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CLASSICI DELLA LETTERATURA ITALIANA

NUOVA CRONICA

Tomo Secondo

Di: Giovanni Villani

 

LIBRO UNDECIMO (93-138)

XCIII
Come la gente del re Ruberto presono Alagna.
Nel detto anno, a l'entrante di luglio, la gente del re Ruberto in quantità d'ottocento cavalieri, ond'era capitano il dispoto di Romania nipote del detto re, e il conte Novello di quegli del Balzo, presono e entrarono per forza ne la città d'Alagna in Campagna col favore de' nipoti che furono di papa Bonifazio, e cacciarne con battaglia tutti i seguaci del Bavero, il quale si facea chiamare imperadore, onde fu grande favore al re Ruberto, e il contradio al detto Bavero. Nel detto anno, a dì XVII di luglio, i Ghibellini de la Marca con cavalieri d'Arezzo vennono in quantità di Vc cavalieri subitamente sopra la città da Rimine, per condotta dell'arciprete de' Malatesti ribello di Rimine, e presono i borghi, ma poi per forza ne furono cacciati con danno e con vergogna di quegli usciti di Rimine. Nel detto anno e mese di luglio ne la città di Vignone in Proenza, ove era la corte di Roma, fu grandissimo diluvio d'acqua per crescimento di Rodano; che per diverse piogge cadute in Borgogna, e nevi strutte a le montagne, il Rodano crebbe sì disordinatamente, che uscì de' suoi termini, e infinito danno fece in Valdirodano, e in Vignone guastò più di M case lungo la riva, e molte genti anegarono. Nel detto anno e mese di luglio Alberghettino, che tenea Faenza, venne ad acordo e comandamento del papa, cioè del legato del papa a Bologna.
XCIV
Come i Parmigiani e' Reggiani si rubellarono dal legato e dalla Chiesa di Roma.
Nel detto anno, il primo dì d'agosto, quegli della città di Parma con trattato de' Rossi che n'erano signori rubellarono Parma a la signoria de la Chiesa, e cacciarne la gente e uficiali del legato, opponendo che gli oppressavano troppo, ed era pur vero, con tutto ch'eglino pure aveano male in animo, e in più casi erano stati mali Guelfi e non fedeli a parte di Chiesa. E per simile modo il seguente dì si rubellarono i Reggiani, e feciono lega con messer Cane signore di Verona e con Castruccio, onde i Fiorentini e gli altri Guelfi di Toscana ne sbigottirono assai.
XCV
Come il Bavero, che si facea chiamare imperadore, col suo antipapa si partì di Roma e venne a Viterbo.
Nel detto tempo, gli anni di Cristo MCCCXXVIII, essendo il sopradetto Bavero in Roma in povero stato di moneta, perché gli aveano fallato il re Federigo di Cicilia e que' di Saona usciti di Genova e gli altri Ghibellini d'Italia di venire con loro armata e con moneta al tempo promesso; e la sua gente già per difetti venuta in discordia e da' Romani male veduti, e la gente del re Ruberto già presa forza in Campagna e in terra di Roma, sì s'avisò il detto Bavero che in Roma non potea più dimorare sanza pericolo di sé e di sua gente, si mandò il suo maliscalco a Viterbo con VIIIc cavalieri, ed egli appresso si partì di Roma col suo antipapa e' suoi cardinali a dì IIII d'agosto del detto anno, e giunse a Viterbo a dì VI d'agosto. E a la sua partita i Romani gli feciono molta ligione, isgridando lui e 'l falso papa e loro gente, e chiamandogli eretici e scomunicati, e gridando: "Muoiano, muoiano, e viva la santa Chiesa!"; e fedirono co' sassi, e uccisono di loro gente; e lo 'ngrato popolo gli fece la coda romana, onde il Bavero ebbe grande paura, e andonne in caccia e con vergogna. E la notte medesima ch'egli s'era il dì dinanzi partito entrò in Roma Bertoldo Orsini nipote del legato cardinale con sua gente, e la mattina vennero messer Stefano della Colonna, e furono fatti sanatori del popolo di Roma. E a dì VIII d'agosto vennono il legato cardinale e messer Nepoleone Orsini con loro seguaci con grande festa e onore; e riformata la santa città di Roma de la signoria di santa Chiesa, feciono molti processi contra il dannato Bavero e contra il falso papa, e su la piazza di Campidoglio arsono tutti i loro ordini e brivilegi; ed eziandio i fanciugli di Roma andavano a' mortori, ov'erano sotterrati i corpi de' morti Tedeschi e d'altri ch'aveano seguitato il Bavero, e iscavati de le monimenta gli tranavano per Roma e gittavangli in Tevero. Le quali cose per giusta sentenzia di Dio furono al Bavero e al suo antipapa e a' loro seguaci grande brobbio e abbominazione, e segni di loro rovina e abassamento. E per la loro partita si fuggirono di Roma Sciarra de la Colonna, e Iacopo Savelli, e i loro seguaci, i quali erano stati caporali di dare la signoria di Roma al Bavero, e di molti furono abattuti e guasti i loro palazzi e beni, e condannati. E poi a dì XVIII d'agosto entrò in Roma messer Guiglielmo d'Ebole con VIIIc cavalieri del re Ruberto e gente a piè assai con grande onore: onde la città fu tutta sicura, e riformata a l'ubbidienza di santa Chiesa e del re Ruberto.
XCVI
Come il Bavero andò a oste a Bolsena con trattato d'avere la città d'Orbivieto.
Come il Bavero fu in Viterbo con sua gente, il quale avea ancora più di MMD cavalieri tedeschi, sanza gl'Italiani, sì venne a oste sopra il contado d'Orbivieto, e prese più loro castella e villate, faccendo grande danno. E a dì X d'agosto, l'anno detto, si puose a oste al castello di Bolsena, al quale fece dare continue battaglie; ma la sua stanza era in quello luogo per uno trattato ch'avea in Orbivieto, che gli dovea essere data la terra la vilia di santa Maria d'agosto, ch'è loro principale festa: andando i cittadini a l'offerta, i traditori d'entro doveano dare la terra per la porta che vae verso Bagnorea. E già v'era cavalcato il suo maliscalco con M cavalieri, ma come piacque a nostra Donna, si scoperse il detto tradimento in sul punto che giunse il maliscalco, e' traditori presi e giustiziati. E quando fu fallito al Bavero il suo intendimento, il dì appresso si partì coll'oste da Bolsena e tornossi a Viterbo, e poi a dì XVII d'agosto si partì di Viterbo col suo falso papa e' suoi cardinali e tutta sua gente, e venne a la città di Todi, non oservando i patti a' Todini che gli aveano dati IIIIm fiorini d'oro, acciò che non entrasse in loro terra; e venuto in Todi, impuose a' Todini Xm fiorini d'oro, e caccionne i Guelfi, e l'antipapa per bisogno di danari spogliò Santo Fortunato di tutti i gioelli e santuarie infino a le lampane, che v'erano d'ariento, che valea grande tesoro. E stando il Bavero in Todi, sì mandò il conte d'Ottinghe con Vc cavalieri per conte in Romagna, il quale co la forza de' Ghibellini di Romagna cavalcarono infino a le porte d'Imola, ardendo e guastando; e d'altra parte il detto Bavero fece cavalcare il suo maliscalco con M cavalieri a Fuligno, credendo avere la terra per tradimento; ma come piacque a Dio, non venne fatto, onde si tornarono a Todi, ardendo e dibruciando e levando prede per le terre del Ducato.
XCVII
Come il Bavero essendo a Todi ordinò di venire sopra la città di Firenze, e l'apparecchiamento che feciono i Fiorentini
Ne' detti tempi essendo il Bavero in Todi, e perseguitando con tanta rovina e Romagna e 'l Ducato, e essendo molto infestato da' Ghibellini usciti di Firenze e gli Aretini e gli altri Toscani di parte d'imperio, che dovesse venire ad Arezzo per venire da quella parte a oste sopra la città di Firenze, con ordine fatta, che Castruccio, che ancora vivea e era molto montato per la vittoria avuta sopra i Fiorentini de la città di Pistoia, con sua oste dovesse venire per lo piano di verso Prato, e gli Ubaldini co la forza del conte d'Ottinghe e de' Ghibellini di Romagna rubellare il Mugello, e da tutte parti chiudere le strade a' Fiorentini, mostrando al detto Bavero che, vinta la città di Firenze (che assai gli era possibile), era signore di Toscana e di Lombardia, e poi assai leggermente potea conquistare il regno di Puglia sopra il re Ruberto; onde il detto Bavero a·cciò s'accordò, e già avea questo preso per consiglio, e fece cominciare l'apparecchiamento per la sua venuta ad Arezzo. I Fiorentini ebbono grandissima paura, e bisognava bene, ch'egli era in sul tempo de la ricolta, e era carestia e scarso di vittuaglia, onde se fosse seguita la detta venuta del Bavero, e il detto ordine preso per gli Ghibellini, i Fiorentini erano in grande pericolo di potere guerentire la cittade, e da molte parti erano spaventati, veggendosi circundati di sì possenti tiranni e nimici. Ma però non si disperaro né si gittarono tra vili e cattivi, però che vile perisce chi a viltà s'appoggia; e piccolo riparo e rispitto molti casi fortuiti passa. Onde i Fiorentini presono conforto e vigore, e con grande consiglio e sollecitudine feciono rafforzare le castella di Valdarno, cioè Monteguarchi, e Castello San Giovanni, e Castello Franco, e l'Ancisa, e guernire di vittuaglia e d'ogni guernimento da difenzione e guerra; e mandarvi in ciascuna terra due capitani de' maggiori cittadini, uno grande e uno popolano, con masnade a cavallo e con grande quantità di buoni balestrieri. E per simile modo feciono guernire Prato e Signa e Artimino, e tutte le castella di Valdarno di sotto, e feciono isgombrare di vittuaglia e strame tutto il contado, e recare a la città o a terre forti e murate, acciò che' nimici non trovassono di che vivere per loro e per loro bestie. E mandarono per loro amistadi, e grande guardia si facea di dì e di notte ne la città, e a le porte e a le torri e mura, e faccendo rafforzare ovunque la città era debole; e come franchi uomini erano disposti a sostenere ogni passione e distretta per mantenere coll'aiuto di Dio la cittade. E ordinarono di mandare al re Ruberto e al duca, e così feciono, che rimossa ogni cagione, il duca personalmente co le sue forze venisse a la difensione della città di Firenze; e se non venisse, il Comune era fermo, che le CCm di fiorini d'oro che davano al duca per suoi gaggi secondo i patti, di non pagargli, se non tanti solamente quanto montassono i gaggi de' cavalieri che tenea messer Filippo di Sangineto suo capitano, che poteano montare l'anno CXm di fiorini d'oro; e il rimanente voleano per lo Comune per fornire la guerra. De la quale richesta il re e 'l duca molto si turbarono; ma veggendo il bisogno de' Fiorentini, però non volle mettere in aventura la persona del duca contra il Bavero, ma ordinarono di mandare messer Beltramon del Balzo con IIIIc cavalieri a suo soldo per contentare i Fiorentini. Ma tardi era il soccorso; ma come piacque a Dio, che mai non venne meno la sua misericordia a le strette necessitadi del nostro Comune, in brevissimo tempo ci diliberò del tiranno Castruccio per sua morte, come adietro facemmo menzione, e poi di diverse e varie mutazioni e novità ch'avennono al dannato Bavero, come innanzi faremo menzione; e non solamente Idio ci guarentì, ma ci adirizzò in vittorie, prosperità, e buono stato.
XCVIII
Come fu morto il tiranno messer Passerino signore di Mantova.
Nel detto anno, a dì XIIII d'agosto, Luisi da Gonzaga di Mantova, con trattato fatto con messer Cane signore di Verona e coll'aiuto de' suoi cavalieri venuti segretamente a Mantova, tradì messere Passerino, e corse la città di Mantova gridando: "Viva il popolo, e muoia messer Passerino e le sue gabelle!", e con questa furia vegnendo in su la piazza, trovando il detto messer Passerino isproveduto e disarmato vegnendo a cavallo a la detta gente per sapere perché il romore fosse, il detto Luisi gli diede d'una spada in testa, ond'egli morì di presente; e poi prese il figliuolo e 'l nipote del detto messer Passerino, il quale suo figliuolo era fellone e reo, e degnamente gli fece morire per mano del figliuolo di messer Francesco de la Mirandola, cui messer Passerino per tradimento e a torto avea fatto morire; e poi si fece signore de la terra. E così si mostra il giudicio di Dio per la parola del suo santo Vangelio, "Io ucciderò il nimico mio col nimico mio", abbattendo l'uno tiranno per l'altro. Questo messer Passerino fu de la casa de' Bonaposi di Mantova, e gli antichi furono Guelfi; ma per essere signore e tiranno si fece Ghibellino, cacciando i suoi medesimi e ogni possente di Mantova. Fu piccolo de la persona, ma molto savio e proveduto e ricco, e fu signore in Mantova lungo tempo e di Modana, e sconfisse i Bolognesi, come adietro facemmo menzione, l'anno MCCCXXV; ma dopo il colmo de la detta sua gloria e vittoria ogni dì venne abassando suo stato, come piacque a Dio.
XCIX
Come quegli di Fermo de la Marca presono San Lupidio.
Nel detto anno e mese d'agosto quegli de la città di Fermo de la Marca presono per tradimento il castello di San Lupidio, e corsollo e rubarlo tutto, e cacciarne i Guelfi con molta uccisione, e quasi la detta terra fu distrutta.
C
Come i Sanesi ebbono Montemassi co la forza de' Fiorentini.
Nel detto anno e mese d'agosto i Fiorentini, non istanchi né sbigottiti per la tornata del Bavero in Toscana, mandarono in aiuto de' Sanesi Vc cavalieri, onde fu capitano messer Testa Tornaquinci, per difendergli da la forza di Castruccio, il quale avea mandati in Maremma VIc de' suoi cavalieri per levare i Sanesi da oste dal castello di Montemassi, e già aveano preso e rubato e arso il castello di Pavanico; e di certo i Sanesi non aveano podere di tenere campo, se non fosse la forza de' Fiorentini, che incontanente la gente di Castruccio si ritrasse, e' Sanesi ebbono il castello a patti, rendendosi a sicurtà ne le mani de' Fiorentini a dì XXVII d'agosto. Lasceremo de' fatti universali degli strani, e torneremo al processo e andamenti del Bavero.
CI
Come don Piero di Cicilia co la sua armata e di quegli di Saona vennono in aiuto del Bavero, e come arrivarono a Pisa, là dov'era il detto Bavero.
Nel detto anno MCCCXXVIII, del mese d'agosto, don Piero, che re Piero si facea chiamare, figliuolo di Federigo signore di Cicilia, con LXXXIIII tra galee e uscieri, e con III navi grosse e più legni sottili, tra di Cicilia e degli usciti di Genova ch'abitavano in Saona, vennono al soccorso del Bavero detto imperadore con VIc cavalieri tra Catalani e Ciciliani e Latini; e tutto che secondo l'ordine e promessa giugnessono tardi al suo soccorso, puosono in più parti nel Regno, prima in Calavra, e poi ad Ischia, e poi sopra Gaeta, seguendo la stinea de la marina, faccendo danno e correrie a le terre del re Ruberto sanza contasto niuno. E poi in terra di Roma presono Asturi e vennono in foce di Tevero, credendo che 'l Bavero fosse a Roma; e non trovandolo, guastarono intorno a Orbitello, e arrivarono a Corneto; e di là sentendo novelle che 'l Bavero era a Todi, gli mandarono ambasciadori che venisse a la marina a parlamentare co·lloro, il quale Bavero avendo le dette novelle, mutò consiglio del venire verso Firenze per la via d'Arezzo, e partissi da Todi a dì XXXI d'agosto col suo antipapa e tutta sua corte e gente, e venne a Viterbo, e là lasciò il detto antipapa e la 'mperadrice e l'altra gente, e con VIIIc cavalieri andò a Corneto a don Piero; e là scendendo que' signori in terra, stettono in parlamento alquanti giorni con grandi contasti e riprensioni, perché l'armata non era venuta al tempo promesso, e domandava il Bavero i danari promessi per gli patti. Don Piero e suo consiglio il richiedea che venisse sopra le terre del re Ruberto, e egli verrebbe co l'armata per mare e darebbegli la moneta promessa, ch'erano XXm once d'oro. In questo contasto ebbono novelle e ambasciadori da' Pisani, come la gente di Castruccio aveano corsa la città di Pisa e cacciatane la signoria del Bavero; e d'altra parte il detto Bavero non si sentia in podere, né in disposizione la sua gente di volere andare nel Regno, sentendo i passi guerniti, e la carestia di vittuaglia grande in tutte parti: sì prese consiglio di venire verso Pisa co la donna sua e con tutta sua gente per terra, e l'armata per mare. E così fu fatto; che a dì X di settembre si partirono di Corneto, e vegnendo, morì a Montalto il perfido eretico e maestro e conducitore del Bavero maestro Marsilio di Padova; e giunse il Bavero e l'oste sua a Grosseto a dì XV di settembre; e l'armata di don Piero presono Talamone e guastarlo, e scesono a Grosseto, e col Bavero insieme vi puosono l'oste a petizione degli usciti di Genova e de' conti da Santa Fiore per torre il porto e 'l passo de la mercatantia a' Fiorentini e a' Sanesi e agli altri Toscani che per ischifare Pisa faceano quella via; e stettonvi IIII dì a l'assedio dandovi grandi battaglie co' balestrieri ch'erano in su l'armata, e salirono più volte in su le mura di Grosseto, e furonne cacciati per forza, e rimasonvene morti più di IIIIc de' migliori; ma per soperchia gente e battaglie non si potea la terra guari tenere. Ma in questa stanza venne novella e ambasciadori di certi imperiali di Pisa al Bavero, come Castruccio signore di Lucca era morto, e che' figliuoli con loro masnade aveano corsa la terra, e che per Dio si studiasse d'andare a Pisa, se non che temeano che non dessono la terra a' Fiorentini. Per la qual cosa il Bavero si partì da Grosseto a dì XVIII di settembre, e con sollecito cavalcare entrò in Pisa a dì XXI di settembre, e da' Pisani fu ricevuto con grande allegrezza per essere fuori de la signoria de' figliuoli di Castruccio e de' Lucchesi; i quali sentendo la sua venuta, si partirono di Pisa e tornarono a Lucca, e il Bavero riformò la terra di Pisa a sua signoria, e fece suo vicario Tarlatino de' Tarlati d'Arezzo, il quale fece cavaliere, e diede il gonfalone del popolo, onde i Pisani furono molto contenti, e parve loro tornare in loro libertade per la signoria tirannesca avuta da Castruccio e da' figliuoli. E ciò fatto, don Piero di Cicilia, avuti molti parlamenti col Bavero e coll'altra lega de' Ghibellini, si partì di Pisa co la sua armata a dì XXVIII di settembre, e simile feciono gli usciti di Genova. Ma a don Piero male avenne, che essendo col suo navilio già presso a l'isola di Cicilia, fortuna gli venne a la 'ncontra, e tutto suo navilio sciarrò in più parti alle piagge di terra di Roma e di Maremma, onde furono in grande pericolo e condizione di scampare; e perirono in mare da XV de le sue galee co la gente che v'era suso, e molte altre ruppono e straccarono in diverse parti; e don Piero con grande pericolo arrivò a Messina con IIII galee solamente; e·rimanente dell'altre arrivarono in diversi porti di Cicilia scemati di gente e d'arnesi, onde i Ciciliani ricevettono una grande sconfitta. Lasceremo alquanto di questa materia, e torneremo a' fatti di Firenze e dell'altra Italia.
CII
Come messere Cane della Scala ebbe la signoria della città di Padova.
Nel detto anno MCCCXXVIII, essendo la città di Padova molto afflitta e anullata di podere e di signoria e di gente, e perduto la maggior parte di suo contado per la discordia di grandi cittadini, e per la persecuzione de la guerra avuta con messer Cane della Scala signore di Verona, quegli della casa da Carrara di Padova, cacciati i loro vicini e guasta loro parte guelfa per volere essere signori e tirannare, quasi per necessità non potendo bene tenere la terra, s'accordaro con messere Cane e imparentarsi co·llui, e diedongli la signoria di Padova a dì VIII del mese di settembre, la quale sì lungamente avea bramata; e a dì X del mese v'entrò con grande trionfo e signoria. E come fu in Padova, l'ordinò e compuose in assai giusto e convenevole stato secondo la terra ch'era guasta, sanza fare vendetta di niuno, e rimettendo nella città chiunque volle tornare sotto la sua signoria. E bene s'adempié la profezia di maestro Michele Scotto de' fatti di Padova, ove disse molto tempo dinanzi: "Padue magnatum plorabunt filii necem diram et orrendam datam Catuloque Verone".
CIII
Come i Fiorentini presono per forza il castello di Carmignano.
Nel detto tempo, sentendo messer Filippo di Sangineto con gli altri capitani della guerra di Firenze e col consiglio de' priori, che·cci trovammo allora di quello collegio, sentendo che 'l castello di Carmignano non era bene fornito, ed erano isbigottiti de la morte di Castruccio, sì ordinarono segretamente d'assalirlo e di combatterlo e prenderlo per forza; e così misono a seguizione, che 'l detto capitano con certi Fiorentini e con parte della cavalleria e popolo a piè si partirono una notte ordinata di Samminiato e dell'altre terre di Valdarno, e feciono la via del monte, e la mattina furono intorno a Carmignano; e per simile modo, e a uno punto, vi venne la cavalleria de' Fiorentini ch'era in Prato, co' Pratesi e gente a piè assai, sì che si trovarono intorno a Carmignano VIIIc cavalieri oltramontani e Vm pedoni. Il castello era assai forte di sito, e parte murato per Castruccio e parte steccato e affossato, e con torri e bertesche di legname; ma era d'uno grande giro e porpreso, e dentro v'avea L cavalieri e da VIIc uomini a piè, che bisognava a la guardia due cotanti gente. Messer Filippo capitano de' Fiorentini fece tutti i cavalieri scendere a piè, e a ciascuno conastabole aggiunse pedoni con pavesi e balestra e raffi e stipa e fuoco, e a ciascuno diede la sua posta intorno al castello; e da più di XX parti a uno suono di trombe e nacchere il fece assalire e combattere; la quale battaglia fue aspra e dura e sostenne da la mattina a ora di nona. Ma a la fine per lo grande porpreso e per la prodezza de' nostri cavalieri in più parti vinsono la battaglia con grande danno di que' d'entro e entrarono per forza dentro a la terra e puosono le bandiere. Gli altri de la terra veggendo entrati i nimici dentro, abbandonarono le loro poste e la terra, e fuggirono, chi poté, nel girone de la rocca, e l'altra gente entrò poi ne la terra, e corsolla e rubarla tutta, e di gran preda la spogliarono; e ciò fu a dì XVI del mese di settembre del detto anno. E la rocca si tenne poi VIII giorni, avendovi ritti mangani e difici, i quali gli consumavano dì e notte, e eranvi con grande fame e difetto di vittuaglia per la molta gente che v'erano rifuggiti de' terrazzani. A la fine s'arendé la rocca e 'l girone a patti, salve le persone e ciò che se ne potessono portare. E ebbono i soldati che v'erano dentro per menda di loro cavagli MCC fiorini d'oro. Questi patti così larghi si feciono loro però che 'l Bavero era già giunto in Pisa, e di sua cavalleria già venuta in Pistoia, ond'era a la nostra oste grande pericolo a soprastarvi. Di questo acquisto di Carmignano ebbe in Firenze grande allegrezza, isperando che la fortuna prospera fosse adirizzata a' Fiorentini, ma più consigli si tennono di disfare la terra e la rocca per dubbio del Bavero, o di ritenerla; a la fine si vinse che si ritenesse e si recasse a minore giro, e si murasse tutta con torri di pietre e calcina, e rafforzare la rocca e 'l girone, e che mai non si lasciasse per gli Fiorentini, ma che si confiscasse a perpetuo al nostro contado; e così fu tutto di presente fatto.
CIV
Come il re di Francia fece fare pace tra 'l conte di Savoia e 'l Dalfino di Vienna.
Nel detto anno, a l'uscita di settembre, lo re Filippo di Francia a preghiera e studio de la reina Crementa, la quale era stata moglie del re Luis di Francia e figliuola di Carlo Martello re d'Ungheria e nipote del re Ruberto, sì fece fare pace tra 'l conte di Savoia e 'l Dalfino di Vienna nipote de la detta reina, intra' quali era stata lunga e mortale guerra; e essendo la detta reina malata a morte, per darle consolazione lo re in sua presenza la fece fare, e basciare in bocca i detti signori, la quale poco apresso passò di questa vita, onde fu gran dammaggio, sì come di savia e valente donna e reina.
CV
Come il Bavero andò a Lucca, e dispuose de la signoria i figliuoli di Castruccio.
Essendo il sopradetto Bavero in Pisa, i figliuoli di Castruccio gli furono molto abominati da' Pisani, e ch'eglino e il loro padre Castruccio aveano tenuto trattato co' Fiorentini contra l'onore della corona; e ciò fu in parte verità. Onde il Bavero era molto indegnato contra loro, e per lo correre ch'aveano fatto in Pisa, e la sua gente non lasciavano entrare in Lucca. Per la qual cosa la moglie che fu di Castruccio, per raumiliarlo contra i figliuoli, sì venne in Pisa, e donogli il valore di Xm fiorini d'oro, tra in danari e gioegli e ricchi destrieri, e rimisesi in lui, lei e' figliuoli. Per la qual cosa, e per consiglio de' Pisani e di certi Lucchesi, il Bavero andò a Lucca a dì V d'ottobre, e fugli fatto grande onore; ma per gli sombugli ch'avea nella città per gli cittadini, che non voleano che' figliuoli di Castruccio rimanessono signori, si levò la città a romore a dì VII d'ottobre, e s'asserragliò e abarrò da casa gli Onesti e in più parti. A la fine fu corsa per gli Tedeschi, e riformò la terra a sua signoria, e lasciò per signore il Porcaro suo barone, che tanto è a dire Porcaro in tedesco come conte castellano; ma in nostra lingua era chiamato Porcaro. E impuose a Lucca e al contado CLm di fiorini d'oro, tagliandogli per uno anno, promettendo di lasciargli franchi. E trasse di pregione messer Ramondo di Cardona e 'l figliuolo, che fu capitano de' Fiorentini, e pagogli per sua redenzione IIIIm fiorini d'oro, e fecelo giurare a la sua signoria, e ritennelo al suo soldo con C cavalieri; e ciò fu a priego del re di Raona; e tornò in Pisa a dì XV d'ottobre, e a' Pisani impuose Cm fiorini d'oro; per le quali imposte in Pisa e in Lucca n'ebbe grandi ramarichii e dolori per gli cittadini per la soperchia gravezza, e il loro male stato, e macerati de le guerre. In questa stanza il Porcaro, che 'l Bavero avea lasciato in Lucca, s'imparentò co' figliuoli di Castruccio, e rimisegli inn-istato e signoria, e mostrava di volersi tenere co·lloro insieme la signoria di Lucca e del contado; per la qual cagione per certi Lucchesi e Pisani furono fatti sospetti de la corona, onde per gelosia della 'mpresa del Porcaro de' fatti di Lucca e de' Tedeschi de la bassa Alamagna partiti da·llui e andati al Cerruglio, come appresso faremo menzione, il Bavero tornò a Lucca a dì VIII di novembre, e dispuose di signoria il detto Porcaro, il quale se n'andò per disdegno in Lombardia e poi in Alamagna, e a' figliuoli di Castruccio tolse ogni titolo del ducato, e mandò loro e·lla madre a' confini a Pontriemoli, e 'l Comune di Pisa con assento del Bavero condannarono i figliuoli di Castruccio, e Nieri Saggina loro tutore, e tutti gli usciti di Firenze, e chi furono caporali co·lloro a rompere il popolo di Pisa e correre la terra nell'avere e nella persona sì come traditori.
CVI
Come certi della gente del Bavero si rubellarono da lui, e vennono in sul Cerruglio di Vivinaia.
In questo presente tempo i Tedeschi de la bassa Alamagna i quali erano col Bavero, conceputo il disdegno, cominciata la discordia tra 'l Bavero e loro infino a Cisterna, in Campagna, sì come adietro facemmo menzione, e istando in Pisa, e non potendo avere le loro paghe e gaggi dal Bavero, sì feciono infra loro cospirazione e congiura, e furono da VIIIc uomini a cavallo, e i più de' migliori di sua gente, seguendoli più altri gentili uomini rimasi a piè per povertà; e partirsi di Pisa a dì XXVIIII d'ottobre del detto anno, e credettono prendere e rubellare la città di Lucca e tenerlasi per loro; e venia loro fatto, se non che 'l Bavero sentendo loro folle partita, per messaggi battendo, mandò a Lucca che non fossono ricettati nella città; e così fu fatto. Per la qual cosa albergando ne' borghi di Lucca, gli rubarono d'ogni sustanzia, e vennono in Valdinievole, e non potendo entrare in niuna fortezza murata, sì si misono in sul Cerruglio, il quale è in su la montagna di Vivinaia e di Montechiaro, il quale luogo Castruccio avea afforzato quando avea la guerra co' Fiorentini, e quello rafforzarono e tennono, faccendosi dare trebuto e vittuaglia a tutte le terre vicine. E in questa loro stanza più trattati feciono cercare co' Fiorentini, e venne in Firenze il duca di Cambenic de la casa di quegli di Sassogna, e messer Arnaldo di..., loro caporali; ma poco effetto ebbono allora i loro trattati, perché voleano troppo larghi patti e molta moneta, e' Fiorentini si poteano male fidare di loro; e con questo tuttora erano in trattato col Bavero per riconciliarsi co·llui, per avere i loro gaggi, e parte n'ebbono, più per tema che non s'accordassono co' Fiorentini che per amore. Avenne che in questi trattati da·lloro al Bavero egli mandò a·lloro per ambasciadore e trattatore messer Marco de' Visconti di Milano, il quale ad istanzia del Bavero fece loro certa impromessa di moneta per levargli del luogo e menargli in Lombardia; i quali passato il termine, e non fornito per lo Bavero come avea promesso, ritennono il detto messer Marco cortesemente per loro pregione per LXm fiorini d'oro; e dissesi che 'l Bavero il vi mandò viziatamente per farlo ritenere per levarlosi d'intorno, non fidandosi di lui per quello ch'avea fatto a messer Galeasso suo fratello di torgli la signoria di Milano. Di questa compagna dal Cerruglio seguirono poi grandi novitadi e mutazioni ne la città di Lucca, come innanzi faremo per gli tempi menzione.
CVII
Come il re Ruberto e 'l duca suo figliuolo mandarono inn-aiuto de' Fiorentini Vc cavalieri.
Nel detto anno, il dì d'Ognesanti, giunse in Firenze messer Beltramone del Balzo con Vc cavalieri, i quali il re Ruberto e 'l duca suo figliuolo mandò di Puglia al servigio de' Fiorentini e al suo soldo per contastare il Bavero; e ciò fu per sodisfare in parte la richesta ch'aveano fatta i Fiorentini di volere la persona del duca, sì come dovea venire a difendere la città di Firenze, dapoi che prendea CCm fiorini d'oro, com'era in patti. De la quale venuta de' cavalieri i Fiorentini furono altrettanto contenti come se fosse venuto il duca in persona, perciò che già rincrescea loro la sua signoria, e cercavano modo di non volergli dare l'anno i detti danari dapoi che non istava in Firenze personalmente; ma tosto si quetò la detta questione, come diremo apresso.
CVIII
Come morì Carlo duca di Calavra e signore di Firenze.
Nel detto anno, a dì VIIII del mese di novembre, come piacque a Dio, messer Carlo figliuolo del re Ruberto duca di Calavra, e signore de' Fiorentini, passò di questa vita nella città di Napoli d'infermità di febbre presa a uccellare nel Gualdo; onde in Napoli n'ebbe grande dolore e in tutto il Regno, e soppellìsi al monistero di Santa Chiara in Napoli, a dì XIIII di novembre, a grande onore, sì come re; e poi se ne fece l'esequio in Firenze a dì II di dicembre a la chiesa de' frati minori, molto grande e onorevole di cera in grandissima quantità, per lo Comune e per la parte guelfa e per tutte l'arti; e furonvi le signorie e 'l capitano ch'era del duca, e uomini e donne e tutta la buona gente de la città di Firenze, che apena poteano capere nella piazza di Santa Croce non che nella chiesa. Di questo duca non rimase reda nulla maschio, ma due figliuole femmine, una nata, e d'una rimase grossa la duchessa; onde a lo re Ruberto suo padre e a tutto il Regno n'ebbe gran dolore, però che 'l re Ruberto non avea altro figliuolo maschio. Questo duca Carlo fu uomo assai bello del corpo, e informato, innanzi grosso, e non troppo grande; andava in capegli sparti, assai era grazioso, di bella faccia ritonda, con piena barba e nera, ma non fu di gran valore a quello che potea essere, né troppo savio; dilettavasi in dilicatamente vivere e de la donna, e più in ozio che in fatica d'arme, con tutto che 'l padre lo re Ruberto il tenea molto corto per gelosia de la sua persona, perché non avea più figliuoli; morì d'etade di.... anni; assai fu cattolico e onesto, e amava giustizia. De la morte di questo signore i cittadini di Firenze ch'amavano parte guelfa ne furono crucciosi, quanto per parte; ma il genero de' cittadini ne furono contenti per la gravezza della spesa e moneta che traeva de' cittadini, e per rimanere liberi e franchi, che già cominciava a dispiacere forte a' cittadini la signoria de' Pugliesi, i quali avea lasciati suoi uficiali e governatori, che a nulla altra cosa intendeano con ogni sottigliezza se non di fare venire danari in Comune, e di tenere corti i cittadini di loro onori e franchigia, e tutto si voleano per loro; e di certo, se 'l duca non fosse morto, non potea guari durare, che' Fiorentini avrebbono fatta novità contra la sua signoria, e rubellati da·llui.
CIX
Come i Fiorentini riformarono la città di signorie dopo la morte del duca.
Dapoi che' Fiorentini ebbono novelle de la morte del duca, ebbono più consigli e ragionamenti e avisi, come dovessono riformare la città di reggimento e signoria per modo comune, acciò che si levassono le sette tra' cittadini; e come piacque a·dDio, quegli che allora erano priori, con consiglio d'uno buono uomo per sesto, di concordia trovarono questo modo ne la lezione de' priori e gonfalonieri, cioè che' priori con due arroti popolani per sesto facessono scelta e rapporto di tutti i cittadini popolani guelfi degni de l'uficio del priorato, d'età da XXX anni in suso; e per simile modo feciono i gonfalonieri de le compagnie con II popolani arroti per gonfalone; e simile recata facessono i capitani di parte guelfa col loro consiglio; e simile i cinque uficiali della mercatantia col consiglio di VII capitudini de le maggiori arti, due consoli per arte. E fatte le dette recate, ne la sala de' priori si congregarono i priori e' gonfalonieri a l'entrante del mese di dicembre, e co·lloro i XII buoni uomini consiglieri, e con cui i priori faceano le gravi diliberazioni, e con XVIIII gonfalonieri de le compagnie, e due consoli di ciascuna delle XII arti maggiori, e VI arroti fatti per gli priori e per gli detti XII consiglieri per ciascuno sesto, sì che in tutto furono in numero di LXXXXVIII; e messo ciascuno uomo recato a scruttino segreto di fave bianche e nere, ricolte per due frati minori e due predicatori e due romitani, forestieri savi e discreti, e parte di loro a vicenda stavano nella camera a ricogliere le fave e a noverarle; e chiunque avea LXVIII boci, cioè LXVIII fave nere, era aprovato per priore e messo in segreto rigistro scritto, il quale rimase apo i frati predicatori, e in una piccola cedola sottile iscritto il nome e sopranome suo, e messo in una borsa a sesto a sesto come venia; e quelle borse messe in uno forziere serrato a tre chiavi, e mandato nella sagrestia de' frati minori; e l'una chiave teneano i frati conversi di Settimo, che stavano a la camera dell'arme de' priori, e l'altra il capitano del popolo, e l'altra il ministro de' frati. E quando finiva l'uficio de' priori de' due in due mesi, anzi loro uscita il meno per III dì, i vecchi priori col capitano sonando e raccogliendo il consiglio facevano venire il detto forziere, e in presenza del consiglio s'apriva, e a sesto a sesto s'aprieno le dette borse, mischiando le bollette, e poi traendole in aventura; e quegli ch'era tratto era priore, oservando il divieto ne la persona di quegli ch'era due anni, che più non potea essere infra 'l tempo; e il figliuolo, padre, o fratello di quegli avea divieto uno anno; e la casa ond'era VI mesi. E questo ordine si fermò prima per gli opportuni consigli, e poi in pieno parlamento ne la piazza de' priori, ove fu congregato molto popolo, ov'ebbe molti dicitori, e lodando l'ordine, e confermandola a dì XI di dicembre MCCCXXVIII, sotto gravi pene chi contro facesse, e che di due in due anni del mese di gennaio si dovesse rifare da capo per simile modo, e chi vi si trovasse in registro che non fosse uscito o tratto vi rimanesse; e chi di nuovo fosse approvato per lo detto squittino fosse rimescolato con quegli che non fossono tratti; e quegli che tratti fossono si rimettessono a sesto a sesto in un'altra borsa infino che fossono gli altri tutti tratti.
Per simile modo e squittino s'aprovarono i XII uomini consiglieri de' priori; e chi era, durava il loro uficio IIII mesi, e qual era dell'uno collegio era dell'altro. I gonfalonieri de le compagnie si feciono per simile modo, salvo che poteano essere giovani di XXV anni o da indi in suso; e durava il loro uficio quattro mesi, che in prima duravano VI mesi. E per simile modo ciascuna de le XII maggiori arti feciono i loro consoli; e rimutossi il consiglio del Cento, e Credenza, e LXXXX, e generale, che soleano essere per antico; e fecesi uno consiglio di popolo di CCC uomini popolani scelti e approvati sofficienti e guelfi; e simile uno consiglio di Comune, ove avea grandi uomini de' casati e popolani di CCL uomini approvati, e furono recati a termine di IIII mesi, ove soleano essere per VI mesi, per avicendare i cittadini, e dare parte degli ufici. Per questo modo fu riformata la città di Firenze de' suoi reggimenti e uficiali, e poco tempo appresso per fuggire le pregherie si feciono per borse, overo sacchi, approvati per squittino le podestadi forestiere. Avemo così stesamente fatta memoria di questa riformazione, perché fu con bello ordine e comune; e seguìne assai tranquillo e pacefico stato al nostro Comune uno tempo, perché sia esemplo a coloro che sono a venire; ma com'è l'usanza de' Fiorentini di spesso volere fare mutazioni, per la qual cosa gli detti buoni ordini assai tosto si coruppono e viziaro per le sette de' malvagi cittadini, che al tutto voleano reggere sopra gli altri, mettendo con frode a le riformazioni de' loro seguaci non degni a' detti ufici, e lasciare adietro de' buoni e sofficienti, onde seguì poi molti danni e pericoli a la nostra città, come innanzi faremo menzione.
CX
Come in Firenze fu fatta una imposta sopra il chericato.
In questi tempi si fece in Firenze per autorità d'una vecchia lettera di papa una imposta sopra il chericato di XIIm fiorini d'oro (bene ch'ella fosse ordinata innanzi per lo priorato ch'era stato al tempo che 'l Bavero dovea venire verso Firenze per la via d'Arezzo, e Castruccio era vivo, e dovea venire da la parte di Pistoia), acciò ch'egli atassono per li loro benifici la difensione de la città e del contado contra i rubegli e persecutori di santa Chiesa; de la quale imposta il detto chericato ingrato e sconoscente non volea pagare, e convenne che pagassono per forza; per la qual cosa appellarono al papa, e misono lo 'nterdetto in Firenze a dì XVIII di novembre, e poi il levarono infino a la Bifania, e poi il ripuosono infino che 'l vescovo di Firenze ch'era ne la Marca tornò, e levollo con loro grande vergogna, però che s'ordinava di trarre i cherici de la guardia del Comune; e ciò fu a dì V di febbraio anni MCCCXXVIII. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, e diremo dell'altre novità degli strani che furono in questi tempi.
CXI
Come sobbissò per tremuoti gran parte de la città di Norcia del Ducato con più castella ivi intorno.
Nel detto anno MCCCXXVIII, a l'entrante di dicembre, furono diversi tremuoti ne la Marca ne le contrade di Norcia, per modo che quasi la maggior parte de la detta città di Norcia sobbissò, e caddono le mura de la terra e le torri, case, e palazzi, e chiese, e de la detta rovina, perché fu sùbita e di notte, morirono più di Vm persone. E per simile modo rovinò uno castello presso a Norcia, che si chiama le Precchie, che non vi rimase persona né animale vivo; e per simile modo il castello di Montesanto, e parte di Monte Sammartino, e di Cerreto, e del castello di Visso.
CXII
Come il Bavero ne la città di Pisa condannò papa Giovanni, e papa Giovanni apo Vignone diè sentenzia contro al Bavero.
Nel detto anno, a dì XIII del mese di dicembre, il Bavero, il quale si dicea essere imperadore, si congregò uno grande parlamento, ove furono tutti i suoi baroni e maggiori di Pisa, laici e cherici, che teneano quella setta, nel quale parlamento frate Michelino di Cesena, il quale era stato ministro generale de' frati minori, sermonò in quello contro a papa Giovanni, opponendogli per più falsi articoli e con molte autoritadi ch'egli era eretico e non degno papa; e ciò fatto, il detto Bavero a modo d'imperadore diè sentenzia contra il detto papa Giovanni di privazione. E in questi medesimi tempi e mese di dicembre, per le digiune Quattro Tempora, il detto papa Giovanni apo Vignone in concestoro de' suoi cardinali e de' parlati di corte piuvicò e fece gran processi contra il detto Bavero, sì come eretico e persecutore di santa Chiesa e de' suoi fedeli, e per sentenzia il privò e dispuose d'ogni dignità e stato e signoria, e commise a tutti gl'inquisitori della eretica pravità che procedessono contro a·llui e chi gli desse aiuto o conforto o favore.
CXIII
Come l'antipapa con suoi cardinali entrò ne la città di Pisa e predicò contro a papa Giovanni.
Nel detto anno, a dì III di gennaio, l'antipapa di su detto, frate Piero di Corvara, entrò in Pisa a modo di papa con suoi VII cardinali fatti per lui, al quale per lo Bavero detto imperadore e da sua gente e da' Pisani fu ricevuto con gran festa e onore, andandogli incontro il chericato e' religiosi di Pisa e' laici col detto Bavero con grande processione a piè e a cavallo, con tutto che quegli che 'l vidono dissono che parea loro opera isforzata e non degna, e la buona gente e' savi di Pisa molto si turbarono, non parendo loro ben fare, sostegnendo tanta abbominazione. E poi a dì VIII del detto mese di gennaio il detto antipapa predicò in Pisa e diede perdono, come potea, di colpa e di pena, chi rinnegasse papa Giovanni, e tegnendolo per non degno papa, confessandosi de' suoi peccati infra gli otto dì, e confermando la sentenzia che 'l detto Bavero avea data contro a papa Giovanni per la predica di frate Michelino, come dicemmo adietro.
CXIV
Di certe cavalcate che la gente che 'l capitano del re Ruberto co la gente de' Fiorentini feciono sopra il contado di Pisa.
Nel detto tempo, a dì X di gennaio, essendo il Bavero in Pisa con tutta sua forza, messere Beltramone del Balzo capitano della gente del re Ruberto essendo in Samminiato a le frontiere colla sua gente e con quella de' Fiorentini, in numero di M a cavallo e gente a piè assai, cavalcarono in sul contado di Pisa per la Valdera infino a ponte di Sacco, e levarono grande preda di gente, e di bestiame, e arsono tutto il paese, e stettonvi due dì e una notte, né però la gente del Bavero non uscirono di Pisa per soccorrere il loro contado, dicendo il Bavero a' Pisani, se volessono che cavalcassono, dessono danari a' suoi cavalieri; onde molto fu ripreso e tenuto a vile da la buona gente di Toscana. E poi a dì XXI di febbraio il detto messer Beltramone con sua gente e con quella de' Fiorentini cavalcarono sopra il contado di Pisa, e simile levarono grande preda, ma fu con danno d'alquanti di sua gente a piè, i quali per ghiottornia de la preda s'erano dilatati per lo paese, e a la ritratta ve ne rimasono de' morti e de' presi più di CL.
CXV
D'uno certo tradimento che fu scoperto che si doveva fare in Firenze.
Nel detto anno, in mezzo gennaio, fu menato uno trattato per Ugolino di Tano degli Ubaldini con certi uomini di piccolo affare di Firenze di tradire la città di Firenze in questo modo: che dovea mettere di sagreto in Firenze CC de' suoi fanti, e quegli stare nel borgo d'Ognesanti e di San Paolo, e una notte ordinata fare mettere fuoco in quattro case, in diverse parti di Firenze in San Piero Scheraggio e Oltrarno, le quali si trovarono allogate a pigione e stipate di scope; e appresi i detti fuochi, quando la gente fossono tratti al soccorso del fuoco, i detti fanti, onde dovea essere capo uno Giovanni del Sega da Carlone, oso fante e ardito, si doveano raunare in sul prato d'Ognesanti con più altri loro seguaci e Ghibellini, gridando: "Viva lo 'mperadore!", e imbarrare le vie, e fare tagliare la porta del Prato e quella de le Mulina; e da Pistoia per cenno di fuoco ordinato doveano venire la notte M cavalieri di quegli del Bavero con M fanti in groppa a guida del detto Ugolino e altri usciti di Firenze, ed entrare in sul Prato e correre e combattere la terra. E da Pisa dovea simigliante quella notte muovere il maliscalco del Bavero con molta gente e venire a Firenze. Ma, come piacque a Dio, il detto trattato si scoperse per certi compagni del detto Giovanni del Sega, e liberò Idio la città di Firenze di tanto pericolo, con tutto che per molti cittadini si fece quistione, se potesse essere venuto fornito il detto tradimento, non essendo nella città possenti uomini ch'avessono risposto al tradimento, che non si trovò di vero; e in Firenze avea gente a cavallo assai, e a piè innumerabile quantità a la difensione, e la città grande, e in molte parti ripari e fortezze da difendere. Ma s'avessono proceduto, non era sanza grande rischio e pericolo, essendo il romore di notte e improviso, onde i cittadini sarebbono stati isbigottiti e in sospetto l'uno dell'altro per tema di maggiore ordine di tradimento, sì che ci e il pro e il contro. Ma come si fosse, il detto Giovanni fue menato in su uno carro per tutta la città attanagliato, e levatogli le carni di dosso co le tanaglie calde in fuoco, e poi piantato; e tre altri ch'aveano cerco e sentito il trattato, e non revelato, furono impiccati in sul prato d'Ognesanti; e Ugolino di Tano e più suoi seguaci condannati come traditori. E quegli che scopersono il trattato ebbono MM fiorini d'oro dal Comune, e brivileggiati che potessono sempre portare ogni arme da offendere e da difendere per guardia di loro persone. Ma per molti cittadini e forestieri si disse che la detta cerca e trattato sì pur fece, ma parendo al consiglio del Bavero impossibile a poterlo fornire e recarlo a fine sanza loro gran pericolo, sì il lasciarono, e il detto Ugolino degli Ubaldini e' suoi consorti a più loro amici e parenti fiorentini se ne scusarono, che non v'avea colpa.
CXVI
Come l'antipapa fece suo cardinale messer Giovannino Visconti di Milano.
Nel detto anno, a dì XXVIIII di gennaio, l'antipapa a richiesta del Bavero e di messere Azzo Visconti di Milano fece suo cardinale messer Giovannino di messer Maffeo Visconti, e mandollo in Lombardia per suo legato; e il detto Bavero confermò sì come imperadore la signoria di Milano a messer Azzo Visconti, promettendogli il detto messer Azzo in certe paghe CXXVm di fiorini d'oro per sodisfare i suoi cavalieri, i quali erano al Cerruglio; onde ordinò loro capitano messer Marco Visconti, e licenziollo si tornasse a Milano. Il quale messer Azzo se n'andò in Lombardia con uno barone del Bavero che si chiamava il Pulcaro, con certi de' cavalieri dal Cerruglio, e giunto in Milano il detto Pulcaro ebbe da messer Azzo XXVm di fiorini d'oro, e andossene con essi nella Magna sanza risponsione al detto Bavero o a' cavalieri dal Cerruglio. Per la qual cosa saputo in Lucca, il Bavero si tenne male contento e ingannato dal Pulcaro e da messer Azzo Visconti; e i cavalieri de la compagna dal Cerruglio ritennono messer Marco Visconti loro capitano per pegno e come loro pregione per gli loro gaggi promessi per messer Azzo. In questi inganni e dissimulazioni vivea in Lucca e in Pisa il detto antipapa e quegli che si chiamava imperadore. E in questi dì quegli della città di Volterra e di San Gimignano feciono una tacita triegua col Bavero e co' Pisani, acciò che non gli cavalcassono, onde i Fiorentini furono molto crucciosi, e mandarvi loro ambasciadori forte riprendendogli.
CXVII
Come il capitano del Patrimonio e gli Orbitani furono sconfitti in Viterbo credendo avere presa la terra.
Nel detto anno, a dì II di febbraio, il capitano del Patrimonio, che v'era per lo papa, co la forza degli Orbitani, avendo certo trattato con certi cittadini di Viterbo di dare loro l'entrata della terra, sì entrarono in Viterbo per una porta con CCC cavalieri e VIIc pedoni, e corsono la terra infino a la piazza, e per mala capitaneria si cominciaro a spargere per la città rubando, credendo avere vinta la terra. Il signore di Viterbo con molti de' cittadini si cominciarono a difendere e abarrare le vie; e combattendo, vinsono coloro ch'erano rimasi in su la piazza, onde furono sconfitti e cacciati; e rimasonvi tra morti e presi più di C a cavallo e più di CC a piè. E in questi medesimi dì que' d'Orbivieto lasciarono la signoria di Chiusi a' signori di Montepulciano, però che di loro era il vescovo di Chiusi, e rimisono in Chiusi ogni parte e usciti.
CXVIII
Come i Romani per carestia tolsono la signoria di Roma al re Ruberto.
In questi tempi, a dì IIII di febbraio, essendo in Roma sanatore per lo re Ruberto messer Guiglielmo d'Eboli suo barone con CCC cavalieri a la guardia de la terra, i Romani avendo grande carestia di vittuaglia per lo grande caro che generalmente era per tutta Italia, dogliendosi del re Ruberto che non gli forniva del Regno, a romore si levò il popolo, gridando: "Muoia il sanatore!"; e corsollo in Campidoglio assalendolo aspramente, il quale con tutta sua gente non poté resistere; si s'arendé e uscì de la signoria con grande danno e vergogna, e' Romani feciono loro sanatori messer Stefano de la Colonna e messer Poncello Orsini, i quali del loro grano e di quello degli altri possenti Romani feciono venire in piazza, e racquetarono il popolo.
CXIX
Come il detto anno, e più il seguente, fue grande caro di vittuaglia in Firenze e quasi in tutta Italia.
Nel detto anno MCCCXXVIII si cominciò e fu infino nel CCCXXX grande caro di grano e di vittuaglia in Firenze, che di soldi XVII lo staio ch'era valuto di ricolta, il detto anno valse XXVIII, subitamente in pochi dì montò in XXX soldi; e poi entrando il seguente anno CCCXXVIIII, ogni dì venne montando sì, che per la Pasqua del Risoresso del XXVIIII valse soldi XLII, e innanzi che fosse il novello per lo contado in più parti valse fiorino uno d'oro lo staio, e nonn-avea pregio il grano, possendosene avere per danari la gente ricca che n'avea bisogno, onde fu grande stento e dolore a la povera gente. E non fu solamente in Firenze, ma per tutta Toscana e in gran parte d'Italia; e fu sì crudele la carestia che' Perugini, e' Sanesi, e' Lucchesi, e' Pistolesi, e più altre terre di Toscana per non potere sostentare cacciarono di loro terre tutti i poveri mendicanti. Il Comune di Firenze con savio consiglio e buona provedenza, riguardando a la piatà di Dio, ciò non sofferse, ma quasi gran parte de' poveri di Toscana mendicanti sostenne, e fornì di grossa quantità di moneta la canova; mandando per grano in Cicilia, faccendolo venire per mare a Talamone in Maremma, e poi condurlo in Firenze con grande rischio e ispendio; e così di Romagna e del contado d'Arezzo, e non guardando al grave costo, sempre ch'era la grave carestia, il tenne a mezzo fiorino d'oro lo staio in piazza, tuttora col quarto orzo mescolato. E con questo era sì grande rabbia del popolo in Orto San Michele, che convenia vi stesse a guardia degli uficiali le famiglie delle signorie armate col ceppo e mannaia per fare giustizia, e fecionsene intagliare membri. E perdévi il Comune di Firenze in quegli due anni più di LXm fiorini d'oro per sostentare il popolo; e tutto questo era niente; se non che infine si provide per gli uficiali del Comune di non vendere grano in piazza, ma di fare pane per lo Comune a tutti i forni, e poi ogni mattina si vendea in tre o quattro canove per sesto di peso d'once VI il pane mischiato per danari IIII l'uno. Questo argomento sostenne e contentò la furia del popolo e della povera gente, ch'almeno ciascuno potea avere pane per vivere, e tale avea danari VIII o XII per sua vita il dì, che non potea raunare i danari di comperare lo staio. E tutto ch'io scrittore non fossi degno di tanto uficio, per lo nostro Comune mi trovai uficiale con altri a questo amaro tempo, e co la grazia di Dio fummo de' trovatori di questo rimedio e argomento, onde s'apaciò il popolo, e fuggì la furia, e si contentò la povera gente sanza niuno scandalo o romore di popolo o di città. E con questo testimonio di verità che anche in niuna terra si fece per gli possenti e pietosi cittadini tante limosine a' poveri, quanto in quella disordinata carestia si fece per gli buoni Fiorentini; ond'io sanza fallo stimo e credo che per le dette limosine e provedenza fatta per lo povero popolo, Idio abbia guardata e guarderà la nostra città di grandi aversitadi. Avemo fatto sì lungo parlare sopra questa materia per dare esemplo a' nostri cittadini che verranno d'avere argomento e riparo, quando in così pericolosa carestia incorresse la nostra città, acciò che si salvi il popolo al piacere e reverenza di Dio, e la città non incorra in pericolo di furore o rubellazione. E nota che sempre che la pianeta di Saturno saràe ne la fine del segno del Cancro e infino al ventre del Leone, carestia fia in questo nostro paese d'Italia, e massimamente nella nostra città di Firenze, però che pare attribuita a parte di quello segno. Questo non diciamo sia però necessitade, che Idio può fare del caro vile e del vile caro secondo sua volontà, o per grazia de' meriti di sante persone o per pulizione de' peccati; ma naturalmente parlando, Saturno secondo il detto de' poeti e astrolagi è lo Dio de' lavoratori, ma più vero la sua infruenza porta molto a l'overaggio e semente de le terre; e quand'egli si truova ne le case e segni suoi aversi e contrarii, come il Cancro e più il Leone, adopera male le sue vertù ne la terra, però ch'egli è di naturale isterile, e il segno del Leone isterile; sì che dà caro e sterelità, e non ubertà e abbondanza. E questo per isperienza avemo veduto per gli tempi passati, e basti a chi s'intende di queste ragioni, che così fu in questi tempi, il qual è di XXX in XXX anni, e talora ne le sue quarte, secondo le congiunzioni di buone o ree pianete.
CXX
Come l'antipapa del Bavero fece in Pisa processi contra papa Giovanni e lo re Ruberto e Comune di Firenze.
Nel detto anno MCCCXXVIII, a dì XVIIII di febbraio, l'antipapa del Bavero, il quale era nella città di Pisa, in pieno parlamento e sermone, ove fu il detto Bavero e tutta sua baronia e parte de la buona gente di Pisa, fece processo e diè sentenzia di scomunica contro a papa Giovanni, e contro al re Ruberto, e contro al Comune di Firenze e chi loro seguisse, opponendo contro a' detti falsi articoli. Avenne in ciò grande maraviglia, e visibile e aperta, che raunandosi il detto parlamento, subitamente venne da cielo la maggiore tempesta di gragnuola e d'acqua con terribile vento, che per poco mai venisse in Pisa; e perché agli più de' Pisani pareva mal fare andando al detto sermone, e per lo forte tempo pochi ve n'andavano, per la qual cosa il Bavero mandò il suo maliscalco a cavallo con gente d'arme e con fanti a piede per la città a costrignere che la buona gente andasse al detto parlamento e sermone, e con tutta la forza pochi ve n'andarono. E in quello cavalcare per la terra il detto maliscalco, essendo la detta fortuna e tempesta, prese freddo a la persona, onde per guerire la sera fece uno bagno, ove fece mettere acqua stillata, e in quello bagnandosi vi s'apprese fuoco, e subitamente il detto maliscalco nel detto bagno arse e morì sanza altro male di persone; la qual cosa fu tenuto gran miracolo di Dio e segno contrario al Bavero e a l'antipapa, che' loro indegni processi non piacessono a Dio. E poi a dì XXIII di febbraio il detto Bavero palesò a' Pisani di partirsi di Toscana, e per sue grandi bisogne gli convenia ire in Lombardia, onde i Pisani per la sua appressione furono molto allegri.
CXXI
Come la parte ghibellina de la Marca presono la città d'Iegi, e tagliarono il capo a Tano che n'era signore.
Nel detto anno, a dì VIII di marzo, i Ghibellini de la Marca, ond'era loro capitano di guerra il conte di Chieramonte di Cicilia, con gente del Bavero subitamente entrarono ne' borghi della città d'Iegi col favore e trattato di quegli de la cittade, de la quale era capo e signore Tano da Iegi, uno grande capitano di parte guelfa e molto ridottato in tutta la Marca, il quale tirannescamente lungo tempo l'avea soggiogata, e molto temuto e disamato da' suoi cittadini, e presi i borghi e la terra, assediarono i palazzi e rocca ov'era il detto Tano e sua famiglia, e quella combatterono; e perché il detto Tano era non proveduto né fornito, non potendosi difendere s'arrendé, al quale il detto conte di Chieramonte infra il terzo dì gli fece tagliare la testa, sì come a nimico e ribello dello 'mperio. E così gli fece confessare, e dicesi che di sua libertà confessò, e si rendé colpevole non di quello peccato che gli parea avere fatto mercé in servigio di santa Chiesa essere rubello dello 'mperio, ma che in quello tempo, essendo eletto capitano di guerra de' Fiorentini, e s'apparecchiava di venire, era disposto a petizione di certi grandi e popolani di Firenze, per cagione di sette, di guastare il nostro tranquillo stato, e farvi nuova parte, e sì come tiranno cacciare gente de la nostra città di Firenze. Se questo s'avesse potuto fare o no, egli di vero il confessò a la morte, onde per la grazia di Dio la nostra città fu libera del male volere del tiranno per mano de' nostri nimici non provedutamente
CXXII
Come gli Aretini ebbono il Borgo a Sansipolcro per assedio.
Nel detto anno avendo i signori da Pietramala d'Arezzo impetrato dal Bavero titolo de la signoria d'Arezzo e de la Città di Castello, le quali teneano, e de la terra del Borgo a Sansipolcro, la quale non era sotto loro soggezione, volendola signoreggiare quegli del borgo, si misono a la difensione i Guelfi e' Ghibellini per essere liberi; onde i detti Tarlati signori da Pietramala co la forza degli Aretini e con loro amistà misono assedio con oste a la terra del Borgo a Sansipolcro, la quale era molto forte e di mura e de' fossi, e intorno a quella stettono più d'otto mesi ad assedio con più battifolli non avendo contasto niuno. Ben mandarono que' del borgo loro ambasciadori a' Fiorentini per darsi loro liberamente, se gli liberassono dell'asedio e gli difendessono dagli Aretini. Per gli Fiorentini si diliberò di non fare quella impresa per l'essere del Bavero, ch'allora era in Pisa, e perché il borgo era di lungi e fuori di nostre marce e impossibile a fornirlo. A la fine i borghigiani veggendosi abandonati dagli amici guelfi di Toscana, e certi de' migliori de la terra presi dagli Aretini in loro cavalcate, s'arrenderono agli Aretini sotto certi patti a l'uscita del mese di marzo, rimanendo la dominazione de la terra a' detti signori da Pietramala d'Arezzo.
CXXIII
Come il Bavero andò a Lucca e fece correre la terra, e dispuose della signoria i figliuoli di Castruccio.
Nel detto anno, a dì XVI di marzo, il Bavero si partì di Pisa e andonne a Lucca per certa disensione cominciata in Lucca tra quegli della casa de' Pogginghi con séguito di loro amici grandi e popolani e quegli degl'Interminelli e' figliuoli di Castruccio e' loro seguaci, i quali ciascuna parte avea abarrata la terra, e si combatteano per non avere signoria di tiranni cioè de' figliuoli di Castruccio e' loro seguaci, o d'altri degl'Interminelli. Ivi al terzo dì che 'l Bavero vi fu venuto, fece correre la terra al suo maliscalco con la sua cavalleria, ove fu grande punga e battaglia, e misesi fuoco, ond'arsono la maggior parte de le case de' Pogginghi, e intorno a Santo Michele, e in Filungo infino a cantone Bretto, nel migliore e più caro de la cittade con grandissimo danno de' casamenti e d'avere. A la fine de' Pogginghi e di loro seguaci molti furono cacciati fuori de la terra; e ciò fatto, il Bavero riformò la terra e prese mezzo, e fece suo vicaro in Lucca Francesco Castracane degl'Interminelli per XXIIm di fiorini d'oro ch'ebbe da·llui tra danari e promesse; e dispuose d'ogni signoria i figliuoli di Castruccio, i quali, tutto fossono congiunti del detto messer Francesco, s'astiavano e voleano male insieme, perché ciascuno volea essere signore. E riformata la terra, il Bavero si tornò in Pisa a dì III d'aprile MCCCXXVIIII.
CXXIV
Come i seguaci de' figliuoli di Castruccio con messere Filippo Tedici corsono la città di Pistoia, e come ne furo cacciati.
In quegli giorni entrarono nella città di Pistoia i figliuoli di messer Filippo Tedici co la forza de' figliuoli di Castruccio loro cognati, e con Serzari Sagina, che si chiamava signore d'Altopascio, e loro seguaci e masnade di loro amici tedeschi a cavallo e a piè, e corsono la terra, gridando: "Vivano i duchini!", cioè i figliuoli di Castruccio, sanza contasto niuno; e credendosi avere vinta la terra, quegli della casa de' Panciatichi, e di Muli, e Gualfreducci, e Vergellesi, antichi Ghibellini e nimici de' Tedici, con loro amici e coll'apoggio del vicaro che v'era per lo Bavero, con armata mano e con séguito del popolo e di molti loro amici cittadini ricorsono la terra la loro volta gridando: "Viva lo 'mperadore!"; e ruppono e sconfissono e cacciarono de la terra i Tedici e 'l signore d'Altopascio e' loro seguaci, e assai ne furono morti e presi.
CXXV
Come la gente del legato vollono prendere Reggio, e come Forlì e Ravenna feciono le comandamenta del legato.
Nel detto tempo e mese per certo trattato dove' essere data l'entrata de la città di Reggio al legato del papa ch'era in Bologna, onde vi cavalcò il suo maliscalco con più di VIIIc cavalieri e gente a piede assai, e furono infino ne' borghi de la terra; ma vennono sì tardi, che già era scoperto il tradimento; onde furono presi e guasti di coloro che·ll'aveano ordinato, e la gente della Chiesa vi ricevettono danno e vergogna, e tornarsi a Bologna. E nel detto mese, a dì XXVI di marzo, i Forlivesi e que' di Ravenna per certo ordine di pace vennono a' comandamenti del legato a Bologna.
CXXVI
Come la gente di messer Cane di Verona furono sconfitti nel castello di Salò in bresciana.
Nel detto anno, faccendo messer Cane de la Scala grande guerra a' Bresciani, fece fare una grande armata di gazzarre e d'altro navilio, e con molta gente d'arme a dì XXIIII di marzo fece assalire il castello di Salò in bresciana, e per gente de la terra ch'erano al tradimento fu data loro l'entrata, e corsono e rubarono la terra. A la fine i Bresciani avisati di questa cavalcata giunsono a Salò, e combatterono co' nimici e sconfissorgli e cacciarono de la terra, e rimasonne più di Vc morti.
CXXVII
Come il Bavero si partì di Pisa e andonne in Lombardia, e fece oste sopra Milano.
Nell'anno MCCCXXVIIII, a dì XI d'aprile, si partì di Pisa Lodovico di Baviera, il quale si facea chiamare imperadore, per andare in Lombardia, per cagione che' Visconti che teneano la signoria di Milano non gli rispondeano come volea, per la quistione già mossa contra a messer Marco, e perché 'l Bavero mostrava d'abattere lo stato de' figliuoli di Castruccio, i quali erano a setta co' detti Visconti. E partendosi il Bavero di Toscana, diede speranza a' suoi seguaci di Pisa e di Lucca e dell'altra Toscana di tosto ritornare, con tutto che a' Pisani paresse M anni la sua partita per le 'ncomportabili gravezze ricevute da·llui, e con poco suo onore o stato de' Pisani o de' Lucchesi; e lasciò in Pisa suo vicario messer Tarlatino d'Arezzo con VIc cavalieri tedeschi, e in Lucca Francesco Castracane Interminelli con IIIIc cavalieri. E giunto il detto Bavero in Lombardia, fece richiedere a parlamento a Marcheria tutti i tiranni e' grandi lombardi, i quali la maggiore parte vi furono, ciò fue messer Cane della Scala, e il signore di Mantova, e quello di Commo e di Chermona, salvo che non vi furono i Visconti di Milano. E tenuto parlamento infino a venerdì santo, a dì XXI d'aprile, si ordinò co' detti Lombardi di fare oste sopra Milano, per cagione che messer Azzo Visconti e' suoi nol voleano ubbidire né dare la signoria libera di Milano, e sentiva che teneano trattato d'accordo col papa e colla Chiesa. E ciò fatto, si tornò a Chermona per ordinare la detta oste, e poco appresso, del mese di maggio, co la lega di Lombardia il detto Bavero andò sopra Milano con MM cavalieri e puosesi a Moncia, e ivi e nel contado di Milano stette più tempo guastando il paese; ma non v'aquistò terra niuna del contado di Milano, salvo ch'a l'uscita del mese di giugno, per via di trattati, con certi patti il Bavero ebbe la città di Pavia, e poi con sua gente si tornò a Chermona per le novitadi già cominciate ne la città di Parma e di Reggio e di Modana contro al legato e la Chiesa, come innanzi faremo menzione.
CXXVIII
Come la compagna de' Tedeschi dal Cerruglio vennono a Lucca e furono signori de la terra.
Nel detto anno, quattro dì apresso partito il Bavero di Pisa, ciò fu a dì XV d'aprile, i suoi ribelli tedeschi ch'erano in sul Cerruglio in Valdinievole, come adietro facemmo menzione, i quali erano intorno VIc uomini a cavallo, molto aspra e buona gente d'arme, con trattato di certi Fiorentini, ond'era caporale e menatore messer Pino de la Tosa e il vescovo di Firenze con certi altri cittadini segreti, infino che 'l Bavero era in Pisa, faccendo loro grandi promesse di danari per lo Comune di Firenze, e ancora con certo trattato con masnade vecchie de' Tedeschi stati al servigio di Castruccio, i quali erano a la guardia del castello de l'Agosta di Lucca, si feciono loro capitano messer Marco Visconti di Milano, stato per loro gaggi promessi loro pregione. E partirsi di notte tempore di Valdinievole e vennono a Lucca; e com'era ordinato, fu data loro l'entrata del castello de l'Agosta; e incontanente mandarono per Arrigo figliuolo di Castruccio e per gli suoi frategli, i quali erano per confini del Bavero al castello loro di Monteggioli; e loro giunti, e entrati nel castello di Lucca, vollono correre la terra. I Lucchesi per tema d'essere rubati e arsi con Francesco Interminelli insieme, ch'era signore di Lucca per lo Bavero, s'arenderono, e diedono la signoria dell'altra terra a messer Marco e a' suoi seguaci del Cerruglio la domenica apresso. E poi in questo stante corsono il paese d'intorno, e chi non facea le comandamenta sì rubavano e uccideano come gente salvaggia e bisognosa che viveano di ratto. E perché quegli de la terra di Camaiore si contesono, furono arsi e rubati, e arsa e guasta la terra, e morti più di IIIIc di loro terrazzani a dì VI di maggio: e poi corsono e guastarono intorno a Pescia. E in questa mutazione di Lucca il detto messer Marco e' suoi seguaci mandarono a Firenze loro ambasciadori frati agostini a richiedere i Fiorentini ch'atenessono loro i patti de la moneta promessa, offerendosi di dare la signoria di Lucca e 'l castello libero a' Fiorentini, pagando le masnade di loro gaggi sostenuti ch'era lo stimo e loro domanda intorno di LXXXm fiorini d'oro, e promettendo di perdonare e di lasciare i figliuoli di Castruccio in alcuno stato cittadinesco, e non signori. Di ciò si tennono molti e più consigli in Firenze; e come la 'nvidia che guasta ogni bene, overo ch'ancora non fosse tempo di nostro felice stato, overo che paresse loro ben fare, contastatori ebbe in Firenze assai. Principale fu messer Simone de la Tosa contrario per setta, e per lignaggio consorto di messer Pino, e più suoi seguaci grandi e popolani, mostrando con belle ragioni e colorate la confidanza di messer Marco e de' Tedeschi istati nostri contrarii e nimici, e come non era onore del Comune di Firenze a perdonare a' figliuoli di Castruccio di tante offese ricevute dal padre; e così il benificio trattato per lo Comune di Firenze d'avere la signoria di Lucca, per invidia cittadina rimase, e presesi il peggiore con grande interesso e dammaggio del nostro Comune, come innanzi per lo tempo faremo menzione.
CXXIX
Come fu fatta pace tra' Fiorentini e' Pistolesi.
Per la detta mutazione di Lucca i Ghibellini caporali che teneano la città di Pistoia, ciò erano, come dicemmo adietro, Panciatichi, e Muli, e Gualfreducci, e Vergiolesi, i quali erano contradi e nimici di messer Filippo Tedici e de' suoi, e sospetti de' figliuoli di Castruccio e loro seguaci per lo parentado di messer Filippo, conoscendo che bene non poteano tenere la città di Pistoia sanza grande pericolo, se non si facessono amici de' Fiorentini, per la qual cosa feciono cercare trattato di pace col Comune di Firenze, del quale trattato fu menatore e fattore messer Francesco di messer Pazzino de' Pazzi, però ch'avea parentado co' Panciatichi del lato guelfo, onde degli altri Panciatichi si fidarono con gli altri loro seguaci ch'erano signori di Pistoia: lo quale trattato ebbe tosto buono compimento, però che facea così bene per gli Fiorentini come per gli Pistolesi, e dievisi fine a dì XXIIII di maggio MCCCXXVIIII, in questo modo: che' Pistolesi renderono a' Fiorentini Montemurlo, pagando XIIc di fiorini d'oro a le masnade che v'erano dentro, e quetarono in perpetuo a' Fiorentini Carmignano e Artimino e Vitolino e più altre terre del monte di sotto, le quali aveano prese e teneano i Fiorentini; e promisono di rimettere tutti i Guelfi in Pistoia infra certo tempo, salvo i Tedici, e raccomunare gli ufici co' Guelfi, e d'avere gli amici per amici e' nimici per nimici del Comune di Firenze. E per pegno diedono a' Fiorentini la guardia de la rocca di Tizzano, la quale rimessa de' Guelfi oservarono in prima che 'l termine ordinato; e vollono che' Fiorentini avessono la guardia della città di Pistoia, e vi tenessono uno capitano popolano di Firenze con gente d'arme; e così fu fatto. E' Fiorentini per più fermezza di pace feciono fare per sindaco di Comune, che fu messer Iacopo Strozzi, cavalieri due de' Panciatichi, e uno de' Muli, e uno de' Gualfreducci, e donarono loro MM fiorini d'oro, e feciono in Pistoia XXXVI cavallate al soldo de' Fiorentini. E' detti Ghibellini di Pistoia feciono ordine che s'abbattesse ogni insegna d'aguglia e di Bavero e di Castruccio e di parte ghibellina, e feciono per sopransegna a·lloro bandiere i nicchi dell'oro sa·Jacopo. Di questa pace si fece gran festa in Pistoia d'armeggiare e d'altri giuochi, e ancora in Firenze il dì dell'Ascensione apresso si feciono ne la piazza di Santa Croce ricche e belle giostre, tenendosi tavola ferma per III dì per VI cavalieri, dando giostra a ogni maniera di gente a cavallo, perdere e guadagnare, ov'ebbe di molto belli colpi e d'abattere di cavalieri, e al continuo v'era pieno di belle donne a' balconi, e di molto buona gente.
CXXX
Come il legato di Lombardia fece fare oste sopra Parma, Reggio e Modana, e come feciono le sue comandamenta.
Nel detto anno, a l'uscita di maggio, il legato del papa di Lombardia, ch'era in Bologna, fece fare oste sopra la città di Parma e quella di Reggio di più di MM cavalieri e popolo assai, perché s'erano rubellati a la Chiesa e non voleano ubbidire il legato. Poi per certo trattato in corte col papa di dissimulata pace Parma e Reggio feciono le comandamenta a dì XXV di giugno, mettendovi il legato suoi rettori e uficiali con poca gente, sì che la signoria e forza de le dette terre si rimase pure a' signori di quelle. E ciò fatto, a dì V di luglio vegnente la detta oste de la Chiesa venne sopra la città di Modana, per la qual cosa, come avea fatto Parma e Reggio, e in quella forma, i Modanesi s'arrenderono al legato.
CXXXI
Come il legato di Toscana co' Romani fece oste sopra Viterbo.
In quello medesimo tempo il legato di Toscana, il quale era a Roma, fece co' Romani e con altro suo podere oste sopra la città di Viterbo, perch'era ribella a' Romani e a la Chiesa, e signoreggiavasi per tiranno, e quella guastarono intorno, e presono più castella de le loro, ma la città non poterono avere.
CXXXII
Come i Pisani cacciarono di Pisa il vicaro del Bavero e le sue masnade.
Nel detto anno, del mese di giugno, i Pisani sentendo che 'l Bavero era rimaso in Lombardia per non tornare al presente in Toscana, e dispiacendo loro la sua signoria, e ancora per le novità e mutazioni de la città di Lucca, sì ordinarono col conte Fazio il giovane di cacciare il vicario del Bavero, ch'era messer Tarlatino di quegli da Pietramala d'Arezzo, e tutti i suoi uficiali, e feciono venire in Pisa da la città di Lucca messer Marco Visconti con certe masnade de' cavalieri de la compagna del Cerruglio nimici del Bavero, e uno sabato sera feciono levare la terra a romore e armare il popolo e' cavalieri di messer Marco, e tutti trassono a casa il conte Fazio, e tagliarono il ponte a la Spina, e misono fuoco nel ponte nuovo, e armarono e barrarono il ponte vecchio ch'è sotto le case del conte, acciò che le masnade del Bavero le quali erano in Pisa a petizione del suo vicario non potessono passare né correre il quartiere di Quinzica dov'era il conte co la forza sua e del popolo. La domenica mattina vegnente, dì XVIII di giugno, cresciuta la forza del conte e del popolo, e volendo passare il ponte vecchio per assalire e combattere il vicario al palagio, egli veggendosi mal parato a tanta forza, si partì con sua famiglia di Pisa, e fu rubato il palagio di tutti suo' arnesi; e poi riposato il romore, riformarono la terra di loro podestà, e mandarne le masnade del Bavero gran parte.
CXXXIII
Come messer Marco Visconti venne in Firenze per certi trattati, e poi tornato in Milano fu morto da' fratelli e nipote.
Rivolto lo stato di Pisa per lo modo scritto nel passato capitolo, i Pisani e 'l conte Fazio providono messer Marco Visconti riccamente del servigio ricevuto da·llui. Il detto messer Marco non volle tornare a Lucca, però ch'era in gaggio per lo Bavero a' cavalieri del Cerruglio per loro soldi, come adietro facemmo menzione; cercò, e mandò lettere al Comune di Firenze che volea venire e passare per Firenze per andarsene in Lombardia con intendimento di parlare a' priori e con coloro che reggeano la città cose utili per potere avere la città di Lucca. Fugli data licenzia del venire sicuramente; il quale venne in Firenze a dì XXX di giugno nel detto anno con XXX a cavallo di sua famiglia; da' Fiorentini fu veduto graziosamente e fattogli onore assai, ed egli da·ssé, mentre dimorò in Firenze, al continuo mettea tavola, convitando cavalieri e buona gente, e fece nel palagio de' priori l'obbedienza di santa Chiesa dinanzi a' priori e a l'altre signorie e del vescovo di Firenze e di quello di Fiesole e di quello di Spuleto, ch'era Fiorentino, e dinanzi a lo 'nquisitore e di certi legati che erano in Firenze per lo papa. E promise d'andare a la misericordia del legato di Lombardia e poi al papa, e d'essere sempre figliuolo e difenditore di santa Chiesa. In Firenze tenne trattato co' cavalieri dal Cerruglio che teneano il castello di Lucca di dare al Comune di Firenze il detto castello e tutta la città, dando loro LXXXm fiorini d'oro; e de' maggiori caporali e conastaboli vennono in Firenze per lo detto trattato, profferendo di dare per sicurtà molti di loro caporali per istadichi per oservare la promessa. In Firenze se ne tennono più consigli, e gli più s'accordarono al trattato, e spezialmente la comune gente e quegli de la setta di messer Pino de la Tosa, il quale, come dicemmo adietro, avea menato il trattato di fare torre Lucca a messer Marco e a' cavalieri dal Cerruglio. L'altra setta, ond'era caporale messer Simone de la Tosa suo consorto, per invidia, o forse perché per loro non era mosso il detto trattato e non aspettavano l'onore, o forse utole, s'oppuose contro, mostrando più dubitazioni e pericoli, come si poteano perdere i danari, e la gente si mettesse per gli Fiorentini a la guardia del castello dell'Agosta. E così per mala concordia de' nostri non diritti cittadini a la republica rimase il trattato, e messer Marco si partì di Firenze a dì XXVIIII di luglio, e furongli donati per lo Comune di Firenze M fiorini d'oro per aiuto a le sue spese. Il detto messer Marco se n'andò a Milano, e da' suoi cittadini fu ricevuto a grande onore, e avea da' Milanesi grande séguito, maggiore che neuno de' suoi fratelli, o che messer Azzo Visconti suo nipote, ch'era signore di Milano. Per la qual cosa montò la 'nvidia e la gelosia che messer Marco non togliesse la signoria a messer Azzo per gli trattati fatti in Firenze co' Guelfi, e forse messere Marco per tornare in grazie del papa ed esser signore di Milano, che 'l potea e n'avea per aventura la 'ntenzione guardando suo tempo.
Avenne che a dì IIII di settembre nel detto anno, fatto messer Azzo uno grande convito ove fu messer Marco e messer Luchino e messer Giovannino Visconti suoi zii, e altri de' Visconti e più buona gente di Milano, compiuto il mangiare, e partendosi messer Marco e l'altra buona gente, fu fatto chiamare per parte di messer Azzo che tornasse al palazzo, che volea egli e' frategli parlare co·llui al segreto. Il detto messer Marco non prendendosi guardia, e non avendo arme, andò a·lloro, e entrato co·lloro in una camera, come i traditori caini aveano ordinato, co·lloro masnadieri armati uscirono adosso a messer Marco, e sanza fedirlo il presono e strangolarlo, sì ch'afogò, e morto il gittarono da le finestre del palazzo in terra. Di questa disonesta morte di messer Marco i Milanesi per comune ne furono molto turbati, ma nullo n'osò parlare per paura. Questo messer Marco fu bello cavaliere e grande della persona, fiero e ardito, e prode in arme, e bene aventuroso in battaglia più che niuno Lombardo a' suoi dì; savio non fu troppo, ma se fosse vivuto, avrebbe fatto di grandi novitadi in Milano e in Lombardia.
CXXXIV
Come le castella di Valdinievole feciono pace e accordo co' Fiorentini.
Nel detto anno la lega delle castella di Valdinievole, come sono Montecatini, Pescia, Buggiano, Uzzano, il Colle, il Cozzile, e Massa, e Montesommano, e Montevettolino, veggendo il male stato di Lucca, e come i Pistolesi s'erano pacificati co' Fiorentini, e seguivane loro utile e bene, e per consiglio di loro amici ghibellini di Pistoia, spezialmente de' cavalieri novelli fatti per lo Comune di Firenze, e per posarsi in pacefico stato de le loro lunghe guerre e pericoli passati, cercavano pace co' Fiorentini, e compiési a dì XXI di giugno del detto anno, perdonando e dimettendo il Comune di Firenze ogni offesa ricevuta da·lloro ne la guerra castruccina, e eglino promisono a' Fiorentini d'avere gli amici per amici e' nimici per nimici, e feciono lega co' Fiorentini, e vollono un capitano di Firenze.
CXXXV
Come i Pisani trattarono di comperare Lucca, e come la gente de' Fiorentini cavalcarono in su le porte di Pisa, e come si fece pace tra Fiorentini e' Pisani
Nel detto anno, a l'entrata del mese di luglio, i Pisani sentendo i trattati menati per messer Marco Visconti co' Fiorentini e' cavalieri tedeschi del Cerruglio che teneano Lucca, per tema ch'a' Fiorentini non crescesse la forza e 'l podere avendo Lucca, e tornarla a parte guelfa, e non fossono loro più presso vicini, si s'intraversarono, e cercarono co' detti Tedeschi il detto trattato d'avere Lucca per LXm fiorini d'oro. E fatto il patto, diedono caparra XIIIm fiorini d'oro, i quali si perderono per la fretta che ebbono: non ne presono stadichi né cautela; e ciò avenne per le varie novità e mutazioni ch'avennono poi in Lucca. Per la qual cosa sentendolo i Fiorentini, di ciò molto crucciati feciono cavalcare sopra i Pisani messer Beltramone del Balzo maliscalco de la gente del re Ruberto, ch'era in Sa·Miniato co le masnade de' soldati de' Fiorentini, in quantità di più di M a cavallo e gente a piede assai, e corsono infino al borgo di San Marco di Pisa, e infino a l'antiporto sanza contasto niuno, ardendo e guastando, menandone grande preda di pregioni, di bestie e d'arnesi. E poi si volsono per Valdera rubando e ardendo ciò che si trovarono innanzi; e ebbono per forza combattendo il castello di Pratiglione e quello di Camporena, che 'l tenevano i Pisani, e feciollo disfare. I Pisani veggendosi così apressati da' Fiorentini, e eransi rubellati dal Bavero, e essendo in assai male stato, cercarono pace co' Fiorentini. I Fiorentini l'asentirono per potere meglio fornire la guerra di Lucca, e compiési la detta pace a Montetopoli per gli nostri e loro sindachi e ambasciadori, a dì XII del mese d'agosto del detto anno, con patti e franchigie de la pace vecchia, e ch'eglino sarebbono nimici del Bavero e di chiunque fosse nimico de' Fiorentini. Il settembre seguente certi Ghibellini di Pisa, dispiacendo la pace fatta co' Fiorentini, cercarono con quegli di Lucca di tradire Pisa; ma fu scoperto il tradimento, e certi ne furono presi e guasti, e molti ne furono fatti rubelli e isbanditi.
CXXXVI
Come i Fiorentini ripresono il contado d'Ampinana, che 'l tenea il conte Ugo.
Nel detto anno, a dì XV di luglio, i Fiorentini mandarono di loro masnade in Mugello e feciono riprendere i popoli e contado del castello che fue d'Ampinana, il quale s'avea ripreso il conte Ugo da Battifolle per lo modo detto adietro al tempo della sconfitta d'Altopascio.
CXXXVII
Come si rubellò il castello di Montecatini da la lega de' Fiorentini.
Nel detto anno, a dì XVII di luglio, gli amici ghibellini de' figliuoli di Castruccio i quali erano in Montecatini, coll'aiuto delle masnade de' Lucchesi ch'erano in Altopascio, rubellarono la terra da l'accordo de la lega, e cacciarne fuori i Guelfi, e fornissi per gli Lucchesi. Per la qual cosa le masnade de' Fiorentini cavalcarono in Valdinievole, e presono e arsono il borgo di Montecatini, e rimasevi per capitano messer Alnerigo Donati per gli Fiorentini, con gente d'arme a cavallo e a piede assai a la guardia di Buggiano e dell'altre terre della lega di Valdinievole, e per fare guerra a Montecatini. E in questa stanza da XII caporali e grandi Ghibellini del castello di Montevettolino andarono segretamente in Montecatini per ordinare di rubellare Montevettolino. E ispiandolo messer Amerigo, a l'uscita che feciono del castello gli fece prendere, e per la loro presura ebbe il castello di Montevettolino in signoria per lo Comune di Firenze, che innanzi non vi lasciavano entrare dentro le loro masnade. E infino allora si cominciò l'assedio di Montecatini per gli Fiorentini, non perciò stretto, come seguirono poi, come innanzi si farà menzione; ma erano le loro guernigioni di gente a cavallo e a piede ne le castella d'intorno, e non vi potea entrare vittuaglia se non di furto, o con grossa scorta.
CXXXVIII
Come messer Cane della Scala ebbe la città di Trevigi, e incontanente di malatia vi morì.
Nel detto anno, a dì IIII di luglio, messer Cane della Scala di Verona andò ad oste sopra la città di Trevigi con tutto suo podere, e furono più di MM cavalieri e popolo grandissimo, la quale città di Trevigi era in comunità, ma il maggiore n'era l'avogaro di Trevigi: al quale assedio stette XV dì, e poi l'ebbe liberamente a patti, salvi tutti avere e persone, ciascuno in suo grado. E a dì XVIII del detto mese v'entrò messer Cane colla sua gente con grande festa e trionfo, e fu adempiuta la profezia di maestro Michele Scotto, che disse che 'l Cane di Verona sarebbe signore di Padova e di tutta la Marca di Trivigi. Ma come piacque a Dio, e le più volte pare ch'avegna per lo piacere di Dio e per mostrare la sua potenzia, e perché niuno si fidi in niuna felicitade umana, che dopo la grande allegrezza di messer Cane, adempiuti gli suoi intendimenti, venne il grande dolore, che giunto lui in Trevigi, e mangiato in tanta festa, incontanente cadde malato, e il dì de la Maddalena, dì XXII di luglio, morì in Trevigi, e fune portato morto a soppellire a Verona, e di lui non rimase né figlio né figlia legittimo, altro che due bastardi, i quali poi da' loro zii frategli di messer Cane perché non regnassono furono scacciati, e alcuno di loro fatto morire. E nota che questi fu il maggiore tiranno e 'l più possente e ricco che fosse in Lombardia da Azzolino di Romano infino allora, e chi dice di più; e nella sua maggiore gloria venne meno de la vita e di sue rede, e rimasono signori appresso lui messer Alberto e messer Mastino suoi nipoti.

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Ultimo Aggiornamento:12/07/05 23:01