazzo ove egli era, si cusò morto, ma come magnanimo e valente, disse: "Da che per tradimento, come Gesù Cristo, voglio esser preso e mi conviene morire, almeno voglio morire come papa"; e di presente si fece parare dell'amanto di san Piero, e colla corona di Gostantino in capo, e colle chiavi e croce in mano, in su la sedia papale si puose a sedere. E giunto a·llui Sciarra e gli altri suoi nimici, con villane parole lo scherniro, e arrestarono lui e la sua famiglia, che co·llui erano rimasi: intra gli altri lo schernì messer Guiglielmo di Lunghereto, che per lo re di Francia avea menato il trattato, dond'era preso, e minacciollo di menarlo legato a Leone sopra Rodano, e quivi in generale concilio il farebbe disporre e condannare. Il magnanimo papa gli rispuose ch'era contento d'essere condannato e disposto per gli paterini com'era egli, e 'l padre e·lla madre arsi per paterini; onde messer Guiglielmo rimase confuso e vergognato. Ma poi, come piacque a Dio, per conservare la santa dignità papale, niuno ebbe ardire o non piacque loro di porgli mano adosso, ma lasciarlo parato sotto cortese guardia, e intesono a rubare il tesoro del papa e della Chiesa. In questo dolore, vergogna e tormento istette il valente papa Bonifazio preso per gli suoi nimici per III dì; ma come Cristo al terzo dì risucitò, così piacque a·llui che papa Bonifazio fosse dilibero, che sanza priego o altro procaccio, se non per opera divina, il popolo d'Anagna raveduti del loro errore, e usciti de la loro cieca ingratitudine, subitamente si levaro a l'arme, gridando: "Viva il papa, e muoiano i traditori!"; e correndo la terra ne cacciarono Sciarra della Colonna e' suoi seguaci, con danno di loro di presi e de' morti, e liberato il papa e sua famiglia. Papa Bonifazio vedendosi libero e cacciati i suoi nimici, per ciò non si rallegrò niente, però ch'avea conceputo e addurato nell'animo il dolore della sua aversità: incontanente si partì d'Anagna con tutta la corte, e venne a Roma a Santo Pietro per fare concilio, con intendimento di sua offesa e di santa Chiesa fare grandissima vendetta contra il re di Francia, e chi offeso l'avea; ma come piacque a Dio, il dolore impetrato nel cuore di papa Bonifazio per la 'ngiuria ricevuta gli surse, giunto in Roma, diversa malatia, che tutto si rodea come rabbioso, e in questo stato passò di questa vita a dì XII d'ottobre, gli anni di Cristo MCCCIII, e nella chiesa di San Piero a l'entrare delle porte, in una ricca cappella fattasi fare a sua vita, onorevolemente fue soppellito.
LXIV
Ancora diremo de' morali ch'ebbe in sé papa Bonifazio.
Questo papa Bonifazio fu savissimo di scrittura e di senno naturale, e uomo molto aveduto e pratico, e di grande conoscenza e memoria; molto fu altiero, e superbo, e crudele contro a' suoi nimici e aversari, e fue di grande cuore, e molto temuto da tutta gente, e alzò e agrandì molto lo stato e ragioni di santa Chiesa, e fece fare a messer Guiglielmo da Bergamo, e a messer Ricciardo di Siena cardinali, e a messer Dino Rosoni di Mugello, sommi maestri in legge e decretali, e egli co·lloro insieme, ch'era grande maestro in decreto e in divinità, il sesto libro delle decretali, il quale è quasi lume di tutte le leggi e decreti. Magnanimo e largo fu a gente che gli piacesse, e che fossono valorosi, vago molto della pompa mondana secondo suo stato, e fu molto pecunioso, non guardando né faccendosi grande né stretta coscienza d'ogni guadagno, per agrandire la Chiesa e' suoi nipoti. Fece al suo tempo più cardinali suoi amici e confidenti, intra gli altri due suoi nipoti molto giovani, e uno suo zio fratello che fue della madre, e XX tra vescovi e arcivescovi suoi parenti e amici della piccola città d'Anagna di ricchi vescovadi, e l'altro suo nipote e' figliuoli, ch'erano conti, come adietro facemmo menzione, lasciò loro quasi infinito tesoro; e dopo la morte di papa Bonifazio loro zio furono franchi e valenti in guerra, faccendo vendetta di tutti i loro vicini e nimici, ch'aveano tradito e offeso a papa Bonifazio, spendendo largamente, e tegnendo al loro propio soldo CCC buoni cavalieri catalani, per la cui forza domarono quasi tutta Campagna e terra di Roma. E se papa Bonifazio vivendo avesse creduto che fossono così pro' d'arme e valorosi in guerra, di certo gli avrebbe fatti re o gran signori. E nota che quando papa Bonifazio fu preso la novella fu mandata al re di Francia per più corrieri in pochi giorni, per grande allegrezza, e capitando i primi corrieri ad Ansiona di là da la montagna di Briga, il vescovo d'Ansiona, il quale allora era uomo d'onesta e santa vita, udendo la novella quasi stupì, istando uno pezzo in silenzio contemplando, per l'amirazione che gli parve della presura del papa, e tornando in sé, disse palese dinanzi a più buona gente: "Il re di Francia farà di questa novella grande allegrezza, ma i' ho per ispirazione divina che per questo peccato n'è condannato da Dio; e grandi e diversi pericoli e aversità con vergogna di lui e di suo lignaggio gli averranno assai tosto; e egli e' figliuoli rimarranno diretati del reame". E questo sapemmo poco tempo appresso passando per Ansiona da persone degne di fede che vi furono presenti a udire. La quale sentenzia fu profezia in tutte le sue parti, come appresso per gli tempi, raccontando de' fatti del detto re di Francia e de' figliuoli, si potrà trovare il vero. E nonn-è da maravigliare della sentenzia di Dio, che, con tutto che papa Bonifazio fosse più mondano che non richiedea alla sua dignità, e fatte avea assai delle cose a dispiacere di Dio, Idio fece pulire lui per lo modo che detto avemo, e poi l'offenditore di lui pulì, non tanto per l'offesa della persona di papa Bonifazio, ma per lo peccato commesso contro a la maestà divina, il cui cospetto rappresentava in terra. Lasceremo di questa materia, ch'ha avuto sua fine, e torneremo alquanto adietro a raccontare de' fatti di Firenze e di Toscana, che furono ne' detti tempi assai grandi.
LXV
Come i Fiorentini ebbono il castello del Montale, e come feciono oste a Pistoia co' Lucchesi insieme.
Nell'anno di Cristo MCCCIII, del mese di maggio, i Fiorentini ebbono il castello del Montale presso di Pistoia a quattro miglia, cavalcandovi una notte subitamente, e fu loro dato per tradimento di certi terrazzani, che n'ebbono IIIm fiorini d'oro, per trattato di messer Pazzino de' Pazzi, che v'era vicino per la sua posessione di Palugiano. Il quale castello era molto forte di sito, e di mura, e di torri; e come i Fiorentini l'ebbono, il feciono abattere e disfare infino nelle fondamenta, e la campana di quello Comune, ch'era molto buona, la feciono venire in Firenze, e puosesi in su la torre del palagio della podestà per campana de' messi, e chiamossi la Montanina. E disfatto il Montale, del detto mese medesimo i Fiorentini dall'una parte e' Lucchesi da l'altra feciono oste a la città di Pistoia, e guastarla intorno intorno, e furono MD cavalieri e VIm pedoni, e tornarsi a casa sanza contasto niuno. In questo anno morì a Bologna il savio e valente uomo messer Dino Rosoni di Mugello, nostro cittadino, il quale fu il maggiore e il più savio legista che fosse infino al suo tempo. E in questo medesimo tempo morì in Bologna maestro Taddeo detto da Bologna, ma era stato per suo matrimonio nostro cittadino, il quale fue sommo fisiziano sopra tutti quegli de' Cristiani.
LXVI
Come fu eletto papa Benedetto XI.
Dopo la morte di papa Bonifazio il collegio de' cardinali raunati insieme per eleggere nuovo papa, come piacque a Dio, in pochi dì furono in concordia, e chiamarono papa Benedetto XI, a dì XXII d'ottobre nel detto anno MCCCIII. Questi fu di Trevigi di piccola nazione, che quasi non si trovò parente, e nudrìsi in Vinegia, quand'era giovane cherico, a insegnare a' fanciugli de' signori da ca' Corino; poi fu frate predicatore, uomo savio e di santa vita, e per la sua bontà e onesta vita per papa Bonifazio fu fatto cardinale, e poi papa. Ma vivette in su 'l papato mesi otto e mezzo; ma in questo piccolo tempo cominciò assai buone cose, e mostrò gran volere di pacificare i Cristiani. E prima fece accordo dalla Chiesa al re di Francia, e ricomunicò il detto re, e confermò ciò che papa Bonifazio avea fatto, e mandò a Firenze frate Niccolaio da Prato cardinale ostiense per legato, per pacificare i Fiorentini co' loro usciti, come innanzi faremo menzione.
LXVII
Come il re Adoardo d'Inghilterra riebbe Guascogna, e sconfisse gli Scotti.
In questo anno Aduardo re d'Inghilterra fece accordo col re Filippo di Francia, e riebbe la Guascogna faccendonegli omaggio, e ciò assentì lo re di Francia, per la tenza ch'avea colla Chiesa per la presura che fece fare di papa Bonifazio, e per la guerra de' Fiaminghi, acciò che 'l detto re d'Inghilterra non gli fosse contro. E in questo anno medesimo il detto re Aduardo essendo malato, gli Scotti corsono inn-Inghilterra; per la qual cosa il re si fece portare in bara, e andò ad oste sopra gli Scotti, e sconfissegli, e quasi ebbe in sua signoria tutte le terre di Scozia, se non quelle de' maresi e d'aspre montagne, ove rifuggiro i ribelli scotti col loro re, il quale avea nome Ruberto di Bosco, di piccolo lignaggio fattosi re.
LXVIII
Come in Firenze ebbe grande novità e battaglia cittadina, per volere rivedere le ragioni del Comune.
Nel detto anno MCCCIII, del mese di febbraio, i Fiorentini tra·lloro furono in grande discordia, per cagione che messer Corso Donati non gli parea esser così grande in Comune come volea, e gli pareva esser degno; e gli altri grandi e popolani possenti di sua parte nera aveano presa più signoria in Comune che a·llui non parea, e già preso isdegno co·lloro, o per superbia, o per invidia, o per volere essere signore, sì fece di nuovo una sua setta acostandosi co' Cavalcanti, che i più di loro erano Bianchi, dicendo che voleva si rivedessono le ragioni del Comune, di coloro ch'aveano avuti gli ufici e la moneta del Comune a minestrare; e feciono capo di loro messer Lottieri vescovo di Firenze, ch'era de' figliuoli della Tosa del lato bianco, con certi grandi contra i priori e 'l popolo; e combattési la città in più parti e più dì, e armarsi più torri e fortezze de la città al modo antico per gittarsi e saettarsi insieme; e in su la torre del vescovado si rizzò una manganella gittando a' suoi contradi vicini. I priori s'aforzaro di gente d'arme di città e di contado, e difesono francamente il palagio, che più assalti e battaglie furono loro date; e col popolo tennero la casa de' Gherardini con grande séguito di loro amici di contado, e la casa de' Pazzi e quella degli Spini, e messer Tegghia Frescobaldi col suo lato; e furono uno grande soccorso al popolo, e morinne messer Lotteringo de' Gherardini d'uno quadrello a una battaglia ch'era in porte Sante Marie. Altra casa de' grandi non tenne col popolo, ma chi era col vescovo e con messer Corso, e chi non gli amava si stava di mezzo. Per la quale disensione e battaglia cittadina molto male si commise in città e contado di micidii, e d'arsioni, e ruberie, sì come in città sciolta e rotta, sanza niuno ordine di signoria, se non chi più potea far male l'uno a l'altro; e era la città tutta piena di sbanditi, e di forestieri, e contadini, ciascuna casa colla sua raunata; e era la terra per guastarsi al tutto, se non fossono i Lucchesi che vennero a Firenze a richiesta del Comune con grande gente di popolo e cavalieri, e vollono in mano la quistione e la guardia della città; e così fu loro data per necessità balìa generale, sì che XVI dì signoreggiarono liberamente la terra, mandando il bando da loro parte. E andando il bando per la città da parte del Comune di Lucca, a molti Fiorentini ne parve male, e grande oltraggio e soperchio, onde uno Ponciardo de' Ponci di Vacchereccia diede d'una spada nel volto al banditore di Lucca quando bandiva, onde poi non feciono più bandire da·lloro parte, ma adoperarono sì, ch'a la fine racquetaro il romore, e ciascuna parte feciono disarmare, e misono in quieto la terra, chiamando nuovi priori di concordia, rimanendo il popolo in suo stato e libertade, sanza fare nulla punizione di misfatti commessi, se non chi ebbe il male s'ebbe il danno. E per arrota alla detta pestilenzia fu l'anno gran fame, e valse lo staio del grano a la rasa più di soldi XXVI di soldi LII il fiorino d'oro in Firenze, e se non che 'l Comune e que' che governavano la città si providono dinanzi, e aveano fatto venire per mano di Genovesi di Cicilia e di Puglia bene XXVIm di moggia di grano, gli cittadini e' contadini non sarebbono scampati di fame: e questo traffico del grano fue coll'altre una delle cagioni di volere rivedere la ragione del Comune per la molta moneta che vi corse; e certi, a diritto o a torto, ne furono calonniati e infamati. E questa aversità e pericolo della nostra città non fu sanza giudicio di Dio, per molti peccati commessi per la superbia, invidia e avarizia de' nostri allora viventi cittadini, che allora guidavano la terra, e così di ribelli di quella come di coloro che·lla governavano, ch'assai erano peccatori; e non ebbe fine a questo, come innanzi per gli tempi si potrà trovare.
LXIX
Come il papa mandò in Firenze per legato il cardinale da Prato per fare pace, e come se ne partì con onta e con vergogna.
Nella detta discordia tra' Fiorentini papa Benedetto con buona intenzione mandò a Firenze il cardinale da Prato per legato per pacificare i Fiorentini tra·lloro, e simile co' loro usciti e tutta la provincia di Toscana; e venne in Firenze a dì X del mese di marzo MCCCIII, e da' Fiorentini fu ricevuto a grande onore e con grande reverenza, come coloro che parea esser partiti e in male stato, e coloro ch'aveano stato e volontà di ben vivere amavano la pace e la concordia, e era converso per gli altri. Questo messer Niccolao cardinale della terra di Prato era frate predicatore, molto savio di Scrittura e di senno naturale, sottile, e sagace, e aveduto, e grande pratico, e di progenia de' Ghibellini era nato, e mostrossi poi che molto gli favorò, con tutto ch'a la prima mostrò d'avere buona intenzione e comune. Come fu in Firenze, in piuvico sermone e predica nella piazza di San Giovanni mostrò i privilegi de la sua legazione, ed ispuose il suo intendimento ch'avea, per comandamento del papa, di pacificare i Fiorentini insieme. I buoni uomini popolani che reggeano la terra, parendo loro stare male per le novità e romori e battaglie ch'aveano in que' tempi mosse e fatte i grandi contro al popolo per disfarlo e abattere, sì·ss'acostarono col cardinale a volere pace, e per riformagione degli opportuni consigli gli diedono piena e libera balìa di fare pace tra' cittadini d'entro e' loro usciti di fuori, e di fare i priori e' gonfalonieri e signorie de la terra a sua volontà. E ciò fatto, intese a procedere e a fare fare pace tra' cittadini, e rinnovò l'ordine di XVIIII gonfalonieri de le compagnie al modo dell'antico popolo vecchio, e chiamò i gonfalonieri, e diè loro i gonfaloni al modo e insegne che sono oggi, sanza rastrello della 'nsegna del re di sopra; per la quale nuova informazione del cardinale il popolo si riscaldò e raforzò molto, e' grandi n'abassaro, e mai non finaro di cercare novitadi e opporre al cardinale per isturbare la pace, perché i Bianchi e' Ghibellini non avessono stato né podere di tornare in Firenze, e per potere godere i beni loro messi in Comune per ribelli, e in città e in contado. Per tutto questo il cardinale non lasciò di procedere a la pace, per l'aiuto e favore ch'avea dal popolo, e fece venire in Firenze XII sindachi degli usciti, due per sesto, uno de' maggiori Bianchi e uno Ghibellino, i nomi de' quali sono questi [...] e fecegli albergare nel borgo di San Niccolò, e·legato albergava ne' palazzi de' Mozzi da San Grigorio, e sovente gli avea a consiglio co' caporali guelfi e neri di Firenze, per trovare i modi e sicurtà de la pace, e ordinare parentadi tra gli usciti e' grandi d'entro. In questi trattati, a' possenti Guelfi e Neri parea a·lloro guisa che 'l cardinale sostenesse troppo la parte de' Bianchi e de' Ghibellini; ordinarono sottilmente per iscompigliare il trattato di mandare una lettera contrafatta col suggello del cardinale a Bologna e in Romagna agli amici suoi Bianchi e Ghibellini, che rimossa ogni cagione e indugio, dovessono venire a·fFirenze con gente d'arme a cavallo e a piè in suo aiuto; e chi disse pure, che fue vero, che 'l cardinale vi mandò; onde di quella gente venne infino a Crespino, e di tali in Mugello. Per la quale venuta in Firenze n'ebbe grande sombuglio e gelosia, e·legato ne fu molto ripreso e infamato: o avesse colpa o no, se ne disdisse al popolo. Per questa gelosia, e ancora per tema ch'ebbono d'essere offesi i XII sindachi bianchi e ghibellini, si partirono di Firenze, e andarsene ad Arezzo, e la gente che veniva al legato per suo comandamento si tornarono adietro a Bologna e in Romagna, e raquetarono la gelosia alquanto in Firenze. Coloro che guidavano la terra consigliarono il cardinale per levare sospetto ch'egli se n'andasse a Prato, e acconciasse i Pratesi insieme, e simile i Pistolesi, e intanto si piglierebbe modo in Firenze de la generale pace degli usciti. Il cardinale non possendo altro, così fece, e in buona fe' o no ch'avesse intenzione, se n'andò a Prato, e richiese i Pratesi che si rimettessono in lui, e che gli voleva pacificare. I caporali di parte nera e' Guelfi di Firenze veggendo le vestigie del cardinale, ch'egli favorava molto i Ghibellini e' Bianchi per rimettergli in Firenze, e vedeano che con questo il popolo il seguiva, avendo sospetto che non tornasse a pericolo di parte guelfa, ordinarono co' Guazzalotri da Prato, possente casa e di parte nera e molto Guelfi, di fare cominciare in Prato scisma e riotta contra 'l cardinale, e levare romore nella terra; onde il cardinale veggendo i Pratesi male disposti, e temendo di sua persona, sì si parti di Prato, e iscomunicò i Pratesi, e interdisse la terra, e vennesene a Firenze, e fece bandire oste sopra Prato, e diede perdonanza di colpa e di pena chi andasse sopra i Pratesi, e molti cittadini se n'aparecchiaro per andarvi a cavallo e a piè, gente ch'erano in fede e più Ghibellini che Guelfi, e andarono infino a Campi. In questa ordine dell'oste gente assai si raunaro in Firenze di contadini e forestieri, e cominciò a crescere il sospetto e gelosia a' Guelfi, onde molti ch'a la prima aveano tenuti col cardinale, si furono rivolti per gli sdegni che vedeano, e i grandi di parte nera, e simile quegli che piaggiavano col cardinale, si guernirono d'arme e di gente, e la città fu tutta scompigliata e per combattersi insieme. I·legato cardinale veggendo che non potea fornire suo intendimento di fare oste a Prato, e la città di Firenze disposta a battaglia cittadina tra·lloro, e di quegli ch'aveano tenuto co·llui fattisi contradi, prese sospetto e paura, e subitamente si partì di Firenze a dì IIII di giugno MCCCIIII, dicendo a' Fiorentini: "Dapoi che volete essere in guerra e in maladizione, e non volete udire né ubbidire il messo del vicaro di Dio, né avere riposo né pace tra voi, rimanete colla maladizione di Dio e con quella di santa Chiesa", scomunicando i cittadini, e lasciando interdetta la cittade, onde si tenne che per quella maladizione, o giusta o ingiusta, non fosse sentenzia e gran pericolo della nostra cittade per l'aversità e pericoli che·ll'avennero poco appresso, come innanzi faremo menzione.
LXX
Come cadde il ponte alla Carraia, e morivvi molta gente.
In questo medesimo tempo che 'l cardinale da Prato era in Firenze, ed era in amore del popolo e de' cittadini, sperando che mettesse buona pace tra·lloro, per lo calen di maggio MCCCIIII, come al buono tempo passato del tranquillo e buono stato di Firenze, s'usavano le compagnie e brigate di sollazzi per la cittade, per fare allegrezza e festa, si rinnovarono e fecionsene in più parti de la città, a gara l'una contrada dell'altra, ciascuno chi meglio sapea e potea. Infra l'altre, come per antico aveano per costume quegli di borgo San Friano di fare più nuovi e diversi giuochi, sì mandarono un bando che chiunque volesse sapere novelle dell'altro mondo dovesse essere il dì di calen di maggio in su 'l ponte alla Carraia, e d'intorno a l'Arno; e ordinarono in Arno sopra barche e navicelle palchi, e fecionvi la somiglianza e figura dello 'nferno con fuochi e altre pene e martori, e uomini contrafatti a demonia, orriboli a vedere, e altri i quali aveano figure d'anime ignude, che pareano persone, e mettevangli in quegli diversi tormenti con grandissime grida, e strida, e tempesta, la quale parea idiosa e spaventevole a udire e a vedere; e per lo nuovo giuoco vi trassono a vedere molti cittadini; e 'l ponte alla Carraia, il quale era allora di legname da pila a pila, si caricò sì di gente che rovinò in più parti, e cadde colla gente che v'era suso; onde molte genti vi morirono e annegarono, e molti se ne guastarono le persone, sì che il giuoco da beffe avenne col vero, e com'era ito il bando, molti n'andarono per morte a sapere novelle dell'altro mondo, con grande pianto e dolore a tutta la cittade, che ciascuno vi credea avere perduto il figliuolo o 'l fratello; e fu questo segno del futuro danno che in corto tempo dovea venire a la nostra cittade per lo soperchio delle peccata de' cittadini, sì come appresso faremo menzione.
LXXI
Come fu messo fuoco in Firenze, e arsene una buona parte della cittade.
Partito il cardinale da Prato di Firenze per lo modo che detto avemo adietro, la città rimase in male stato e in grande scompiglio, ché·lla setta che teneva col cardinale, ond'erano caporali i Cavalcanti e' Gherardini, Pulci e' Cerchi bianchi del Garbo, ch'erano mercatanti di papa Benedetto, con séguito di più case di popolo, per tema che' grandi non rompessono il popolo, s'avessono la signoria, e ciò furono delle maggiori case e famiglie de' popolani di Firenze, com'erano Magalotti, e Mancini, Peruzzi, Antellesi, e Baroncelli, e Acciaiuoli, e Alberti, Strozzi, Ricci, e Albizzi, e più altri, ed erano molto guerniti di fanti e gente d'arme. I contradi erano di parte nera, i principali, messer Rosso della Tosa col suo lato de' Neri, messer Pazzino de' Pazzi con tutti i suoi, la parte degli Adimari che si chiamano Cavicciuli, e messer Geri Spini e' suoi consorti, e messer Betto Brunelleschi; messer Corso Donati si stava di mezzo, perch'era infermo di gotte, e per lo sdegno preso con questi caporali di parte nera; e quasi tutti gli altri grandi si stavano di mezzo, e' popolani, salvo i Medici e' Giugni, ch'al tutto erano co' Neri. E cominciossi la battaglia tra' Cerchi bianchi e' Giugni alle loro case del Garbo, e combattevisi di dì e di notte. A la fine si difesono i Cerchi coll'aiuto de' Cavalcanti e Antellesi, e crebbe tanto la forza de' Cavalcanti e Gherardini, che co' loro seguaci corsono la terra infino in Mercato Vecchio, e da Orto Sa·Michele infino a la piazza di San Giovanni sanza contasto o riparo niuno, però ch'a·lloro crescea forza di città e di contado; però che·lla più gente di popolo gli seguivano, e' Ghibellini s'acostavano a·lloro; e venieno in loro soccorso que' da Volognano con loro amici con più di M fanti, e già erano in Bisarno. E di certo in quello giorno eglino avrebbono vinta la terra, e cacciatone i sopradetti caporali di parte guelfa e nera, i quali aveano per loro nemici, perché si disse ch'aveano fatta tagliare la testa a messer Betto Gherardini, e a Masino Cavalcanti, e agli altri, come addietro facemmo menzione. E come erano in sul fiorire e vincere in più parti della terra ove si combatteva i loro nimici, avenne, come piacque a Dio, o per fuggire maggiore male, o permise per pulire i peccati de' Fiorentini, che uno ser Neri Abati, cherico e priore di San Piero Scheraggio, uomo mondano e dissoluto, e ribello e nimico de' suoi consorti, con fuoco temperato in prima mise fuoco in casa i suoi consorti in Orto Sammichele, e poi in Calimala fiorentina in casa i Caponsacchi presso a la bocca di Mercato Vecchio. E fu sì empito e furioso il maladetto fuoco col conforto del vento a tramontana che traeva forte, che in quello giorno arse le case degli Abati e de' Macci, e tutta la loggia d'Orto Sammichele, e casa gli Amieri, e Toschi, e Cipriani, e Lamberti, e Bachini, e Buiamonti, e tutta Calimala, e le case de' Cavalcanti, e tutto intorno a Mercato Nuovo e Santa Cecilia, e tutta la ruga di porte Sante Marie infino al ponte Vecchio, e Vacchereccia, e dietro a San Piero Scheraggio, e le case de' Gherardini, e de' Pulci, e Amidei, e Lucardesi, e di tutte le vicinanze di luoghi nomati quasi infino ad Arno; e insomma arse tutto il midollo, e tuorlo, e cari luoghi della città di Firenze, e furono in quantità, tra palagi e torri e case, più di MVIIc. Il danno d'arnesi, tesauri, e mercatantie fu infinito, però che in que' luoghi era quasi tutta la mercatantia e cose care di Firenze, e quella che non ardea, isgombrandosi, era rubata da' malandrini, combattendosi tuttora la città in più parti, onde molte compagnie, e schiatte, e famiglie furono diserte, e vennono in povertade per la detta arsione e ruberia. Questa pistolenza avenne a la nostra città di Firenze a dì X di giugno, gli anni di Cristo MCCCIIII, e per questa cagione i Cavalcanti, i quali erano de le più possenti case di genti, e di posessioni, e d'avere di Firenze, e' Gherardini grandissimi in contado, i quali erano caporali di quella setta, essendo le loro case e de' loro vicini e seguaci arse, perdero il vigore e lo stato, e furono cacciati di Firenze come rubelli, e' loro nemici raquistarono lo stato, e furono signori della terra. E allora si credette bene che i grandi rompessono gli ordini della giustizia del popolo, e avrebbollo fatto, se non che per le loro sette erano partiti e in discordia insieme, e ciascuna parte s'abracciò col popolo per non perdere istato. Convienne ancora lasciare alquanto a raccontare dell'altre novitadi che in questi tempi furono in più parti, perché ancora ne cresce materia dell'averse fortune della nostra città di Firenze.
LXXII
Come i Bianchi e' Ghibellini vennero a le porte di Firenze, e andarne in isconfitta.
Tornato il cardinale da Prato al papa ch'era a Perugia co la corte, sì·ssi dolfe molto di coloro che reggeano la città di Firenze, e molto gli abominò dinanzi al papa e al collegio de' cardinali di più crimini e difetti, mostrandogli peccatori uomini, e nimici di Dio e di santa Chiesa, e raccontando il disinore e 'l tradimento ch'aveano fatto a santa Chiesa, volendogli porre in buono stato e pacefico; per la qual cosa il papa e' suoi cardinali si turbarono forte contra i Fiorentini, e per consiglio del detto cardinale da Prato fece il papa citare XII de' maggiori caporali di parte guelfa e nera che fossono in Firenze, i quali guidavano tutto lo stato della cittade, i nomi de' quali furono questi: messer Rosso della Tosa, messer Corso Donati, messer Pazzino de' Pazzi, messer Geri Spini, messer Betto Bruneleschi [...] che dovessono venire dinanzi a·llui sotto pena di scomunacazione e privazione di loro beni; i quali obbedienti incontanente v'andaro con grande compagnia di loro amici e famigliari molto onorevolemente, e furono più di CL a cavallo, per iscusarsi al papa di quello che 'l cardinale da Prato avea loro messo adosso. E in questa richesta e citazione di tanti caporali di Firenze il cardinale da Prato sagacemente si pensò uno grande tradimento contro a' Fiorentini, che incontanente scrisse per sue lettere a Pisa, e a Bologna, e in Romagna, ad Arezzo, a Pistoia, e a tutti i caporali di parte ghibellina e bianca di Toscana e di Romagna, che si dovessono congregare con tutte le loro forze e degli amici a piè e a cavallo, e in uno dì nomato venire con armata mano a la città di Firenze, e prendere la terra, e cacciarne i Neri e coloro ch'erano stati contro a·llui, e che ciò era di coscienza e volontà del papa (la qual cosa era grande bugia e falsità, che 'l papa di ciò non seppe niente), confortando ciascuno che venissono securamente, perché la città era fiebole e aperta da più parti, e che per sua industria n'avea tratti, e fatti citare a corte tutti i caporali di parte nera, e dentro avea gran parte che risponderebbono loro, e darebbono la terra, e che facessono la loro raunata e venuta segreta, e tosto. I quali avute queste lettere furono molto allegri, e confortandosi del favore del papa, ciascuno a suo podere si guernì, e mosse a venire verso Firenze a la giornata ordinata. E prima due dì, per la grande volontade, tutta l'altra ragunata de' Bianchi e Ghibellini vennero verso Firenze per modo sì segreto che furono a la Lastra sopra Montughi in quantità di MVIc cavalieri e di VIIIIm pedoni innanzi che in Firenze si credesse per la più gente, però ch'egli non lasciavano venire a·fFirenze niuno messo che ciò anunziasse; e se fossono scesi a la città il dì dinanzi, sanza dubbio aveano la terra, però che non v'avea nulla provedenza, né guernigione d'arme né difesa. Ma egli s'arestarono la notte ad albergo a la Lastra e a Trespiano infino a Fontebuona per attendere messer Tolosato degli Uberti capitano di Pistoia, il quale facea la via a traverso dell'alpe con CCC cavalieri pistolesi e soldati, e con molti a piede; e veggendo la mattina che non venia, gli usciti di Firenze si vollono studiare di venire a la terra, credendolasi avere sanza colpo di spada; e così feciono, lasciando i Bolognesi a la Lastra, che per loro viltà, o forse perché a' Guelfi ch'erano tra·lloro non piacea la 'mpresa: vegnendo l'altra gente, entraro nel borgo di San Gallo sanza nulla contasto, che allora non erano a la città le cerchie delle mura nuove, né' fossi, e le vecchie mura erano schiuse e rotte in più parti. E entrati dentro a' borghi, ruppono uno serraglio di legname con porta fatto nel borgo, il quale fue abandonato da' nostri e non difeso, del quale gli Aretini trassono il chiavistello della detta porta, e per dispetto de' Fiorentini il portarono ad Arezzo, e puosollo nella loro chiesa maggiore di Santo Donato. E venuti i detti nemici giù per le borgora verso la cittade, si schieraro in su 'l Cafaggio di costa a' Servi, e furono più di XIIc di cavalieri e popolo grandissimo, per molti contadini seguitigli, e di que' d'entro Ghibellini e Bianchi usciti a·lloro aiuto; la quale fu per loro mala capitaneria, come diremo appresso, che si puosono in luogo sanza acqua; ché se si fossono schierati in su la piazza di Santa Croce, aveano il fiume e l'acqua per loro e per gli cavagli, e la Città Rossa d'intorno fuori delle mura vecchie, ch'era tutta acasata da starvi al sicuro ogni grande oste, ma a cui Iddio vuole male gli toglie il senno e l'accorgimento. Come la sera dinanzi si seppe la novella, in Firenze ebbe grande tremore e sospetto di tradimento, e tutta la notte si guardò la terra; ma per lo sospetto chi andava qua, e chi là, sanza ordine niuno, isgombrando ciascuno le sue case. E di vero si disse che delle maggiori e migliori case di Firenze di grandi, e de' popolani, e' Guelfi seppono il detto trattato, e promesso aveano di dare la terra; ma sentendo la gran forza de' Ghibellini di Toscana e nimici del nostro Comune, i quali erano venuti co' nostri usciti, temettono forte di loro medesimi, e d'esserne poi cacciati e rubati, sì rimossono proposito, e intesono a la difensa cogli altri insieme. Certi de' nostri caporali usciti con parte della gente, si partirono di Cafaggio dalla schiera, e vennero a la porta delli Spadari, e quella combattero e vinsono, e entraro delle loro insegne e di loro infino presso a la piazza di San Giovanni; e se la schiera grossa ch'era in Cafaggio fosse venuta appresso verso la terra, e assalita alcuna altra porta, di certo non aveano riparo. Ne la piazza di San Giovanni erano raunati tutti i valenti uomini e' Guelfi che intendeano a la difensione della città, non però grande quantità, forse CC cavalieri e Vc pedoni, e con forza delle balestra grosse ripinsono i nimici fuori della porta, e con danno d'alquanti presi e morti. La novella andò a la Lastra a' Bolognesi per loro spie, e rapportarono che i loro erano rozzi e sconfitti, incontanente, sanza saperne il certo, che non era però vero, si misono in via, chi meglio potéo fuggire; e scontrandogli messer Tosolato con sua gente in Mugello, che venia e sapea il vero, gli volle ritenere e rimenare indietro. Non ebbe luogo né per prieghi né per minacce. Quelli de la loro schiera grossa del Cafaggio, avuta la novella da la Lastra, come i Bolognesi s'erano partiti in rotta, come piacque a·dDio, incontanente impauriro, e per lo disagio di stare infino dopo nona a schiera a la fersa del sole, e gran caldo ch'era, e non aveano acqua a sofficienza per loro e per loro cavalli, cominciarono a partirsi e andare via in fugga, gittando l'armi sanza asalto o caccia di cittadini, che quasi e' non uscirono loro dietro, se non certi masnadieri di volontà; onde molti de' nimici ne morirono per ferri e per traffelare, e rubati l'arme e' cavalli, e certi presi furono impiccati nella piazza di San Gallo, e per la via in su gli alberi. Ma di certo si disse che con tutta la partita de' Bolognesi, e fossono stati fermi insino a la venuta di messer Tosolato, che 'l poteano sicuramente fare per lo piccolo podere de' cavalieri difenditori ch'avea in Firenze, ancora avrebbono vinta la terra. Ma parve opera e volontà di Dio, e che fossono amaliati, perché la nostra città di Firenze non fosse al tutto diserta, rubata, e guasta. Questa non proveduta vittoria e scampamento della città di Firenze fue il dì di santa Margherita, a dì XX del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCCIIII. Avenne fatta sì stesa memoria, perché a·cciò fummo presenti, e per lo grande rischio e pericolo di che Dio iscampò la città di Firenze, e perché i nostri discendenti ne prendano esemplo e guardia.
LXXIII
Come gli Aretini ripresono il castello di Laterino, che 'l teneano i Fiorentini.
Nel detto anno MCCCIIII, a dì XXV del mese di luglio, essendo la città di Firenze in tante aversitadi e fortune, gli Aretini cogli Ubertini e' Pazzi di Valdarno vennero con tutto loro podere di gente d'arme a cavallo e a piede al castello di Laterino, il quale teneano i Fiorentini, e aveano tenuto lungo tempo per forza, e quello coll'aiuto de' terrazzani fu loro dato; e la rocca la quale aveano fatta fare i Fiorentini, l'avea in guardia messere Gualterotto de' Bardi, perch'era venuto a Firenze per le novitadi che v'erano state, convenne s'arrendesse pochi dì appresso, però ch'era rimasa mal fornita, e per le novità di Firenze non aspettavano soccorso. E alcuno disse che gli Ubertini suoi parenti il ne tradiro e ingannaro, e chi disse che lo 'nganno fu fatto al Comune. De la quale perdita del castello spiacque molto a' Fiorentini, però ch'era molto forte, e in una contrada che tenea molto a freno gli Aretini.
LXXIV
Ancora di novitadi che furono in Firenze ne' detti tempi.
Nel detto anno, a dì V d'agosto, essendo preso nel palagio del Comune di Firenze Talano di messer Boccaccio Cavicciuli degli Adimari per malificio commesso, onde dovea essere condannato, i suoi consorti, tornando la podestade con sua famiglia da casa i priori, l'asaliro con arme, e fedirono malamente, e di sua famiglia furono morti e fediti assai; e' detti Cavicciuli entrarono in palagio, e per forza ne trassono il detto Talano sanza contasto niuno, e di questo malificio non fu giustizia né punizione niuna; in sì corrotto stato era allora la città di Firenze. E la podestà, ch'aveva nome messer..., per isdegno si partìo, e tornossi a casa sua co la detta vergogna, e la città rimase sanza rettore; ma per necessità i Fiorentini feciono in luogo di podestà XII cittadini, due per sesto, uno grande e uno popolano, i quali si chiamarono le XII podestadi, e ressono la cittade infino a tanto che venne la nuova podestade.
LXXV
Come i Fiorentini feciono oste e presono il castello delle Stinche e Montecalvi, che 'l teneano i Bianchi.
Nel detto anno e mese d'agosto, essendo la città di Firenze retta per le XII podestadi, ordinarono oste per perseguitare i Bianchi e' Ghibellini, i quali aveano rubellate più fortezze e castella nel contado di Firenze, e intra gli altri era rubellato il castello delle Stinche in Valdigrieve a petizione de' Cavalcanti, al quale andò la detta oste, e puoservi l'assedio, e combatterlo, e per patti s'arrendero pregioni, e 'l castello fu disfatto, e' pregioni ne furono menati in Firenze, e messi nella nuova pregione fatta per lo Comune su 'l terreno degli Uberti di costa a San Simone; e per lo nome di que' pregioni venuti dalle Stinche, che furono i primi che vi furono messi, la detta pregione ebbe nome le Stinche. E disfatto il castello, e partita la detta oste, ne venne in Valdipesa, e assediaro Montecalvi, il quale aveano rubellato i Cavalcanti, e quello assediato e combattuto, s'arenderono salve le persone; ma uscendone uno figliuolo di messer Banco Cavalcanti, per uno de' figliuoli della Tosa fu morto, onde ebbono grande biasimo per la sicurtà data per lo Comune, e nulla giustizia per lo Comune ne fu. Lascereno alquanto de le nostre averse novità di Firenze, e faremo incidenza, tornando alquanto di tempo adietro per raccontare la fine della guerra dal re di Francia a' Fiaminghi, la quale lasciammo adietro.
LXXVI
Incidenza, tornando alquanto adietro a racontare delle storie de' Fiaminghi.
Negli anni di Cristo MCCCIII i Fiamminghi co·lloro oste grandissima corsono il paese d'Artese faccendo grande dammaggio, e arsono il borgo d'Arches fuori di Santo Mieri, e puosonsi a campo nel bosco di là dal fiume de la Liscia. I Franceschi ch'erano in Santo Mieri, più di IIIIm uomini a cavallo e gente a piede assai col maliscalco di Francia, saviamente ingannarono i Fiamminghi, che parte di loro al di lungi dell'oste si misono in guato una notte, e l'altra cavalleria e gente de' Franceschi assalirono i Fiaminghi da la parte del borgo d'Artese. I Fiaminghi vigorosamente tutti si misono a la 'ncontra de' Franceschi, e cominciarono la zuffa; gli altri Franceschi ch'erano nell'aguato uscirono al di dietro sopra i Fiamminghi, i quali veggendosi assalire improviso, si misono in isconfitta, e rimasorne morti più di IIIm, gli altri si fuggirono al poggio di Casella. In questo medesimo anno e tempo il buono messer Guido di Fiandra, il quale per retaggio della madre v'usava ragione sopra la contea d'Olanda e d'Isilanda, la quale tenea il conte d'Analdo suo cugino, prima coll'aiuto e forza de' Fiaminghi corse parte della contea d'Analdo, e poi con grande oste e navilio passò in Isilanda, e prese la terra di Midelborgo, e quasi tutto il paese e quelle isole d'intorno, salvo la terra di Silisea, la quale era molto forte e bene guernita. In questo anno venne di Puglia in Fiandra messer Filippo figliuolo del conte Guido di Fiandra, e lasciò e rifiutò al re Carlo di Puglia il contado di Tieti, di Lanciano, e de la Guardia in Abruzzi, il quale egli tenea in fio dal re e per dote de la moglie, per soccorrere il padre e' frategli e il suo paese di Fiandra, e amò meglio d'essere povero cavaliere sanza terra, per aiutare e soccorrere la sua patria e avere onore, che rimanere in Puglia ricco signore. Incontanente che fue in Fiandra da' Fiamminghi fu fatto signore e capitano di guerra, il quale usò in Italia e in Toscana e in Cicilia a le nostre guerre; fu molto sollecito e franco, però che alquanto era di testa, e coll'oste de' Fiamminghi andò sopra Santo Mieri, e corse e distrussono gran parte del paese infino a la marina; e poi assediò la guasta terra dell'antica città di Ternana in Artese, però ch'era sanza mura, pur cinta di fosse, e dentro v'erano in guardia CC cavalieri lombardi, e MD pedoni toscani e lombardi e romagnuoli con lance lunghe e tutti bene armati a la nostra guisa, onde i paesani di là si maravigliavano molto, e di loro aveano grande spavento; i quali avea fatti venire di Lombardia messer Musciatto Franzesi e messer Alberto Scotti di Piagenza, la quale era una buona masnada e valente, e d'onde i Fiaminghi più temeano. E credendogli i Fiaminghi avere presi in Ternana, però che per moltitudine di loro, ch'erano più di cinquantamilia, aveano presa per forza la porta, e valico il fosso, i Lombardi e' Toscani faccendo serragli e sbarre ne la ruga de la terra, ritegnendo e combattendo co' Fiamminghi, sì gli risistettono tutto il giorno; ma crescendo la potenza de' Fiamminghi per la moltitudine loro, compresono tutta la terra d'intorno, salvo da la parte del fiume, e credendosi avere circondati e presi tutti i Lombardi sanza riparo; ma i Lombardi e' Toscani, come savi e maestri di guerra, feciono uno bello e sùbito argomento al loro scampo, e a ingannare i Fiaminghi; ciò che ch'eglino stiparono due case l'una incontro a l'altra, le quali erano in capo del ponte del fiume de la Liscia che correa di costa a la terra, e vegnendo ritegnendo la battaglia manesca co' Fiaminghi, lasciandosi perdere di serraglio in serraglio al loro scampo e ritratta, come furono presso al ponte misono fuoco nelle dette case stipate, e valicarono il ponte sani e salvi, e di là dal fiume stavano schierati sonando loro stormenti, e faccendo schernie de' Fiaminghi, e saettando loro; e poi ricolti tutti, se n'andarono a la terra d'Aria in Artese, e poi a la città di Tornai. I Fiaminghi per la forza del gran fuoco non ebbono podere di seguirgli, onde rimasono con onta e vergogna scornati dello 'nganno de' Lombardi, e per cruccio misono fuoco, e guastarono e arsono tutta la città di Ternana; e poi sanza soggiorno se n'andarono per Artese guastando il paese, e puosonsi ad oste a la forte e ricca città di Tornai quasi intorno intorno con loro grande esercito, e crescendo loro oste. Ma la città era bene guernita di buona cavalleria e de le masnade de' Lombardi e Toscani, che poco o niente gli curavano; ma di continuo le dette masnade uscivano fuori della terra, e assalivano l'oste de' Fiaminghi di dì e di notte, dando loro molto affanno e sollecitudine, e faccendo romire la grandissima oste; e com'erano cacciati da' Fiaminghi, si riduceano in su i fossi di fuori sotto la guardia de le torri de la città e de' loro balestrieri ordinati in su le mura; e nulla altra gente facie guerra a' Fiaminghi, e di cui più temessono; e per questo modo sovente gabbavano i Fiaminghi. In questa stanza dell'asedio di Tornai lo re di Francia molto straccato di spendio, per trattato del conte di Savoia si presono triegue per uno anno da·llui a' Fiaminghi, e levossi l'assedio da Tornai; e 'l conte Guido di Fiandra fu lasciato di pregione sotto sicurtà di saramento e di stadichi, e di ritornare in pregione infra certo tempo; e andò così vecchio com'era in Fiandra con grande allegrezza per vedere suo paese libero da la signoria de' Franceschi, e fare festa a' suoi discendenti e buona gente del paese. E ciò fatto, disse ch'omai non curava di morire, quando a·dDio piacesse; e per lo saramento si tornò in pregione a Compigno, e poco stante si morì e rendé l'anima a·dDio in aggio di più di LXXX anni, come valente e savio uomo, e buono signore; e lui morto, il corpo suo fu recato in Fiandra, e soppellito a grande onore.
LXXVII
Come fu sconfitto e preso in mare messer Guido di Fiandra colla sua armata da l'amiraglio del re di Francia.
Fallite le triegue dal re di Francia a' Fiaminghi l'anno appresso MCCCIIII, lo re di Francia fece uno grande apparecchiamento di molti baroni per andare in Fiandra, con più di XIIm buoni cavalieri gentili uomini, e con più di Lm pedoni; e col detto esercito e con grande fornimento passò in Fiandra. In mare fece suo amiraglio messer Rinieri de' Grimaldi di Genova, valente e franco uomo e bene aventuroso in guerra di mare, il quale da Genova venne nel mare di Fiandra con XVI galee bene armate al soldo del re per guerreggiare per terra e per mare i Fiaminghi, per levare l'assedio da la terra di Cirigea in Fiandra, a la quale era il buono e valente messer Guido di Fiandra con più di XVm Fiaminghi sanza quegli del paese di sua parte. E corseggiarono, e fatta gran guerra a le terre marine di Fiandra, e preso molto navilio con mercatantia di Fiamminghi per lo detto amiraglio sì andò per soccorrere Sirisea con XX navi armate a Calese, e colle dette XVI galee. Messer Guido di Fiandra veggendolo venire, lasciò fornito in terra l'asedio a Silisea con Xm Fiaminghi, e armò LXXX navi, overo cocche, al modo di quello mare, fornite con castella per battaglia, e in ciascuna il meno C uomini fiaminghi e del paese, e egli in persona con molta buona gente salì in su la detta armata e navilio, avendo il detto messer Rinieri Grimaldi e' Genovesi per niente, per lo poco navile ch'avea a comparazione del suo; ma non istimava quello che portavano in mare le galee de' Genovesi armate. Sì s'afrontarono insieme, e l'asalto fu grande e forte e furioso del navilio di messer Guido per gli Fiaminghi, per lo soprastare che le sue navi colle castella armate faceano a le galee dell'amiraglio. Ma messer Rinieri conoscendo il modo del combattere di quelle navi, e de la marea e ritratta che fae quello mare per lo fiotto, sì si ritrasse adietro a·rremi colle sue galee, e lasciò le sue navi per abandonate, le quali erano armate di genti di quella marina; onde la maggiore parte furono prese e isbarattate, e credevasi messer Guido e' Fiaminghi avere vittoria de' suoi nemici, e messo l'amiraglio in fugga. Ma il savio amiraglio attese colle sue galee tanto che tornò il fiotto co la piena marea, com'è costume di quello mare; e la sua gente rinfrescata venne con forte rema de le sue galee come cavagli correnti, e con molti balestrieri a moschetti in su ciascuna galea assalendo e saettando le cocche e navi de' Fiaminghi, onde molti furono fediti e morti. I Fiaminghi non costumati di sì fatto assalto e battaglia, e non potendo per forza di vele tornare adietro né ire innanzi, isbigottirono molto. I Genovesi co·lloro navilio mescolandosi tra 'l navilio de' Fiaminghi, sì si misono IIII galee co l'amiraglio a combattere la grande cocca dello stendale ov'era messer Guido di Fiandra co' suoi baroni, e quella per forza di saettamento e per prestezza di genti co le spade in mano sagliendo da più parti in su la cocca, quella presono con molti fediti e morti da ciascuna parte, e messer Guido, tra gli altri ch'erano rimasi, s'arendero pregioni. E presa la nave di messer Guido, l'altre furono tutte sconfitte, e la maggiore parte prese. E per abondante la gente de' Fiaminghi ch'erano all'assedio della terra di Sirisea furono assediati eglino, e per difetto di vittuaglia chi fuggì a pericolo di morte, e chi s'arrendéo pregione; e messer Guido con molti altri ne fu menato preso in Francia e a Parigi. Questa pericolosa e grande sconfitta ebbono i Fiaminghi a l'uscita del mese d'agosto, gli anni di Cristo MCCCIIII. In questo medesimo tempo certi di Baiona in Guascogna co·lloro navi, le quali chiamano cocche, passarono per lo stretto di Sibilia, e vennero in questo nostro mare corseggiando, e feciono danno assai; e d'allora innanzi i Genovesi e' Viniziani e' Catalani usaro di navicare co le cocche, e lasciarono il navicare delle navi grosse per più sicuro navicare, e che sono di meno spesa: e questo fue in queste nostre marine grande mutazione di navilio.
LXXVIII
Come lo re di Francia sconfisse i Fiaminghi a Monsimpeveri.
Ne la detta state, innanzi la sopradetta sconfitta di messere Guido di Fiandra, i Fiaminghi sentendo la venuta del re di Francia facea sopra loro, feciono grande apparecchiamento d'oste, e furono più di LXm, e co' loro signori e capitani, messer Filippo di Fiandra, e messer Gianni conte di Namurro, e messer Arrigo suo fratello, e messer Guiglielmo di Giulieri, cogli altri baroni di Fiandra, e di Namurro, e d'Alamagna, e altri loro amici vennero co·lloro oste a Lilla e a le frontiere per contradiare al re e a sua gente l'entrata in Fiandra. La gente del re vegnendo da la parte di Tornai, feciono una grande punga al passo del ponte a Guandino in su la Liscia per passare il fiume, e fuvi morto il valente cavaliere messer Gianni Buttafuoco di que' di Gianville con più altri cavalieri franceschi, ma a la fine i Franceschi furono vincitori del passo, e valicò il re con tutta sua oste, e acampossi tra Lilla e Doagio nella valle del luogo detto Monsimpevero. I signori di Fiandra co·lloro oste scesono di Monsimpevero ov'erano acampati, e stesono loro alberghi e tende, e acamparsi nella piaggia sanza dirizzare tende o trabacche, con intenzione di venire a la battaglia incontanente, per le novelle ch'aveano già della sconfitta d'Isilanda di messer Guido; e puosonsi a la rincontra del re di Francia e di sua oste, e scesono tutti a piè, chi avea cavallo, apparecchiati di combattere; e aveano tanto carreggio, che di loro carri per loro fortezza e sicurtade si chiusono intorno intorno tutta loro oste, che girava più di III miglia, e lasciarono al campo V uscite. Ma intanto feciono mala capitaneria di guerra, che quando istesono i loro padiglioni e trabacche levandosi dal poggio di Monsimpeveri, tutto torciarono e caricarono co' loro arnesa e vittuaglia in su le loro carra, e quasi eglino medesimi s'assediarono e aseccarono; onde i Franceschi assalendogli al continuo in quella giornata con XIIII battaglie, ciò sono schiere, ch'aveano fatte di loro cavalleria, che di ciascuna era guidatore e capitano uno de' maggiori signori di Francia, tegnendoli a badalucchi e agirandogli d'intorno co·lloro schiere ordinate, sonando trombe e nacchere al continuo, molto gli affannavano; e eglino rinchiusi nel carrino, poco si poteano aiutare e offendere i Franceschi. E oltre a questo, faccendo venire i Franceschi i loro pedoni, e spezialmente i bidali, ciò sono Navarresi, Guasconi, e Provenzali, e con altri di Linguadoco, leggeri d'arme, con balestra e co' loro dardi e giavellotti a fusone, e con pietre pugnerecce conce a scarpelli a Tornai, onde il re avea fatti venire in su più carra, assaliro il carreggio de' Fiaminghi, e in più parti lo 'ntorniaro e rubaro, e istando in su' carri de' Fiaminghi saettando e gittando pietre e dardi alle schiere, onde molto forte affriggeano il popolo di Fiandra; e massimamente perché 'l tempo era caldissimo, e il fornimento di bere e di mangiare di Fiaminghi, che poco possono stare digiuni, era loro malagevole, e non ordinato da potere avere, però ch'era in su' carri, onde molto furono confusi. E stando in questo tormento infino presso al vespro, non potendo più durare, quasi come disperati di salute, alquanti di loro co' loro signori e capitani ordinarono d'uscire della bastita de' carri, e assalire l'oste de' Franceschi; e il buono messer Guiglielmo di Giulleri con certi eletti di Bruggia e del Franco di Bruggia fue una schiera, e messer Filippo di Fiandra con certi di quegli di Guanto e del paese un'altra schiera, e messer Gianni conte di Namurro con certi di quegli d'Ipro e de la marina furono un'altra schiera. E subitamente, non prendendosi guardia di ciò i Franceschi, uscirono a uno segno e grido del loro campo da tre parti, con gran furia e romore assalendo i Franceschi; e fue sì grande e forte l'assalto de' Fiaminghi, che messer Carlo di Valos, e il conte di San Polo, e più altre schiere furono rotte, e misonsi in volta. In buono messer Guiglielmo di Giulleri con que' di Bruggia e del Franco se n'andarono diritto al padiglione e logge del re di Francia con sì gran furia, uccidendo chiunque si parava loro innanzi, sì che non ebbono quasi nullo contrasto; sì furono al padiglione del re, trovando gli arosti e la vivanda della cena de' Franceschi a fuoco, e quelle tutte rubaro e mangiarono, e andando cercando la persona del re, il trovarono isproveduto e quasi disarmato, a piè, che indosso non avea arme, se non uno ghiazzerino; e perché nol trovarono coll'armi reali indosso, nol conobbono, che di certo morto l'avrebbono, che n'aveano il podere, e avrebbono finita la loro guerra, se Idio l'avesse asentito; e pur così sconosciuto, ebbe lo re troppo affare a montare a cavallo; e furongli morti a' piè parecchi grandi borgesi di Parigi, ch'aveano l'uficio di metterlo a cavallo. Ma come fu montato, cominciò a sgridare i suoi e dare loro conforto, e di suo corpo fare maraviglie d'arme, come quegli ch'era forte, e di fazzione di corpo il meglio fornito che nullo Cristiano che al suo tempo vivesse; sicché in poca d'ora ebbe sì riscosso da' nemici, e messigli in volta, e ricoverato il campo. E messer Carlo suo fratello e gli altri baroni che co·lloro schiere de' cavalieri fuggieno, sentendo che il re con sua schiera tenea campo, tornaro adietro e ingrossaro la battaglia del re, e fu sì possente, che mise in rotta e in isconfitta i Fiamminghi. E in quella punga rimase morto il buono messer Guiglielmo di Giulieri con più cavalieri, e baroni, e buoni borgesi ch'erano co·llui, ma non sanza grande dammaggio de' Franceschi, e che in quello assalto morìo il conte d'Alzurro, e 'l conte di Sansurro, e messer Gianni figliuolo del duca di Borgogna, e più altri baroni e cavalieri in quantità di MD e più, e di Fiaminghi vi rimasono morti più di VIm, e lasciaro tutto il loro carrino e arnese; e durò l'aspra battaglia infino a la notte con torchi accesi. E di certo per virtù solo della persona del re i Franceschi vinsono e ebbono vittoria della detta battaglia: e messer Filippo di Fiandra con gran parte de' Fiaminghi si fuggiro, e ricoverarono la notte in Lilla, e messer Gian di Namurro e messer Arrigo suo fratello fuggirono la notte a Ipro, e rimaso lo re co' Franceschi vincitori in su 'l campo. L'altro dì appresso ordinò che' Franceschi morti fossono soppelliti, e così fu fatto in una badia la quale è ivi di costa al piano ove fu la battaglia, e fece decreto e gridare sotto pena del cuore e d'avere ch'a nullo corpo de' Fiaminghi fosse data sepoltura, ad asemplo e perpetuale memoria. E io scrittore ciò posso testimoniare di vero, che a pochi dì appresso fui in su 'l campo dove fue la battaglia, e vidi tutti i corpi morti ancora non intaminati. E la detta battaglia fu all'uscita del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCIIII.
LXXIX
Come poco appresso la sconfitta di Monsimpevero i Fiaminghi tornaro per combattere col re di Francia, e ebbono buona pace.
L'altro dì appresso che 'l re di Francia ebbe la vittoria de' Fiaminghi sì si partì di quello luogo ove fue la battaglia, e con tutta sua oste si puose all'asedio a la terra di Lilla, ov'era rinchiuso e rimaso messer Filippo di Fiandra con certa buona gente d'arme per difendere la terra; e quella tutta circundata, sì che nullo ne potea uscire né entrare; e girava l'oste del re più di VI miglia, e fece rizzare molti difici e torri di legname per combattere la terra e 'l castello, il quale era molto forte e bello, fatto per lo re a la prima guerra; e di certo sanza lungo dimoro si credea lo re avere la villa e 'l castello per forza o per fame. In questo stante avenne grande maraviglia, e bene da farne nota e ricordanza; che tornato messer Gianni di Namurro a Bruggia, e richesti quelli del paese al soccorso di Lilla, non isbigottiti né ispaurati de le due grandi sconfitte ricevute così di corto a Sirisea in mare né a Monsimpevero, ma con grande ardire e buono volere tutti quelli del paese lasciando ogni loro arte e mestiere s'apparecchiarono di venire a l'oste; e in tre settimane dopo la sconfitta ebbono rifatti i padiglioni e trabacche; e chi non ebbe panno lino, sì le fece di buone bianche d'Ipro e di Guanto. E raunaro di tutto il paese il carreggio e tutti i fornimenti d'oste, e armossi nobilemente, e tutti per compagnie d'arti e di mestieri, con soprasberghe nuove di fini drappi divisata l'una compagnia da l'altra; e furono bene Lm d'uomini d'arme, e tutti si giurarono insieme di mai non tornare a·lloro casa, ch'egli avrebbono buona pace dal re, o di combattersi co·llui e con sua gente, però che meglio amavano di morire a la battaglia che vivere in servaggio. E così caldi e disperati ne vennero al ponte a Guarestona sopra la Liscia presso di Lilla, e acamparsi incontro all'oste del re di Francia; e per loro araldi (ciò sono uomini di corte) feciono richiedere lo re di battaglia. Quando lo re vide venuto così grande esercito de' Fiaminghi in così poco di tempo, e così disposti a battaglia, si maravigliò molto, e temette forte, avendo assaggiato a Monsimpevero la loro disperata furia; e richiese suo consiglio de' suoi baroni, de' quali non v'ebbe niuno sì ardito che non avesse temenza, dicendo al re: "Bene che Idio ci desse di loro la vittoria, non sarebbe sanza grande pericolo de la nostra gente e cara baronia, però che si combatteranno come gente disperata". Per la qual cosa il duca di Brabante, ch'era venuto come mezzano nell'oste del re col conte di Savoia insieme, si tramisono d'acordo e pace dal re e' Fiamminghi; e come piacque a·dDio, e per la tema de' Franceschi, la pace fue fatta e confermata in questo modo: che' Fiaminghi rimarrebbono in loro franchigia e libertà per lo modo antico e consueto, e ch'eglino riavrebbono i loro signori liberi delle carcere de·re di Francia, ciò era messer Ruberto di Bettona primogenito del conte Guido di Fiandra, e che succedea a essere conte, e messer Guiglielmo di Fiandra, e messer Guido di Namurro suoi fratelli, e più altri baroni e cavalieri e borgesi fiaminghi presi; e che il re ristituirebbe al conte d'Universa, figliuolo del detto messere Ruberto conte di Fiandra, la contea d'Universa e quella di Rastrello, le quali il re di Francia per la guerra gli avea tolte e levate. D'altra parte i Fiaminghi, per patti della pace e amenda al re, lasciavano a queto tutta la parte di Fiandra dal fiume della Liscia verso Francia che parlano piccardo, cioè Lilla, Doai, e Orci, e Bettona, con più villette; e oltre a·cciò pagare al re in certi termini libbre CCm di buoni parigini. E così fu giurata e promessa, e messa a seguizione, e in questo modo ebbe fine la dura e aspra guerra da·re di Francia a' Fiaminghi. Lasceremo di questa materia, ch'hae avuto suo fine, e torneremo a nostra, a dire de' fatti d'Italia e de la nostra città di Firenze, ch'assai novità vi furono in questi tempi. E prima de la morte di papa Benedetto, e di quelli che succedette appresso.
LXXX
Come morì papa Benedetto, e de la nuova lezione di papa Clemento quinto.
Negli anni di Cristo MCCCIIII, a dì XXVII del mese di luglio, morì papa Benedetto nella città di Perugia, e dissesi di veleno; che stando egli a sua mensa a mangiare, gli venne uno giovane vestito e velato in abito di femmina servigiale delle monache di Santa Petornella di Perugia, con un bacino d'argento, iv'entro molti begli fichi fiori, e presentogli al papa da parte della badessa di quello monestero sua devota. Il papa gli ricevette a gran festa, e perché gli mangiava volentieri, e sanza farne fare saggio, perch'era presentato da femmina, ne mangiò assai, onde incontanente cadde malato, e in pochi dì morìo, e fu soppellito a grande onore a' frati predicatori, ch'era di quello ordine, in Santo Arcolano di Perugia. Questi fue buono uomo, e onesto e giusto, e di santa e religiosa vita, e avea voglia di fare ogni bene, e per invidia di certi de' suoi frati cardinali, si disse, il feciono per lo detto modo morire; onde Idio ne rendé loro, se colpa v'ebbono, assai in brieve giusta e aperta vendetta, come si mostrerrà appresso. Ché dopo la morte del detto papa nacque scisma, e fue grande discordia infra 'l collegio de' cardinali d'eleggere papa, e per loro sette erano divisi in due parti quasi iguali; dell'una era capo messere Matteo Rosso degli Orsini con messer Francesco Guatani nipote che fu di papa Bonifazio, e dell'altra erano caporali messer Nepoleone degli Orsini dal Monte e 'l cardinale da Prato, per rimettere i loro parenti e amici Colonnesi inn-istato, e erano amici del re di Francia, e pendeano in animo ghibellino. E essendo stati per tempo di più di nove mesi rinchiusi e costretti per gli Perugini perché chiamassono papa, e non poteano avere concordia, a la fine trovandosi il cardinale da Prato con messer Francesco cardinale de' Guatani in segreto luogo, disse: "Noi facciamo grande male e guastamento della Chiesa a non chiamare papa". E messer Francesco disse: "E non rimane per me". Quello da Prato rispuose: "E s'io ci trovassi buono mezzo, saresti contento?". Rispuose di sì; e così ragionando insieme vennero a questa concordia, per industria e sagacità del cardinale da Prato, trattando col detto messer Francesco Guatani in questo modo gli diede il partito che l'uno collegio per levare ogni sospetto eleggesse tre oltramontani, sofficienti uomini al papato, cui a·lloro piacesse, e l'altro collegio infra XL dì prendesse l'uno di que' tre, cui a·lloro piacesse, e quegli fosse papa. Per la parte di messer Francesco Guatani fu preso di fare la lezione, credendosi prendere il vantaggio, e elesse tre arcivescovi oltramontani, fatti e criati per papa Bonifazio suo zio, molto suoi amici e confidenti, e nemici del re di Francia loro aversaro, confidandosi, che l'altra parte prendesse, d'avere papa a·lloro senno e loro amico; infra quegli tre fu l'arcivescovo di Bordello il primo più confidente. Il savio e proveduto cardinale da Prato si pensò che meglio si potea fornire il loro intendimento a prendere messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, che nullo degli altri, con tutto che fosse creatura del papa Bonifazio, e non amico del re di Francia, per offese fatte a' suoi nella guerra di Guascogna per messer Carlo di Valos; ma conoscendolo uomo vago d'onore e di signoria, e ch'era Guascone, che naturalmente sono cupidi, che di leggeri si potea pacificare col re di Francia; e così presono il partito segretamente, e per saramento egli e la sua parte del collegio, e ferme dall'uno collegio all'altro le carte e cautele de le dette convenenze e patti, per sue lettere propie e degli altri cardinali di sua parte scrissono al re di Francia, e inchiuse dentro sotto loro suggelli i patti e convenenze e commessione da·lloro a l'altra parte del collegio, e per fidati e buoni corrieri ordinati per gli loro mercatanti (non sentendone nulla l'altra parte) mandarono da Perugia a Parigi in XI dì, amonendo e pregando il re di Francia per lo tinore delle loro lettere che s'egli volesse racquistare suo stato in santa Chiesa, e rilevare i suoi amici Colonnesi, che 'l nimico si facesse ad amico, ciò era messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, l'uno de' tre eletti più confidenti dell'altra parte, cercando e trattando co·llui patti larghi per sé e per gli amici suoi, però che in sua mano era rimessa la lezione dell'uno di que' tre cui a·llui piacesse. Lo re di Francia avute le dette lettere e commessioni, fu molto allegro e sollicito a la 'mpresa. In prima mandate lettere amichevoli per messi in Guascogna a messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, che gli si facesse incontro, che gli volea parlare; e infra i presenti VI dì fu il re personalmente con poca compagnia e segreta conferito col detto arcivescovo di Bordello, in una foresta badia nella contrada di San Giovanni Angiolini; e udita insieme la messa, e giurata in su l'altare credenza, lo re parlamentò co·llui, e con belle parole, di riconciliarlo con messer Carlo, e poi sì gli disse: "Vedi arcivescovo, i' ho in mia mano di poterti fare papa s'io voglio, e però sono venuto a te: e perciò, se tu mi prometterai di farmi sei grazie ch'io ti domanderò, io ti farò questo onore; e acciò che tu sie certo ch'io n'ho il podere", trasse fuori e mostrogli le lettere e le commessioni dell'uno collegio de' cardinali e dell'altro. Il Guascone covidoso della dignità papale, veggendo così di subito come nel re era al tutto di poterlo fare papa, quasi stupefatto de l'alegrezza gli si gittò a' piedi, e disse: "Signore mio, ora conosco che m'ami più che uomo che sia, e vuomi rendere bene per male: tu hai a comandare e io a ubidire, e sempre sarò così disposto". Lo re il rilevò suso, e basciollo in bocca, e poi gli disse: "Le sei speziali grazie ch'io voglio da te sono queste. La prima, che tu mi riconcilii perfettamente colla Chiesa, e facci perdonare del misfatto ch'io commisi de la presura di papa Bonifazio. Il secondo, di ricomunicare me e' miei seguagi. Il terzo articolo, che mi concedi tutte le decime del reame per V anni, aiuto a le mie spese ch'i' ho fatte per la guerra di Fiandra. Il quarto, che tu mi prometti di disfare e anullare la memoria di papa Bonifazio. Il quinto, che tu rendi l'onore del cardinalato a messer Iacopo e a messer Piero de la Colonna, e rimettigli in istato, e fai co·lloro insieme certi miei amici cardinali. La sesta grazia e promessa mi riservo a luogo e a tempo, ch'è segreta e grande". L'arcivescovo promise tutto per saramento in sul Corpus Domini, e oltre a·cciò gli diè per istadichi il fratello e due suoi nipoti; e lo re giurò a·llui e promise di farlo eleggere papa. E ciò fatto, con grande amore e festa si partiro, menandone i detti stadichi sotto coverta d'amore e di riconciliargli con messer Carlo, e tornossi lo re a Parigi; e incontanente riscrisse al cardinale da Prato e agli altri di suo collegio ciò ch'avea fatto, e che sicuramente eleggessono papa messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, siccome confidente e perfetto amico. E come piacque a Dio, la bisogna fue sì sollecita, che in XXXV dì fu tornata la risposta del detto mandato a la città di Perugia molto segreta. E avuta il cardinale da Prato la detta risposta, la manifestò al segreto al suo collegio, e richiese cautamente l'altro collegio che quando a·lloro piacesse, si congregassono in uno, ch'eglino voleano oservare i patti, e così fu fatto di presente. E raunati insieme i detti collegi, e come fu bisogno a retificare e confermare l'ordine de' detti patti con vallate carte e saramenti fu fatto solennemente. E ciò fatto, per lo detto cardinale da Prato proposta saviamente una autorità de la santa Scrittura, che a·cciò si confacea, e per l'autorità a·llui commessa per lo modo detto, elesse papa il sopradetto messer Ramondo dal Gotto arcivescovo di Bordello; e quivi con grande allegrezza da ciascuna parte fue accettato e confermato, e cantato con grandi voci Te Deum laudamus etc., non sappiendo la parte di que' di papa Bonifazio lo 'nganno e 'l tranello com'era andato, anzi si credeano avere per papa quello uomo di cui più si confidavano: e gittate fuori le polizze della lezione, gran contasto e zuffe ebbe tra·lle loro famiglie, che ciascuno dicea ch'era amico di sua parte. E ciò fatto, e usciti i cardinali di là ov'erano inchiusi, incontanente ordinaro di mandargli la lezione e decreto oltre i monti là dov'egli era. Questa lezione fu fatta a dì V di giugno, gli anni di Cristo MCCCV, ed era stata vacata la sedia appostolica X mesi e XXVIII dì. Avemo fatta sì lunga menzione di questa lezione del papa per lo sottile e bello inganno come fatta fue, e per esemplo del futuro, e però che gran cose ne seguirono appresso, come per inanzi faremo al tempo del suo papato e del successore memoria. E questa lezione fu cagione perché il papato rivenne agli oltramontani e la corte n'andò oltre i monti, sicché del peccato commesso per gli cardinali italiani della morte di papa Benedetto, se colpa v'ebbono, e della frodolente lezione furono bene gastigati da' Guasconi, come diremo appresso.

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Ultimo Aggiornamento:12/07/05 22.41.30